Corte di cassazione
Sezione VI civile
Ordinanza 31 dicembre 2020, n. 30013
Presidente: Scaldaferri - Relatore: Tricomi
FATTI DI CAUSA
Angelo e Silvestro D. propongono ricorso per cassazione con due mezzi avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze in epigrafe indicata. La banca Intesa Sanpaolo s.p.a. replica con controricorso.
Il giudizio di gravame era stato introdotto dalla società Costruzioni Edili D. e da Angelo e Silvestro D., in proprio e quali rappresentanti della società, nei confronti della banca avverso la sentenza di primo grado che - in parziale accoglimento delle domande proposte dalla società e dai D., che avevano lamentato l'illegittima applicazione di interessi anatocistici, della commissione di massimo scoperto e di interessi superiori al tasso soglia ex lege n. 108/1996 nella gestione del conto corrente intrattenuto dalla banca con la società ed avevano avanzato domande anche risarcitorie - aveva rilevato un errato conteggio della commissione di massimo scoperto, rideterminando il saldo debitorio per la società in euro 57.410,81, e rigettato le restanti domande.
Gli attori in primo grado proponevano appello ed il susseguente giudizio si interrompeva ex art. 43 l. fall. a seguito del fallimento della società, dichiarato dal Tribunale di Pistoia in data 6-7 luglio 2017; il giudizio veniva riassunto da Angelo e Silvestro D., mentre il Fallimento non si costituiva.
Nel decidere la controversia, la Corte territoriale ha innanzi tutto delimitato il thema decidendum: in particolare, ha dato atto che il Tribunale aveva statuito che le domande risarcitorie proposte da Angelo e Silvestro D. avevano riguardato solo i danni conseguenti alla - asserita - attività illecita della banca consistente nell'applicazione di interessi usurai, domande risarcitorie che erano state rigettate perché il Tribunale aveva escluso che la banca avesse applicato tassi di interesse superiori al tasso soglia ex lege n. 108/1996: quindi, ha osservato che l'individuazione del titolo della domanda risarcitoria degli attori Angelo e Silvestro D. - e cioè l'applicazione di interessi usurai - non era stata fatta oggetto di impugnazione, di guisa [che] dovevano ritenersi passati in giudicato tutti i capi della sentenza di primo grado che non avevano avuto riguardo all'applicazione di interessi superiori al tasso soglia, con l'effetto che i motivi di appello contraddistinti dai nn. da 1 a 6 e 12 - riguardanti domande di mero accertamento e domande relative all'anatocismo ed alla commissione di massimo scoperto - andavano dichiarati inammissibili.
Passando quindi all'esame dei motivi di appello da 7 a 11, concernenti la denuncia di usurarietà degli interessi applicati, ha confermato la statuizione di primo grado in merito al mancato superamento del tasso soglia da parte della banca, osservando che le censure riguardavano i criteri di calcolo applicati dal consulente tecnico che risultavano, invece, immuni dai vizi lamentati, ed ha concluso ribadendo il rigetto della domanda risarcitoria di Angelo e Silvestro D., non essendo stato accertato l'evento lesivo lamentato e, cioè, il superamento dei tassi soglia di cui alla l. n. 108/1996.
CONSIDERATO CHE
1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell'art. 303 c.p.c. e dell'istituto della contumacia nel processo riassunto.
Secondo i ricorrenti la Corte di appello erroneamente ha ritenuto che la mancata riassunzione/costituzione da parte del Fallimento costituisse una sorta di rinuncia alle domande ed ai motivi di appello svolti dalla società in bonis, poi fallita, e ne ha dedotto addirittura il passaggio in giudicato dei capi della sentenza di primo grado concernenti cioè l'illegittimità dell'anatocismo e la nullità della CSM [recte: CMS - n.d.r.] che - nella sua ricostruzione - sarebbero stati impugnati solo dalla società in bonis.
I ricorrenti sostengono che la mancata costituzione del Fallimento comportava una mera contumacia dello stesso e non la rinuncia a tutte le domande già promosse che restano relative ad un giudizio che proseguiva in una nuova fase (citano Cass. n. 24331 del 30 settembre 2008), di guisa che i motivi di appello erano ammissibili e, nella contumacia del Fallimento, andavano scrutinati dalla Corte di appello.
1.2. Il primo motivo è inammissibile in applicazione del principio secondo cui nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (cfr. tra le altre Cass. n. 8829 del 13 aprile 2007 e Cass. n. 10551 del 3 luglio 2003).
Nel caso in esame la doglianza è formulata come violazione dell'art. 303 c.p.c. in relazione alla parte processuale individuabile nella società in bonis (ante interruzione) e nel Fallimento (post riassunzione) e prospetta implicitamente anche una censura per omessa pronuncia rispetto ai motivi di appello concernenti le domande proposte dalla società di poi fallita: pertanto non riguarda le statuizioni afferenti i ricorrenti, se non in relazione all'accertamento - non contestato - secondo il quale, a seguito dell'interruzione del giudizio per l'intervenuto fallimento della società Costruzioni Edili D. s.r.l., la riassunzione non era stata effettuata dalla parte colpita dall'evento interruttivo, e cioè dal Fallimento, ma esclusivamente da Angelo e Silvestro D.
Ne consegue che il motivo di ricorso, volto a far valere un pregiudizio processuale, conseguente ad una erronea applicazione dell'art. 303 c.p.c. ai danni della società e/o del Fallimento è inammissibile, per difetto di interesse, giacché in tal caso i ricorrenti fanno valere come proprio un diritto altrui, in violazione del divieto posto dall'art. 81 c.p.c. (Cass. n. 8829 del 13 aprile 2007). Da ciò discende anche la non pertinenza del richiamo a Cass. n. 24331 del 30 settembre 2008, che affronta alcune questioni circa gli effetti della riassunzione che non sono pertinenti alla posizione processuale dei ricorrenti.
2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 1421 c.c. e dell'art. 329 c.p.c. in merito all'asserito giudicato formatosi sul titolo della domanda risarcitoria proposta dai signori D.
I ricorrenti sostengono che la domanda risarcitoria da loro proposta aveva come presupposto giuridico l'accertamento di tutte le nullità ed illegittimità poste in essere dalla banca, nullità di cui si era doluta anche la società, e, a riprova, trascrivono parte dell'originario atto di citazione; sostengono inoltre che tali nullità potevano essere rilevate d'ufficio anche dal giudice.
2.2. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi ed è, pertanto, privo di decisività.
2.3. La Corte di appello, prima di procedere all'esame dei motivi di appello, ha affermato «L'individuazione del titolo della domanda risarcitoria degli attori Angelo e Silvestro D. da parte del Tribunale - l'applicazione di interessi usurai - non è stata fatta oggetto di impugnazione» (fol. 8 della sent. imp.), quindi su tale premessa ha proceduto all'esame dei motivi numerati da sette a undici, volti a censurare le conclusioni del Tribunale in ordine al mancato superamento del tasso soglia, e li ha disattesi.
È evidente che la statuizione si fonda sull'accertamento della mancata impugnazione da parte di Angelo e Silvestro D. della perimetrazione, compiuta dal Tribunale, della domanda risarcitoria originariamente da essi proposta, circoscritta dal primo giudice alla sola condotta di applicazione di interessi - asseritamente - ultra soglia da parte della banca, e non già - come sostenuto dai ricorrenti - sulla mancata costituzione del Fallimento nel giudizio riassunto e sulle conseguenze processuali di ciò (come dedotto nella prima censura), né sulla considerazione che "le nullità inerenti l'illegittimo anatocismo e la CSM [recte: CMS - n.d.r.] non sarebbero sollevabili" dai signori D. (come attribuito dai ricorrenti alla Corte territoriale nel secondo motivo, fol. 21 del ricorso).
Orbene, l'anzidetta specifica ratio decidendi non solo rimarca la mancata proposizione di specifico motivo di appello in merito alla delimitazione operata dal Tribunale del thema decidendum introdotto dalla domanda originariamente proposta in proprio dai signori D., ma evidenzia gli effetti del giudicato interno formatosi all'esito del primo grado proprio in merito al contenuto giustiziabile della domanda risarcitoria avanzata da Angelo e Silvestro D. Tale ratio non è stata impugnata dai ricorrenti e la trascrizione in ricorso di stralci dell'atto di citazione in primo grado - in luogo dell'eventuale motivo di appello volto a censurare la anzidetta delimitazione - non la smentisce e implicitamente la conferma.
2.4. Il motivo è inammissibile anche in relazione al secondo profilo di doglianza. Invero anche la rilevabilità d'ufficio della nullità (ove possibile) trova il limite invalicabile del giudicato interno perché «In tema di impugnazioni, la mancata rilevazione officiosa di una nullità di protezione da parte del giudice di merito integra il vizio di omessa pronuncia qualora la relativa questione abbia formato oggetto di una specifica domanda od eccezione; conseguentemente, in assenza di puntuale impugnazione, tale nullità non può essere rilevata nel giudizio di appello o di cassazione, ostandovi il giudicato interno, che il giudice dei gradi successivi deve rilevare» (Cass. n. 923 del 17 gennaio 2017; Cass. n. 11259 del 10 maggio 2018).
3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, [ai] sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (Cass., Sez. un., n. 23535 del 20 settembre 2019).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 100,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge.
Dà atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.