Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 6 dicembre 2019, n. 8364
Presidente: Lipari - Estensore: Veltri
FATTO E DIRITTO
Il sig. [omissis] ha adito il TAR Reggio Calabria per chiedere l'annullamento del decreto [omissis] con il quale il dirigente dello Sportello unico per l'immigrazione di Reggio Calabria ha respinto la domanda di emersione del lavoro irregolare, presentata dal datore di lavoro [omissis], a cagione del successivo disconoscimento della domanda da parte di quest'ultimo.
In fatto, il ricorrente ha esposto che, una volta inoltrata domanda di emersione di lavoro irregolare da parte del datore di lavoro ed effettuato il pagamento del contributo forfettario di euro 1.000,00, quest'ultimo sporgeva querela presso la stazione dei Carabinieri di [omissis] (RC) al fine di disconoscere l'esistenza del pregresso rapporto lavorativo. Sulla base di ciò la Prefettura di Reggio Calabria emetteva provvedimento di reiezione della domanda di emersione non effettuando alcuna comunicazione allo straniero interessato.
Il ricorso è stato affidato ai seguenti motivi di diritto:
I) violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990 non essendo stato il decreto impugnato preceduto dalla trasmissione all'odierno ricorrente del preavviso di rigetto dell'istanza;
II) violazione dell'art. 5 d.lgs. n. 109/2012 in quanto la Prefettura avrebbe erroneamente basato il diniego della domanda di emersione del lavoro irregolare sulla mera denuncia presentata dal datore di lavoro, senza approfondire tramite adeguata istruttoria l'effettiva sussistenza del rapporto lavorativo alla luce dei dati puntualmente illustrati nell'istanza presentata in data 2 ottobre 2012 finalizzata all'emersione.
Il TAR ha respinto il ricorso richiamando la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 25 gennaio 2018, n. 524 che, proprio in riforma di una sentenza del TAR Calabria, la n. 76/2011 citata dal ricorrente a sostegno delle proprie ragioni, ha fissato il seguente principio: "è dirimente considerare che la presentazione della dichiarazione di emersione di cui all'art. 1-ter del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, recante "Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini", convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della l. 3 agosto 2009, n. 102, non dava avvio a un procedimento destinato a concludersi, una volta iniziato, anche contro la volontà delle parti. Non a caso, il comma 7 della succitata disposizione prevedeva l'onere del datore di lavoro di presentare allo sportello unico per l'immigrazione, a pena di inammissibilità della dichiarazione di emersione, alcuni documenti e stabiliva altresì che il relativo procedimento dovesse essere archiviato nel caso di mancata presentazione delle parti senza giustificato motivo. In altri termini, quand'anche fossero sussistiti i presupposti per il buon esito del procedimento, nondimeno il Legislatore rimise alla perdurante volontà delle parti la conclusione di esso. Non ha, pertanto, errato la Prefettura di Reggio Calabria nel ritenere che pure il formale disconoscimento della domanda di emersione, da parte della signora..., fosse un elemento sufficiente a dimostrare la mancanza del presupposto volontaristico, indispensabile per la definizione della relativa procedura. Non era, conseguentemente, necessario - stante il principio del divieto di aggravamento del procedimento - che la Prefettura si impegnasse in complesse indagini per stabilire se la signora... avesse realmente inviato, o no, la dichiarazione di emersione".
In ordine all'altra censura il TAR ha affermato che "non può rilevare la violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990 non essendo dimostrato quale utile apporto al procedimento avrebbe potuto fornire l'interessato (C.d.S., sez. III, 11 luglio 2018, n. 4236)".
In appello il ricorrente insiste su questo secondo aspetto e deduce che se egli fosse venuto a conoscenza, nei termini, di tale procedimento di "archiviazione" avrebbe ben potuto rappresentare che stava ancora svolgendo attività lavorativa e che, in realtà, la motivazione alla base della denunzia-querela da parte del sig. [omissis] era dovuta alla circostanza che egli aveva ricevuto da parte dell'INPS i bollettini di pagamento dei contributi previdenziali per il lavoratore e, pertanto, piuttosto che pagarli aveva preferito presentare denuncia adducendo di non aver mai assunto il lavoratore. Non solo. Avrebbe altresì rappresentato che il datore di lavoro, oggi deceduto, era affetto da [omissis], in ragione delle quali in [omissis] 2009 era stato dichiarato invalido con decorrenza [omissis] 2008, con [omissis].
Invece, solo in data 9 settembre 2014, ossia dopo l'emissione del gravato provvedimento di archiviazione, il sig. [omissis] apprendeva di quanto accaduto nonché della comunicazione resa ad altro legale con la quale lo Sportello unico per l'immigrazione informava che era stato richiesto un parere all'Avvocatura distrettuale dello Stato, sospendendo, nel frattempo, il riesame della pratica.
In sede cautelare, il Collegio ha sospeso la provvisoria efficacia della sentenza gravata "ritenuta la fondatezza del motivo di appello inteso a lamentare l'omissione della comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis l. n. 241/1990, alla luce dei non speciosi elementi addotti dall'appellante al fine di contrastare l'ipotesi di falsità del rapporto di lavoro posta a fondamento dell'impugnato provvedimento di archiviazione".
La causa è stata da ultimo chiamata e trattenuta in decisione all'udienza del 21 novembre 2019.
Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato.
La giurisprudenza di questo Consiglio interpreta l'art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, non in senso formalistico, ma avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione, sicché il mancato o l'incompleto preavviso di rigetto non comporta l'automatica illegittimità del provvedimento finale, quando possa trova applicazione l'art. 21-octies della stessa legge.
A mente della norma citata il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali che non abbiano inciso sulla sua legittimità sostanziale in tutti quei casi in cu il contenuto, anche ipotizzando la diligente applicazione della norma violata o il corretto esplicarsi dei diritti partecipativi pretermessi, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. In casi come quelli descritti, è evidente che il riesercizio del potere, conseguente ad un annullamento in sede giurisdizionale, non potrebbe comunque portare all'attribuzione del bene della vita richiesto dall'interessato, sicché l'annullamento è contrario ai principi di economicità ed effettività della tutela (C.d.S., IV, 27 settembre 2018, n. 5562; 11 gennaio 2019, n. 256, nonché, da ultimo, sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156).
Nel caso di specie questa conclusione ipotetica non può tuttavia formularsi. Come dimostrato in giudizio, l'interessato avrebbe potuto dedurre una serie di circostanze, nonché produrre la documentazione in premessa indicata, oggettivamente rilevante ai fini della valutazione finale dell'amministrazione, rimasta ancorata - giova ricordarlo - esclusivamente alla mera segnalazione del datore di lavoro.
Né può dirsi che nella materia della regolarizzazione per "emersione" il presupposto volontaristico del datore di lavoro sia così assorbente da rendere, ipso iure, inutile la partecipazione procedimentale dello straniero da regolarizzare, poiché se è ammissibile che il meccanismo della regolarizzazione sia affidato alla volontà unilaterale del datore, è invece contrario ad ogni principio di civiltà giuridica che il lavoratore straniero non possa neanche interloquire in sede procedimentale.
L'appello è pertanto accolto.
Avuto riguardo alle oscillazioni giurisprudenziali sussistenti, appare comunque equo compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, annulla l'atto impugnato con il ricorso introduttivo di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante ed il sig. [omissis].