Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 2 maggio 2022, n. 3437

Presidente: Montedoro - Estensore: Lamberti

FATTO E DIRITTO

1. Con il permesso di costruire n. 4 del 2 marzo 2010, il Comune di Santa Maria La Carità autorizzava l'appellante alla realizzazione di un impianto carburanti sul terreno catastalmente classificato al foglio 7, particella 2165, ricadente in zona agricola E1 del PRG.

2. In data 11 novembre 2011, nel corso dei lavori, l'impianto veniva posto sotto sequestro preventivo con provvedimento del GIP presso il Tribunale di Torre Annunziata per contestate irregolarità nel rilascio del permesso di costruire n. 4/2010.

2.1. Con la sentenza del 17 settembre 2014, il Tribunale di Torre Annunziata affermava che il permesso di costruire non poteva essere rilasciato, perché: a) non era stata rappresentata graficamente in progetto l'area di sosta dell'autocisterna; ne era conseguito il mancato accertamento delle distanze di sicurezza interne tra gli elementi di pericolosità dell'impianto, che non potevano essere comunque rispettate in ragione delle ridotte dimensioni della particella 2165; b) gli accessi all'impianto non rispettavano la distanza di 95 metri dagli incroci, prevista dall'art. 127 del regolamento edilizio comunale per gli impianti carburanti ubicati fuori dai centri abitati.

3. Successivamente, il Comune, con la delibera del 13 marzo 2015, n. 47, approvava il nuovo perimetro del centro abitato all'interno del quale veniva a ricadere l'area interessata dall'intervento.

3.1. Con atto per Notaio Di Liegro in data 8 giugno 2015, la Sud Petroli acquistava la p.lla 2164, confinante con la n. 2165, ed in data 12 giugno 2015 presentava al Comune una SCIA in variante al permesso di costruire n. 4.

3.2. Una volta completata l'istruttoria ed acquisiti tutti i pareri favorevoli, la Corte di appello di Napoli disponeva il dissequestro dei beni e i lavori erano completati con la realizzazione dell'impianto in data 21 febbraio 2017.

Il Comune rilasciava l'autorizzazione all'installazione ed esercizio dell'impianto (c.d. commerciale-petrolifera) con provvedimento del SUAP in data 18 aprile 2017, n. 5397.

4. Nelle more del collaudo dell'impianto, sopraggiungeva, in data 8 maggio 2017, un nuovo provvedimento di sequestro preventivo del GIP presso il Tribunale di Torre Annunziata. Con ordinanza in data 9 maggio 2018, il Tribunale de[l] riesame di Napoli rigettava l'appello avverso il provvedimento di sequestro perché "presupposto indefettibile per la validità di una s.c.i.a. in variante è, chiaramente, l'esistenza di un (precedente) titolo autorizzativo legittimo, con la conseguenza che, in caso contrario, sia pure al fine di rimuovere le irregolarità, è necessario munirsi di nuovo permesso di costruire".

4.1. Sud Petroli chiedeva al Comune di Santa Maria La Carità, in data 28 giugno 2018, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 380/2001.

5. Il Comune non rispondeva all'istanza e l'appellante ha impugnato il silenzio-diniego avanti il T.A.R. per la Campania che, con l'ordinanza n. 85/2019, ha accolto l'istanza cautelare e ha disposto il riesame dell'istanza di accertamento di conformità.

5.1. Con la nota n. 8676 del 29 giugno 2020, il Comune ha notificato il provvedimento di rigetto della domanda di accertamento di conformità.

Successivamente, con la disposizione dirigenziale in data 22 luglio 2020, il Comune ha ingiunto alla Sud Petroli, ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 380/2001, il ripristino dello stato dei luoghi con la demolizione delle opere.

5.2. Il diniego e l'ordinanza di demolizione sono stati impugnati con motivi aggiunti.

6. Con la sentenza n. 3127/2021, il T.A.R. adito, previa declaratoria di improcedibilità del ricorso originario avverso il silenzio, ha rigettato i motivi aggiunti proposti avverso il diniego di sanatoria.

7. L'originaria ricorrente ha impugnato quest'ultima statuizione per i motivi di seguito esaminati.

Con il primo motivo, contesta il passaggio della sentenza in cui si afferma che «con riferimento alla conformità riferita al secondo momento, ossia quello della presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità, parte ricorrente, nell'ambito del terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti, si limita a sostenere che "Non è invece in discussione la conformità dell'opera alla data di presentazione della domanda" (pag. 10 ultimo capoverso del terzo motivo), senza nulla argomentare in proposito. È evidente che, con riferimento al secondo profilo della doppia conformità, la ricorrente ha articolato una censura generica senza fornire alcun elemento ai fini della dimostrazione della conformità urbanistica ed edilizia dell'impianto al tale diverso momento (nonostante il diniego riguardasse, espressamente, anche questo). Ne consegue l'inidoneità della generica censura a minare il diniego, nella parte volta ad escludere la conformità al momento appunto della presentazione dell'istanza di sanatoria, con conseguente consolidazione dell'atto».

L'appellante sostiene che il provvedimento impugnato non si fonda sul contrasto dell'intervento con la disciplina urbanistico-edilizia vigente al tempo di presentazione dell'istanza, che il ricorrente era pertanto onerato di contestare; ed è in questo senso che in ricorso era dedotto che "non è invece in discussione la conformità dell'opera alla data di presentazione della domanda".

8. La censura è infondata.

L'assunto da cui muove l'appellante è errato, dal momento che il provvedimento impugnato si fonda anche sulla non conformità dell'opera rispetto alla data di presentazione dell'istanza.

Nel provvedimento si legge che "In difetto dei presupposti di conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia, sia all'atto della sua realizzazione, riferita alla data di comunicazione di inizio lavori del 6 luglio 2010, sia al momento della presentazione dell'istanza prot. 9393 del 28 giugno 2018 [...] non può trovare accoglimento".

Con il ricorso per motivi aggiunti, Sud Petroli s.r.l. ha omesso ogni contestazione specifica in riferimento alla ritenuta non conformità delle opere "al momento della presentazione dell'istanza prot. 9393 del 28 giugno 2018". Anzi, travisando il chiaro tenore dell'atto, ha supposto - erroneamente - che fosse pacifica la conformità dell'intervento alla disciplina edilizia vigente al momento della domanda di sanatoria.

Come noto, il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 "sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell'opera abusiva alle prescrizioni urbanistico-edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario, paesaggistico) sia all'epoca di realizzazione dell'abuso sia a quella di presentazione dell'istanza ex art. 36 d.P.R. 380/2001" (cfr. C.d.S., Sez. IV, 23 ottobre 2017, n. 4864). Ciò determina che "In sede di accertamento di conformità è interamente a carico della parte l'onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l'ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell'art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (già art. 13 l. n. 47/1985), attesa la finalità dell'istituto in parola come individuata dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, secondo cui presupposto indefettibile per il rilascio del permesso in sanatoria è la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria" (cfr. C.d.S., Sez. VI, 9 marzo 2016, n. 936).

Alla luce delle considerazioni che precedono, le ulteriori censure dedotte dall'appellante, che come detto non riguardano la ritenuta non conformità dell'intervento al momento della presentazione dell'istanza, risultano del tutto irrilevanti, tenuto conto che ai fini della legittimità di un atto amministrativo fondato su di una pluralità di ragioni, fra loro autonome, è sufficiente che anche una sola fra esse sia riconosciuta idonea a sorreggere l'atto medesimo, mentre le doglianze formulate avverso gli altri motivi devono ritenersi carenti di un sottostante interesse a ricorrere, giacché in nessun caso le stesse potrebbero portare all'invalidazione dell'atto (ex multis C.d.S., Sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1769).

8.1. Fermo l'insuperabile rilievo innanzi evidenziato, e di per sé ostativo all'accoglimento dell'appello, si evidenzia in ogni caso che nella consulenza tecnica d'ufficio resa nel procedimento penale n. 7815/2016 si conclude nel senso che: "le opere così come risultano realizzate all'atto del sopralluogo (casotto, pensilina e apparecchio di distribuzione), non avendo il progettista tenuto conto dell'ampliamento previsto dal PRG della strada II° Traversa Boccapiano, non rispettano le distanze minime previste di 15 m per l'apparecchio di distribuzione, ai sensi del d.P.R. n. 340/2003 (Allegato A) e di 10 m per il casotto e la pensilina, ai sensi dell'art. 26 d.P.R. 495/92 (art. 16 CdS), entrambe dall'ampliamento della strada II° Traversa Boccapiano, la tipologia di impianto (chiosco) non è consentita nella zona agricola, non sono state realizzate le corsie di decelerazione e accelerazione, non è rispettata la distanza di 95 m degli accessi con le intersezioni; pertanto, le opere realizzate non sono suscettibili di sanatoria".

Nel provvedimento impugnato, oltre a rilevare che le suddette distanze minime inderogabili non risultano rispettate al momento della richiesta conformità ex art. 36 d.P.R. 380/2001, si specifica ulteriormente che il progetto di variante di cui alla SCIA prot. 8687 del 12 giugno 2015 ha utilizzato la p.lla 2164 di mq 1.184,00 del Foglio 7, che ricade in zona omogenea agricola del PRG, non per gli scopi agricoli prescritti dallo strumento urbanistico, ma commerciali (distribuzione carburante), imprimendo ad essa una destinazione d'uso urbanisticamente rilevante rispetto a quella originaria prescritta, con la conseguenza che il progetto non poteva essere assistito da una semplice SCIA, ma avrebbe richiesto una preventiva deliberazione di assenso del consiglio comunale alla variante della destinazione d'uso prescritta dal PRG o, in subordine, un premesso in deroga (sempre che ne sussistessero i presupposti di cui all'art. 14 d.P.R. 380/2001).

9. All'infondatezza dell'appello nella parte in cui contesta il diniego di sanatoria, consegue il rigetto anche delle censure avverso l'ordine di demolizione n. 60/2021.

Infatti, a fronte del rigetto dell'istanza di sanatoria e del definitivo accertamento dell'abusività delle opere, il provvedimento repressivo che ne consegue deve ritenersi necessitato, senza alcun margine di valutazione da parte dell'amministrazione.

Deve peraltro precisarsi che il Comune ha esercitato correttamente il potere di cui all'art. 31 del d.P.R. 380/2001, dal momento che, nel caso in esame, l'edificazione delle opere non è avvenuta in forza di un titolo; invero, i lavori originariamente assenti con il permesso di costruire n. 4/20 sono stati impediti dal sequestro dell'area per essere poi eseguiti dopo la presentazione della SCIA in variante, la quale, come è stato spiegato, risulta del tutto inidonea a costituire un valido titolo; ne deriva che il completamento dell'opera è avvenuto in assenza di un titolo legittimante.

L'impossibilità di ricondurre la vicenda nell'ambito di cui all'art. 38 del d.P.R. 380/2001 come prospettato con l'appello, oltre che per le circostanze innanzi evidenziate, risulta indirettamente confermata dalla stessa condotta di parte appellante, che ha infatti richiesto un titolo in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 380/2001.

L'ordinanza di demolizione non è quindi scaturita dall'annullamento di un precedente titolo, bensì dal diniego di sanatoria, a fronte della relativa istanza presentata dagli appellanti.

10. Per le ragioni esposte, l'appello va respinto.

Le spese di lite, considerata globalmente la vicenda, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l'appello e compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.