Corte di cassazione
Sezione II civile
Ordinanza 12 ottobre 2020, n. 21949

Presidente: Manna - Relatore: Grasso

Ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

- il Tribunale di Napoli dichiarò inammissibile per tardività il ricorso proposto da H.K. avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale dal predetto avanzata;

- la Corte d'appello di Napoli dichiarò inammissibile l'impugnazione per non avere l'appellante censurato la ratio decidendi della sentenza di primo grado, non avendo in alcun modo posto al vaglio del Giudice di secondo grado la questione dell'ammissibilità del ricorso proposto innanzi al Tribunale;

ritenuto che avverso la sentenza d'appello il [K.] ricorre sulla base di tre motivi avverso la statuizione d'appello e che il Ministero risulta essersi costituito tardivamente al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente denunzia nullità del procedimento e del provvedimento per violazione dell'art. 101, secondo comma, c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c., assumendo che la Corte di Napoli, senza che fosse stata sollecitata dalla controparte e senza che la questione avesse formato oggetto di dibattito fra le parti, aveva, a sorpresa, affermato l'inammissibilità dell'impugnazione, è inammissibile, valendo osservare che:

- come noto il tema della "sentenza a sorpresa" o della "terza via", affrontato, ex multis, dalla sentenza delle Sez. un. n. 7294/2017, concerne l'ipotesi in cui il giudice, d'ufficio, rilevi questioni non introdotte dalle parti, senza previamente stimolare il dibattito sul punto (peraltro, questa Corte - Sez. 2, n. 29098/2017 - ha escluso una tale evenienza nel caso in cui le questioni - pur rilevabili d'ufficio - siano state introdotte dalle parti sotto forma di eccezione c.d. "in senso lato", in quanto tali questioni fanno già parte del thema decidendum);

- qui si versa in ipotesi affatto dissimile: la censura impugnatoria deve avere la caratterizzazione ineludibile di attingere la ratio decidendi della decisione impugnata, per la duplice e basilare ragione che, per un verso, non è neppure immaginabile un giudizio di nuova istanza su fatti e questioni che non sono stati presi in esame dal primo giudice, il quale ha definito il processo sulla base di altra ratio e, per altro verso, non può sottoporsi al secondo giudice l'esame di circostanze non esaminate dal primo; qui, addirittura, l'effetto preclusivo della rilevata tardività dell'opposizione impedì al Tribunale di esaminare nel merito la pretesa;

- è appena il caso di soggiungere che il dovere del giudice dell'impugnazione di verificare l'ammissibilità dell'impugnazione, nella specie sotto il profilo della pertinenza delle censure in relazione alla ratio decidendi di primo grado, attiene al rispetto della regola processuale non disponibile, non è in alcun modo ricollegabile a eccezione, difesa o sollecitazione di parte e prescinde, ovviamente, dalla costituzione in giudizio dell'appellato;

considerato che, di conseguenza, il secondo e il terzo motivo, diretti a censurare la declaratoria d'inammissibilità del Tribunale, propongono doglianze nuove, non sottoposte al vaglio del Giudice d'appello, non scrutinabili in questa sede;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle Sez. un. (sent. n. 7155, 21 marzo 2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d'inammissibilità, che può rilevare ai fini dell'art. 334, comma 2, c.p.c., sebbene sia fondata, alla stregua dell'art. 348-bis c.p.c. e dell'art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell'esonerare la Suprema Corte dall'esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi "inconsistenti";

considerato che non deve farsi luogo a regolamento delle spese poiché il competente Ministero non ha svolto difese in questa sede;

considerato che [ai] sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 (inserito dall'art. 1, comma 17, l. n. 228/2012) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del c.d. doppio contributo, ha altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero - per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) - al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest'ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell'art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 136 del d.P.R. n. 115 del 2002 per la revoca dell'ammissione (Sez. un., n. 4315, 20 febbraio 2020).

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 (inserito dall'art. 1, comma 17, l. n. 228/2012), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.