Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 1° luglio 2020, n. 20571

Presidente: Mogini - Estensore: Silvestri

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Bologna ha disposto la consegna all'Autorità giudiziaria di Ungheria di E. Gioacchino, destinatario di un mandato di arresto europeo in relazione al reato di frode fiscale; la consegna è stata subordinata alla condizione che, assunto l'interrogatorio, il predetto sia rinviato nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale, eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato di emissione.

Al ricorrente è contestato, in qualità di legale rappresentante di una società avente ad oggetto il commercio di prodotti alimentari e con sede in Ungheria, di avere acquistato in Italia vari prodotti alimentari poi trasportati e rivenduti in Ungheria, registrando nella contabilità della società false fatture di vendita dei medesimi prodotti ad altri Stati comunitari.

Attraverso detto meccanismo E. non avrebbe versato l'Iva sulla vendita, causando allo Stato una perdita economica.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore articolando cinque motivi.

2.1. Con il primo si deduce violazione di legge in relazione all'art. 1, comma 3, l. 22 aprile 2005, n. 69; il provvedimento cautelare posto a fondamento del m.a.e. sarebbe stato sottoscritto non da un giudice ma da un dirigente dell'Ufficio nazionale di tasse e dogane, cioè da un dirigente della Pubblica Amministrazione ungherese; né, si aggiunge, potrebbe attribuirsi rilevanza alla clausola di convalida apposta da parte del Pubblico Ministero.

Sotto altro profilo, si evidenzia come il m.a.e. sarebbe stato emesso sulla base di un titolo cautelare ritenuto inappellabile dalla stessa Autorità emittente e, dunque, in insanabile contrasto con gli artt. 13-111, comma 7, Cost.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge in relazione all'art. 6, comma 4, lett. a), della l. n. 69 del 2005; nel caso di specie non sarebbe stata allegata nessuna relazione al m.a.e. e dalla lettura di questo e del provvedimento cautelare genetico non sarebbe possibile ricavare le fonti di prova giustificative del provvedimento restrittivo della libertà personale.

2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge quanto agli artt. 6, comma 1, lett. f), e 18, lett. e), della legge indicata; la consegna sarebbe stata disposta nonostante il mandato di arresto non indichi i limiti massimi di carcerazione preventiva nonché quelli di pena minima e massima stabiliti dalla legge ungherese.

La Corte avrebbe ritenuto infondata la questione sul presupposto che nella specie la consegna sarebbe strumentale all'espletamento del solo interrogatorio; si assume che tale finalità non sarebbe stata in realtà esplicitata e che, dunque, non vi sarebbero elementi per ritenere che la custodia cautelare possa esaurirsi con l'interrogatorio.

2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge quanto all'art. 18, lett. q), l. n. 69 del 2005 e vizio di motivazione; l'ordinanza custodiale sarebbe silente quanto alle esigenze cautelari.

2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione dell'art. 18, lett. v), l. n. 69 del 2005 e 111, comma 7, Cost.; nel caso di specie l'ordinanza cautelare genetica sarebbe, secondo la stessa Autorità ungherese, non appellabile e, dunque, contraria [a] principi fondamentali dell'ordinamento e, in particolare, all'art. 111, comma 7, Cost. che prevede la ricorribilità avverso i provvedimenti limitativi della libertà personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato limitatamente al quinto motivo.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1. Sebbene la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 - relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 - non contenga alcuna definizione dell'espressione «mandato d'arresto», che figura nel suo art. 8, par. 1, lett. c), si è chiarito in via generale che la nozione di «mandato d'arresto europeo» è precisata, all'art. 1, par. 1, di detta decisione, definendosi tale mandato come una «decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell'esercizio di un'azione penale o dell'esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà».

Tale nozione di «mandato d'arresto europeo» è utilizzata in modo sistematico nel titolo, nei considerando e negli articoli della decisione quadro, tranne che nell'art. 8, par. 1, lett. c), il quale invece stabilisce che il mandato d'arresto europeo deve contenere informazioni relative all'esistenza «di una sentenza esecutiva, di un mandato d'arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza e che rientri nel campo d'applicazione degli articoli 1 e 2 della decisione quadro...».

Si è fatto correttamente notare come quest'ultima disposizione faccia chiaramente riferimento ad una nozione di "mandato d'arresto" obiettivamente diversa da quella contemplata dall'insieme delle altre disposizioni della decisione quadro e che non può che riferirsi ad un mandato d'arresto nazionale.

La nozione di «mandato d'arresto», che figura all'art. 8, par. 1, lett. c), della decisione quadro, designa unicamente il mandato d'arresto nazionale, dovendosi intendere quest'ultimo come la decisione giudiziaria sulla quale si innesta il mandato d'arresto europeo (cfr. Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 16 luglio 2015, Lanigan, C-237/15, punto 35).

In tale contesto, la Corte di giustizia dell'Unione europea, in relazione ad una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in esame, ha chiarito che l'art. 8, par. 1, lett. c), di cui si è detto, deve essere interpretato nel senso che costituisce una «decisione giudiziaria», ai sensi di tale disposizione, anche quella di convalida da parte del pubblico ministero di un mandato d'arresto nazionale precedentemente emesso, ai fini di azioni penali, da un servizio di polizia.

Si è ricordato come il sistema del mandato d'arresto europeo sia fondato sul principio del mutuo riconoscimento e, in particolare, sul rapporto di fiducia reciproca tra gli Stati membri in ordine al fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali assicurino una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti a livello dell'Unione, e, in particolare, nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU).

È in ragione del principio della fiducia reciproca che ciascuno Stato deve ritenere, salvo che si sia in presenza di circostanze eccezionali, che tutti gli Stati dell'Unione rispettino gli stessi diritti da lui ritenuti fondamentali.

Da ciò si fa discendere il corollario per cui l'autorità giudiziaria di esecuzione può rifiutarsi di dare esecuzione a un mandato soltanto nei casi, tassativamente elencati, di non esecuzione obbligatoria, previsti dall'art. 3 della decisione quadro, o di non esecuzione facoltativa previsti dagli artt. 4 e 4-bis della decisione quadro; l'esecuzione del mandato d'arresto europeo può inoltre essere subordinata soltanto a una delle condizioni tassativamente previste dall'art. 5 della decisione quadro.

Con particolare riguardo allo Stato di Ungheria, la Corte di giustizia, sulla base delle informazioni assunte dal Governo ungherese, ha spiegato che:

a) la nozione di «decisione giudiziaria», di cui all'art. 8 citato, si riferisce alle decisioni delle autorità che partecipano all'amministrazione della giustizia penale degli Stati membri, ad esclusione dei servizi di polizia;

b) la convalida, da parte del pubblico ministero, del mandato d'arresto emesso da un servizio di polizia è un atto giuridico con cui il pubblico ministero controlla e conferma tale mandato d'arresto; per effetto di tale recepimento, il pubblico ministero è considerato l'autore dell'emissione del mandato d'arresto nazionale, di cui si assume la responsabilità;

c) la decisione di un pubblico ministero deve essere considerata una «decisione giudiziaria», ai sensi dell'art. 8, par. 1, lett. c), della decisione quadro, in quanto proveniente da un'autorità chiamata a partecipare all'amministrazione della giustizia penale di uno Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski, C-486/14, EU:2016:483, punto 39);

d) proprio la convalida da parte del pubblico ministero, da una parte, garantisce l'esistenza di un controllo giudiziario sul provvedimento restrittivo della libertà personale emesso da parte di un funzionario di polizia e, dall'altra, giustifica il livello di fiducia elevato tra gli Stati membri, menzionato al punto precedente della presente sentenza (così, Corte di giustizia Unione europea, 10 novembre 2016, Halil Ibrahim Ozcelik, nella causa C-453/16).

2.2. Dalla questione in esame si distingue quella del se l'art. 8, par. 1, lett. c), della decisione quadro debba essere interpretato nel senso che, quando un mandato d'arresto europeo, che si fonda sull'esistenza di un «mandato d'arresto» ai sensi di tale disposizione, non contenga alcuna menzione dell'esistenza di un mandato d'arresto nazionale, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione possa rifiutare di darvi corso.

Anche su detta questione la Corte di giustizia ha ricordato che, se è vero che la mancata indicazione, nel mandato d'arresto europeo, dell'esistenza di un mandato d'arresto nazionale non compare tra i motivi di non esecuzione elencati nei suddetti artt. 3, 4 e 4-bis della decisione quadro e non rientra neppure nell'ambito di applicazione dell'art. 5 di quest'ultima e che le suddette disposizioni della decisione quadro non lasciano alcuno spazio per un motivo di non esecuzione diverso da quelli in esse elencati, è altrettanto vero che proprio dette disposizioni presuppongono che il mandato d'arresto europeo soddisfi i requisiti di regolarità enunciati all'art. 8, par. 1, della decisione quadro.

Poiché l'art. 8, par. 1, lett. c), della decisione quadro stabilisce un requisito di regolarità il cui rispetto costituisce un presupposto della validità del mandato d'arresto europeo, la violazione di tale requisito deve, in linea di principio, portare l'autorità giudiziaria dell'esecuzione a non dare corso a tale mandato d'arresto.

Tale decisione, secondo la Corte di giustizia, deve, per sua natura, rimanere tuttavia eccezionale e può conseguire solo dopo aver chiesto all'autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione di fornire con urgenza qualsiasi informazione supplementare necessaria che consenta di stabilire se l'assenza di indicazione, nel mandato d'arresto europeo, dell'esistenza di un mandato d'arresto nazionale si spieghi con il fatto che manca effettivamente un siffatto mandato d'arresto nazionale previo e distinto rispetto al mandato d'arresto europeo oppure con il fatto che tale mandato esiste ma non è stato menzionato.

Solo nel caso in cui l'autorità giudiziaria dell'esecuzione, alla luce delle informazioni fornite in conformità dell'art. 15, par. 2, della decisione quadro e di tutte le altre informazioni in suo possesso, giunga alla conclusione che il mandato d'arresto europeo sia stato emesso senza un mandato d'arresto nazionale distinto, essa è tenuta a non dare corso al mandato d'arresto europeo, in quanto quest'ultimo non soddisfa i requisiti di regolarità previsti dall'art. 8, par. 1, della decisione (così Corte di giustizia, Sezione seconda, decis[i]one del 1° giugno 2016, Niculaie, Aurel Bob-Dogi, nella causa C-241/15).

2.3. Nel caso di specie, non è in contestazione che il mandato di arresto europeo sia stato adottato da un Giudice.

Il mandato di arresto europeo è stato emesso sulla base di un provvedimento interno limitativo della libertà personale proveniente da un funzionario di Polizia, ma convalidato dai Pubblico ministero - che in tal modo ha assunto la responsabilità del provvedimento - e, dunque, secondo la interpretazione data dalla Corte di giustizia, sulla base di una «decisione giudiziaria», che, ai sensi dell'art. 8, par. 1, lett. c), legittima la emissione del mandato di arresto europeo, in quanto proveniente da un'autorità chiamata a partecipare all'amministrazione della giustizia penale di uno Stato membro.

Ne deriva l'infondatezza del motivo di ricorso.

3. Infondati, ai limiti della inammissibilità, sono il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente.

3.1. Quanto al secondo motivo, dalla lettura del mandato di arresto europeo e dal mandato di arresto nazionale, sono chiaramente indicate le fonti di prova dei fatti posti a fondamento del provvedimento, e che attengono alle risultanze degli accertamenti dei registri e dei documenti contabili della impresa.

3.2. Quanto al terzo motivo, non vi sono ragioni per dubitare che la consegna sia stata richiesta per consentire di assumere l'interrogatorio dell'indagato, così come espressamente indicato nel mandato d'arresto nazionale.

Sulla base di tale dato di presupposizione, il motivo rivela la sua infondatezza, avendo la Corte di cassazione in più occasioni chiarito in tema di mandato di arresto europeo, che può essere data esecuzione ad una richiesta di consegna nei confronti di persona imputata di un reato per procedere al suo interrogatorio, atteso che l'art. 6, comma primo, lett. c), della l. n. 69 del 2005 consente il ricorso alla procedura in esame con riferimento ad ogni provvedimento di natura coercitiva emesso dall'Autorità giudiziaria dello Stato di emissione, qualunque ne siano i motivi, purché inerenti al processo (Sez. 6, n. 43386 dell'11 ottobre 2016, Berdzik, Rv. 268305; sul tema, anche, Sez. 6, n. 51511 del 18 dicembre 2013, Lampugnani, Rv. 258510).

In tali casi, come appunto disposto dalla Corte di appello di Bologna, la consegna è subordinata alla condizione che, esperito l'incombente, il consegnando sia immediatamente rinviato nello Stato italiano.

Peraltro, quanto alla mancata indicazione dei termini di durata della custodia cautelare, l'ordinamento dello Stato di Ungheria prevede termini di durata massima della custodia cautelare sia nella fase delle indagini preliminari che nel corso del giudizio di primo grado, nonché la possibilità di revoca della misura ad istanza di parte o di riduzione della sua durata ad iniziativa sia del giudice che del pubblico ministero (Sez. 6, n. 2739 del 22 gennaio 2020, Boyko Taraj, Rv. 278129; Sez. 6, n. 49 del 30 dicembre 2014, Chitoroaga, Rv. 261847).

3.3. Non diversamente, è infondato il quarto motivo di ricorso.

La Corte di cassazione ha spiegato come, in tema di mandato d'arresto europeo, l'autorità giudiziaria italiana, nel valutare i presupposti per l'accoglimento della domanda di consegna, deve operare una ricognizione della valutazione effettuata dall'autorità giudiziaria emittente in ordine alla sussistenza del quadro indiziario, non occorrendo analoga verifica con riferimento al profilo delle esigenze cautelari, e dovendo comunque escludersi che la consegna possa essere rifiutata sulla base di una valutazione di tale profilo diversa da quella espressa dall'autorità emittente (Sez. 6, n. 3951 del 27 gennaio 2016, Laini, Rv. 267186).

4. È invece fondato il quinto motivo ricorso.

Il mandato di arresto europeo è stato emesso sulla base di un provvedimento nazionale non appellabile in ragione di alcune disposizioni della legislazione interna, sommariamente richiamate.

La l. n. 69 del 2005 art. 2, stabilisce in via generale che l'esecuzione della disciplina sul mandato d'arresto europeo deve avvenire nel rispetto dei diritti e dei principi stabiliti, in particolare, dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dalla Costituzione della Repubblica, in relazione al diritto di difesa.

Come ha chiarito questa Corte, l'art. 2 cit. non richiede che l'ordinamento dello Stato emittente presenti le stesse garanzie attinenti al "giusto processo" contenute nell'ordinamento italiano, bensì che esso rispetti i relativi principi garantiti dalle Carte sovranazionali ed in particolare dall'art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, al quale si richiama l'art. 111 Cost. (Sez. 6, n. 17631 del 3 maggio 2007, Melina, Rv. 237078).

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha più volte affermato che il diritto di difesa va garantito in ogni stato del procedimento. Ha in particolare chiarito che, anche se il primario scopo degli artt. 5-6 C.e.d.u. è "garantire un equo processo davanti ad un giudice competente ad accertare un reato", le garanzie ivi previste devono essere applicabili sin dalla fase delle indagini preliminari (Corte e.d.u., Imbrioscia c. Svizzera, 24 novembre 1993, p. 36), così da evitare che la equità del futuro processo possa essere seriamente compromessa da una iniziale violazione di quelle previsioni (Sez. 6, n. 4528 del 27 gennaio 2018, Baldi, Rv. 251959).

In particolare, l'art. 5, comma 4, C.e.d.u. prevede che ogni persona privata della libertà con un arresto o una detenzione, ha il diritto di presentare un ricorso davanti ad un tribunale, affinché questi decida in breve tempo della sua detenzione ed ordini la sua liberazione se la sua detenzione è illegittima.

La Corte di giustizia ha chiarito che il sistema del mandato d'arresto europeo comporta una protezione su due livelli dei diritti in materia procedurale e dei diritti fondamentali di cui deve beneficiare la persona ricercata, in quanto, alla protezione giudiziaria prevista al primo livello, in sede di adozione di una decisione nazionale, come un mandato d'arresto nazionale, si aggiunge quella che deve essere garantita al secondo livello, in sede di emissione del mandato d'arresto europeo, la quale può eventualmente intervenire in tempi brevi, dopo l'adozione della suddetta decisione giudiziaria nazionale (Corte giustizia, Seconda Sezione, 9 ottobre 2019, N.J., C-489/19).

Si è aggiunto che, poiché l'emissione di un mandato d'arresto europeo è idonea a ledere il diritto alla libertà dell'interessato, sancito all'art. 6 della Carta, la suddetta protezione implica che venga adottata, quanto meno a uno dei due livelli di detta protezione, una decisione conforme ai requisiti inerenti a una tutela giurisdizionale effettiva.

In tal senso:

a) si spiega il principio secondo cui, proprio il rispetto di tali requisiti consente di garantire all'autorità giudiziaria dell'esecuzione che la decisione di emettere un mandato d'arresto europeo ai fini dell'esercizio di un'azione penale si basi su un procedimento nazionale soggetto a controllo giurisdizionale, e che la persona ricercata abbia beneficiato delle garanzie risultanti dai diritti fondamentali e dai fondamentali principi giuridici menzionati all'art. 1, par. 3, della decisione quadro 2002/584 (Corte giustizia Unione europea, sentenza del 27 maggio 2019, OG e PI (Procure di Lubecca e di Zwickau), C-508/18 e C-82/19 PPU, EU:C:2019:456, punto 70);

b) si giustifica l'esigenza che il controllo effettuato al momento dell'adozione di un mandato d'arresto includa l'esame del rispetto delle condizioni necessarie all'emissione di tale mandato d'arresto nonché della proporzionalità di quest'ultima, tenuto conto delle peculiarità di ciascun caso di specie;

c) si impone la necessità che tale controllo sia esercitato in maniera obiettiva, tenendo conto di tutti gli elementi a carico e a discarico, nonché in modo indipendente, il che presuppone che vi siano regole statutarie e organizzative idonee ad escludere qualsiasi rischio che l'adozione di una decisione di emettere un siffatto mandato d'arresto sia sottoposta a istruzioni esterne, segnatamente da parte del potere esecutivo [cfr., in tal senso, sentenza del 27 maggio 2019, OG e PI (Procure di Lubecca e di Zwickau), C-508/18 e C-82/19 PPU, EU:C:2019:456, punti 73 e 74].

Nel caso di specie, a fronte della esigenza di tutela di diritti fondamentali - gli stessi che impongono di assicurare la possibilità di ricorrere avverso provvedimenti restrittivi della libertà personale - è necessario procedere ad accertamenti del quadro normativo dello Stato di emissione in ordine al senso ed alla portata della inappellabilità del provvedimento nazionale posto a fondamento del mandato di arresto europeo.

Ne consegue che sul punto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bologna.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, l. n. 69 del 2005.

Depositata il 9 luglio 2020.