Corte di cassazione
Sezione IV civile (lavoro)
Sentenza 29 luglio 2020, n. 16252

Presidente: Di Cerbo - Estensore: Piccone

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 13 febbraio 2018, la Corte d'Appello di Bologna ha confermato la decisione resa in sede di opposizione dal Tribunale di Modena, che aveva ritenuto fondata l'eccezione di difetto di ius postulandi formulata dalla Kerbell s.r.l. e dichiarato, per conseguenza, inammissibile la domanda con cui K. Lahcen aveva impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli in data 14 aprile 2016 chiedendo ne venisse dichiarata la nullità - in quanto discriminatorio - o, comunque, l'illegittimità per insussistenza della ritenuta impossibilità sopravvenuta allo svolgimento delle mansioni affidategli.

In particolare, la Corte d'appello ha ritenuto che l'espressione "di fallimento" dopo le parole "presente procedimento" rendesse equivoca la procura, non contenendo alcun esplicito richiamo al giudizio instaurato ex lege n. 92/2012 e non ne consentisse, pertanto, la sanatoria escludendo trattarsi di ipotesi di errore materiale.

1.1. Per la cassazione della sentenza propone ricorso K. Lahcen affidandolo a quattro motivi.

1.2. Resiste, con controricorso, la Kerbell s.r.l.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360 c.p.c. per violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c. per non aver la Corte esposto le ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Mediante il secondo motivo parte ricorrente censura la decisione impugnata ai sensi degli artt. 1362, 1366 e 1367 c.c. per aver ritenuto che la procura alle liti rilasciata in calce al procedimento, contenente l'espressione "di fallimento" dopo le parole "presente procedimento" fosse invalida, senza aver fondato il proprio giudizio sulla individuazione della "comune intenzione delle parti".

Con il terzo motivo si deduce l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti ex art. 360, n. 5, c.p.c. costituiti dall'assistenza dei procuratori innanzi la DTL di Modena e la contestuale violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.

Con il quarto motivo si censura la sentenza di secondo grado per violazione dell'art. 182 c.p.c. per aver ritenuto non ammissibile la sanatoria della procura alle liti, viziata ovvero inesistente.

2. Il quarto motivo, da esaminarsi preliminarmente per ragioni logico-sistematiche è fondato e va accolto.

2.1. Al presente giudizio si applica, infatti, ratione temporis, l'art. 182, comma 2, c.p.c., come modificato dall'art. 46, comma 2, della l. 18 giugno 2009, n. 69, essendo stato il giudizio instaurato con ricorso depositato il 10 ottobre 2016.

L'attuale formulazione dell'art. 182, comma secondo, c.p.c. prevede che il giudice, quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, debba assegnare alle parti un termine perentorio per sanare il difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione.

Secondo l'interpretazione di questa Corte da cui il Collegio non intende discostarsi (cfr., sul punto, Cass. n. 29802 del 18 novembre 2019, Cass. n. 10885 del 7 maggio 2018), dall'interpretazione letterale della norma si evince la previsione della sanatoria dei vizi della procura, attraverso l'assegnazione di un termine da parte del giudice, anche quando la procura sia del tutto mancante. In caso contrario non si spiegherebbe il richiamo testuale all'assegnazione del termine per il "rilascio della procura o per la rinnovazione della stessa".

Deve ritenersi, al riguardo, che il giudice sia investito del potere officioso di verificare la corretta instaurazione del contraddittorio, rilevando, sin dalla fase iniziale, i vizi degli atti processuali relativi allo ius postulandi e di consentire, così, alla parte di poterli emendare senza instaurare un nuovo giudizio.

La visione del processo che ne discende è meno formalistica (in termini, Cass. n. 10885/2018 cit.) e consente che, attraverso la segnalazione del giudice, la parte possa sanare qualunque vizio della procura; la disposizione, evitando una pronuncia in rito, risponde ad esigenze di economia processuale connesse al proliferare di giudizi a seguito della dichiarazione di nullità della procura.

2.2. Per tale ragione, il testo novellato dell'art. 182, comma 2, c.p.c. ha previsto l'obbligo per il giudice di assegnazione di un termine per la regolarizzazione ("il giudice assegna alle parti un termine") in luogo della facoltà, nel testo anteriore alla modifica di cui all'art. 46, comma 2, della l. 18 giugno 2009, n. 69 ("il giudice può assegnare un termine").

Ma va, soprattutto, evidenziato che, mentre il testo previgente prevedeva la possibilità di regolarizzazione della procura solo nei casi di difetto di rappresentanza, assistenza ed autorizzazione, l'attuale formulazione estende la sanatoria ai casi di assenza della procura ovvero ai casi di rinnovazione, facendo salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, che si verificano fin dal momento della prima notificazione, se il termine per la sanatoria viene rispettato.

2.3. La modifica normativa è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che, nell'interpretare l'art. 182 nel testo anteriore alla modifica di cui all'art. 46, comma 2, della l. 18 giugno 2009, n. 69, è unanime nel ritenere che, in tutti i casi in cui vi sia un vizio della procura, e, persino in casi di omesso deposito della procura speciale alle liti, che sia stata semplicemente enunciata o richiamata negli atti della parte, il giudice è tenuto ad invitare la parte a produrre l'atto mancante, e tale invito può e deve essere fatto, in qualsiasi momento, anche dal giudice dell'appello; conseguentemente, solo in esito ad esso il giudice deve adottare le conseguenti determinazioni circa la costituzione della parte in giudizio, reputandola invalida soltanto nel caso in cui l'invito sia rimasto infruttuoso (Cass., Sez. un., n. 28337 del 22 dicembre 2011, Cass. n. 11359 del 22 maggio 2014 e n. 19169/2014; Cass., Sez. III, n. 3181 del 18 febbraio 2016).

D'altro canto, le Sezioni unite, proprio in relazione alla portata del secondo comma dell'art. 182 c.p.c., hanno di recente affermato il principio in forza del quale il secondo comma - anche nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla l. n. 69 del 2009, - deve essere interpretato nel senso che il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione, è tenuto a promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio ed indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando a tal uopo un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali (Cass., Sez. un., n. 9217/2010 e, nel medesimo senso, Cass., Sez. un., 28337/2011, in materia di nullità della procura ad litem, Cass. 22559/2015 e da ultimo Cass., Sez. II, 14 febbraio 2017, n. 3894).

La decisione della Corte d'appello di Bologna ha ritenuto l'inapplicabilità dell'art. 182, secondo comma, c.p.c. sul presupposto che la procura rilasciata dal ricorrente fosse non già nulla ma inesistente, e, in quanto tale, inidonea a produrre effetti giuridici ed insuscettibile di sanatoria.

Tale interpretazione, tuttavia, contrasta con il tenore letterale dell'art. 182 c.p.c. e con l'interpretazione univoca di questa Corte (cfr. Cass. 10885/2018 cit.) che, prevedendo l'obbligo, e non la facoltà per il giudice, di assegnare alla parte un termine per il rilascio e la rinnovazione della procura, ritiene possibile la sanatoria anche in casi ben più gravi in cui la procura manchi del tutto.

Ritiene, quindi, il Collegio che non possa attribuirsi rilievo alla distinzione tra nullità ed inesistenza della procura, anche alla luce del carattere del tutto residuale di tale ultima categoria in sede processuale (si veda, sul punto, Cass. n. 31476 del 3 dicembre 2019) in considerazione della possibilità attribuita al giudice di porre rimedio anche alle ipotesi di assenza della procura.

Nel caso di specie, poi, la procura non difettava dei requisiti minimi e non presentava alterazioni così gravi da poter dubitare della sua esistenza giuridica e da impedire che l'atto fosse suscettibile di sanatoria. Essa consentiva di accertare un collegamento tra il soggetto che l'aveva conferita ed il procedimento per la quale era stato speso lo ius postulandi in quanto si riferiva a "questo procedimento" ed era allegata al ricorso redatto per l'impugnativa del licenziamento (v. Cass. n. 10885/2018 cit.).

2.4. Deve anzi concludersi che la categoria della nullità (sanabile) va considerata pervasiva atteso che sono del tutto estreme e residuali le ipotesi di inesistenza dovendo le stesse ricondursi ai casi in cui ab origine difetti anche l'"apparente" sussistenza dello ius postulandi.

In particolare, ad avviso del Collegio, va distinta l'ipotesi in cui si versi in un caso di nullità della costituzione in giudizio di una parte rappresentata e difesa da un avvocato ma senza che sia stata rilasciata la procura in suo favore nelle forme di legge, il cui vizio è, perciò, sanabile attraverso la successiva regolarizzazione mediante il conferimento di un'apposita procura in un termine perentorio concesso dal giudice proprio in virtù di quanto sancito dal citato art. 182 c.p.c. dall'ipotesi in cui, invece, la parte appellante si sia illegittimamente costituita, fin dall'origine (con riferimento all'atto della proposizione del gravame), ad esempio, personalmente, senza nemmeno l'apparente rappresentanza tramite un difensore legalmente esercente ed abilitato e, quindi, senza neppure il conferimento di un - sia pure soltanto meramente affermato - ius postulandi in favore di apposito legale.

In tale ultimo caso, infatti, la costituzione si deve ritenere, in grado di appello, inammissibile ab initio, con conseguente sua insanabilità per effetto di una non più consentita successiva attività di regolarizzazione (sul punto, Cass. n. 24257 del 4 ottobre 2018 che richiama in motivazione Cass., Sez. un., n. 10414/2017, con la quale è stato statuito che l'art. 182, comma 2, c.p.c., come novellato, non è applicabile nel caso in cui il ricorso dinanzi al C.N.F. sia stato presentato personalmente dall'avvocato non iscritto all'albo o sospeso dall'esercizio della professione, trattandosi di ricorrente privo di ius postulandi).

La decisione assunta da questa stessa Sezione, con sentenza n. 15305 del 12 giugno 2018, apparentemente non del tutto collimante, ad una lettura della massima, conferma, invece, tali assunti.

In particolare, ivi, la Corte ha ritenuto sussistente una violazione dell'art. 366, n. 6, c.p.c., avendo omesso la parte di allegare copia della procura impedendo così al giudice di legittimità di verificare la correttezza del giudizio di secondo grado che aveva ritenuto, in particolare, sul punto: che l'autentica della sottoscrizione della procura non risultava effettuata da un difensore esercente in Italia; quanto all'autentica effettuata da un funzionario straniero, che non risultava né la legalizzazione da parte della rappresentanza diplomatica o consolare italiana ivi esistente, né, infine, l'utilizzo della formalità delle apostille.

Evidente la assoluta diversità della vicenda rispetto al caso di specie nel quale, infatti, più congruamente la procura deve ritenersi nulla e, perciò, sanabile, essendo perfettamente riferibile alla parte, allegata al ricorso interessato e sicuramente non priva dei requisiti minimi, non presentando di certo alterazioni così gravi da poter dubitare della sua esistenza giuridica e da impedire che l'atto fosse suscettibile di sanatoria.

3. Sostiene tale corollario la giurisprudenza di questa Corte relativa alla procura inerente il ricorso per cassazione secondo cui l'art. 83, comma 3, c.p.c., nell'attribuire alla parte la facoltà di apporre la procura in calce o a margine di specifici e tipici atti del processo, fonda la presunzione che il mandato così conferito abbia effettiva attinenza al grado o alla fase del giudizio cui l'atto che lo contiene inerisce, per cui la procura per il giudizio di cassazione rilasciata in calce o a margine del ricorso, in quanto corpo unico con tale atto, garantisce il requisito della specialità del mandato al difensore (ex plurimis, 24598 del 18 ottobre 2017).

In particolare, poi, sul punto che qui interessa, Cass. n. 14011 del 7 luglio 2005 afferma che non può sostenersi il difetto di specificità per il riferimento ad attività proprie dei giudizi di merito o a procedimenti esecutivi, essendo prevalente e decisivo l'iniziale riferimento al "presente procedimento", per essere irrilevante il mancato riferimento al giudizio di legittimità (il richiamo è a Sez. un., 24 novembre 2004, n. 22119) ed aggiunge, significativamente per il caso che qui ne occupa, che, d'altra parte, il richiamo nell'atto di procura ad altri giudizi o fasi processuali non esclude di per sé la volontà della parte di conferire la procura per "il presente procedimento".

4. Deve, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto "L'art. 182, comma 2, c.p.c. nella formulazione introdotta dall'art. 46, comma 2, l. n. 69 del 2009, trova applicazione anche qualora essa venga reputata mancante, in quanto, pur essendo allegata all'atto cui si riferisce e formulata con riferimento al 'presente procedimento' contenga, altresì, il richiamo testuale ad altro giudizio".

5. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il quarto motivo di ricorso va accolto e gli altri devono reputarsi assorbiti.

6. La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte d'Appello di Bologna, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese relative al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la stessa alla Corte d'Appello di Bologna, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.