Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 16 giugno 2021, n. 4657
Presidente: Castriota Scanderbeg - Estensore: Manzione
FATTO
1. Gli odierni appellati, residenti in Trivento, proponevano ricorso al T.A.R. per il Molise avverso la delibera del Commissario straordinario del medesimo Comune, datata 21 novembre 2008, n. 24, avente ad oggetto la determinazione delle tariffe relative alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, nonché la determina dirigenziale n. 50 del 12 ottobre 2009 del Settore II - Ufficio tributi del Comune di Trivento, con la quale è stata data esecuzione alla predetta deliberazione commissariale ed è stato approvato il ruolo per l'anno 2009; con motivi aggiunti, impugnavano altresì la delibera di Consiglio comunale n. 22/2011, di approvazione del bilancio consuntivo 2009, nella parte in cui include quello del servizio smaltimento rifiuti per la medesima annualità, in quanto redatta sulla base delle scelte oggetto di contestazione. Gli stessi assumevano (il primo anche in qualità di Presidente pro tempore del Comitato "Residenti del Codacchio") che le misure tariffarie erano in contrasto con gli artt. 61, 67 e 69 del d.lgs. n. 507/1993, in quanto eccedenti la copertura del costo del servizio; l'atto dirigenziale inoltre si sarebbe posto in contrasto con gli artt. 19 e 20 del regolamento comunale in materia.
1.1. Il Comune di Trivento, costituitosi in giudizio, eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione e l'improcedibilità del gravame, siccome tardivo: la delibera giuntale, infatti, seppure adottata dal Commissario prefettizio operante in quel periodo in luogo dell'Amministrazione, era stata regolarmente pubblicata all'Albo pretorio in data 11 dicembre 2008. Nel merito, chiedeva comunque la reiezione del ricorso.
2. Con sentenza 5 febbraio 2013, n. 55, il T.A.R. per il Molise, dopo avere ritenuta correttamente incardinata la competenza, giusta la valenza di atti autoritativi generali di quelli impugnati e respinta l'eccezione di tardività, avendo la delibera trovato attuazione solo con la successiva determina dirigenziale, tempestivamente impugnata, accoglieva il ricorso. Ciò sulla base delle risultanze di apposita consulenza tecnica d'ufficio disposta allo scopo che aveva evidenziato come la tariffe fossero state effettivamente individuate in dispregio delle indicazioni di mera copertura del costo del servizio rivenienti dall'art. 61, comma 1, del d.lgs. n. 507/1993. I contenuti della determina, a loro volta, sarebbero effettivamente non coerenti con gli artt. 19 e 20 del regolamento comunale, che non fa alcun riferimento alle quantità e qualità medie ordinarie per unità di superficie imponibile dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati, producibili in locali ed aree. Dette misure tariffarie sono inoltre carenti per ciò che attiene all'indicazione delle ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe di ciascuna categoria, secondo quanto previsto dall'art. 20 del regolamento.
3. Avverso tale decisione il Comune di Trivento interponeva appello, contestando preliminarmente che il provvedimento impugnato potesse considerarsi espressivo di efficacia dell'atto deliberativo, con riferimento al quale ha quindi riproposto l'eccezione di tardività dell'impugnazione. Nel merito, ribadiva la ricostruzione delle proprie scelte per come evidenziate nel primo grado di giudizio, ritenendo errate le risultanze della C.T.U., acriticamente posta a fondamento della propria decisione dal primo giudice.
3.1. I signori A., costituitisi in giudizio nella ribadita veste sia di cittadini destinatari dell'imposizione tributaria, sia, quanto ad uno, di Presidente dell'associazione di residenti, chiedevano il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata.
4. All'udienza del 27 aprile 2021 la causa passava in decisione.
DIRITTO
5. Va innanzi tutto richiamato il capo della sentenza, non fatto oggetto di gravame, in forza del quale la legittimazione processuale degli odierni appellati consegue al loro essere proprietari di immobili nel territorio del Comune di Trivento, nonché contribuenti TARSU: «ciò solo è sufficiente a legittimare la loro posizione di interesse a vedere annullati gli atti generali che impongono e autorizzano un aumento della pressione fiscale relativa a detta Tassa. Del tutto inconferente, poi, è la circostanza che essi siano anche i rappresentanti di un comitato spontaneo di quartiere: i comitati istituiti in forma associativa temporanea, aventi uno scopo specifico e limitato nel tempo, costituiscono una mera proiezione degli interessi dei soggetti individuali che ne fanno parte e non sono, quindi, portatori di interessi collettivi radicati nel territorio». Ciò al solo scopo di precisare l'ultroneità del richiamo alla propria carica di Presidente di un Comitato di residenti da parte del signor Giuseppe A., comunque legittimato a stare anche nell'odierno grado di giudizio esclusivamente nella propria veste di contribuente.
6. Occorre poi scrutinare l'eccezione di tardività del ricorso riproposta dalla difesa civica con riferimento alla deliberazione commissariale. Il regime di pubblicazione delle delibere aventi ad oggetto l'approvazione di un regolamento, infatti, è interamente ed esaustivamente assorbita nelle regole generali di cui agli artt. 124 e 134 del t.u.e.l. (affissione per quindici giorni all'Albo Pretorio ed entrata in vigore dopo il decimo giorno dall'inizio della pubblicazione). Si è di recente affermato che ridetta fase di pubblicazione della deliberazione è un istituto di partecipazione popolare (di antichissima origine) che insieme alla necessità di apprestare un meccanismo legale di presunzione di conoscenza nei confronti dei terzi (non direttamente incisi dai provvedimenti, mentre ai destinatari l'atto va comunque notificato) è rivolto anche a rendere possibile la presentazione di osservazioni oppure opposizioni da parte di chiunque vi abbia interesse; opposizioni che, una volta presentate, generano l'obbligo per l'organo emanante di provvedere su di esse e che dunque potrebbero condurre anche ad una modifica della deliberazione stessa prima della sua entrata in vigore (v. sul punto T.A.R. per il Lazio, sez. II-ter, 11 marzo 2020, n. 3179).
6.1. Afferma l'Amministrazione appellante che erroneamente il primo giudice ha ritenuto che l'esecutività del regolamento fosse da procrastinare all'adozione della determina di approvazione del ruolo, laddove l'individuazione delle tariffe era già valida ed efficace con il provvedimento generale a monte che le ha previste.
6.2. Rileva il Collegio come in effetti il primo giudice utilizzi in maniera impropria il termine "esecutività", quale sinonimo di concreta attuazione del provvedimento mediante l'applicazione ai cittadini creditori delle tariffe predeterminate. Al contrario, ridetto atto nulla aggiunge alla pregressa efficacia della regolamentazione generale, per la quale, al più, si pongono le note questioni di coordinamento tra le disposizioni speciali previste nel t.u.e.l. (in particolare, l'art. 134 che fissa in 10 giorni dalla pubblicazione l'acquisizione di efficacia, salvo i casi di immediatezza della stessa, dichiarata nell'atto stesso per ragioni di urgenza) e la regola generale di cui all'art. 10 delle disposizioni preliminari al codice civile. Invero, infatti, la fase di pubblicazione di una deliberazione all'Albo è istituto diverso da quello disciplinato dal richiamato art. 10 delle disposizioni preliminari al codice civile, astrattamente applicabile agli atti normativi, anche locali, sebbene entrambi condividano la finalità di rendere legalmente conoscibile il contenuto degli stessi. La data di esecutività della delibera è quella dalla quale quest'ultima acquista efficacia e può essere portata ad esecuzione; nel caso di una deliberazione approvativa di un regolamento, l'esecuzione della deliberazione implica l'affissione del regolamento al pubblico e, si ritiene, la decorrenza della vacatio legis di cui all'art. 10 delle preleggi perché tale adempimento scaturisce dal regime in sé dell'atto approvato di cui è parte integrante (nell'assenza di una diversa previsione dello Statuto) che va tenuto distinto dal regime dell'atto di approvazione.
6.3. Nel caso di specie, semplicemente, il giudice avrebbe potuto addivenire alle medesime conclusioni sulla base della consolidata indicazione giurisprudenziale che vuole gli atti generali e astratti impugnabili al momento in cui ad essi viene data concreta attuazione, sicché se ne attualizza la portata lesiva, diversamente inesistente. Il che è quanto accaduto nel caso di specie.
7. Chiarito quanto sopra, il Collegio ritiene di potere passare all'esame nel merito dell'appello.
8. Prima di esaminare i singoli motivi di gravame, appare tuttavia necessario tracciare una - seppur sintetica - ricognizione del quadro normativo della questione controversa, al fine di identificare i limiti operativi dell'amministrazione nel determinare le aliquote TARSU. La materia, peraltro, è già stata oggetto di analitica ricostruzione da parte di questo Consiglio di Stato, fin dalle sue più remote codifiche, cui per ragioni di sintesi si ritiene opportuno fare rinvio (C.d.S., sez. IV, 6 settembre 2017, n. 4223, ove si richiama finanche il r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, Testo unico per la finanza locale, che prevedeva, per la prima volta, la corresponsione al Comune di un «corrispettivo per il servizio di ritiro e trasporto delle immondizie domestiche», attribuendo natura privatistica e sinallagmatica al rapporto tra utente e servizio comunale).
Per quanto qui di specifico interesse, la TARSU trova la sua declinazione con l'art. 58 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, recante "Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale". La norma stabiliva, relativamente all'istituzione ed attivazione del servizio di «smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa» nelle zone del territorio comunale, che i Comuni istituissero «una tassa annuale» da applicarsi «in base a tariffa», secondo appositi regolamenti comunali, a copertura dal cinquanta al cento per cento, ovvero, per gli enti locali per i quali sussistono i presupposti dello stato di dissesto, dal settanta al cento per cento, del costo del servizio stesso, nel rispetto delle prescrizioni e dei criteri degli artt. da 59 a 81 del medesimo decreto legislativo. L'art. 61, comma 2, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, include nel costo del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni anche «le spese inerenti e comunque gli oneri diretti e indiretti». Per le quote di ammortamento degli impianti e delle attrezzature ha fatto riferimento ad appositi coefficienti stabiliti dall'art. 67, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 817.
Soggetti passivi della TARSU erano, per l'art. 63, «coloro che occupano o detengono i locali o le aree scoperte di cui all'art. 62 con vincolo di solidarietà tra i componenti del nucleo familiare o tra coloro che usano in comune i locali o le aree stesse». A sua volta, l'art. 62 (comma 1) chiariva: «La tassa è dovuta per l'occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa». Il successivo comma 2 precisava inoltre, in coerenza con l'intrinseca "corrispettività" del tributo al servizio pubblico erogato: «Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell'anno [...]». Nella stessa ottica, il comma 3 dava atto che «Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti».
Come evidenziato anche dalla Corte costituzionale (v. Corte cost., 24 luglio 2009, n. 238), il prelievo TARSU era «posto in relazione, da un lato, alla attitudine media ordinaria alla produzione quantitativa e qualitativa dei rifiuti per unità di superficie e per tipo di uso degli immobili e, dall'altro, alla potenziale fruibilità del servizio di smaltimento dei rifiuti da parte dei soggetti passivi». In tale prospettiva, prosegue la Corte, «È compatibile con la medesima impostazione, anche la previsione di riduzioni della tassa per le zone in cui la raccolta non viene effettuata e per i casi di non svolgimento, svolgimento per periodi stagionali, nonché per i casi in cui l'utente dimostri di aver provveduto autonomamente allo smaltimento in periodi di protratto mancato svolgimento del servizio, ove l'autorità sanitaria competente abbia riconosciuto una situazione di danno o di pericolo di danno alle persone o all'ambiente secondo le norme e prescrizioni sanitarie nazionali (art. 59, commi 2, 4, 5, 6, secondo periodo)».
9. Il principale vizio ascritto alla tariffazione adottata e poi in concreto applicata, con elementi innovativi, dal Comune di Trivento risiede, appunto, nella eccessiva onerosità, intesa come sproporzione rispetto alla necessità di copertura dei costi del servizio. Tutti e tre i motivi di appello proposti, infatti, tendono a legittimare l'operato del Commissario, che avrebbe peraltro operato una scelta necessitata, dovendo aumentare le tariffe in ossequio al disposto normativo che impone la copertura totale dei costi da parte dei Comuni dissestati, quali era all'epoca l'attuale appellante (motivo sub 3). Con ciò pretermettendo il perimetro all'interno del quale il potere di aumentare le tariffe poteva muoversi, ovvero la copertura integrale dei costi, mai il loro superamento.
Dalla consulenza tecnica d'ufficio disposta dal T.A.R. per il Molise, le cui risultanze anche questo giudice ritiene di condividere pressoché integralmente, «è emerso che gli importi tariffari disposti con i provvedimenti impugnati hanno superato il limite massimo della misura necessaria ad assicurare complessivamente la copertura integrale dei costi di gestione». Tanto basta, ritiene il Collegio, per invalidare le scelte comunali effettuate al riguardo, seppure mosse dall'apprezzabile esigenza di recuperare introiti all'erario in situazione deficitaria.
10. Non risultano infatti i profili di errore lamentati dal Comune, concentrati peraltro nella prima parte del quesito peritale, ovvero quella di analisi e successiva comparazione dei costi e dei ricavi, avuto riguardo ai dati ritraibili dal consuntivo del 2009 (motivo sub 1, peraltro sviluppato narrativamente in maniera tutt'affatto chiara).
Il consulente tecnico, infatti, una volta individuati gli importi delle entrate accertate e delle spese impegnate con l'approvazione del conto consuntivo, non ha fatto altro che applicare gli scomputi rivenienti dalla disciplina contenuta nell'art. 61 del d.lgs. n. 507/1993 e del regolamento comunale approvato con deliberazione n. 29 del 30 giugno 1995. In particolare, non essendosi il Comune avvalso della possibilità di determinare le tariffe considerando nei costi di esercizio l'intera spesa di spazzamento dei rifiuti solidi urbani, per esso continuava a trovare applicazione la riduzione percentuale nell'aliquota del 15% stabilita con scelta regolamentare all'interno della forbice (dal 5% al 15%) fissata al comma 3-bis della ridetta disposizione. Da qui la necessità di "abbattere" il totale delle spese impegnate di tale predeterminata percentuale, non potendo in via di fatto e per ragioni "etiche", siccome sostenuto nell'appello, pretermettere le conseguenze obbligatorie della scelta effettuata per l'anno 2009 - recte, della mancata opzione in modifica della precedente indicazione regolamentare - siccome invece avvenuto per l'anno 2010.
Le spese per lo spazzamento dei rifiuti solidi urbani, infatti, dovevano essere a norma di legge decurtate, o per intero, o nella misura stabilita con regolamento comunale, salvo deliberare (cosa che il Comune non ha fatto) le tariffe considerando nei costi di esercizio anche quello dello spazzamento per intero. Ove peraltro il mancato avvalimento della facoltà, espressamente prevista dall'art. 49, comma 12, della l. 27 dicembre 1997, n. 449, successivamente richiamato dalla legislazione successiva per tutte le annualità di protratta applicazione della TARSU, prima dell'entrata in vigore della tariffa del servizio di gestione del ciclo di rifiuti urbani, di considerare per intero il costo dello spazzamento dei rifiuti si sia risolta in uno svantaggio eccessivo per l'Ente sotto il profilo economico-finanziario, imputet sibi, non certo all'analisi che di tale scelta ha effettuato il consulente tecnico d'ufficio.
12. A tutto concedere alla tesi della difesa civica, l'unico aspetto non del tutto chiaro nella ricostruzione peritale è la ragione dello scomputo dal totale dei costi anche della cifra effettivamente impiegata per lo spazzamento delle strade, in aggiunta a quella statuita forfettariamente in termini di percentuale predeterminata. La somma di euro 13.440,00, corrispondente a ridetta voce di spesa, tuttavia, non è sufficiente a colmare il divario tra ricavi e costi del servizio, quantificato in euro 82.525,28, residuando comunque sia una parte da portare in detrazione della TARSU a ruolo nell'anno 2010, sia una parte (seppure di minore importo rispetto a quanto indicato in perizia) da rimborsare ai contribuenti. Da qui, la ribadita illegittimità dei provvedimenti impugnati.
13. Egualmente privo di pregio si palesa il secondo motivo di appello, laddove si invoca la correttezza dell'indicazione dell'importo di euro 32.446,63 tra i residui passivi riaccertati al 31 dicembre 2009. Di tale opzione contabile, infatti, non viene affatto chiarita la motivazione, connotata da una causale a dir poco contraddittoria: l'eccedenza del gettito della tassa rispetto alla misura forfettaria degli oneri di spazzamento, infatti, come ampiamente chiarito con riferimento ai dati del 2009, avrebbe dovuto essere computata in diminuzione del tributo iscritto a ruolo per l'anno successivo, siccome previsto dal già ricordato art. 61, comma 3-bis, del d.lgs. n. 507/1993.
14. Quanto alla rivendicata conformità delle misure tariffarie ai criteri di determinazione di cui agli artt. 19 e 20 del regolamento della materia, essa si palesa inammissibile per genericità, oltre che infondata. Né la delibera commissariale, né la successiva determina dirigenziale contengono alcun riferimento alla determinazione degli indici quantitativi e qualitativi degli elementi indicati nell'art. 19, comma 3, del regolamento (costo medio generale ottenuto dal rapporto tra costo complessivo e superficie totale delle utenze-CMG; indice di quantità specifica, Iqs; indice di qualità specifica, Iqs, la cui definizione è per entrambi declinata nel regolamento medesimo). Manca inoltre nei provvedimenti impugnati l'indicazione delle ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe di ciascuna categoria, richiesta dall'art. 20 del regolamento, stante che essi si limitano a riportare i dati previsionali dei costi del servizio e le circostanze che hanno determinato l'aumento, ovvero l'avvenuta declaratoria dello stato di dissesto. A tale riguardo, il Comune rivendica la portata cogente di tale situazione, senza tuttavia contestare ovvero giustificare o diversamente interpretare tali innegabili lacune contenutistiche.
15. La natura della TARSU, quale tassa finalizzata, in ragione di una stima tipologica media, a consentire la copertura dei costi dei servizi, non ne consente la gestione come atipica forma di prelievo (come è per un'imposta) sul reddito o sul patrimonio. La necessità di tale parametrazione e il rigoroso vincolo funzionale, così previsti, escludono che un Comune possa determinare le aliquote in libertà, in ipotesi generando irragionevoli o immotivate disparità tra categorie di superfici tassabili potenzialmente omogenee, giustificandole con argomenti estranei a tale specifico contesto. La discrezionalità dell'ente territoriale nell'assumere le determinazioni al riguardo ha natura eminentemente tecnica, non "politica". La ragione risiede nella rilevanza costituzionale degli interessi alla cui tutela è, alla fine, strumentale il servizio pubblico che la tassa è chiamata a finanziare: in primis, la tutela della salute collettiva e dell'ambiente. E un principio fondamentale ha l'essenziale funzione di sottrarre il suo oggetto, per l'importanza che riveste per l'interesse generale, alle libera scelta tra interessi ovvero alle concrete valutazioni di opportunità e convenienza, proprie delle contingenti decisioni di opportunità politica o delle scelte amministrative. A livello amministrativo, ciò si declina nell'attribuire, all'ente incaricato della tutela, la possibilità di operare, al più, una valutazione di ordine tecnico, che sola consente un giudizio avulso da considerazioni di opportunità rispetto ad altri interessi.
16. Con riferimento ai rilievi che precedono può quindi decidersi l'appello, che va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, seppure con le precisazioni di cui in motivazione.
17. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il Comune di Trivento al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 6.000,00 (seimila/00), dei quali euro 3.000,00 (tremila/00) a favore del signor Franco A. ed euro 3.000,00 (tremila/00), a favore del signor Giuseppe A., oltre oneri accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.