Corte di cassazione
Sezione III civile
Ordinanza 17 novembre 2021, n. 34812

Presidente: Vivaldi - Relatore: Rossetti

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1992 la Credito Agrario Bresciano s.p.a. iniziò l'esecuzione forzata per la riscossione d'un proprio credito nei confronti di Pietro M. e Giuliana C.

In tale procedura esecutiva il 9 marzo 1993 (deve ritenersi un lapsus calami l'indicazione, a p. 4 della sentenza, della data "9 marzo 2003") intervenne la società BNL Credito Fondiario s.p.a., vantando un credito di lire 230.000.000, scaturente da un contratto di mutuo fondiario stipulato il 16 giugno 1989.

Il suddetto credito nel corso della procedura esecutiva venne ceduto dalla BNL Credito Fondiario alla società Alfa Skye s.r.l. (che intervenne nel processo esecutivo per mezzo della propria mandataria Fin Service s.p.a.), la quale in seguito muterà ragione sociale in Alfa Stepstone s.r.l.

2. Nel 2008 i due debitori proposero opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., allegando la nullità del contratto di mutuo per indeterminabilità del saggio degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, nonché la sopravvenuta prescrizione del credito per interessi.

3. Il Tribunale di Brescia con sentenza 25 giugno 2014, n. 2237 rigettò l'opposizione.

La sentenza venne appellata dai soccombenti.

4. La Corte d'appello di Brescia con sentenza 10 maggio 2018, n. 808 rigettò il gravame.

La Corte d'appello ritenne che:

- la clausola contenuta nel contratto di mutuo con la quale era stato determinato per relationem il saggio degli interessi corrispettivi, "nonostante l'estremo tecnicismo" non poteva ritenersi nulla per indeterminabilità dell'oggetto;

- altrettanto doveva dirsi per la clausola di determinazione del saggio degli interessi moratori;

- l'eccezione di prescrizione del credito per interessi era infondata, dal momento che:

a) la banca aveva intimato al debitore il pagamento degli interessi di mora, anche successivi, con la notifica del precetto (avvenuta il 31 agosto 1992);

b) il 9 marzo 1993 la banca era intervenuta volontariamente nella esecuzione già in corso, determinando così la sospensione della prescrizione.

5. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da Pietro M. e Giuliana C., con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso la Alfa Stepstone, per il tramite della propria mandataria Italfondiario s.p.a., e depositato altresì memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 1284 e 1346 c.c.

Al di là di tali riferimenti normativi, il motivo censura la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto che il saggio degli interessi corrispettivi previsto nel contratto di mutuo fosse determinabile.

L'illustrazione del motivo premette in punto di fatto che il contratto di mutuo stipulato tra gli odierni ricorrenti e la BNL prevedeva che il saggio degli interessi corrispettivi si dovesse stabilire:

1) secondo le consuetudini vigenti sul mercato delle eurovalute;

2) al tasso interbancario relativo ai depositi ECU (IBOR) a sei mesi;

3) per come quotato a pagina 3750 del sistema Dow Jones Telerate, arrotondato a 1/16 superiore;

4) il saggio risultante dai punti 1-3 che precedono, infine, sarebbe variato in misura percentuale pari "al rapporto tra il cambio dell'ECU rilevato al momento della scadenza delle singole rate, e il valore dell'ECU rilevato al momento della conversione in lire";

5) a tale ultimo fine, il cambio da applicare sarebbe stato quello "medio risultante dalla chiusura delle borse valori di Roma e Milano, due giorni bancari lavorativi antecedenti la scadenza di ciascuna rata di ammortamento, oltre una maggiorazione che non potrà essere superiore allo 0,15% a titolo di commissione valutaria in uscita".

Ciò premesso in fatto, i ricorrenti censurano la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto che la clausola sopra riassunta consentisse di determinare per relationem il tasso degli interessi corrispettivi, e deducono che quella decisione conterrebbe [i] seguenti errori:

1) nel corso del giudizio di merito era stata disposta una consulenza tecnica di ufficio per valutare se il saggio degli interessi corrispettivi fosse agevolmente determinabile; il consulente d'ufficio aveva concluso che al momento della perizia non era possibile reperire la "pagina 3750 del sistema Dow Jones Telerate"; la Corte d'appello, tuttavia, nonostante la mancanza di tale prova, ha rigettato l'opposizione, sostenendo che l'impossibilità di individuare tale parametro era dovuta soltanto al lungo tempo trascorso tra la conclusione del contratto e l'accertamento peritale;

2) erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto "determinabile" una clausola contrattuale che fissava il saggio degli interessi corrispettivi rinviando al saggio "IBOR"; quest'ultimo, infatti, non era un saggio preciso e determinato, ma era solo un genus di tassi di interesse, che comprende vari tassi interbancari (LIBOR, RIBOR, PIBOR, ecc.); di conseguenza esistevano al momento della stipula e "relativamente ai depositi in ECU a sei mesi molteplici tassi IBOR a seconda della piazza di rilevamento";

3) erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto "determinabile" una clausola contrattuale che, rinviando al sistema Dow Jones Telerate per stabilire il saggio degli interessi, rendeva quest'ultima conoscibile solo a coloro che potessero accedere a tale sistema, e che quindi disponessero - all'epoca dei fatti, cioè nel 1989 - di un telex e si fossero accollati il pagamento di un "costoso canone mensile";

4) il tasso interbancario IBOR, in tutte le sue declinazioni, era duplice, in quanto il sistema bancario calcolava un saggio IBOR c.d. "numero", applicato ai depositi bancari, ed un saggio IBOR c.d. "lettera", applicato alle aperture di credito; il contratto non precisava quale dei due tassi si sarebbe dovuto applicare al mutuo; la Corte d'appello ha tuttavia ritenuto che, poiché con il mutuo la banca offre del denaro, nel caso di specie "non poteva che trattarsi di tasso lettera"; osservano in contrario i ricorrenti che, così giudicando, la Corte d'appello ha confuso e sovrapposto la natura del contratto di mutuo con la misura del saggio da applicare, la quale non può desumersi dal tipo di contratto stipulato, ma deve essere espressamente determinata o determinabile;

5) infine, deducono i ricorrenti che la Corte d'appello aveva erroneamente ritenuto che l'oggetto della clausola sopra riassunta fosse "determinabile" anche nella parte in cui rinviava al "cambio medio delle borse valori di Roma e Milano"; osservano i ricorrenti che il consulente tecnico d'ufficio aveva affermato essere impossibile reperire quel valore con riferimento al periodo in cui il contratto ebbe esecuzione, e tuttavia il Tribunale aveva ritenuto irrilevante tale circostanza osservando che "il fatto che il c.t.u. non abbia potuto reperire il dato medio del cambio delle borse valori di Roma e Milano non significa affatto che tale dato non fosse reperibile ed esistente durante la vigenza del contratto e che, pertanto, il tasso non fosse certo e determinabile".

1.1. Il motivo è parzialmente fondato.

Le cinque censure sollevate dai ricorrenti e sopra riassunte ruotano complessivamente attorno a due poli: con esse i ricorrenti da un lato si dolgono che saggio degli interessi corrispettivi previsti dal contratto di mutuo non fosse determinato, né determinabile; e dall'altro assumono che, sebbene all'esito del giudizio di opposizione non era stato possibile stabilire quale fosse tale saggio, nondimeno il Tribunale aveva rigettato la loro opposizione.

1.2. Il primo gruppo di censure è inammissibile.

Lo stabilire se il sistema Dow Jones Telerate fosse o non fosse costoso; se fosse o non fosse accessibile; se esistesse o non esistesse una borsa valori di Roma; se in essa si calcolasse o non si calcolasse il cambio medio dell'ECU, sono altrettante questioni di fatto, riservate al giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità.

1.3. Il secondo gruppo di censure è invece fondato.

La Corte d'appello ha rilevato, all'esito dei due gradi di giudizio, che non fu possibile stabilire quale fosse il saggio degli interessi corrispettivi applicabile ratione temporis (così la sentenza, p. 9, penultimo capoverso; il principio è ribadito a p. 10, penultimo capoverso).

Nondimeno, ha ritenuto che, dal momento che alla stipula del mutuo questo tasso "era certamente esistente", ha di conseguenza rigettato l'opposizione.

Questa valutazione costituisce un errore innanzitutto logico, e poi giuridico.

1.4. L'errore logico è consistito nel confondere il problema dell'esistenza del saggio con quello della sua conoscibilità.

L'esistenza di qualunque atto o circostanza è un fatto, la sua conoscibilità è un giudizio. La prima dipende dalle prove disponibili, la seconda dalle caratteristiche del fatto. Così, ad esempio, anche della lingua etrusca sappiamo che esisteva, ma non siamo in grado di conoscerla e tradurla.

La Corte d'appello ha dunque commesso l'errore logico di fondare sulla prova dell'esistenza d'un fatto (il patto di interessi), il giudizio sulla conoscibilità e determinabilità di esso.

1.5. L'errore giuridico è consistito nel capovolgere l'onere della prova.

Nel presente giudizio gli opponenti avevano chiesto al giudice di stabilire se fossero dovuti gli interessi pretesi dalla banca.

Allegarono che questi non erano dovuti (anche) perché non oggettivamente determinabili, e quindi non conoscibili. Chiesero, conseguentemente, la condanna della controparte alla restituzione di quanto pagato in eccedenza.

1.6. Le contrapposte domande delle parti sottoposero dunque al giudice di merito il seguente thema decidendum: stabilire se fosse corretta la misura degli interessi pretesa dall'istituto di credito con il precetto.

In un giudizio di questo tipo l'onere della prova si ripartisce - giusta la previsione dell'art. 2697 c.c. - come segue:

a) il creditore ha l'onere di provare l'esistenza del patto contrattuale da cui è sorta la propria obbligazione, e la misura di essa;

b) il debitore ha l'onere di provarne il fatto impeditivo, modificativo od estintivo.

Nel caso di specie il giudice di merito non ha accertato quale fosse il saggio degli interessi vigente de die in diem; ed anzi ha ammesso che non era possibile accertarlo. Nondimeno ha rigettato la domanda, sul presupposto che "quel saggio esisteva".

La Corte d'appello, così giudicando, ha dunque capovolto l'onere della prova, addossando al debitore l'onere di provare l'esistenza e la misura del credito.

1.7. La sentenza va dunque cassata con rinvio.

Nel ternare ad esaminare su questo punto il gravame proposto da Pietro M. e Giuliana C., il giudice del rinvio applicherà il seguente principio di diritto:

"nel giudizio di opposizione all'esecuzione iniziata sulla base di un titolo stragiudiziale, quando l'opponente contesti la misura degli interessi corrispettivi pretesi dal creditore, è onere di quest'ultimo provare sia l'esistenza del relativo patto, sia la correttezza e la legittimità del criterio con cui gli interessi sono stati conteggiati".

2. Anche col secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1284 e 1346 c.c.

Il motivo investe la sentenza nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di illegittimità della somma pretesa dalla banca a titolo di interessi di mora.

Deducono i ricorrenti in punto di fatto che il contratto di mutuo prevedeva che il saggio degli interessi moratori si determinasse in base a due parametri:

a) il saggio previsto dai decreti con cui il Ministro del Tesoro, due volte l'anno, stabiliva il tasso di riferimento da applicare alle operazioni di credito agrario di miglioramento, ai sensi della l. 5 luglio 1928, n. 1760;

b) la maggiorazione del suddetto tasso della misura stabilita dal d.m. 2 marzo 1981, con riferimento al credito edilizio.

Proseguono i ricorrenti osservando che a partire dall'entrata in vigore del testo unico bancario (d.lgs. 385/1993) era cessata la pubblicazione dei dd.mm. con cui il Ministro del Tesoro stabiliva il saggio di mora per il credito edilizio; il giudice di merito, nondimeno, aveva ritenuto corretta la maggiorazione "secca" di 4 punti percentuali applicata dalla banca, così travisando il contenuto del contratto.

Deducono in contrario i ricorrenti che, una volta venuta meno la pubblicazione dei decreti ministeriali cui il contratto rinviava per determinare la misura del saggio di mora, la clausola si doveva ritenere "indeterminabile", e gli interessi di mora si sarebbero dovuti applicare nella misura legale di cui all'art. 1284 c.c.

2.2. Il motivo è inammissibile, perché nella sostanza censura il modo in cui la Corte d'appello ha interpretato il contratto, senza neanche prospettare la violazione di alcuno dei criteri legali di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.

Ma una censura siffatta contrasta contro varii principii, ripetutamente affermati da questa Corte: ovvero che l'interpretazione del contratto adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando siano state violate le regole legali di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.; che tale violazione non può dirsi sussistente sol perché il testo contrattuale consentiva in teoria altre e diverse interpretazioni, rispetto a quella fatta propria dalla sentenza impugnata; che l'interpretazione del contratto prescelta dal giudice di merito può condurre alla cassazione della sentenza impugnata quando sia grammaticalmente, sistematicamente o logicamente scorretta, ma non quando costituisca una non implausibile interpretazione, preferita tra altre non implausibili interpretazioni (ex multis, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28 novembre 2017, Rv. 646649-01; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15 novembre 2017; Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17 marzo 2014; Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25 settembre 2012; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20 novembre 2009, Rv. 610944-01; Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 2 maggio 2006, Rv. 589465-01).

Nel caso di specie, i ricorrenti nella sostanza non lamentano la violazione di uno o più tra i canoni legali di ermeneutica, ma contrappongono la propria interpretazione del contratto a quella adottata dalla Corte d'appello, che di per sé era comunque non implausibile: di qui l'inammissibilità del motivo di ricorso.

2.3. Reputa il Collegio utile aggiungere ad abundantiam, anche a fronte di talune affermazioni contenute nel ricorso, che in ogni caso il motivo in esame sarebbe stato infondato nel merito, se del merito si fosse potuto discorrere.

I ricorrenti infatti travisano il contenuto dei riferimenti normativi contenuti nel contratto, per contro correttamente applicati dalla Corte d'appello.

Il contratto di mutuo prevedeva che la misura degli interessi di mora si dovesse stabilire in base ad un certo saggio, aumentato di una certa maggiorazione, l'una e l'altra previsti da due provvedimenti normativi.

Il saggio di mora da applicare doveva essere quello di cui ai dd.mm. di fissazione del saggio di mora per le operazioni di credito agrario.

La maggiorazione doveva essere quella prevista dal d.m. 2 marzo 1981 (e cioè il 4%).

La Corte d'appello ha ritenuto che il primo rinvio, per effetto del mutato quadro normativo, dovesse intendersi riferito al d.m. 21 dicembre 1994 (statuizione non contestata dai ricorrenti).

Per il secondo rinvio, quello al d.m. 2 marzo 1981, non sussisteva alcun problema causato dal mutato quadro normativo, in quanto la banca aveva maggiorato il saggio di mora esattamente nella misura prevista dal suddetto decreto, e cioè il 4%.

Si tratta di una valutazione corretta e rispettosa sia del testo contrattuale, sia del contenuto delle norme cui quest'ultimo rinviava.

3. Col terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza d'appello nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di prescrizione del credito per interessi moratori.

Lamentano la violazione degli artt. 2943 c.c. e 474, comma primo, c.p.c.

Sostengono una - invero originale - tesi giuridica così riassumibile:

- non si può interrompere la prescrizione di un credito che non è ancora sorto;

- pertanto sia la notifica del precetto, sia l'intervento della banca nell'esecuzione già pendente, potevano avere interrotto o sospeso il decorso della prescrizione solo per gli interessi già maturati, ma non per quelli futuri;

- sarebbe stato, pertanto, onere della banca interrompere con un atto ad hoc la prescrizione degli interessi moratori maturati dopo l'intervento nel processo esecutivo.

3.2. Il motivo è palesemente infondato.

Gli interessi successivi alla domanda (o all'insinuazione nella procedura esecutiva), come tutti gli interessi, maturano giorno per giorno.

E tuttavia dopo l'introduzione d'un giudizio di qualsiasi tipo (di cognizione, esecutivo, cautelare) la prescrizione degli interessi resta sospesa, in virtù della previsione di cui all'art. 2945, comma secondo, c.c. Tale norma, come noto, stabilisce che se l'interruzione della prescrizione avviene mediante l'atto col quale si inizia un giudizio (sia esso di cognizione, conservativo od esecutivo), "la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio".

4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione; dichiara inammissibile il secondo, rigetta il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.