Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 13 maggio 2019, n. 3111

Presidente: De Felice - Estensore: Simeoli

FATTO

1. In punto di fatto va premesso quanto segue:

- la società General Logistics Systems Italy s.p.a. (di seguito "GLS") è una delle società attraverso cui General Logistics System BV, appartenente al Royal Mail Group, fornisce servizi di corriere espresso in 41 Paesi europei;

- la società - titolare di autorizzazione generale per l'esercizio dei servizi postali - detiene, in Italia, i diritti di utilizzazione dell'omonimo marchio, rivestendo la qualifica di affiliante (franchisor) del network di corrieri espressi esercenti l'attività di autotrasporto sotto il marchio GLS;

- gli affiliati (franchisees) al gruppo (in numero allo stato di 57) sono imprenditori autonomi e indipendenti che hanno stipulato con GLS singoli contratti di franchising con licenza di marchio GLS ("Affiliati") e che, fra gli affiliati, rientra GLS Enterprise s.r.l. ("GLS Enterprise"), totalmente partecipata da GLS;

- con ispezione avvenuta presso la sede di GLS nei giorni 15 e 16 dicembre del 2015, l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito "l'Autorità") ha avviato una verifica sull'attività svolta da GLS nonché sui suoi rapporti con le imprese GESC, GLS Enterprise e gli affiliati;

- da tale attività è emerso che GLS, GESC, i 56 affiliati, nonché terzi operatori non affiliati, di cui si avvalgono alcuni affiliati, agirebbero come «componenti di un unitario centro di organizzazione imprenditoriale per l'offerta al pubblico di servizi di corriere espresso» sottoposto al «totale controllo dello Stato di GLS;

- l'Autorità ha contestato alla società appellante le seguenti condotte:

i) l'aver affidato, nell'ambito del Gruppo GLS, l'attività di smistamento degli invii postali alla società controllata GESC, non munita, fino alla data del 18 marzo 2016, di autorizzazione generale (di cui agli artt. 6 del d.lgs. 261/1999 e 8 del Regolamento Titoli);

ii) l'avere affiliato, nell'ambito del Gruppo GLS, due società (MB Express e Sardegna Splendida Veloce) non munite di autorizzazione generale;

iii) l'avere coinvolto, tramite alcune delle società proprie affiliate, operatori terzi (non affiliati GLS) non muniti di autorizzazione generale, a cui è stata affidata parte delle attività connesse alla fornitura di servizi postali;

- secondo l'Autorità, le clausole del Contratto e del Regolamento «inequivocabilmente attribuiscono a GLS il ruolo di società capogruppo, dotata di penetranti poteri di direzione e di coordinamento» degli affiliati i quali, «pur essendo soggetti giuridici distinti, solo entro certi limiti sono in grado di determinare autonomamente le modalità di gestione dell'attività»; stante tali «poteri decisori e di controllo», GLS avrebbe dovuto doverosamente assicurare che tutte le imprese coinvolte nel network «siano in regola con le prescrizioni della normativa di settore in materia di titoli abilitativi all'esercizio di attività postale»;

- su queste basi, in data 2 marzo 2017, l'Autorità ha accertato la violazione da parte di GLS «degli obblighi inerenti all'autorizzazione generale per le 21 fattispecie» indicate nel Provvedimento con applicazione, «per ciascuna di esse», della sanzione amministrativa di cui all'art. 21, comma 7, del d.lgs. n. 261 del 1999 per un totale di euro 193.000,00;

- l'Autorità ha altresì diffidato GLS, ai sensi dell'art. 21, comma 7-ter, del d.lgs. n. 261 del 1999, «dal porre in essere ulteriori comportamenti in violazione degli obblighi inerenti l'autorizzazione generale, mantenendo in essere, oltre il termine di 30 giorni dalla comunicazione del presente provvedimento, rapporti di affiliazione con società non abilitate all'esercizio dell'attività postale, ovvero con società che, per l'erogazione dei servizi postali a marchio GLS, si avvalgono di operatori terzi privi di titolo ad esercitare l'attività postale».

1.1. GLS ha impugnato innanzi al T.a.r. la predetta sanzione, sollevando le seguenti censure:

i) il provvedimento muoverebbe dall'erroneo presupposto che anche i servizi di corriere espresso, in quanto «servizi postali a valore aggiunto» ex art. 1, comma 1, lettera i), del Regolamento Titoli, siano sottoposti al regime dell'autorizzazione generale di cui agli artt. 6 del d.lgs. n. 261 del 1999 e 8 del Regolamento Titoli, ciò in contrasto con la direttiva 97/67/CE;

ii) il provvedimento non indicherebbe il titolo giuridico e gli elementi oggettivi in base ai quali GLS dovrebbe rispondere per violazioni commesse da soggetti terzi, in violazione dei principi generali di legalità, tassatività e personalità della responsabilità dettati in materia sanzionatoria dall'art. 6 della l. n. 689 del 1981;

iii) in presenza di soggetti dotati di indipendenza giuridica ed economica, che svolgono il servizio postale in modo autonomo, l'Autorità avrebbe dovuto sanzionare esclusivamente i diretti responsabili del mancato possesso del titolo;

iv) le previsioni contrattuali, in quanto rilevanti solo inter partes, non potrebbero essere elevate al rango di obblighi passibili di sanzione amministrativa in caso di loro violazione;

v) poiché la l. n. 129 del 2004 riconosce l'affiliazione commerciale come un contratto, comunque denominato, fra soggetti giuridici «economicamente e giuridicamente indipendenti», GLS non potrebbe rispondere per violazioni commesse da soggetti terzi anche estranei al franchising;

vi) nessuna norma consentirebbe all'Autorità di diffidare e irrogare la sanzione che è stata applicata;

vii) in via subordinata, la sanzione irrogata in merito alla mancanza del titolo da parte di GESC sarebbe eccessiva e sproporzionata.

2. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza 19 luglio 2018, n. 8151, ha respinto integralmente il ricorso.

3. Avverso la predetta sentenza ha quindi proposto appello la società General Logistics Systems Italy s.p.a., riproponendo nella sostanza le medesime censure proposte in primo grado, sia pure adattate all'impianto motivazione della sentenza gravata.

4. Si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed il Ministero dello sviluppo economico.

5. All'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2019, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il primo motivo di appello - incentrato sulla violazione della direttiva 97/67/CE - è infondato.

1.1. Lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari - in precedenza sottratto alle norme di concorrenza e caratterizzato dalla presenza di monopoli legali verticalmente integrati - è stato avviato dall'Unione europea con la direttiva 97/67/CE (modificata con la direttiva 2008 giugno CE), imponendo agli Stati membri l'abolizione (in via «progressiva e controllata») di qualsiasi forma di monopolio, di riserva e di diritti speciali nel settore.

In base all'art. 1, comma 1, del d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261 - recante l'attuazione della predetta direttiva 97/67/CE e per il miglioramento della qualità del servizio - la fornitura dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali nonché la realizzazione e l'esercizio della rete postale pubblica costituiscono attività di preminente interesse generale. Su queste basi, vengono prefigurati diversi livelli di regolazione: sono previste attività in principio liberalizzate ma in relazione alle quali, per la particolare configurazione che presenta la realtà dei fattori del mercato con i relativi effetti, è necessario garantire il carattere comunque universale del servizio (art. 3 del d.lgs. n. 261 del 1999); sono previste attività liberalizzate che non richiedono l'imposizione di specifici obblighi di servizio pubblico (art. 6); era prevista una riserva legale di attività per "esigenze di ordine pubblico" con riferimento alle attività di notificazione, a mezzo posta, di atti giudiziari e di atti di accertamento della violazione del Codice della strada, la quale è però venuta meno, ai sensi dell'art. 1, comma 57, della l. 4 agosto 2017, n. 124, a decorrere dal 10 settembre 2017.

1.2. L'art. 9, paragrafo 1, della direttiva 97/67 consente agli Stati membri di assoggettare le imprese del settore postale ad autorizzazioni generali per i servizi che esulano dall'ambito di applicazione del servizio universale, mentre il paragrafo 2, primo comma, del suddetto articolo, prevede la facoltà per gli Stati membri di introdurre procedure di autorizzazione per i servizi che rientrano nell'ambito di applicazione del servizio universale. Inoltre, l'art. 9, paragrafo 2, secondo comma, della citata direttiva, elenca gli obblighi ai quali può essere subordinato il rilascio di autorizzazione, senza che sia possibile dedurre dal suo disposto a quale categoria di autorizzazioni - quelle relative a tutti i servizi postali o quelle che riguardano solo i servizi che rientrano nell'ambito del servizio universale - si riferisce tale comma (cfr. Corte di giustizia, sentenza del 16 novembre 2016, in C-2/15). L'art. 2, punto 19, della medesima direttiva, prima di elencare dette esigenze in modo tassativo, le definisce come motivi di interesse generale e di natura non economica che possono portare uno Stato membro ad imporre condizioni in materia di fornitura di servizi postali.

Sennonché, la normativa interna di attuazione, all'art. 6 del d.lgs. n. 261 del 1999, sembrava imporre, indistintamente e automaticamente, alle imprese che offrono servizi postali esulanti dal servizio universale di disporre di una autorizzazione generale - definita dall'art. 1, comma 2, lettera q), dello stesso d.lgs. come: «ogni autorizzazione che non richiede al fornitore di un servizio postale interessato di ottenere una esplicita decisione da parte dell'amministrazione competente prima dell'esercizio dei diritti derivanti dall'autorizzazione, indipendentemente dal fatto che questa sia regolata da una licenza per categoria o da norme di legge generali e che sia prevista o meno per essa una procedura di registrazione o di dichiarazione» -, senza che fosse previamente verificata la necessità di un'autorizzazione del genere al fine di garantire il rispetto di almeno una fra le esigenze essenziali. I dubbi di compatibilità con il diritto europeo suscitati dalla formulazione della disposizione sono stati tuttavia fugati dalla Corte di giustizia.

1.3. In primo luogo, la Corte di giustizia, con sentenza 31 maggio 2018, in C-259/16 e C-260/16, ha confermato la legittimità dell'inquadramento del servizio di «corriere espresso» nell'ambito dei servizi postali, ai sensi della direttiva 97/67/CE e la sottoposizione di tale attività all'autorizzazione generale. Infatti, benché sia possibile operare una distinzione fra il servizio universale e il servizio di corriere espresso, basata sulla sussistenza o meno di un valore aggiunto fornito ai clienti, per il quale essi accettano di pagare di più (in tal senso, la sentenza 15 giugno 2017, in C-368/15), è dirimente constatare che un simile criterio di differenziazione è del tutto privo di rilevanza quanto alla natura dei servizi elencati all'art. 2, punto 1, della direttiva 97/67. La circostanza, quindi, che detti servizi apportino, eventualmente, un valore aggiunto non è tale da far venir meno la loro qualità di «servizi postali», ai sensi della menzionata disposizione.

1.4. Sotto altro profilo, la stessa Corte di giustizia ha rilevato che la normativa nazionale italiana, la quale impone alle imprese (non solo di autotrasporto e di spedizione, ma anche) di corriere espresso di disporre di un'autorizzazione generale per la fornitura di servizi postali, è giustificata da due esigenze essenziali elencate all'art. 2, punto 19, della direttiva 97/67, e segnatamente: il rispetto delle condizioni di lavoro e dei sistemi previdenziali (come si desume dagli artt. 6, comma 3, e 18-bis del d.lgs. n. 261 del 1999, e dagli artt. 10 e 11, comma 1, lettera b, del regolamento in materia di titoli abilitativi) e la riservatezza della corrispondenza (come si desume dall'art. 10, comma 8, del regolamento in materia di titoli abilitativi).

1.5. Sulla scorta degli elementi ermeneutici forniti dalla stessa Corte di giustizia, deve altresì ritenersi che la normativa italiana, oltre che giustificata dalle predette esigenze essenziali, neppure eccede quanto necessario per raggiungere l'obiettivo perseguito, anche tenuto conto che l'autorizzazione generale è considerata come concessa 45 giorni dopo la ricezione, da parte delle autorità competenti, dell'istanza dell'impresa interessata. L'appellante, del resto, non indica con precisione quali siano gli obblighi imposti dalla normativa in discussione nei procedimenti principali che potrebbero risultare sproporzionati, tranne quello relativo al finanziamento del servizio universale.

2. Con il secondo ordine di censure - che in sostanza ripropongono il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso di primo grado, da trattarsi congiuntamente attesa la loro connessione argomentativa -, l'appellante sostiene che a GLS non potrebbe essere imputata alcuna responsabilità giuridica per le attività dei terzi (quale è la mancanza del titolo autorizzativo) per omessa vigilanza sul rispetto, da parte degli operatori affiliati, della normativa di settore in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'attività postale. Le imprese che fanno parte del gruppo GLS sono soggetti autonomi e indipendenti, godendo di libertà imprenditoriale nella gestione dell'attività, per la quale devono, pertanto, munirsi di un proprio titolo abilitativo, cosicché sarebbe necessario imputare ogni condotta soltanto in capo al soggetto direttamente responsabile.

Viene inoltre dedotto che, a prescindere dalla qualificazione del network in termini di franchising (come sostenuto dall'appellante) ovvero di gruppo societario (come preteso dall'Autorità), nessuna responsabilità potrebbe esserle attribuita per l'omesso possesso del titolo abilitativo da parte di terzi, in ragione dei principi in materia di sanzioni amministrative e della precipua normativa adottata dall'Autorità in materia di titoli abilitativi. Si aggiunge che gli asseriti oneri di vigilanza e controllo in capo a GLS sarebbero stati fatti discendere da mere facoltà contrattuali, laddove un tale compito sarebbe spettato unicamente all'Autorità preposta al controllo dei titoli abilitativi.

2.1. Va premesso che non sono contestate tra le parti le seguenti risultanze istruttorie:

- fino al 18 marzo 2016 il consorzio GESC, che nell'ambito del gruppo risultava preposto (secondo quanto riportato nel verbale dell'ispezione del 15 e 16 dicembre 2015) all'attività di smistamento dei pacchi e della corrispondenza anche provenienti e/o diretti dall'estero, ed era legata a GLS da un contratto di affitto d'azienda stipulato, non possedeva il prescritto titolo abilitativo;

- la mancanza del titolo abilitativo da parte delle società affiliate MB Express e Sardegna Splendida Veloce;

- la mancanza di titolo abilitativo in capo a 121 soggetti che, pur non essendo affiliati, svolgono fasi del servizio di corriere espresso su incarico di n. 20 licenziatari GLS.

2.2. La tesi dell'Autorità, avallata dal giudice di primo grado, può così compendiarsi:

- i diversi soggetti appartenenti al «gruppo» che svolgono le varie fasi del servizio postale gestito da GLS, sebbene distinti dal punto di vista giuridico, sono strettamente connessi, in modo da assicurare che la fornitura del servizio sia diretta e controllata da un «unico centro decisionale» in grado di assicurare uniformità nelle modalità di svolgimento e nei livelli qualitativi del servizio;

- al di là del mero dato formale degli assetti intraziendali, si tratta di una rete che non si risolve nella mera affiliazione commerciale e nell'uso di un determinato marchio (secondo la formula ordinaria del franchising), bensì è caratterizzata dall'esercizio concreto di una «direzione unitaria» da parte di GLS, con un forte potere di controllo sulla gestione dell'attività da parte degli altri soggetti del gruppo, funzionale ad assicurare i servizi postali forniti dal gruppo;

- nei settori regolati, come quello postale, la «società capogruppo» ha l'obbligo di verificare il corretto adempimento della regolamentazione adottata dall'Autorità di regolazione;

- attesi gli ampi poteri di controllo nei confronti delle «società del gruppo», GLS avrebbe potuto verificare il possesso dei titoli da parte di tutti i componenti della rete di impresa, o, comunque adottare opportune ed efficaci direttive volte ad assicurare che tutti gli operatori della filiera fossero in possesso delle abilitazione necessarie ad operare nel mercato dei servizi postali.

2.3. Ritiene il Collegio che tali statuizioni sono erronee sotto un duplice ordine di profili.

3. In primo luogo, il meccanismo di imputazione in capo a GLS delle attività poste in essere da tutte le altre imprese coinvolte nel servizio di corriere è rimasto privo di giustificazione giuridica.

3.1. L'insistito richiamo alla nozione di «gruppo» societario è fuorviante.

È noto che il legislatore non ha inteso dettare, né una nozione di gruppo (espressione che fa solitamente riferimento al fenomeno per cui imprese societarie formalmente autonome e indipendenti sono soggette a direzione unitaria, integrando un'unica impresa sotto il profilo economico), né una sua disciplina organica, bensì introdurre regole di responsabilità delle società o degli enti per abuso di direzione unitaria (la quale ricorre, ai sensi dell'art. 2497 c.c., in presenza dei seguenti presupposti: l'attività di direzione e coordinamento; la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale; l'agire nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui; il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione; la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società; il nesso di causalità).

La sussistenza della direzione unitaria comporta una serie di ulteriori effetti organizzativi, quali: obblighi pubblicitari e informativi (art. 2497-bis c.c.); obbligo di motivazione delle decisioni influenzate dalla direzione unitaria (art. 2497-ter c.c.); diritto di recesso al ricorrere di specifici presupposti (art. 2497-quater c.c.); l'applicazione ai finanziamenti infragruppo delle norme sui finanziamenti soci di s.r.l. (art. 2497-quinquies c.c.).

In definitiva, il gruppo societario è considerato come un "fatto", coincidente con l'attività di direzione e coordinamento, rispetto al quale si pongono particolari esigenze di disciplina, sia sotto il profilo organizzativo, sia (soprattutto) sotto il profilo della tutela dei soci di minoranza e dei creditori della società dipendente.

Ebbene, nel caso in esame - sulla scorta dei fatti allegati in giudizio - non risulta che tra GLS e le altre imprese affiliate sussista quella situazione di controllo azionario di diritto o di fatto (art. 2359, comma 1, c.c.), in presenza della quale era lecito presumere ex lege (art. 2497-sexies, c.c.) una attività di direzione e coordinamento esercitata dalla società controllante (attività che costituisce un quid pluris rispetto al mero esercizio del controllo). Non operando tale presunzione, l'attività di direzione doveva essere dimostrata in concreto.

Neppure sono stati forniti elementi sufficienti a ritenere integrata la fattispecie del controllo contrattuale di cui all'art. 2497-septies, c.c. È necessario fornire sul punto qualche precisazione aggiuntiva.

3.2. La l. 6 maggio 2004, n. 129, ha introdotto una serie di disposizioni relative al contratto di franchising, denominato contratto di «affiliazione commerciale», con il quale un imprenditore inserisce un altro imprenditore nella propria catena distributiva, determinando un forte grado di integrazione e cooperazione. Il tipo contrattuale in esame costituisce espressione della tendenza, diffusasi negli ultimi anni, verso uno sviluppo «a rete» dell'impresa, la quale ha condotto allo «scorporo» di alcune fasi distributive (ma anche produttive: è il caso alla c.d. subfornitura) della grande impresa.

La disciplina introdotta dal legislatore intende delineare un quadro normativo di riferimento al fine di garantire uno sviluppo razionale del fenomeno collaborativo tra imprese di struttura e forza contrattuale diverse (connotate, nella maggioranza dei casi, da uno squilibrio informativo tra affiliante e aspirante affiliato). Del franchising il legislatore ha inteso fissare la nozione, il contenuto e la durata minima, gli obblighi delle parti, le sanzioni in caso di comunicazioni di informazioni false in fase di trattative precontrattuali. Il fondamento è quello di garantire, nella fase prodromica alla stipula del contratto di affiliazione commerciale, la trasparenza e la tutela dell'affidamento delle parti, e in particolare dell'aspirante affiliato, di regola soggetto «debole» del rapporto, il quale deve essere messo in condizione di conoscere preventivamente le informazioni essenziali relative al contratto che andrà a stipulare, al fine di prevenire comportamenti scorretti e favorire uno spirito di leale collaborazione tra le parti.

Ebbene, non tutti i contratti del tipo anzidetto - sol perché disciplinano una collaborazione strutturata tra soggetti economicamente e giuridicamente indipendenti - danno luogo ad una attività di direzione, ben potendo limitarsi a disciplinare una particolare forma di divisione del lavoro tra grandi aziende e imprese di dimensioni medio-piccole (c.d. «affidamento in outsourcing»), in cui gli affiliati sono incaricati di svolgere l'attività di distribuzione di beni o servizi di un altro imprenditore (nel caso in esame, ad esempio, il ciclo di lavorazione che caratterizza il servizio fornito da GLS prevede che il pacco del singolo utente sia lavorato, nella fase di raccolta dall'impresa x, nella fase di trasporto dall'impresa y, nella successiva fase di smistamento dall'impresa z, nella fase di recapito da altra impresa ancora).

Il collegamento "gerarchico" tra società è ravvisabile solo al cospetto di un contratto, in forza del quale più società autonome si «assoggettano» all'attività di direzione e coordinamento di una di esse. Ma, a tal fine, non sono sufficienti gli elementi addotti dall'Autorità, quali: l'unitarietà dell'immagine fornita, il marchio unitario, il sistema di tracciatura, l'omogeneità e l'uniformità del prodotto, l'esistenza di una rete per la tracciatura dei pacchi, le clausole che obbligano gli affiliati a svolgere l'attività in una zona circoscritta del territorio nazionale. L'attività di direzione - sebbene non necessiti della totale eterodirezione delle singole imprese - richiede pur sempre l'esercizio di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell'impresa, cioè sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali. In mancanza di tali presupposti, è dato ravvisare una attività di mero coordinamento, consistente nel realizzare un sistema di sinergie tra società diverse.

3.3. In definitiva, la sussistenza dell'attività di direzione e coordinamento - posta dal provvedimento impugnato a fondamento della sanzione - avrebbe dovuto essere accertata in fatto (non operando, come si è detto sopra, il sistema di presunzioni). L'Autorità avrebbe dovuto contestare atti formali a carattere negoziale (quali deliberazioni o accordi contrattuali, tra le società interessate), o anche di mero indirizzo (quali ordini di servizio, istruzioni, regole di comportamento), purché idonei ad influenzare significativamente le scelte gestionali della società.

Anzi, nella vicenda per cui è causa, sono stati forniti elementi di segno contrario alla tesi dell'assoggettamento contrattuale. Basti pensare che: il contratto non fissa alcun parametro in relazione al prezzo che i singoli affiliati applicano agli utenti (il punto 6 della Carta dei Servizi, stabilisce che «il prezzo del servizio è rimesso al tipo di servizio offerto ed è soggetto a libera contrattazione»); non risultano clausole contrattuali che assegnino a GLS speciali prerogative nell'esternalizzazione da parte degli affiliati di parte dei servizi di loro spettanza in favore dei terzi non affiliati.

4. Ma anche prescindere dalla fonte (rimasta indimostrata) del potere di direzione e coordinamento, la fattispecie sanzionatoria per omesso controllo applicata dall'Autorità (GLS avrebbe omesso di vigilare sul rispetto, da parte degli affiliati e terzi non affiliati, della normativa di settore in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'attività postale) non ha sufficiente base legale.

4.1. La Corte costituzion[al]e ha precisato come, dall'art. 25 della Carta, data l'ampiezza della sua formulazione, debba desumersi il principio secondo cui «tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto» (sentenza n. 196 del 2010; in senso analogo anche le sentenze n. 276 del 2016 e n. 104 del 2014). Per quanto tali affermazioni siano state formulate con riferimento a uno dei corollari del principio di legalità, quello dell'irretroattività delle norme incriminatrici, tuttavia, esse sono parimente da riferire ad altro corollario di detto principio: il principio di tassatività e determinatezza delle norme sanzionatorie (in tal senso, la sentenza della Corte n. 121 del 2018).

Ad irrobustire le garanzie connesse al principio di legalità e delle tutele procedimentali e giurisdizionali, sta poi la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. La nozione "sostanziale" enucleata dalla Corte di Strasburgo - legata a tre criteri alternativi tra loro: la qualificazione dell'illecito operata dal diritto nazionale; la natura della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente; la severità, ovvero la gravità del sacrificio imposto - comporta infatti l'applicazione di garanzie molto significative (il diritto al giusto processo in materia civile e penale, di cui all'art. 6; l'applicazione del principio nulla poena sine lege, di cui all'art. 7, e del principio ne bis in idem, ai sensi dell'art. 4, par. 1, del Protocollo n. 7) anche per l'emanazione di sanzioni amministrative.

La sanzione pecuniaria di cui si discute - la quale ha natura «penale» ai sensi dell'art. 7 della CEDU, in ragione della dimensione intrinsecamente «afflittiva» del suo importo complessivo - può venire disposta, nel rispetto del canone di prevedibilità e accessibilità della condotta sanzionabile, soltanto «nei casi e per i tempi» considerati dalla legge (art. 1 della l. 24 novembre 1981, n. 689).

4.2. Sennonché, la norma applicata - segnatamente: l'art. 21, comma 7, del d.lgs. n. 261 del 1999, secondo cui «[c]hiunque violi gli obblighi inerenti alla autorizzazione generale è punito con la sanzione pecuniaria amministrativa da cinquemila euro a centomila euro» -, non prevede alcuna forma di responsabilità in capo a soggetti diversi da quelli che abbiano omesso di dotarsi del necessario titolo abilitativo.

Anche qualora si reputasse possibile - in contrasto con i richiamati canoni di tassatività e determinatezza - estendere la portata dalla disposizione fino ad includere anche la culpa in vigilando di soggetti diversi da quelli che abbiano direttamente violato l'obbligo di munirsi del titolo, vale la pena osservare che comunque difetterebbe il correlativo "obbligo di garanzia" in capo all'odierna appellante: sia la l. n. 129 del 2004, sia le norme del codice civile sul gruppo societario, non prevedono in capo al franchisor e alla società controllante un obbligo di verifica circa il possesso da parte dei franchisees e delle società controllate delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento delle rispettive attività economiche.

5. Da ultimo, va rimarcato che il Collegio reputa assai grave la presenza sul mercato di operatori "abusivi". Ritiene tuttavia che - in assenza di base legale - di tale violazione debbano rispondere direttamente coloro che hanno omesso il conseguimento del titolo abilitativo necessario.

6. Per le ragioni che precedono, l'appello risulta fondato e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado deve essere accolto.

Possono assorbirsi gli ulteriori motivi di appello, atteso che dal loro accoglimento la società appellante non ricaverebbe utilità sostanziali ulteriori rispetto a quelle già derivanti dall'illegittimità accertata.

6.1. Le spese di lite del doppio grado di giudizio vanno compensate, in considerazione dell'indubbia difficoltà ricostruttiva della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 8106 del 2018, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado.

Compensa interamente tra le parti le spese di lite del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.