Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 6 giugno 2019, n. 31937
Presidente: Fidelbo - Estensore: Aprile
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza sopra indicata la Corte di appello di Firenze dichiarava la inammissibilità della istanza di revocazione della confisca formulata, ai sensi dell'art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011, da Ivo F., Grazia Oretta B. e Katya F., in relazione al provvedimento ablatorio di beni immobili emesso il 5 febbraio 2016 nel procedimento di prevenzione riguardante il primo dei prevenuti dal Tribunale di Perugia, confermato con decreto del 1° marzo 2017 della Corte di appello di Perugia, divenuto oramai definitivo.
Rilevava la Corte fiorentina come gli istanti non avessero prospettato alcun elemento sopravvenuto tale da consentire la revocazione della confisca di prevenzione, avendo invece indicato circostanze e argomenti già vagliati in sede di applicazione di quella misura di prevenzione patrimoniale.
2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso l'avv. Giovanni Nunnari, quale difensore e procuratore speciale di Ivo F., Grazia Oretta B. e Katya F., deducendo la violazione di legge ed il vizio di motivazione per avere la Corte di appello toscana ingiustificatamente disatteso l'istanza di revocazione basata sulla evidenziazione di elementi idonei a dimostrare la mancanza originaria dei presupposti per l'applicazione di quella misura patrimoniale.
3. Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso perché presentato avverso ad un provvedimento non impugnabile, giusta il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione ed il silenzio sul punto serbato dall'art. 28 d.lgs. cit., a differenza di quanto stabilito in altri articoli del medesimo provvedimento legislativo a proposito della presentazione di un gravame avverso talune specifiche decisioni dell'autorità giudiziaria.
4. Con memoria depositata il 22 maggio 2019 il difensore dei ricorrenti è tornato a sostenere l'ammissibilità dell'atto di impugnazione in quanto formulato in osservanza della richiamata disciplina della revisione delle sentenze di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse dei due F. e della B. sia inammissibile, ma per ragioni diverse da quelle indicate dal Procuratore generale nella sua requisitoria.
2. Va preliminarmente esaminata la questione relativa alla ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento con il quale la corte di appello decide sulla richiesta di revocazione presentata ai sensi dell'art. 28 d.lgs. cit.
Tradizionalmente, con riferimento alla disciplina delle misure di prevenzione, nella giurisprudenza di legittimità si è valorizzato il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione, sostenendo che, salvi i casi eccezionali di abnormità della decisione, il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile solamente avverso quei provvedimenti per i quali la presentazione di tale gravame sia stata espressamente prevista. Ancora di recente, in relazione alla applicazione della previgente disciplina delle misure di prevenzione patrimoniali di cui alla l. n. 575 del 1965, si era ribadito come contro il provvedimento di reiezione dell'istanza di revoca del sequestro di prevenzione fosse ammissibile solo l'opposizione innanzi allo stesso giudice nelle forme dell'incidente di esecuzione e non anche il ricorso per cassazione (così, da ultimo, Sez. 2, n. 20237 del 21 aprile 2016, Lampada, Rv. 266892).
Alla medesima soluzione parrebbe condurre una interpretazione letterale dell'art. 27 del d.lgs. n. 159 del 2011 che, nel disciplinare specificamente le impugnazioni nella materia delle misure patrimoniali di prevenzione, non indica affatto il provvedimento che decide su una richiesta di revocazione tra quelli per i quali è previsto il ricorso alla corte di appello o quello in cassazione; considerato che non è rinvenibile nell'articolato di tale d.lgs. una disposizione analoga a quella contenuta nell'art. 59 che, a proposito della decisione del tribunale sulla composizione dello stato passivo nella procedura di prevenzione, riconosce espressamente la impugnabilità di quel provvedimento con ricorso per cassazione.
E tuttavia, ritiene questo Collegio che debba essere privilegiata la soluzione contraria.
In primo luogo va evidenziato che se nel nuovo sistema normativo disegnato dal "codice antimafia" del 2011 la decisione con la quale sia stata disposta l'applicazione di una misura di prevenzione personale conserva un carattere di definitività "allo stato degli atti", sicché, a mente dell'art. 11 d.lgs. cit., ne è sempre possibile la revoca laddove venga meno o muti uno degli presupposti di genesi della misura, il provvedimento con il quale sia stata disposta l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca è destinato ad acquisire un carattere di maggiore "stabilità": tant'è che a tale misura è riservata una diversa apposita disciplina, quella della revocazione, sostanzialmente modellata su quella dell'istituto dell'impugnazione straordinaria della revisione della sentenza di condanna; prevedendo l'art. 28 d.lgs. cit. la valorizzazione di prove decisive sopravvenute, di un possibile contrasto tra giudicati, della falsità di atti o di dichiarazioni, ovvero di un fatto che si accerti costituire un reato, al pari di quanto previsto dall'art. 630 c.p.p. Una interpretazione dell'art. 28 coerente alla sistematica generale dell'ordinamento processuale, induce, dunque, ad accreditare l'opzione preferita in questa sede.
In questa ottica appare riduttivo sostenere che il riferimento, contenuto nel comma 1 del predetto art. 28, alla presentazione della richiesta di revocazione "nelle forme" del solo art. 630 c.p.p., valga a significare che il rinvio alla disciplina codicistica riguardi esclusivamente le modalità di proposizione di quella istanza. Al riguardo, va osservato che una siffatta lettura avrebbe avuto un senso in relazione al testo originario di quella disposizione, non anche al testo come attualmente vigente che, per effetto della riscrittura operata dall'art. 7, comma 1, lett. a), della l. n. 161 del 2017, stabilisce ora un rinvio alle forme previste "dagli articoli 630 e seguenti del codice di procedura penale". Di talché, anche formalmente non vi sarebbe ragione per escludere, in relazione al provvedimento decisorio de quo, l'applicabilità dell'art. 640 dello stesso codice di rito che, come noto, prevede la ricorribilità per cassazione del provvedimento definitorio del giudizio di revisione. Né va dimenticato che la medesima novella del 2017 ha pure introdotto una ulteriore modifica, prevedendo per la decisione sulla richiesta di revocazione della confisca di prevenzione la competenza della corte di appello determinata ai sensi dell'art. 11 c.p.p., così accentuando il parallelismo con la disciplina codicistica della revisione delle sentenze di condanna.
Infine, anche a voler trascurare la - invero tutt'altro che ininfluente - circostanza che questa Corte si è più volte pronunciata su ricorsi per cassazione presentati avverso le decisioni aventi ad oggetto richieste di revocazione, così implicitamente riconoscendo l'ammissibilità del mezzo di impugnazione, va rimarcato che la scelta del legislatore del 2011 di "disegnare" con il più volte richiamato art. 28 uno specifico gravame straordinario riservato ai soli provvedimenti applicativi della misura patrimoniale della confisca di prevenzione, aveva avuto la finalità di svincolare tale istituto dalla sfera di operatività di quello della revoca dei provvedimenti applicativi delle misure di prevenzione personali, misure qualificate da maggiore instabilità del giudicato (essendo, sotto questo profilo, parificabili alle misure cautelari personali regolate dal codice di rito). In tal modo, si è inteso pacificamente assicurare al provvedimento reale ablatorio un connotato di maggiore definitività e irreversibilità, dunque di maggiore stabilità: con la conseguenza che, in ossequio ad una interpretazione sia costituzionalmente che convenzionalmente orientata della norma in parola, è davvero difficile immaginare che i diritti degli interessati possano considerarsi adeguatamente garantiti da un provvedimento decisorio, avente carattere di conclusività, escludendo che contro lo stesso sia proponibile il ricorso per cassazione per violazione di legge.
3. Il ricorso presentato da Ivo F., Grazia Oretta B. e Katya F. non supera, però, il vaglio preliminare di ammissibilità sotto altro diverso profilo.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale la "prova nuova", rilevante ai fini della revocazione ex tunc della misura di prevenzione della confisca ai sensi dell'art. 28, comma 1, lett. a), d.lgs. 159 del 2011, è solo quella scoperta (anche se preesistente) dopo che la misura è divenuta definitiva, o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile, ma non dedotta, nell'ambito del suddetto procedimento (così, tra le altre, Sez. 5, n. 28628 del 24 marzo 2017, Di Giorgio, Rv. 270238).
Di tale regula iuris la Corte di appello [di] Firenze ha fatto corretta applicazione rilevando come gli istanti, lungi dall'indicare realmente prove nuove sopravvenute, avessero riproposto una questione già vagliata dall'autorità giudiziaria umbra, al solo scopo di mettere in discussione l'esistenza originaria dei presupposti dell'ablazione a norma del comma 2 del citato art. 28, che però va letto non isolatamente ma in relazione alle tre ipotesi di revocazione previste dal precedente comma 1 dello stesso articolo. E ciò tenuto conto che la questione relativa al rapporto cronologico tra il periodo di manifestazione della pericolosità di Ivo F. ed il momento dell'acquisto del bene intestato alla di lui figlia Katya, all'epoca minorenne, aveva costituito specifico oggetto di diretta valutazione da parte prima del Tribunale e poi della Corte di appello di Perugia.
4. Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno a quella di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Depositata il 18 luglio 2019.