Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 23 marzo 2022, n. 2119

Presidente: Russo - Estensore: Poppi

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato il 15 maggio 2019 e iscritto al n. 5679 r.r., l'odierna appellante impugnava innanzi al T.A.R. Lazio il decreto ministeriale di approvazione dell'elenco nominativo dei candidati ammessi a sostenere la prova orale del "Corso concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali" unitamente, "ove necessario", al verbale relativo alla prova scritta e al bando indetto con d.d. n. 1259/2017.

Il T.A.R. adito, con sentenza n. 1826 dell'11 febbraio 2020, dichiarava il ricorso "improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse poiché la ricorrente non ha provveduto ad impugnare le graduatorie dei vincitori del concorso in esame".

La sentenza veniva impugnata con appello depositato il 17 giugno 2020 deducendo:

I. "violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. - violazione art. 2907 c.c. - violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato - motivazione carente ed erronea - eccesso di potere per falsità dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria - sviamento di potere - illogicità";

II. "error in judicando e in procedendo in ordine alla improcedibilità del ricorso proposto in primo grado - violazione di legge - violazione e falsa applicazione art. 3 c.p.a. - violazione e falsa applicazione artt. 35, comma 1, lett. c), e 73, comma 3, c.p.a. - violazione art. 111, comma 6, Cost. - eccesso di potere per carenza di istruttoria - motivazione insufficiente e incompleta - ingiustizia manifesta, irragionevolezza e sviamento della causa tipica".

L'Amministrazione si costituiva in giudizio il 7 luglio 2020 mediante deposito di memoria formale corredata da una relazione dell'Ufficio scolastico regionale per la Campania relativa ai fatti di causa.

L'appellante rassegnava le proprie conclusioni in vista della discussione di merito con memoria depositata l'11 febbraio 2022.

All'esito della pubblica udienza del 17 marzo 2022, l'appello veniva deciso.

Con il primo motivo l'appellante deduce l'illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui dichiara l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in assenza di una espressa eccezione nel senso da parte dell'Amministrazione.

L'appellante lamenta ulteriormente che il giudice di primo grado, definendo in rito il giudizio senza procedere allo scrutinio delle censure di merito, avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.a., espressione dell'inderogabile principio della domanda enunciato dagli artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c., da ritenersi violato ogni qual volta il giudice alteri petitum e causa petendi "pronunciandosi in merito ad un bene diverso da quello richiesto" (pag. 7 dell'appello).

Il motivo è infondato.

Quanto alla prima delle suesposte doglianze, deve rilevarsi che la giurisprudenza è ferma nel ritenere che il difetto delle "condizioni dell'azione è rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma 1, c.p.a.), perché essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l'esercizio dei poteri giurisdizionali (cfr. Sez. VI, 18 aprile 2013, n. 2152; Sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1657; 28 settembre 2016, n. 4024)" (C.d.S., Sez. IV, 28 novembre 2016, n. 5010).

Quanto alla seconda, deve premettersi che, ai sensi dell'art. 276, comma 2, c.p.c., applicabile nel processo amministrativo in virtù dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 76, comma 4, c.p.a., il Collegio "decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa".

In coerenza con tale disposizione, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che "per effetto di tale obbligo, una volta decisa una di queste questioni in modo da definire l'intera controversia, non occorre decidere il merito della stessa" (C.d.S., Sez. V, 29 maggio 2017, n. 2533).

Quanto, infine, all'affermazione contenuta nella memoria di parte appellante dell'11 febbraio 2022, per la quale il T.A.R. non avrebbe "formulato avviso alle parti" circa la questione rilevata d'ufficio (pag. 3, ultimo cpv.), deve rilevarsi che trova smentita nel verbale relativo all'udienza celebrata innanzi al T.A.R. il 4 febbraio 2020, nel quale viene dato atto che "il Presidente comunica alle parti che, ai sensi dell'art. 73 c.p.a., potrebbero sussistere profili di improcedibilità del ricorso per mancata impugnazione della graduatoria definitiva".

Con il secondo motivo, l'appellante censura la sentenza di primo grado ritenendola "del tutto generica, laddove, in maniera del tutto superficiale, si limita a dichiarare improcedibile il giudizio di prime cure per sopravvenuta carenza di interesse per la mancata impugnazione di un provvedimento di cui non indica né gli estremi, né la data, né tantomeno la pubblicazione".

Le illustrate omissioni integrerebbero, a parere dell'appellante, una violazione dell'art. 3 c.p.a. nella parte in cui dispone che "ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato" e che "il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica".

Il motivo è infondato.

Deve premettersi che, in tema di illegittimità derivata in seguito ad annullamento di un atto presupposto, occorre operare una distinzione fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto meramente viziante.

La giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che "nel primo caso l'annullamento dell'atto presupposto si estende automaticamente all'atto conseguenziale anche quando quest'ultimo non è stato impugnato, mentre nel secondo caso l'atto conseguenziale è affetto da illegittimità derivata ma resta efficace ove non ritualmente impugnato (C.d.S., Sez. V, 13 novembre 2015, n. 5188). Per la prima forma di vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi precisi: a) il primo dato dall'appartenenza, sia dell'atto annullato direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla medesima serie procedimentale; b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi; pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo (C.d.S., Sez. V, 10 aprile 2018, n. 2168)" (C.d.S., Sez. III, 7 gennaio 2020, n. 112).

Con specifico riferimento alle procedure concorsuali, è stato ulteriormente affermato che "l'omessa impugnazione della graduatoria finale del concorso comporta la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del giudizio, poiché l'eventuale accoglimento della domanda di annullamento dell'esclusione dalla prova orale non può incidere sulla citata graduatoria, una volta che questa sia divenuta inoppugnabile (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 12 novembre 2020, n. 6959; Sez. V, 11 agosto 2010, n. 5618, e 10 maggio 2010, n. 2766, con i molteplici precedenti ivi richiamati)" (C.d.S., Sez. II, 14 maggio 2021, n. 3792).

È, quindi, pacifico che gravasse sull'appellante, in ossequio alle comuni regole di diligenza anche processuale, accertarsi della eventuale conclusione del concorso e dell'approvazione della relativa graduatoria.

Quanto al dedotto vizio di motivazione dell'impugnata sentenza, deve rilevarsi che il giudice di primo grado motivava la propria decisione affermando che "per i pubblici concorsi, l'atto finale costituito dalla delibera di approvazione della graduatoria, pur appartenendo alla stessa sequenza procedimentale in cui si colloca l'atto che determina la lesione del ricorrente, non ne costituisce conseguenza inevitabile atteso che la sua adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, anche di una pluralità di soggetti terzi rispetto al rapporto in origine controverso".

Che l'atto da impugnarsi non fosse una "fantomatica graduatoria" (pag. 7, ultimo cpv. dell'appello) ma l'atto di approvazione della graduatoria relativa al concorso cui l'appellante partecipava si evince senza possibilità di equivoco dal suesposto dato testuale.

Detta approvazione interveniva in virtù del decreto n. 1205 del 1° agosto 2019, successivamente rettificato con decreto n. 1229 del 7 agosto 2019, e tali provvedimenti, come affermato dall'Amministrazione e non contestato dall'appellante, costituivano oggetto di pubblicazione.

Per quanto precede l'appello deve essere respinto con condanna dell'appellante al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l'appellante al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.