Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 19 marzo 2020, n. 1940

Presidente: Garofoli - Estensore: Pescatore

FATTO E DIRITTO

1. L'odierno ricorrente si è visto annullare dalla Questura di Brescia il permesso di soggiorno per lavoro subordinato conseguito in data 19 aprile 2017, a cagione della ritenuta falsità e strumentalità della documentazione lavorativa presentata in allegato all'istanza di rilascio.

Nel provvedimento si dà atto che la ditta [omissis], presso la quale il sig. [omissis] aveva dichiarato di lavorare, "... a seguito di verifiche effettuate da personale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro di Milano in data 23.04.2018 è risultata non avere mai operato, né avere la propria sede legale all'indirizzo segnalato".

2. Il sig. [omissis] ha quindi impugnato l'atto di annullamento deducendo la violazione e falsa applicazione: i) dell'art. 10-bis l. 241/1990; ii) degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998; iii) dell'art. 21-nonies l. 241/1990.

3. Il Tar Brescia ha respinto il ricorso ritenendo che l'allegazione di un documento falso e di un rapporto lavorativo fittizio costituisce giustificato motivo di annullamento o di diniego del titolo di soggiorno. Il giudice di primo grado ha inoltre chiarito come i dati relativi ai redditi prodotti dal ricorrente dal 2014 al 2018, a prescindere dal rapporto lavorativo intercorrente con la ditta in contestazione, non consentono di ritenere integrato il requisito relativo allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata a garantire un reddito minimo necessario per un'esistenza dignitosa, idonea e sufficiente.

4. Attraverso l'appello qui in esame, lo straniero reitera la lamentata violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990 e, sotto il profilo della violazione degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, deduce la mancata valutazione in proprio favore delle circostanze sopravvenute costituite dal raggiungimento del livello di reddito minimo per il 2017 e dal documentato svolgimento di ulteriore attività lavorativa nel 2018.

Assume inoltre l'incompletezza dell'accertamento effettuato dalla Questura di Bergamo in ordine alla presunta fittizietà del rapporto di lavoro presso la ditta [omissis], stante la sussistenza di documentazione attestante la regolarità della sua posizione contributiva (doc. 4).

Afferma di aver raggiunto nel 2017, anche senza tener conto del reddito derivante dall'attività lavorativa oggetto di contestazione, un reddito pari a circa 7.000,00 euro (docc. 5-9) ed invoca, in relazione al 2018, una valutazione dinamica e prospettica delle sue capacità reddituali, che tenga conto del fatto che i contributi previdenziali per i lavoratori agricoli vengono pagati ogni sei mesi (come dimostra l'importo del CU 2019), quindi con cadenza che non consentiva, al momento della emanazione dell'atto impugnato, di percepire l'ammontare complessivo del loro importo.

Quanto alla violazione dell'art. 21-nonies l. 241/1990, l'appellante evidenzia come l'esercizio del potere discrezionale di annullamento d'ufficio presupponga non solo l'illegittimità dell'atto da rimuovere, ma anche la motivazione dell'interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione, valutabile in relazione alla risalenza dell'atto e alle posizioni di interesse dei destinatari e dei controinteressati. Queste valutazioni, a suo dire, non sono state espresse dalla Questura, la quale, tra l'altro, avrebbe anche omesso di considerare la sua posizione di incensuratezza e i suoi reiterati tentativi di conseguire una stabile posizione lavorativa.

5. Il Ministero dell'Interno si è costituito senza svolgere deduzioni difensive.

6. A seguito dell'accoglimento dell'istanza cautelare (ord. n. [omissis]), la causa è stata discussa e posta in decisione all'udienza pubblica del 5 marzo 2020.

7. L'appello è meritevole di accoglimento.

Se può convenirsi circa il fatto che la documentazione lavorativa falsa è inutilizzabile ai fini della valutazione della sussistenza del requisito reddituale, quantomeno nella prospettiva storico-ricostruttiva della pregressa disponibilità di reddito adeguato (C.d.S., sez. III, nn. 1337/2019 e 5365/2019), è altresì vero che gli ulteriori dati istruttori versati in atti, riferiti ad elementi concomitanti e sopravvenuti a quelli menzionati nell'atto impugnato in primo grado, consegnano una rappresentazione della condizione reddituale dello straniero parzialmente difforme da quella descritta dalla Questura e, comunque, meritevole di considerazione da parte dell'amministrazione.

8. In particolare:

- è lo stesso giudice di primo grado a riconoscere che il ricorrente, come lavoratore agricolo giornaliero part-time, ha conseguito nel 2017 un reddito (superiore alla soglia minima di legge) pari ad euro 7.724,14, che prescinde dalle somme ricavate dal rapporto lavorativo sospettato di falsità;

- quanto all'anno 2018, il reddito stimato dal Tar ammonta a soli euro 1.165,00. Tuttavia questa stima risulta parziale, in quanto non tiene conto del quadro completo dei dati reddituali riferiti al 2018, quale si desume sia dall'estratto contributivo Inps allegato sub doc. 11 - il quale riporta, con riferimento al mese di novembre 2018, l'importo di euro 3.401,80; sia dal Cu 2019 - attestante un reddito pari ad euro 5.791,83, confermato anche dai versamenti risultanti dall'estratto conto e dall'estratto previdenziale Inps (allegato sub doc. 13).

9. Del resto, la ritenuta falsità della documentazione non elide l'obbligo dell'Amministrazione procedente di tener conto, ai fini della valutazione della sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge, anche degli elementi sopraggiunti ex art. 5, comma 5, t.u. e, quindi, della documentazione comprovante l'attività lavorativa, diversa da quella considerata falsa, eventualmente esibita dal richiedente.

Questo principio va poi integrato con l'ulteriore affermazione di indirizzo secondo la quale, ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, il requisito reddituale deve essere oggetto di una valutazione non rigidamente ancorata al conseguimento, nel pregresso periodo di validità del permesso, di redditi non inferiori alla soglia prevista dall'art. 29, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, ma, al contrario, deve estendersi anche alla considerazione della prevedibile capacità reddituale futura, siccome desumibile da nuove opportunità di lavoro e fonti di guadagno, se formalmente e tempestivamente documentate (C.d.S., sez. III, n. 6211/2019; n. 2335/2018; n. 2585/2017; n. 1971/2017; n. 843/2017).

10. In applicazione di tali principi, il ricorso merita di essere accolto in relazione al secondo motivo - nel quale si compendiano anche le rimanenti censure riferite alla unilateralità dell'accertamento istruttorio - dal che consegue l'annullamento dell'atto impugnato, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione da adottarsi all'esito di un riesame che tenga conto dei fatti rilevanti successivamente emersi nel corso del procedimento e del presente giudizio.

11. Le spese processuali debbono essere compensate tenuto conto della natura delle questioni trattate e del tenore delle difese in atti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento gravato in primo grado, ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 9, par. 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte privata.