Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
Sezione II
Sentenza 5 luglio 2021, n. 891
Presidente: Pasi - Estensore: Rinaldi
FATTO E DIRITTO
Si controverte sulla legittimità del provvedimento in epigrafe indicato con cui il Comune di Venezia ha denegato il permesso di costruire richiesto dalla ricorrente per realizzare una recinzione volta a delimitare una porzione di terreno di proprietà della medesima ricorrente, sito al Lido di Venezia, località Malamocco, in corrispondenza della strada vicinale di proprietà comunale che da Malamocco porta agli Alberoni - nella fascia retrostante i Murazzi - costituita da "montanti di acciaio alti cm 155 a sostegno di porzioni di rete metallica elettrosaldata a maglia larga di altezza di cm 150, con annesso cancello realizzato con i medesimi materiali e di dimensioni pari a cm 166 e alto cm 132 per permettere l'ingresso anche a mezzi meccanici".
La ricorrente ha contestato il surriferito diniego di permesso di costruire, deducendone l'illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.
Si è costituito in giudizio il Comune di Venezia, contrastando le avverse pretese.
All'udienza pubblica in epigrafe indicata la causa è passata in decisione.
Il ricorso merita accoglimento, risultando fondate le censure con cui la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 10-bis della l. n. 241/1990.
Il preavviso di rigetto comunicato alla ricorrente prefigurava le ragioni del diniego di permesso di costruire nel contrasto dell'opera (recinzione metallica con cancelletto d'ingresso funzionale alla delimitazione di un'area da destinare a orto personale) con le previsioni urbanistiche vigenti e, in particolare, con l'art. 81.5 delle NTA della Variante al PRG per l'Isola del Lido che, nella fascia di terreno in cui l'opera dovrebbe trovare collocazione, prevede che debba essere assicurata una fascia continua "di larghezza non inferiore ai 40 metri o comunque estesa fino al limite delle abitazioni prospicienti i murazzi stessi".
La ricorrente presentava osservazioni, evidenziando la contraddittorietà del preannunciato diniego rispetto alle precedenti determinazioni assunte dalla stessa P.A. con rifermento alle medesime opere.
La P.A. concludeva il procedimento con un provvedimento di diniego fondato, oltre che sulla prospettata violazione dell'art. 81.5 delle NTA della Variante al PRG per l'Isola del Lido, sulla circostanza che l'area in cui ricade il terreno risulta individuata dalla Tavola B6 come standard urbanistico di progetto "aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport", soggetta pertanto anche agli artt. 54 e 55 delle NTA.
Tale diniego è illegittimo.
L'art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241 stabilisce che nei procedimenti ad istanza di parte (fatte salve alcune eccezioni, qui non ricorrenti) il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda; entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti; la comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo; infine, dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni deve darsi ragione nella motivazione del provvedimento finale.
Come chiarito dalla giurisprudenza, il c.d. preavviso di rigetto, nel caso di procedimento iniziato a seguito di istanza di parte, riveste un ruolo fondamentale nello svolgimento delle funzioni ampliative o conformative della posizione giuridica del privato; la richiamata disposizione mira a dar luogo ad un contraddittorio endoprocedimentale a carattere necessario, anticipando di fatto il meccanismo dialettico che ha luogo nel processo (arg. ex T.A.R. Sardegna, sez. I, 3 marzo 2015, n. 397).
In particolare, la comunicazione prevista dall'art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241 è finalizzata all'instaurazione di una ulteriore fase di contraddittorio procedimentale, che consente al richiedente di articolare fino ad un momento prima del provvedimento negativo, ulteriori ragioni a sostegno della propria posizione di interesse legittimo e permette, al tempo stesso, una utile rimeditazione della vicenda all'Amministrazione procedente alla quale vengono forniti nuovi elementi di valutazione; l'istituto del c.d. preavviso di diniego, sorto con il chiaro intento di potenziare la dialettica procedimentale in un'ottica di favore per il privato, finisce con l'assicurare che ogni momento del procedimento immediatamente precedente l'adozione del provvedimento sia utile all'Amministrazione per pervenire alla scelta discrezionale migliore (arg. ex T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 14 gennaio 2016, n. 87).
Un'applicazione corretta dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 esige, non solo che l'Amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (ovviamente, se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall'interessato nell'ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall'adempimento procedurale in questione (C.d.S., sez. I, 25 marzo 2015, n. 80, e sez. VI, 2 maggio 2018, n. 2615).
Infatti, solo il modus procedendi appena descritto permette che la disposizione di riferimento assolva la sua funzione di consentire un effettivo ed utile confronto dialettico con l'interessato prima della formalizzazione dell'atto negativo, evitando che si traduca in un inutile e sterile adempimento formale.
La partecipazione procedimentale non può essere intesa alla stregua di una garanzia meramente formale ed essere ridotta ad un flatus vocis o costituire una scatola vuota; l'Amministrazione ha l'obbligo di valutare i documenti e le memorie presentate dal privato (anche in esito al preavviso di rigetto) e deve, pertanto, darne conto nella motivazione del provvedimento.
Sussiste, infatti, un collegamento tra contributi partecipativi e motivazione del provvedimento, dalla quale devono risultare le "risultanze" dell'istruttoria (art. 3 l. n. 241/1990).
Nel caso di specie il diniego di permesso di costruire impugnato non prende in alcuna considerazione le osservazioni presentate dalla parte ricorrente in esito al preavviso di rigetto.
Nel provvedimento di diniego, la P.A. - oltre a non prendere posizione sulle osservazioni svolte dal privato in sede di contraddittorio procedimentale - ha anche integrato le ragioni del diniego con ulteriori considerazioni, mai svolte prima, e in particolare con il contrasto del progettato intervento edilizio con gli artt. 54 e 55 delle NTA («... l'area in cui ricade il terreno risulta individuata dalla Tavola B6 come standard urbanistico di progetto "aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport", soggetta pertanto anche agli articoli 54 e 55 delle NTA»).
Ciò posto, il Collegio non intende discostarsi dal pacifico orientamento giurisprudenziale che reputa illegittimo, per violazione dell'art. 10-bis l. 7 agosto 1990, n. 241, il provvedimento di diniego la cui motivazione sia arricchita di ragioni giustificative diverse e ulteriori rispetto a quelle preventivamente sottoposte al contraddittorio procedimentale attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza del privato. In particolare, è stato evidenziato come, anche se non deve sussistere un rapporto di identità, tra il preavviso di rigetto e la determinazione conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo la pubblica amministrazione ritenere, nel provvedimento finale, di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche, occorre però che il contenuto sostanziale del provvedimento conclusivo di diniego si inscriva nello schema delineato dalla comunicazione ex art. 10-bis citato, esclusa ogni possibilità di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell'atto endoprocedimentale, dato che altrimenti l'interessato non potrebbe interloquire con l'amministrazione anche su detti profili differenziali né presentare le proprie controdeduzioni prima della determinazione conclusiva dell'ufficio (T.A.R. Veneto, sez. III, 21 gennaio 2019, n. 72; T.A.R. Catanzaro, sez. II, 12 gennaio 2016, n. 49; T.A.R. Liguria, sez. I, 25 febbraio 2015, n. 232).
Alla luce delle suesposte considerazioni, il Tribunale reputa che il contegno tenuto dalla P.A. nella presente vicenda - valutato nel suo complesso (mancata considerazione delle osservazioni presentate dall'interessato; enunciazione nel provvedimento di diniego di ragioni giustificative ulteriori rispetto a quelle preventivamente sottoposte al contraddittorio procedimentale attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza) - sia contrario alla lettera e allo spirito dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 e determini, pertanto, l'illegittimità del provvedimento impugnato.
Il Collegio non ignora l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale lo scopo dell'istituto del c.d. preavviso di rigetto, di cui all'art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241 viene meno - ed è di per sé inidoneo a giustificare l'annullamento del provvedimento - nei casi in cui il contenuto dell'atto finale non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia in quanto vincolato, sia in quanto, sebbene discrezionale, sia stata raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità, posto che le norme in materia di partecipazione procedimentale devono essere interpretate avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la loro inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la Pubblica Amministrazione, sicché la violazione dell'art. 10-bis non comporta l'automatica illegittimità del provvedimento finale, quando, in ipotesi, possa trova applicazione l'art. 21-octies della stessa legge, secondo il quale il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale di un provvedimento, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (arg. ex T.A.R. Lazio, Roma, sez. I-quater, 14 aprile 2020, n. 3911).
Nel caso in esame, tuttavia, non è possibile affermare che sia stata raggiunta la prova della concreta e sostanziale non modificabilità del provvedimento negativo (diniego di permesso di costruire) opposto alla domanda avanzata dalla ricorrente né è possibile escludere a priori, a fronte degli elementi dedotti da parte istante anche in sede giudiziale, che il procedimento potesse concludersi diversamente, come dimostra il fatto che il Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare (C.d.S., ord. 674/2021), ha affermato la "potenziale natura ablatoria del vincolo derivante dalle previsioni delle NTA del PRG, in particolare per quanto riguarda la prescrizione relativa alla fascia di rispetto che deve essere assicurata tra le zone lungo i Murazzi (art. 81.5)"; circostanza questa che, ove ritenuta effettivamente sussistente (e non meramente potenziale), determinerebbe l'illegittimità del diniego di permesso di costruire poiché adottato sulla base di un vincolo espropriativo, risalente al 1997, che sarebbe ormai decaduto per decorso del termine quinquennale di efficacia.
Alla luce delle suesposte considerazioni - riscontrata la violazione dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 - il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento dell'impugnato diniego.
L'accoglimento del motivo con cui si deduce la violazione dell'art. 10-bis assume, nel caso di specie, carattere assorbente ed esime il G.A. dall'esame degli ulteriori profili di illegittimità dedotti con il ricorso. La necessità, infatti, per il Giudicante di ritenere concluso il proprio sindacato dopo la positiva definizione delle censure relative alla violazione dell'art. 10-bis va rinvenuta nel fatto che un esame degli ulteriori motivi di ricorso, individuando profili di legittimità o di illegittimità del provvedimento impugnato, finirebbe per vanificare l'obbligo, incombente jussu iudicis sull'Amministrazione, di reiterare il procedimento ed esplicitare tutte le possibili ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza, instaurando il contraddittorio endoprocedimentale, valutando le osservazioni presentate dal privato e dando conto di tale effettiva valutazione nella motivazione del provvedimento (C.d.S., sez. III, sentenza 15 ottobre 2019, n. 7019).
Le spese di lite possono essere compensate per metà in ragione della problematicità delle questioni che hanno dato origine alla vertenza; per il resto, la loro liquidazione segue la regola della soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Venezia a rifondere alla ricorrente la metà delle spese di lite, liquidate in euro 1.500,00, oltre accessori di legge e restituzione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.