Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 19 febbraio 2019, n. 4861

Presidente: Tirelli - Estensore: Terrusi

FATTI DI CAUSA

1. Con la decisione 2008/854-CE, la Commissione europea dichiarava che gli aiuti, concessi nell'ambito del regime di sovvenzioni in favore di investimenti iniziali nell'industria alberghiera in Sardegna, di cui alla l.r. 11 marzo 1998, n. 9, erano incompatibili con il mercato comune. Invero il regime di aiuti era stato autorizzato dalla medesima Commissione (con la decisione n. D9547 del 12 novembre 1998) alla condizione che gli investimenti, relativi al progetto iniziale, fossero realizzati dopo la presentazione dell'afferente domanda da parte dell'impresa interessata, mentre alfine taluni dei contributi in questione erano stati dalla Regione Sardegna concessi per progetti d'investimento iniziati prima di quel momento. Per conseguenza la Commissione imponeva alla Repubblica italiana di procedere al recupero, presso i singoli beneficiari, degli aiuti dichiarati incompatibili.

In esito a tale decisione la Regione Sardegna disponeva la sospensione delle erogazioni pendenti; dopodiché impugnava, però, la decisione medesima dinanzi agli organi giurisdizionali dell'Unione.

Il ricorso veniva definitivamente rigettato dalla Corte di giustizia CE con la sentenza 13 giugno 2013 (cause riunite C-631/11 e C-633/11).

Medio tempore interveniva un'altra decisione della Corte di giustizia (la sent. 29 marzo 2012, in causa C-243/10) con la quale la Repubblica italiana veniva dichiarata inadempiente agli obblighi su di essa gravanti ai sensi della decisione 2008/854-CE. Cosicché la Regione provvedeva a notificare ai singoli beneficiari degli aiuti dichiarati incompatibili, e tra questi alla Nicos Residence s.r.l., un'ordinanza-ingiunzione per ottenere la restituzione del contributo erogato, oltre interessi.

2. La società - che aveva già impugnato dinanzi al Tar il provvedimento regionale di sospensione delle erogazioni pendenti e l'ulteriore successivo provvedimento regionale di revoca - proponeva opposizione, deducendo la violazione del principio del legittimo affidamento da parte della Regione e la responsabilità della stessa per i danni in tal modo cagionati, danni che faceva valere in compensazione con la pretesa restitutoria della Regione medesima. Ben vero giova dire il Tar della Sardegna (prima) e il Consiglio di Stato (poi), quest'ultimo con sentenza n. 2848 del 2015, rigettavano, durante la pendenza del giudizio civile, il ricorso della società avverso gli atti suddetti.

3. L'adito tribunale di Cagliari rigettava l'opposizione, ritenendo che, col passaggio in giudicato delle citate decisioni della Corte di giustizia e del Consiglio di Stato, fosse stata definitivamente accertata la legittimità dei provvedimenti di revoca dei contributi previsti dalla l.r. n. 9 del 1998.

Il gravame della società veniva invece parzialmente accolto dalla corte d'appello di Cagliari, la quale osservava che la società aveva diritto a usufruire della tutela connessa al legittimo affidamento indotto dalla stessa Regione. Dalle delibere di giunta conseguenti alla primaria decisione della Commissione europea che aveva autorizzato gli aiuti de quibus, attuative della l.r. n. 9 del 1998, era difatti emerso che le menzionate direttive erano state adottate in palese e consapevole violazione della decisione comunitaria, cosicché era stato diffuso tra gli operatori economici del settore, attraverso la pubblicazione dei citati atti, il convincimento che era possibile in verità beneficiare di un regime transitorio in contrasto con le condizioni poste dalla UE, col fine di accedere agli incentivi anche per interventi effettuati prima della domanda. In particolare la Regione aveva in un primo momento provveduto ad annullare tali atti (con delibera di giunta n. 33/4 del 2000) ripristinando il rispetto delle condizioni citate, ma aveva poi (con successiva delibera n. 33/6 del 2000) introdotto una espressa deroga alla condizione originariamente imposta, con l'esplicito fine di scongiurare possibili contenziosi in ragione (proprio) del legittimo affidamento ingenerato tra le imprese fruitrici. E con ciò aveva quindi dato prova di essere consapevole sia della procurata violazione della decisione comunitaria sia, nel contempo, del legittimo affidamento - come d'altronde palesato anche da successive note inviate alla Commissione europea.

La corte d'appello escludeva, in simile sequela di circostanze, che fosse addebitabile alla società l'inadempimento di un qualche aggiuntivo e più stringente onere di diligenza, essa non avendo avuto motivo di dubitare della legittimità degli atti posti in essere dall'amministrazione regionale in esito alla notifica alla Commissione europea dei progetti modificativi del regime di aiuti.

Ulteriormente la corte territoriale escludeva che la contropretesa della società fosse preclusa dal giudicato formatosi in sede comunitaria ovvero in sede nazionale. Da un lato, osservava che il Consiglio di Stato aveva messo in luce che la buona fede dei beneficiari poteva rilevare "ai fini della decurtazione degli interessi dal quantum recuperabile"; dall'altro, soggiungeva che non vi era stata pronuncia nelle sedi giurisdizionali europee circa l'esistenza di un possibile affidamento dell'impresa "in ordine alla legittimità dell'azione amministrativa regionale", essendo stata sia dal Tribunale di I grado della UE sia dalla Corte di giustizia esclusa solo "la sussistenza del legittimo affidamento quale indotto dagli organi dell'Unione"; per converso dalle motivazioni delle sentenze era implicitamente autorizzata l'affermazione di un eventuale affidamento ingenerato dalla condotta della Regione Sardegna, affidamento suscettibile di essere apprezzato semmai da parte dei giudici nazionali.

Sennonché, ferma l'astratta risarcibilità dei danni in tal senso cagionati dalla Regione e fermo l'annullamento dell'ordinanza-ingiunzione, la corte del merito rigettava, infine, la pretesa risarcitoria opposta in compensazione perché sfornita di prova ai fini della determinazione del quantum risarcibile.

In considerazione della buona fede della beneficiaria, legata all'indotto legittimo affidamento sulla legittimità del contributo, reputava invece non dovuti gli interessi contabilizzati dalla data di erogazione del contributo medesimo e detraeva il conseguente importo dalla somma ingiunta. Infine, ai sensi dell'art. 2033 c.c., dichiarava dovuti gli interessi sulla sorte capitale del contributo a far data dalla notifica dell'ordinanza-ingiunzione.

4. Per la cassazione della sentenza la Regione Sardegna ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

La società non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Col primo motivo del ricorso principale la Regione Sardegna deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. con riguardo al giudicato esterno formatosi a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 2848 del 2015. La ricorrente in particolare reputa l'affermazione della buona fede della società percipiente preclusa dal suddetto giudicato.

Col secondo motivo la Regione ulteriormente deduce la violazione dell'art. 2909 c.c. con riguardo al giudicato esterno formatosi a seguito della sentenza del Tribunale di I grado della UE in data 20 settembre 2011 (cause riunite T-394/08, T-404/08, T-453/08, T-454/08), atteso che tale sentenza non era stata impugnata dalla società ricorrente a differenza degli altri operatori interessati dall'aiuto di Stato, i ricorsi dei quali erano stati peraltro respinti dalla Corte di giustizia.

Col terzo motivo infine la Regione denunzia la violazione o falsa applicazione dell'art. 2033 c.c. e degli artt. 107 e 108 del TFUE, nonché degli artt. 14 e 20 del Regolamento (CE) 22 marzo 1999, n. 659, e della decisione della Commissione europea n. 2008-854/CE, per avere la sentenza ritenuto non dovuti gli interessi sulla sorte capitale erogata a titolo di aiuti di Stato illegittimi, a fronte invece di quanto implicato dalla citata normativa europea in ordine al principio di effettività.

II. È nel senso che segue fondato il terzo motivo di ricorso, il cui esame si rivela assorbente.

III. La corte d'appello di Cagliari ha, per quanto rileva, motivato la decisione affermando che era stato violato dalla Regione, per i fatti sopra sintetizzati, l'art. 108, terzo comma, del TFUE, norma preordinata a conferire diritti ai singoli. Ne derivava la gravità in sé della violazione del diritto unionale e la sussistenza di un nesso causale tra la violazione e il danno potenzialmente causato ai beneficiari, siccome direttamente riconosciuto dalla stessa amministrazione regionale nell'adozione degli atti illegittimi e dei chiarimenti resi agli organi dell'Unione (Commissione e Giudici). Se infatti la Regione avesse approntato un regime attuativo degli aiuti uniformandosi al divieto imposto dalla Commissione europea, la società non avrebbe ottenuto il contributo; nel contempo però se la Regione non avesse rassicurato i beneficiari, né avesse pubblicato atti modificativi del regime di aiuti previsto, senza preventiva ratifica della Commissione, la società non sarebbe stata indotta a confidare nell'accesso all'aiuto illegalmente assicurato, potendosi determinare verso altri strumenti di agevolazione (ben vero in sentenza non specificamente indicati), né avrebbe assunto impegni in vista dell'ottenimento del contributo o in funzione della formulazione della domanda.

Peraltro, all'esito di siffatta valutazione, sebbene affermando (in ossequio alla giurisprudenza comunitaria) la piena compatibilità tra il recupero dell'aiuto di Stato illegalmente concesso e l'azione di risarcimento dei danni, la corte d'appello ha respinto la domanda risarcitoria (e dunque ha negato la valenza del credito opposto in compensazione) poiché era mancata la prova del danno in effetti risarcibile, non essendo stato idoneamente allegato alcun elemento suscettibile di concorrere alla sua determinazione.

L'unica cosa che la corte territoriale ha ritenuto di poter apprezzare è stata la buona fede della beneficiaria, "legata al suo legittimo affidamento sulla legittimità del contributo"; donde erano da considerare non dovuti "gli interessi contabilizzati dalla data di erogazione del contributo", per la somma specificamente indicata in sentenza, il cui ammontare si sarebbe dovuto detrarre dall'importo ingiunto.

IV. Ora la valutazione relativa all'affidamento, quale base di affermazione della buona fede ai sensi dell'art. 2033 c.c., è (nella sentenza) mal posta, non tanto in relazione al giudicato - asseritamente preclusivo - discendente dalle decisioni assunte dal giudice amministrativo e dalla Corte di giustizia, quanto perché in sé contrastante con l'orientamento pacificamente emerso nella giurisprudenza nazionale ed europea a proposito della configurazione di tale affidamento.

V. È il caso di premettere che nell'art. 107 del TFUE sono specificati i requisiti costitutivi della nozione di aiuto incompatibile con il mercato interno, come tale vietato.

L'aiuto è incompatibile quando (i) sul piano soggettivo provenga dallo Stato o sia comunque attuato con risorse dello Stato, ferma la rilevanza a tal riguardo di un concetto di "Stato" inteso in senso ampio, comprensivo di ogni autorità pubblica, sia essa centrale, regionale o locale; (ii) sul piano oggettivo attribuisca un vantaggio economico all'impresa beneficiaria, incidendo sugli scambi tra gli Stati membri (cfr. C. giust., 15 dicembre 2005, C-66/02) ovvero falsando la concorrenza; (iii) ancora sul piano oggettivo si tratti di misura selettiva, ossia tesa a beneficiare talune imprese o talune forme di produzione, con esclusione, pertanto, di interventi generali di politica economica rivolte indistintamente a tutti.

A sua volta l'art. 108 del TFUE attribuisce alla Commissione europea il compito di accertare la compatibilità o meno degli aiuti con il mercato interno a norma del precedente art. 107, e stabilisce che, tanto nell'ipotesi in cui si constati la predetta incompatibilità, quanto nell'ipotesi in cui si accerti che l'aiuto è stato attuato in modo abusivo, la Commissione fissa un termine entro il quale lo Stato interessato deve procedere alla soppressione o alla modifica dell'aiuto (par. 2). Nel contempo prevede che alla Commissione siano comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, tutti i progetti diretti a istituire o modificare aiuti e che lo Stato membro interessato non possa dare esecuzione alle misure progettate prima della decisione della Commissione (c.d. clausola di sospensione) (par. 3).

VI. Più volte è stato affermato che, in ipotesi di aiuti concessi in violazione dell'art. 108 del TFUE, incombe in ogni caso sul beneficiario dell'aiuto un obbligo di diligenza consistente nel verificare direttamente il contenuto della decisione, a prescindere cioè dal comportamento dell'amministrazione erogatrice del contributo.

In particolare, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto medesimo solo quando esso sia stato concesso nel rispetto di quanto previsto dall'art. 108 del TFUE. E da questo punto di vista le imprese beneficiarie hanno l'onere di vigilare sul rispetto della procedura finalizzata al controllo del carattere compatibile dell'aiuto, ciò rientrando nella normale diligenza di ogni operatore economico agente sul mercato interno. Con la fondamentale conseguenza che soltanto quando quest'onere sia stato assolto le imprese beneficiarie possono invocare il loro legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto, dovendosi presumere non illegale e non incompatibile solo un aiuto attuato nel rispetto della procedura prevista dalla norma comunitaria.

In mancanza, nessun legittimo affidamento può essere affermato, in quanto l'obbligo di sopprimere un aiuto incompatibile con il Trattato è assoluto e la soppressione ne presuppone la necessaria restituzione da parte del beneficiario in modo che egli sia privato dell'indebito vantaggio di cui aveva usufruito nel mercato comune a danno dei suoi concorrenti (cfr. tra le varie C. giust., 20 marzo 1997, C-24/95; C. giust., 7 marzo 2002, C-310/1999; C. giust., 15 dicembre 2005, C-148/04; C. giust., 22 giugno 2006, C-182/03 e C-217/03).

VII. L'orientamento della giurisprudenza comunitaria (al quale va correlata l'esatta esegesi della stessa sentenza 19 novembre 1991, Francovich, più volte citata nel controricorso) è stato recepito da questa Corte Suprema.

Il principio del legittimo affidamento deve infatti intendersi non come affidamento puro e semplice nell'operato degli organi nazionali, bensì come affidamento nella regolarità delle procedure destinate ad accertare la compatibilità della concreta concessione dell'aiuto con le norme comunitarie (cfr. ex aliis Cass. n. 27401/2018, Cass. n. 16870/2016). E pertanto è invocabile, da parte del beneficiario di aiuti non dovuti, solo se si fondi sull'avvenuto rispetto delle procedure previste dal Trattato (e in particolare, oggi, dall'art. 108).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla corte d'appello di Cagliari, l'onere di informazione circa il rispetto delle procedure e delle condizioni per la concessione degli aiuti non è subordinato al comportamento delle amministrazioni nazionali, e si impone anche se l'eventuale illegittimità della concessione sia interamente imputabile a queste ultime (cfr. Cass. n. 4353/2003; Cass. n. 6756/2012).

Ne consegue che, per ottenere una qualunque forma di risarcimento, ovvero per invocare a qualunque titolo la buona fede, i beneficiari dell'aiuto illegittimo non potevano invocare il loro legittimo affidamento sulla correttezza dell'operato della Regione qualora non avessero a loro volta ottemperato all'onere di diligenza di accertare il rispetto della procedura comunitaria finalizzata al controllo di compatibilità con il diritto comunitario degli aiuti ricevuti.

VIII. È opportuno aggiungere che nel solco di simili principi si è posta anche la Corte costituzionale.

Segnatamente ciò è stato fatto in relazione alla declaratoria di manifesta infondatezza di questioni di costituzionalità sollevate rispetto a norme di carattere fiscale, quanto ai prelievi riferiti a imponibili formatisi in anni anteriori, in attuazione di obblighi comunitari.

Per tali fattispecie (art. 27 l. 18 aprile 2005, n. 62, e 1 d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, conv. con modificazioni in l. 6 aprile 2007, n. 46) la Corte costituzionale, sollecitata ai sensi degli artt. 53 e 97 Cost., ha messo in chiara evidenza (v. C. cost. n. 36 del 2009) che le norme - sebbene assoggettino retroattivamente all'imposta sui redditi alcuni contribuenti beneficiari di esenzioni fiscali costituenti aiuti di Stato incompatibili con l'ordinamento comunitario e quindi, nella specie, consentano all'amministrazione finanziaria di emettere atti impositivi relativi all'Irpeg degli anni dal 1995 al 1998, cioè dopo dieci anni dalla formazione del reddito imponibile - non ledono gli evocati parametri. E questo perché la Commissione europea, con la decisione n. 2003/193-CE del 5 giugno 2002, e la Corte di giustizia, con la sentenza del 1° giugno 2006 (causa C-207/05), hanno accertato che le suddette esenzioni fiscali sono incompatibili con l'ordinamento comunitario e che, conseguentemente, lo Stato italiano ha l'obbligo di procedere al recupero delle somme corrispondenti agli aiuti illegali concessi.

Ebbene la Corte costituzionale ha soggiunto che le dianzi citate norme, sebbene consentano il prelievo fiscale con riferimento a redditi imponibili formatisi molti anni prima, perseguono l'obiettivo di porre rimedio all'illecito comunitario commesso dal legislatore italiano mediante l'illegittima attribuzione ad alcuni contribuenti di esenzioni fiscali integranti aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune; con la essenziale conseguenza che, anche in simili casi, data l'esigenza di ricondurre a uguaglianza la posizione dei contribuenti (art. 3 Cost.), essa ha rilevato che non poteva essere opposto il principio dell'affidamento, in quanto "l'inapplicabilità delle esenzioni fiscali doveva essere rilevata dagli stessi beneficiari delle agevolazioni".

IX. In conclusione, quindi, l'intero panorama giurisprudenziale osta a ritenere legittima la tesi sostenuta dalla corte d'appello di Cagliari nell'impugnata sentenza, poiché l'inapplicabilità di aiuti di Stato illegittimi è sempre rilevabile a onere degli stessi beneficiari, gravando su di essi un onere di diligenza di accertare il rispetto della procedura comunitaria e delle condizioni previste per la concessione delle misure. Sicché, in ipotesi di inadempimento dell'onere, non è invocabile a nessun titolo, da parte dei beneficiari medesimi, un legittimo affidamento su aiuti incompatibili con l'ordinamento europeo.

X. Le esposte considerazioni assorbono ogni profilo, poiché è palese - anche in base alla sentenza impugnata - che la società beneficiaria si è limitata a fare affidamento su ciò che era stato deciso dalla Regione Sardegna, sull'errata premessa che la decisione fosse conforme a quanto stabilito dalla Commissione europea. Il che, considerando i principi mentovati, non consente però (né minimamente consentiva) di affermare che un tale affidamento fosse giustappunto "legittimo".

Poiché l'affidamento è stato posto al fondo dell'ulteriore affermazione di buona fede ai fini dell'art. 2033 c.c., ne viene che anche per tale via l'impugnata sentenza è errata. E ciò rileva a scanso di ogni ulteriore questione finanche discendente dal regime di cui al Regolamento n. 1999/659-CE, recante le modalità di applicazione dell'art. 108 del TFUE. Tale regolamento, abrogato dall'art. 35 del Regolamento del Consiglio n. 1589 del 13 luglio 2015, ma ancora rilevante nella presente causa ratione temporis, specificamente prevede (art. 14) - in evidente condizione di specialità rispetto a ogni disposizione nazionale di diverso tenore (come l'art. 2033 c.c.) - che all'aiuto da recuperare ai sensi di una decisione europea in ogni caso "si aggiungono gli interessi" (calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione) con decorrenza "dalla data in cui l'aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero".

XI. La sentenza va dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa anche nel merito, con pronuncia di rigetto dell'opposizione presentata contro l'ordinanza-ingiunzione.

Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione proposta nei confronti dell'ordinanza-ingiunzione; condanna la società alle spese dell'intero giudizio, che liquida in 8.500,00 EUR per ciascuno dei gradi di merito e in 10.200,00 EUR per il giudizio di cassazione, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre in tutti i casi agli accessori e al rimborso forfetario delle spese generali nella percentuale di legge.

Note

V. anche Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 22 febbraio 2019, n. 5350.