Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 21 settembre 2018, n. 49869
Presidente: Vessichelli - Estensore: Caputo
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata in data 20 dicembre 2011, il Tribunale di Milano dichiarava Roberto C. C. colpevole del reato - commesso in data antecedente e prossima al 23 gennaio 2006 - di cui all'art. 184, comma 1, lett. b), d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della l. 6 febbraio 1996, n. 52: d'ora in poi, TUF), perché, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione dell'esercizio dell'attività lavorativa o professionale di analista finanziario presso la sede londinese di Citigroup Global Markets Ltd, comunicava tali informazioni ad altri al di fuori del normale esercizio del lavoro o professione; segnatamente, a conoscenza dell'imminente pubblicazione da parte di Citigroup di una ricerca dello stesso C. redatta su Banca Italease, contenente una raccomandazione "buy" e un "target price" delle azioni Italease, quotate sul MTA di Milano, pari ad euro 39 (sensibilmente superiore al prezzo di mercato, pari ad euro 26,73 nella seduta MTA del 23 gennaio 2006), comunicava tali informazioni a varie persone (Mario F., gestore presso Fidelity Investiments Service Ltd; Edoardo M., chief investiments officer di Parvus Asset Management LLP; Angelo M., gestore presso Schroder Investiment Menagement Ltd; Vanni V., european equities analyst presso Gartmore Investiment Management Ltd; Colin S., gestore presso Fidelity Investiment Service Ltd; Randel F., portfolio manager di Centaurus Capital Ltd; Enrico C., senior equity salesperson e head of equity sales Italy presso la succursale di Milano di Citigroup), al di fuori del normale esercizio del lavoro, violando le regole di riservatezza della stessa Citigroup in materia di ricerche finanziarie. L'imputato veniva condannato, con la sospensione condizionale, alla pena principale di anni 1 di reclusione e di 50 mila euro di multa, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile Consob.
2. Investita dell'impugnazione dell'imputato, la Corte di appello di Milano con sentenza deliberata in data 16 gennaio 2013, ha concesso allo stesso il beneficio della non menzione della condanna, confermando nel resto la sentenza di primo grado. La Corte di merito ha ritenuto legittimamente acquisiti ex art. 234 c.p.p. gli elementi raccolti dalla Consob nel procedimento amministrativo (ordinanza del Tribunale di Milano del 15 marzo 2011) e infondata la doglianza relativa alla revoca dell'ammissione di alcuni testi della difesa (ordinanza del Tribunale di Milano del 20 settembre 2011), in quanto il quadro probatorio in ordine all'imputazione si era già formato, il che rendeva del tutto superflua qualsiasi ulteriore acquisizione.
Il 31° Considerando della direttiva n. 2003 giugno CE (formulato in termini condizionali e privo di diretta applicabilità anche nella normativa europea), ha osservato il giudice di appello, non smentisce, né deroga alle definizioni di informazione privilegiata di cui all'art. 181 TUF; la deroga è esclusa, oltre che sul piano astratto, su quello concreto, posto che la ricerca dell'imputato si basava anche su dati non interamente di dominio pubblico, come confermato da varie fonti di prova.
Nel merito, rileva la sentenza impugnata, l'argomentazione difensiva, che prospetta le comunicazioni contestate alla stregua di una richiesta di confronto circa il metodo di lavoro, del tutto innovativo, utilizzato non coglie il dato essenziale del reato, che si consuma, sul piano oggettivo, quando l'informazione è rivelata e l'agente ne risponde, sul piano soggettivo, quando è consapevole di propalarla. Nel caso di specie, non ricorre un giustificato motivo e dalle emergenze acquisite si ricava, in alcuni casi, una del tutto parziale discussione sui metodi di calcolo, ma soprattutto un ben più rilevante interesse per le caratteristiche proprie della notizia e per la sua valenza economica, ossia il valore delle azioni che il solo imputato avrebbe indicato, la pubblicazione dello studio e il suo effetto sui prezzi del titolo. Tali elementi attenevano alle caratteristiche di un insider trading e non di una consultazione tecnica sui metodi di valutazione.
La Corte di appello di Milano ha poi diffusamente giustificato le conclusioni raggiunte in ordine alle connotazioni della notizia propalata, che, in primo luogo, era precisa, poiché era del tutto ragionevole prevedere che la ricerca sarebbe stata pubblicata e, fin dalla prima bozza del 13 gennaio, era stata sufficientemente specifica sul fatto che la maggiorazione del prezzo delle azioni rispetto al valore di mercato sarebbe stata cospicua; la notizia, inoltre, non era pubblica, in quanto prima della pubblicazione nel sito di Citigroup poteva circolare solo nel ristretto ambito di chi era interessato alla procedura interna; infine, la notizia era price sensitive, trattandosi della prima valutazione compiuta da un importante analista di un primario operatore internazionale quale Citigroup. Sussiste, secondo la sentenza impugnata, il dolo richiesto dalla norma incriminatrice: l'imputato confrontava qualche dato, ma poi ha elaborato il suo studio in perfetta autonomia, nella certezza che avrebbe portato il titolo a valori ben superiori a quelli di mercato e, quindi, dell'impatto concreto che la pubblicazione avrebbe avuto sulla quotazione delle azioni Italease. La consapevolezza emerge anche dal timore, manifestato dall'imputato a C., di conseguenze sul piano penale per i contatti con i clienti dello stesso C. e di O., sicché la denuncia al superiore H. era solo il tentativo di attribuire ad altri la responsabilità dell'accaduto.
3. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione Roberto C. C., attraverso il difensore avv. Riccardo Olivo, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.
3.1. Il primo motivo denuncia inosservanza delle norme processuali e vizio di motivazione in riferimento al rigetto delle eccezioni di nullità delle ordinanze del Tribunale di Milano del 15 marzo 2011 e del 20 settembre 2011.
3.1.1. La Corte di appello ha ritenuto infondate le eccezioni - relative all'ordinanza emessa dal Tribunale di Milano in data 15 marzo 2011 - di inutilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate in sede di audizione dinanzi alla Consob da Enrico C., Claudio O., Carlo D.P., Alberto B., Joseph S., Roberto C. C.; delle dichiarazioni rese in sede di audizione dinanzi alla Financial Services Authority (d'ora in poi, FSA) da Roberto C. C.; delle registrazioni telefoniche intercorse tra i soggetti coinvolti effettuate da Citigroup. Al riguardo, l'affermazione della Corte di appello secondo cui la disciplina del codice di procedura penale non sarebbe applicabile all'attività istruttoria della Consob è smentita dal tenore letterale dell'art. 220 disp. att. c.p.p.; nella formazione degli atti - e, in particolare, dei verbali di audizione - sarebbe stato necessario rispettare le disposizioni e le garanzie del codice di rito, il che nella specie non si è verificato nonostante la sussistenza di quella mera possibilità di attribuire rilevanza penale al fatto emergente dall'inchiesta che la giurisprudenza indica come momento a partire dal quale gli atti di indagine devono essere compiuti con l'osservanza delle disposizioni codicistiche.
L'acquisizione al fascicolo del dibattimento dei verbali di audizione resi davanti alla Consob vìola il principio del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 Cost.) e il principio di immediatezza. Alla stessa conclusione deve giungersi con riguardo ai verbali di audizione dell'imputato dinanzi alla FSA. L'acquisizione delle registrazioni telefoniche effettuate da Citigroup riguardo alle conversazioni intercorse tra i soggetti coinvolti sono inutilizzabili in quanto assunte in violazione di quanto disposto dal regolamento degli intermediari, sia nella versione in vigore all'epoca dei fatti (artt. 60 e 69 delibera Consob 1° luglio 1998, n. 11522), sia nella versione attuale (art. 57 delibera Consob 29 ottobre 2007, n. 16190).
3.1.2. La Corte di appello ha, nella sostanza, omesso di motivare in ordine alla doglianza relativa all'ordinanza in data 20 settembre 2011 con la quale il Tribunale di Milano ha revocato l'ammissione di alcuni testi della difesa. Il riferimento alla limitata attendibilità di tali testimoni, in quanto destinatari di provvedimenti sanzionatori da parte della Consob, è erroneo perché solo due di essi risultavano tra i destinatari della presunta informazione privilegiata. L'ordinanza è stata comunque adottata in assenza della necessaria motivazione, non avendo dato conto delle ragioni sopravvenute che hanno determinato la superfluità o l'irrilevanza della prova già ammessa.
3.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 184 TUF.
Erroneamente la sentenza impugnata esclude il rilievo secondo cui non dovrebbero considerarsi informazioni privilegiate le ricerche e le valutazioni elaborate a partire da dati di dominio pubblico; se il contenuto del 31° Considerando della direttiva n. 2003 giugno CE non può ritenersi vincolante, certamente costituisce un'autorevole indicazione della volontà del legislatore, da utilizzare nell'interpretazione della norma.
Inoltre, l'art. 181 TUF segnala che oggetto dell'informazione tipica deve essere un fatto e non notizie concernenti valutazioni ed elaborazioni soggettive e prospettiche, come è confermato dal carattere preciso che deve rivestire l'informazione. La tesi è in linea con l'art. 114 TUE che distingue la disciplina per la comunicazione al pubblico di notizie price sensitive e quella specifica per le ricerche, le valutazioni e le statistiche, considerate inidonee ad influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari.
Il punto 36 della raccomandazione del 2002 del CESR (Committee of European Securities Regulators) Advice of level 2 Implementing Measurers for the proposed Market Abuse Directive includeva, tra i possibili esempi di informazioni privilegiate, le ricerche delle sole agenzie di rating e solo il successivo documento del CESR del luglio del 2007 - successivo ai fatti - faceva riferimento all'imminente pubblicazione di ricerche, raccomandazioni o stime relative al valore di strumenti finanziari.
L'esclusione delle notizie concernenti le ricerche degli analisti dal novero delle informazioni privilegiate trova ulteriore conferma nell'art. 69 del Regolamento Emittenti in vigore all'epoca dei fatti, secondo cui qualora gli studi e le statistiche siano destinati ai soli clienti dell'intermediario autorizzato, la diffusione al pubblico è effettuata entro sessanta giorni a partire da quello di inizio della loro distribuzione: la disposizione - confermata dall'art. 69-novies, terzo comma, del vigente Regolamento Emittenti - prescrive la possibilità di una distribuzione selettiva della ricerca alla clientela dell'intermediario rispetto all'intero mercato, il che mina irrimediabilmente la prospettazione accusatoria nei confronti dell'imputato, non essendo possibile ritenere che il Regolamento Emittenti preveda e legittimi un comportamento in altri casi vietato.
Pertanto, la notizia relativa all'esistenza della ricerca redatta dall'imputato non presenta i presupposti per essere qualificata come informazione privilegiata. Inoltre, non può ritenersi raggiunta la prova in ordine al fatto che l'imputato sia entrato in possesso di dati non pubblici, come emerge dalla testimonianza del funzionario della Consob P.
3.3. Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione all'asserita comunicazione dell'imminente pubblicazione della ricerca su Banca Italease e alla sussistenza, riguardo alla stessa, dei presupposti di cui all'art. 181 TUF.
3.3.1. Erroneamente la Corte di appello ha ritenuto inattendibili i testi in considerazione del loro coinvolgimento nella vicenda, in quanto non per tutti vi è stato tale coinvolgimento (essendo del tutto estranei i testi G., V., D.P. e B.) e solo nei confronti di alcuni di essi la Consob ha aperto un procedimento amministrativo (M. e A. non figurano tra i soggetti sanzionati in via amministrativa). Inoltre, come nel caso di C. e di O., le dichiarazioni dei testi sono state richiamate quando confermavano la tesi accusatoria e ritenute inattendibili quando sostenevano la tesi difensiva.
3.3.2. Gli elementi emersi dall'istruttoria dibattimentale circa il fatto che l'imputato aveva interpellato i soggetti indicati nel capo di imputazione per avere un confronto sulle metodologie di calcolo utilizzate nella ricerca sono stati posti in rilievo per mettere in evidenza non già le ragioni o i motivi della sua condotta, ma l'insussistenza dei presupposti per qualificare come privilegiata l'informazione in esame. Gli elaborati trasmessi con le comunicazioni oggetto di contestazione non erano di alcun rilievo ai fini che interessano, in quanto dall'esame dei modelli di calcolo contenuti nei file execel inviati da C. non era possibile trarre alcuna utile informazione né in relazione al fatto che la ricerca fosse in procinto di essere pubblicata, né quali sarebbero stati i risultati in termini di target price.
Va considerata l'evoluzione del modello di calcolo e l'impossibilità di prevederne gli esiti fino all'ultimazione della versione finale. Le prime due bozze erano soltanto una sorta di esercitazione circa le formule di calcolo necessarie a giungere alla valutazione ad embedded value, mentre la bozza del 18 gennaio era priva di innumerevoli dati fondamentali. I modelli di calcolo esibiti dall'imputato contenevano per lo più numeri ipotetici e necessitavano dell'inserimento di innumerevoli dati ulteriori; essi contenevano solo la bozza del calcolo di uno dei vari elementi necessari per giungere alla valutazione ad embedded value.
Vi era, inoltre, incertezza, circa l'effettiva divulgazione della ricerca e il momento in cui la stessa si sarebbe eventualmente verificata. Il vaglio dello SSC non era una formalità, sicché fino all'approvazione definitiva da parte di tale organo l'analista non poteva avere alcuna ragionevole certezza circa l'effettiva diffusione della ricerca. Lo stesso imputato avrebbe potuto decidere di non procedere alla divulgazione della ricerca, circostanza, questa, non contraddetta dal fatto che l'imputato era in procinto di dimettersi da Citigroup, che anzi conferma la sua incertezza circa la possibilità di concludere e diffondere lo studio.
3.3.3. Non è possibile attribuire alla notizia asseritamente diffusa dall'imputato i caratteri di precisione, price sensibility e non pubblicità. Quanto alla precisione, i dati contenuti nelle bozze erano ipotetici, il modello conteneva evidenti errori che rendevano inattendibili i risultati, l'imputato non aveva la certezza di ricevere in tempo utili i dati necessari al completamento della ricerca, il vaglio dello SSC avrebbe potuto richiedere modifiche o integrazioni anche consistenti. L'informazione era priva del carattere della "non pubblicità": irrilevanti sono, sul punto, le considerazioni del giudici di merito circa la policy di Citigroup, che vieta la diffusione di informazioni ad individui del Sales and Trading, trattandosi di disposizione finalizzata al solo scopo di assicurare la parità di trattamento dell'intera clientela; inoltre, lo studio di C. si basava su dati - ricavati dai bilanci e da documenti pubblicamente disponibili - già noti al mercato ovvero su dati di contabilità industriale. Infine, l'informazione non era price sensitive: tutti i testi esaminati hanno riferito che le ricerche degli analisti finanziari non hanno una particolare rilevanza sulle scelte di investimento e ancor minore rilievo è stato attribuito alla mera notizia circa l'imminente pubblicazione di una ricerca e del relativo target price, elementi, questi, che non hanno alcuna utilità se non si conoscono le ragioni che hanno portato ad un determinato giudizio.
3.4. Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. L'imputato non poteva avere consapevolezza dei caratteri di precisione, price sensibility e non pubblicità della notizia; la FSA ha riconosciuto che l'imputato non ha agito con l'intenzione di manipolare il prezzo dell'azione di Banca Italease e, così come la Consob, ha riconosciuto il suo atteggiamento collaborativo. La buona fede dell'imputato è inoltre dimostrata dalla segnalazione a Steven H., diretto superiore di O. e di C., del comportamento del primo, che aveva divulgato le informazioni ottenute dal secondo. Anche le registrazioni delle telefonate mettono in evidenza la sorpresa e la contrarietà dell'imputato per la divulgazione al mercato dei dati che lui stesso non aveva ancora definitivamente elaborato.
4. La difesa della parte civile Consob ha depositato una memoria con la quale ha chiesto l'inammissibilità o, comunque, il rigetto del ricorso, conclusioni ribadite in un'ulteriore memoria, che ha evidenziato il mancato decorso del termine di prescrizione del reato, in quanto l'art. 39 della l. 28 dicembre 2005, n. 262 - entrata in vigore il 12 gennaio 2006, prima dei fatti contestati - ha raddoppiato la comminatoria edittale del reato in esame, sicché, considerati gli atti interruttivi, il termine di prescrizione è di 15 anni, deducendo altresì l'inammissibilità, in quanto manifestamente infondata, di una eventuale questione di legittimità costituzionale della normativa nazionale per contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU.
Con note di udienza depositate il 15 ottobre 2014, la difesa dell'imputato ha prodotto la sentenza della Corte di appello di Roma deliberata il 7 novembre 2011 che ha rigettato l'opposizione proposta da Roberto C. C. avverso la delibera della Consob che aveva applicato la sanzione pecuniaria per la violazione dell'art. 187-bis TUF; la sentenza prodotta reca l'attestazione in data 28 marzo 2014 con la quale il cancelliere certifica che avverso la sentenza stessa non risulta proposto ricorso per cassazione; concludeva la difesa del ricorrente chiedendo, in via preliminare, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e, in subordine, eccependo, anche sulla base di una nota scritta depositata in pari data, l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 4 prot. 7 della Cedu.
5. Con ordinanza n. 1782 del 10 novembre 2014 - dep. 15 gennaio 2015, questa Corte ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate: a) in via principale: la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, dell'art. 187-bis, comma 1, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 nella parte in cui prevede «Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato» anziché «Salvo che il fatto costituisca reato»; b) in via subordinata: la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, dell'art. 649 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della CEDU e dei relativi Protocolli.
6. Con sentenza 8 marzo-12 maggio 2016, n. 102, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate dall'ordinanza n. 1782/15. Con la medesima sentenza, la Corte costituzionale ha altresì dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata, con ordinanza del 21 gennaio 2015, dalla Sezione Tributaria di questa Corte per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 2 e 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, dell'art. 187-ter, comma 1, TUF, nella parte in cui prevede la comminatoria congiunta della sanzione penale prevista dall'art. 185 TUF e della sanzione amministrativa prevista per l'illecito di cui all'art. 187-ter dello stesso decreto.
6.1. Pronunciandosi dopo la restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale, la Sezione Tributaria di questa Corte, con ordinanza n. 20675 del 20 settembre 2016 - dep. 13 ottobre 2016 ha disposto il rinvio degli atti alla Corte di giustizia dell'Unione europea, formulando la seguente questione pregiudiziale di interpretazione del diritto dell'Unione: «a) se la previsione dell'art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell'art. 4 prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e della normativa nazionale, osti alla possibilità di celebrare un procedimento amministrativo avente ad oggetto un fatto (condotta illecita di manipolazione del mercato) per cui il medesimo soggetto abbia riportato condanna penale irrevocabile; b) se il giudice nazionale possa applicare direttamente i principi unionali in relazione al principio del ne bis in idem, in base all'art. 50 CDFUE interpretato alla luce dell'art. 4 prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e della normativa nazionale».
7. La difesa della parte civile Consob ha depositato quindi nuova memoria con la quale ha sottolineato la legittimità del sistema del c.d. "doppio binario" alla luce della nuova disciplina comunitaria, la legittimità costituzionale dell'attuale sistema sanzionatorio e la non reiterabilità delle questioni di legittimità della normativa nazionale asseritamente contrastante con l'art. 4 prot. n. 7 CEDU (richiamata la sentenza della Grande Camera del 15 novembre 2016, che ha ribaltato l'orientamento espresso dalla sentenza Grande Stevens), l'inammissibilità di un'eventuale applicazione diretta dell'art. 50 CDFUE e di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, osservando, a quest'ultimo proposito, che le ordinanze pronunciate in tal senso dalla Sezione Tributaria e dalla Seconda Sezione civile di questa Corte sono state emesse in giudizi riguardanti sanzioni amministrative già applicate, mentre quelle penali erano già passate in giudicato.
In data 12 dicembre 2016, è stata depositata copia di un'ordinanza del Tribunale di Milano, che ha rigettato la richiesta di sentenza predibattimentale di improcedibilità ex art. 649 c.p.p. richiamando, tra l'altro, la citata sentenza Grande Camera del 15 novembre 2016.
Successivamente la difesa del ricorrente ha depositato nuova memoria con la quale ha richiamato la citata ordinanza della Sezione Tributaria di questa Corte e la sentenza della Grande Camera del 15 novembre 2016, concludendo: in via preliminare, per l'annullamento della sentenza impugnata in accoglimento dei motivi di ricorso; in via subordinata, per il rinvio alla Corte di giustizia dell'Unione europea, formulando le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto dell'Unione europea: a) se la previsione dell'art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell'art. 4 prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e della normativa nazionale, osti alla possibilità di celebrare un procedimento e conseguentemente comminare una sanzione penale in relazione a un fatto (condotta illecita di abuso di informazioni privilegiate) per il quale, nei confronti del medesimo soggetto, sia già stata applicata una sanzione irrevocabile di natura sostanzialmente penale; b) se il giudice nazionale possa applicare direttamente i principi eurounitari in relazione al principio del ne bis in idem, in base all'art. 50 CDFUE interpretato alla luce dell'art. 4 prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e della normativa nazionale.
8. Dopo il rinvio a nuovo ruolo, sentite le parti, dell'udienza del 16 dicembre 2016, in attesa della traduzione ufficiale in italiano della sentenza del 15 novembre 2016, il Sostituto Procuratore generale, ha depositato una memoria, che richiama la sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo A. e B. c. Norvegia del 15 novembre 2016, con la quale viene abbandonata la regola tassativa dell'interruzione del procedimento ancora pendente quando sia divenuto definitivo l'altro avente ad oggetto l'idem factum e viene fissata una nuova regola secondo cui la violazione del ne bis in idem convenzionale è esclusa quando tra i distinti procedimenti sanzionatori sussiste una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta. Richiamate altresì le ordinanze della Sezione Tributaria e della Seconda Sezione civile di questa Corte che hanno proposto rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia dell'Unione europea sui temi in esame, la memoria ha chiesto che sia proposto alla Corte di giustizia dell'Unione europea un rinvio pregiudiziale affi[n]ché «precisi se l'art. 50 CDFUE offra una garanzia superiore a quella dell'art. 4, protocollo 7, Cedu, come interpretato dalla Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016 A e B c. Norvegia, nel senso che si ha violazione del divieto del ne bis in idem secondo i parametri stabiliti dalla sentenza Fransson del 2013, in particolare laddove esige che sia sempre interrotta la seconda procedura qualora ricorra l'idem factum, la natura convenzionalmente penale della sanzione definitivamente imposta e la sanzione residua sia effettiva, proporzionale e dissuasiva».
Con memoria di replica, la difesa del ricorrente ha richiamato la sentenza della Corte EDU Jòhannesson c. Islanda del 18 maggio 2017 e le conclusioni dell'Avvocato generale presso la Corte di giustizia dell'Unione europea nei procedimenti indicati al punto che precede, sottolineando, per un verso, l'inidoneità del principio espresso dalla sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016 A e B c. Norvegia ad evitare la violazione dell'art. 50 CDFUE e, per altro verso, il carattere autoapplicativo di detta norma, con conseguente necessaria declaratoria di improcedibilità del "secondo procedimento" da parte del giudice interno. La memoria ha quindi concluso in via principale per l'annullamento della sentenza impugnata per i motivi illustrati nel ricorso; in via subordinata, per la declaratoria di estinzione del procedimento ex art. 50 CDFUE e, in via ulteriormente subordinata, per il rinvio alla Corte di giustizia dell'Unione europea in relazione alle questioni indicate al punto 7.
Con ordinanza resa all'udienza del 17 novembre 2017, questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo del processo in attesa delle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea relative alle cause C-524/15, Menci, C-537/16, Garlsson Real Estate SA e a., e C-596/16 e C-597/16, Di Puma e Zecca e concernenti i rinvii pregiudiziali disposti anche dalle Sezioni civili di questa Corte: sentenze rese dalla Corte di giustizia il 20 marzo 2018.
9. In vista dell'odierna udienza, la difesa del ricorrente ha depositato una memoria con la quale, richiamate le sentenze della Corte di giustizia del 20 marzo 2018, ha rimarcato, insieme con l'inammissibilità di limitazioni al diritto di cui all'art. 50 CDFUE, la sproporzione delle sanzioni irrogate rispetto alla gravità del fatto contestato, evidenziando che la Consob ha irrogato una sanzione amministrativa pari a 350 mila euro e che «il difetto di proporzione emerge con nettezza in concreto nel passaggio della sentenza di primo grado, confermata sul punto dalla decisione qui impugnata, che ha attribuito l'effetto divulgativo non già al dott. C. C. ma alla condotta di un insider secondario ed ha pacificamente riconosciuto che il ricorrente non ha operato sul titolo né ha avuto alcun vantaggio patrimoniale diretto dal fatto».
Anche la parte civile Consob ha depositato una nuova memoria con la quale ha dedotto che nell'ipotesi - inversa a quella presa in considerazione dalla sentenza Garlsson Real Estate - di precedente giudicato sulla sanzione amministrativa, un'eventuale pronuncia favorevole nel procedimento penale mediante applicazione diretta dell'art. 50 CDFUE potrebbe costituire una violazione del principio di stretta legalità e della rise[r]va di legge ex art. 25, secondo comma, c.p. [recte: Cost. - n.d.r.], nonché del principio di obbligatorietà dell'azione penale, tanto più che l'imputato, non avendo impugnato la sentenza della Corte di appello di Roma che ha definito il giudizio di opposizione avverso le sanzioni amministrative irrogate da Consob, non ha adempiuto alla condizione di aver inutilmente esperito i mezzi di impugnazione necessari per invocare l'art. 4 del Prot. 7 alla Cedu. Quanto all'art. 50 CDFUE, il cumulo sanzionatorio non costituisce tout court violazione del ne bis in idem europeo, laddove, nel caso di specie, risulta la proporzionalità del cumulo delle sanzioni applicate rispetto alla gravità del reato e alla luce dell'entità della lesione all'integrità del mercato e del valore complessivo degli strumenti finanziari negoziati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto, nei termini di seguito specificati, con esclusivo riferimento al trattamento sanzionatorio, mentre nel resto deve essere rigettato.
Per linearità di esposizione, saranno in primo luogo esaminati i motivi di ricorso, che non meritano accoglimento. Successivamente sarà esaminata la questione del ne bis in idem, che ha a lungo impegnato le parti e questa Corte.
1.1. In limine, mette conto ribadire quanto già rilevato da questa Corte nell'ordinanza di rimessione n. 1782/15, ossia che «il fatto oggetto di imputazione risulta commesso nella vigenza della disciplina di cui all'art. 39 della l. 28 dicembre 2005, n. 262, sicché non è decorso il termine di legge per la prescrizione del reato»; rilievo, questo, ribadito dall'ordinanza letta all'udienza del 17 novembre 2017.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. Le censure relative all'ordinanza del Tribunale di Milano del 15 marzo 2011 devono essere esaminate distinguendo quella relativa all'inutilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate alla Consob e di quelle acquisite da altre autorità e quella concernente l'inutilizzabilità delle registrazioni effettuate da Citigroup. In premessa, giova ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, qualora sia sottoposta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, la Corte stessa è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla (Sez. 5, n. 17979 del 5 marzo 2013, Iamonte, Rv. 255515); infatti, se è censurata l'applicazione di una norma processuale, non ha alcuna rilevanza, in sede di legittimità, il fatto che tale scelta sia stata, o non, correttamente motivata dal giudice di merito, atteso che, quando viene sottoposta al giudizio della Corte suprema la correttezza di una decisione in rito, la Corte stessa è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla (Sez. 5, n. 15124 del 19 marzo 2002, Ranieri, Rv. 221322).
2.1.1. Quanto all'inutilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate alla Consob, la doglianza è priva di fondamento. La sentenza di primo grado - che si integra con quella conforme di secondo grado (Sez. 2, n. 11220 del 13 novembre 1997, Ambrosino, Rv. 209145) - ha infatti evidenziato che «quanto ai contenuti dei verbali di audizione dei soggetti coinvolti, compreso l'imputato, è sufficiente rilevare come gli stessi soggetti siano stati sentiti in contraddittorio nel corso del dibattimento e, in definitiva, hanno confermato la stesse circostanze già dichiarate alla Consob». L'affermazione - assorbente rispetto alle questioni relative alla disciplina di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p. - non è contestata dal ricorrente, che, peraltro, anche a fronte di dichiarazioni rese da soggetti non escussi in dibattimento, avrebbe dovuto indicarle puntualmente, mettendone in rilievo la valenza ai fini della decisione, posto che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. un., n. 23868 del 23 aprile 2009, Fruci, Rv. 243416). Del resto, la Corte di appello di Milano ha sottolineato che il giudice di primo grado ha tratto ragione del proprio convincimento dall'«ampio costrutto testimoniale acquisito in sede di istruttoria dibattimentale, citando sempre, nel corso del proprio argomentare, le pagine ove i testi escussi avevano affermato i fatti che venivano riportati».
2.1.2. Quanto alle registrazioni effettuate da Citigroup, questa Corte ha già affermato che le relazioni ispettive dei funzionari della Consob sono utilizzabili ai fini di prova relativamente alle parti riguardanti il rilevamento dei dati oggettivi sull'andamento delle sedute di borsa ed al contenuto delle registrazioni delle comunicazioni telefoniche degli intermediari (Sez. 5, n. 4324 dell'8 novembre 2012 - dep. 2013, Dall'Aglio, Rv. 254325). Rispetto a tale conclusione, condivisa dal Collegio, è comunque assorbente la considerazione che l'ordinanza del Tribunale di Milano del 15 marzo 2011 ha rilevato come le registrazioni siano state effettuate nella «piena consapevolezza degli autori», risultando pertanto acquisibili quali documenti ex art. 234 c.p.p. e non assimilabili alle intercettazioni telefoniche. Il rilievo, in linea con il consolidato orientamento che propugna la qualificazione in termini di prova documentale della registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da soggetto partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi (Sez. un., n. 36747 del 28 maggio 2003, Torcasio, Rv. 225466), non può essere superato dal richiamo, operato dal ricorrente, alle disposizioni di cui al regolamento Consob sulla disciplina degli intermediari (nella versione in vigore all'epoca dei fatti: artt. 60 e 69 delibera Consob 1° luglio 1998, n. 11522; nella versione vigente: art. 57 delibera Consob 29 ottobre 2007, n. 16190): infatti, tale disciplina attiene agli obblighi di registrazione e di conservazione degli ordini impartiti telefonicamente o elettronicamente dai clienti, ma essa non esclude la legittimità di registrazioni effettuate nella «piena consapevolezza degli autori», registrazioni acquisite dalla Consob in forza dell'art. 187-octies TUF, richiamato dalla Corte di merito, che attribuisce ad essa il potere di richiedere le registrazioni esistenti. La censura, pertanto è del tutto infondata.
2.2. Deve essere parimenti disattesa la doglianza relativa alla revoca dell'ammissione di alcuni testi della difesa (ordinanza del Tribunale di Milano del 20 settembre 2011): sul punto, la Corte di appello di Milano ha rilevato che il quadro probatorio in ordine ai vari profili dell'imputazione (diffusione a più persone della notizia riservata circa l'imminente pubblicazione della ricerca su Banca Italease, con significativo upside) si era già formato, il che rendeva del tutto superflua qualsiasi ulteriore acquisizione. Ciò posto, il motivo, sotto questo profilo, è inammissibile per genericità, in quanto, da una parte, non indica l'oggetto delle testimonianze la cui ammissione è stata revocata, così precludendo la valutazione circa la sussistenza del presupposto per la revoca stessa, e, dall'altra, fa riferimento a considerazioni sull'attendibilità dei testi rimaste, in realtà, estranee alla valutazione operata dalla Corte di merito sulla legittimità dell'ordinanza del Tribunale di Milano del 20 settembre 2011.
3. Il secondo motivo è del pari infondato.
3.1. In premessa, è opportuno richiamare alcuni passaggi argomentativi della sentenza impugnata, secondo cui il 31° Considerando della direttiva n. 2003 giugno CE (formulato in termini condizionali e privo di diretta applicabilità anche nella normativa europea) non smentisce, né deroga alle definizioni di informazione privilegiata di cui all'art. 181 TUF; la deroga è esclusa, oltre che sul piano astratto, su quello concreto, posto che la ricerca dell'imputato si basava anche su dati non interamente di dominio pubblico, come risulta dalle testimonianze di D.P. e di B., entrambi di Italease, che hanno affermato di aver fornito a C. dati non pubblici, sebbene non price sensitive, nonché da una conversazione dello stesso imputato con C. Erroneamente, ha osservato il giudice di appello, si è cercato di sostenere che la pubblicità delle notizie utilizzate per la ricerca era stata sostenuta dal teste P., di Consob, che ha invece affermato che sicuramente l'imputato ha avuto informazioni non pubbliche; a tutto ciò si aggiungano i rilievi del giudice di primo grado circa la non riconducibilità al 31° Considerando della notizia della pubblicazione della ricerca e della notizia con quello specifico contenuto.
3.2. Come si è visto, la Corte di appello di Milano ha sottolineato che i testi D.P. e B., entrambi di Italease, hanno riferito di avere fornito all'imputato dati non pubblici (sia pure non price sensitive), circostanza, questa, confermata, oltre che dallo stesso C. C. in una conversazione con C. (nella quale, come evidenziato dalla sentenza impugnata, l'imputato riferiva che stava svolgendo un lavoro «su numeri non pubblici»), dal funzionario della Consob P., che si è detto sicuro che l'imputato avesse ricevuto informazioni non pubbliche. Le argomentate conclusioni sul punto della Corte di merito sono criticate dal ricorrente richiamando le parti della testimonianza dello stesso P. in cui riferisce che, in prima approssimazione, le informazioni apparivano non pubbliche, ma, ad una più accurata valutazione, potevano essere ritenute informazioni di dettaglio di informazioni pubbliche. Sotto il profilo in esame, la doglianza proposta deve ritenersi inammissibile: per un verso, infatti, il ricorrente omette di confrontarsi con la motivazione posta a sostegno della pronuncia (ossia con il riferimento alle testimonianze di D.P. e B., particolarmente significative trattandosi di dipendenti di Italease, e al già richiamato contenuto della conversazione dell'imputato con C.), risultando, pertanto, inammissibile per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 1, n. 4521 del 20 gennaio 2005, Orrù, Rv. 230751); per altro verso, il ricorrente si è sottratto all'onere di completa e specifica individuazione degli atti processuali che intende far valere, non essendo sufficiente, per l'apprezzamento del vizio di motivazione, «la citazione di alcuni brani» dei medesimi atti (Sez. 6, n. 9923 del 5 dicembre 2011 - dep. 2012, Rv. 252349), sicché, sul punto, deve ribadirsi che è inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest'ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziché al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita (Sez. 5, n. 44992 del 9 ottobre 2012, Aprovitola, Rv. 253774).
La conclusione, come si appena visto non scalfita dal ricorso, che all'imputato sono stati forniti dati anche non di dominio pubblico priva di rilevanza - come ha osservato la sentenza impugnata - le doglianze incentrate sulle indicazioni offerte dal 31° Considerando della direttiva n. 2003 giugno CE, che fa riferimento a ricerche e valutazioni elaborate a partire da dati di dominio pubblico. La doglianza, comunque, è infondata posto che l'informazione privilegiata comunicata riguardava l'imminente pubblicazione da parte di Citigroup di una ricerca di C. C. su Banca Italease basata anche «su numeri non pubblici», per riprendere l'espressione dello stesso imputato, e contenente una raccomandazione "buy" e un "target price" delle azioni Italease: lungi dunque dal far leva su analisi e interpretazioni di dati informativi di pubblico dominio, la ricerca le cui conclusioni sono state comunicate dall'imputato al di fuori del normale esercizio dell'attività lavorativa e professionale si era avvalsa di dati non pubblici, il che rende ragione della corretta qualificazione dell'informazione in questione alla stregua dell'art. 181 TUF. Del resto, la non riconducibilità, in ragione del suo specifico contenuto, di siffatta informazione nel genus preso in considerazione dal 31° Considerando è stata congruamente messa in evidenza dai giudici di merito: la sentenza di primo grado, richiamata espressamente sul punto dalla Corte distrettuale, ha sottolineato che «l'informazione considerata dall'odierna contestazione non consiste nello specifico contenuto valutativo e numerico della ricerca di C., bensì nel fatto della prossima pubblicazione di una sua ricerca su Banca Italease per conto di Citigroup avente quelle caratteristiche in termini di raccomandazione e target price notevolmente superiore al prezzo corrente di mercato», laddove il 31° Considerando «fa evidentemente e pacificamente riferimento al contenuto valutativo intrinseco degli studi e delle ricerche e non alla circostanza fattuale della loro imminente pubblicazione». Le argomentazioni così sviluppate sono esenti da vizi logico-giuridici e coerenti con il compendio probatorio acquisito e, nel ricondurre il fatto ascritto all'imputato alla fattispecie di cui all'art. 184 TUE, delineano compiutamente il contenuto dell'informazione, ossia della «circostanza fattuale» della pubblicazione della ricerca con le indicazioni più volte richiamate.
Rilievi, questi, che privano di pregio le doglianze del ricorrente incentrate sull'art. 114 TUE (che riguarda le comunicazioni al pubblico dei soggetti che producono o diffondono ricerche o valutazioni - ai sensi del comma 8 della disposizione menzionata - e non le "anticipazioni" degli studi svolte dai dipendenti di tali soggetti) e sulla successione delle diverse versioni delle raccomandazioni emanate dal CESR (raccomandazioni, peraltro, di cui lo stesso ricorrente esclude la valenza normativa). Del pari infondate sono le ulteriori argomentazioni svolte dal ricorrente a proposito della disciplina, vigente all'epoca dei fatti, dettata dall'art. 69 del Regolamento Emittenti della Consob in tema di diffusione di studi e statistiche, tanto più che, come rilevato dalla sentenza di primo grado, che si integra con quella conforme di secondo grado (Sez. 2, n. 11220 del 13 novembre 1997, Ambrosino, Rv. 209145), la possibilità di diffusione selettiva era assicurata da tale disciplina all'intermediario che produce la ricerca e non al singolo analista che per suo conto la sviluppava, rilievo, questo, riferibile anche all'art. 69-novies del successivo Regolamento Emittenti, pure richiamato dal ricorrente.
4. Anche il terzo motivo non merita accoglimento.
In premessa, mette conto richiamare le argomentazioni svolte sui punti in questione dalla sentenza impugnata, secondo cui la tesi difensiva muove dall'assunto che i testimoni avrebbero confermato la tesi dell'imputato, ossia che le confidenze sull'uscita e sul contenuto dello studio si spiegavano con la richiesta di confronto circa il metodo di lavoro, del tutto innovativo, utilizzato. L'argomentazione, osserva la Corte distrettuale, non coglie il dato essenziale del reato, poiché non rilevano la ragione o il movente della propalazione dell'informazione privilegiata, consumandosi il reato, sul piano oggettivo, quando l'informazione è rivelata e l'agente ne risponde, sul piano soggettivo, quando è consapevole di propalarla. Nel caso di specie, non ricorre un giustificato motivo, posto che, per disposizioni interne di Citigroup, la notizia poteva circolare solo nel ristretto ambito di quelle persone coinvolte nella procedura che avrebbe portato alla pubblicazione della ricerca. A fronte della limitata attendibilità delle dichiarazioni dei testi, destinatari dei provvedimenti della Consob, dalle emergenze documentali si ricava, in alcuni casi, una del tutto parziale discussione sui metodi di calcolo, ma soprattutto un ben più rilevante interesse per le caratteristiche proprie della notizia e per la sua valenza economica, il valore delle azioni che il solo imputato - senza ulteriori contributi - avrebbe indicato, la pubblicazione dello studio e il suo effetto sui prezzi del titolo: elementi, questi, che attenevano alle caratteristiche di un insider trading e non di una consultazione tecnica sui metodi di valutazione. La notizia propalata, ha osservato ancora la Corte distrettuale, era precisa, poiché era del tutto ragionevole prevedere che la ricerca sarebbe stata pubblicata e, fin dalla prima bozza del 13 gennaio, era stata sufficientemente specifica sul fatto che la maggiorazione del prezzo delle azioni rispetto al valore di mercato sarebbe stata cospicua. Come risulta dalle fonti di prova illustrate dalla sentenza di primo grado, C. poteva fondatamente dirsi certo della pubblicazione del suo elaborato: il comitato interno preposto all'approvazione (SSC) non aveva mai creato problemi a C., che, in varie mail e conversazioni, aveva sempre dato sostanzialmente per certa la pubblicazione, discettando solo sulla relativa data. Nel caso di specie, poi, lo SSC riconobbe all'imputato la possibilità di scegliere, in perfetta autonomia, l'indicazione del prezzo obiettivo, nell'ambito di un'ampia forchetta. Le bozze stilate a partire da quella del 13 gennaio erano così simili da condurre a risultati finali non molto diversi tra loro, che variavano, quanto al target price, da 42,6 euro al valore infine fissato di 39 euro, sempre molto distante dal prezzo di mercato (26,75 euro al 23 gennaio) e da quello calcolato con il metodo tradizionale (30 euro). La notizia, rileva ancora la sentenza impugnata, non era pubblica: prima della pubblicazione nel sito di Citigroup poteva circolare solo nel ristretto ambito di chi era interessato alla procedura interna, sicché, comunicandola all'esterno, l'imputato aveva pacificamente violato le disposizioni in proposito del suo datore di lavoro, per ovvie ragioni di riservatezza e di par condicio in riferimento alla clientela. La notizia, rileva altresì il giudice di appello, era price sensitive, trattandosi della prima valutazione compiuta da un importante analista di un primario operatore internazionale quale Citigroup; lo stesso C. era convinto, ex ante, degli effetti della notizia sul prezzo, come testimoniato dalla scambio di mail con i dirigenti di Italease. La diffusione da parte dell'imputato dell'informazione (la pubblicazione del suo studio con l'indicazione di un valore per azione sensibilmente maggiore di quello oggetto delle contrattazioni borsistiche) è dimostrata inequivocabilmente dalle conversazioni e dalle mail acquisite da Consob, mentre del tutto irrilevante è la ragione per la quale l'imputato aveva comunicato l'informazione riservata, price sensitive e precisa: di mero studio, come affermato dallo stesso imputato e da C., o per fare scelte concrete di investimento; la tesi della mera collaborazione nella redazione dello studio è smentita dal fatto che C., il giorno dopo aver ricevuto la notizia da C., la comunicava a O. e ad alcuni clienti e, quindi, O. la comunicava ad altri clienti.
4.1. Ciò premesso, rileva la Corte che la doglianza enunciata sub 3.3.1. del Ritenuto in fatto è priva del requisito della specificità, limitandosi ad una critica all'impostazione della sentenza di appello svincolata dalla prospettazione di specifici vizi di motivazione incidenti sul nucleo essenziale della ratio decidendi ed incentrata sull'indicazione di dati testimoniali dedotti in termini del tutto generici (Sez. 5, n. 44992 del 9 ottobre 2012, Aprovitola, Rv. 253774).
4.2. Le censure relative all'insussistenza dei presupposti per qualificare come privilegiata l'informazione oggetto dell'imputazione non meritano accoglimento.
Come si è visto, la Corte di merito, in adesione alla sentenza di primo grado, ha rilevato, da una parte, che le varie bozze elaborate da C. C. contenevano risultati finali - in ordine al target price - molto simili, in quanto oscillanti tra il prezzo di 42,6 euro e il prezzo 39 euro, entrambi molto distanti dalla quotazione corrente del titolo Banca Italease, sicché non vi era mai stato alcun dubbio - nell'imputato e nei suoi interlocutori - che la ricerca avrebbe individuato un prezzo ben maggiore di quello di mercato; e che, dall'altra, era del tutto ragionevole prevedere la pubblicazione della ricerca, pubblicazione che lo stesso imputato aveva sempre dato per certa sulla base di un'opinione confermata dai fatti, posto che lo SSC aveva piena fiducia nei suoi confronti tanto da lasciargli la possibilità di scegliere, in perfetta autonomia, l'indicazione finale del prezzo obiettivo. Nei termini indicati, i giudici di merito hanno dato conto, con argomentare immune da vizi logici, della riconoscibilità, nell'informazione comunicata, del carattere della precisione, ossia della ragionevole previsione della circostanza dell'imminente pubblicazione della ricerca, con le caratteristiche evidenziate, e delle conclusioni circa il suo effetto sul titolo Italease, in linea con la nozione delineata dall'art. 181, comma 3, TUF (nozione ripresa dall'art. 7, comma 2, del Regolamento UE n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014).
A fronte di tali argomentazioni - e a prescindere dal rilievo che la notizia privilegiata può «appuntarsi su un accadimento futuro e, quindi, non del tutto certo, essendo soltanto essenziale che l'informazione - al momento dell'azione - si palesi idonea non soltanto a consentire l'investimento, ma anche a consentire la futura alterazione della quotazione dello strumento finanziario (ancorandosi all'ambito della price sensitiviness)» (Sez. 5, n. 8588 del 20 gennaio 2010, Banca Profilo Spa) - le censure del ricorrente incentrate sulla "provvisorietà" delle varie bozze predisposte da C. C. e la loro inidoneità ad offrire alcuna utile informazione, così come quella che fa leva sulla prospettata incertezza in ordine alla divulgazione della ricerca, omettono il puntuale confronto con le argomentate valutazioni della sentenza impugnata e, comunque, nella sostanza deducono questioni di merito, volte a sollecitare una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di legittimità della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente ai dati probatori richiamati ed immune da cadute di conseguenzialità logica.
4.3. Anche le censure incentrate sulla prospettata impossibilità di attribuire alla notizia i caratteri di precisione, price sensibility e non pubblicità devono essere disattese.
Circa la doglianza relativa al carattere di precisione, le argomentazioni del ricorrente ripercorrono quelle esaminate al punto che precede, sicché valgono per essa le medesime conclusioni.
In ordine al carattere non pubblico della notizia, il ricorrente sostiene che la relativa individuazione non può prescindere dal riferimento al contenuto della ricerca, basata, nel caso di specie, su dati già noti al mercato: l'argomento è già stato confutato, in quanto oblitera il rilievo che, come si è rilevato, l'informazione privilegiata è rappresentata, nel caso di specie, dall'imminente pubblicazione da parte di Citigroup di una ricerca su Banca Italease basata anche «su numeri non pubblici» e contenente una raccomandazione "buy" e un "target price" delle azioni Italease. Né in senso contrario può richiamarsi la ratio delle regole interne della stessa Citigroup, ratio che il ricorrente - con argomentare riferito in termini generali alla divulgazione di cui all'imputazione - individua nella tutela non già del mercato, ma della "clientela pagante": sul punto, infatti, la sentenza di primo grado, che si integra con quella conforme di secondo grado (Sez. 2, n. 11220 del 13 novembre 1997, Ambrosino, Rv. 209145), ricostruita la portata di tali regole, conclude sottolineando che non solo di fatto l'informazione non era pubblica, ma anche in termini astratti era da considerarsi non divulgabile prima della sua ufficiale pubblicazione e contestuale diffusione alla platea generale degli investitori clienti di Citigroup. Il rilievo vale anche con riguardo alla comunicazione della notizia in questione a C., inserito - così come l'imputato e diversamente dagli altri destinatari - in Citigroup, posto che, come rilevato dalla Corte di appello, egli non rientrava in quel ristretto novero di persone che potevano venire lecitamente (anche per disposizioni interne) a conoscenza della notizia. La censura, pertanto, deve essere disattesa.
La censura relativa al carattere price sensitive dell'informazione è inammissibile: incentrata su considerazioni generali in ordine all'attitudine delle ricerche degli analisti ad influire sulle scelte di investimento, le ragioni poste a fondamento dell'impugnazione sono prive di correlazione con le argomentazioni della sentenza impugnata, che, rispetto ad un'informazione avente le connotazioni più volte richiamate, ha valorizzato, per un verso, il fatto che si trattava di una prima valutazione compiuta da un importante analista - l'imputato - per conto di un primario operatore internazionale quale Citigroup, e, per altro verso, gli elementi acquisiti circa le valutazioni fatte ex ante dallo stesso C. C.
5. Il quarto motivo è inammissibile, atteso che con esso il ricorrente in realtà sviluppa considerazioni di merito. La sentenza impugnata ha argomentato in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, sottolineando la piena consapevolezza dell'imputato dell'impatto concreto che la pubblicazione della ricerca avrebbe avuto sulla quotazione delle azioni Italease, consapevolezza associata al timore, manifestato dallo stesso C. C., circa le conseguenze sul piano penale della propalazione della notizia riservata, precisa e price sensitive, timore alla luce del quale - osserva ancora la Corte di merito - la denuncia al superiore H. ha rappresentato solo il tentativo di attribuire ad altri la responsabilità dell'accaduto: la linea argomentativa così sviluppata è immune dal vizio denunciato, sicché il motivo si risolve nella sollecitazione ad una rivisitazione del materiale probatorio esorbitante dai compiti del giudice di legittimità.
6. Passando ora all'esame delle questioni relative al divieto di bis in idem, il quadro degli indirizzi della giurisprudenza delle Corti europee sul tema si è caratterizzato per significativi mutamenti, soprattutto in seno alla Corte di Strasburgo, mutamenti di cui è necessario dar conto, sia pure in termini essenziali.
6.1. La ricostruzione di tale quadro, con esclusivo riferimento alle pronunce più recenti e più direttamente riferibili al caso in esame, deve prendere le mosse dalla sentenza della Corte EDU, sez. II, 4 marzo 2014, Grande Stevens: richiamati gli scopi della Consob («assicurare la tutela degli investitori e l'efficacia, la trasparenza e lo sviluppo dei mercati borsistici»), la Corte di Strasburgo aveva sottolineato come le sanzioni pecuniarie da essa inflitte «mirassero essenzialmente a punire per impedire la recidiva», sicché erano basate «su norme che perseguivano uno scopo preventivo, ovvero dissuadere gli interessati dal ricominciare, e repressivo, in quanto sanzionavano una irregolarità» e, diversamente da quanto sostenuto dal Governo italiano, non si prefiggevano unicamente di riparare un danno di natura finanziaria; inoltre, «le sanzioni erano inflitte dalla Consob in funzione della gravità della condotta ascritta e non del danno provocato agli investitori» (§ 96). Ricostruita la disciplina sanzionatoria amministrativa prevista dal TUF, la sentenza Grande Stevens sottolineava che «il carattere penale di un procedimento è subordinato al grado di gravità della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata (...), e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta» (§ 98), giungendo così alla conclusione che «le sanzioni in causa rientrino, per la loro severità, nell'ambito della materia penale» (§ 99). Muovendo dal riconoscimento della riconducibilità nella materia penale della sanzione inflitta dalla Consob in relazione all'illecito di cui all'art. 187-ter TUF, la Corte EDU metteva in luce la portata del principio convenzionale del ne bis in idem sotto un duplice profilo: per un verso, infatti, «(l)a garanzia sancita all'articolo 4 del Protocollo n. 7 entra in gioco quando viene avviato un nuovo procedimento e la precedente decisione di assoluzione o di condanna è già passata in giudicato» (§ 220) e, per altro verso, «la questione da definire non è quella di stabilire se gli elementi costitutivi degli illeciti previsti dagli articoli 187-ter e 185 punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998 siano o meno identici, ma se i fatti ascritti ai ricorrenti dinanzi alla Consob e dinanzi ai giudici penali fossero riconducibili alla stessa condotta» (§ 224). Risolte in termini positivi le verifiche relative alla sussistenza dei presupposti di operatività del principio convenzionale, la Corte EDU concludeva nel senso della violazione dell'art. 4 del Prot. n. 7.
6.2. In linea con l'impostazione allora seguita dalla Corte EDU, la sentenza n. 102 del 2016 della Corte costituzionale, nel dichiarare l'inammissibilità delle questioni sollevate, tra l'altro, da questa Corte, rilevava che, «in base alla consolidata giurisprudenza europea», «il divieto di bis in idem ha carattere processuale, e non sostanziale», sicché esso «permette agli Stati aderenti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse sanzioni, ma richiede che ciò avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto della condizione che non si proceda per uno di essi quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa all'altro». D'altra parte, la sentenza n. 102 del 2016 indirizzava un monito al legislatore, rilevando che «spetta anzitutto al legislatore stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che tale sistema genera tra l'ordinamento nazionale e la CEDU» e osservando che, in tale prospettiva, «si muove il recente art. 11, comma 1, lettera m), della legge delega 9 luglio 2015, n. 114 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea. Legge di delegazione europea 2014), per l'attuazione alla direttiva n. 2014/57/UE, che impone agli Stati membri di adottare sanzioni penali per i casi più gravi di abuso di mercato, commessi con dolo e permette loro di aggiungere una sanzione amministrativa nella linea dell'art. 30 del regolamento 16 aprile 2014, n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli abusi di mercato e che abroga la direttiva 2003 giugno CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE». In effetti, la direttiva 2014/57/UE stabiliva, quale termine per il suo recepimento, il 3 luglio 2016 e la legge di delegazione europea 2014 richiamata dal giudice delle leggi (l. 9 luglio 2015, n. 114) delegava, all'art. 11, il Governo all'attuazione della direttiva stessa: tale delega, tuttavia, non fu esercitata.
6.3. Una diversa prospettiva è stata, invece, assunta, dalla Corte di giustizia dell'Unione europea. La sentenza della Grande Sezione del 26 febbraio 2013 Aklagarem c. Akeberg Fransson - C-617/10 ha infatti chiarito che «quando un giudice di uno Stato membro sia chiamato a verificare la conformità ai diritti fondamentali di una disposizione o di un provvedimento nazionale che, in una situazione in cui l'operato degli Stati membri non è del tutto determinato dal diritto dell'Unione, attua tale diritto ai sensi dell'articolo 51, paragrafo 1, della Carta, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione» (§ 29); richiamati i tre criteri in base ai quali occorre valutare, con riferimento al «principio del ne bis in idem», la natura penale di una sanzione, nel caso di specie, tributaria (i criteri della qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, della natura dell'illecito e della natura nonché del grado di severità della sanzione in cui l'interessato rischia di incorrere), la Grande Sezione ha sottolineato che «spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tali criteri, se occorra procedere ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali previsto dalla legislazione nazionale sotto il profilo degli standard nazionali ai sensi del punto 29 della presente sentenza, circostanza che potrebbe eventualmente indurlo a considerare tale cumulo contrario a detti standard, a condizione che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive» (par. 36). Nella definizione, secondo il diritto dell'Unione europea, della portata del principio del ne bis in idem sancito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la Corte di giustizia - in ciò distinguendosi dall'impostazione seguita della Corte Edu con la sentenza Grande Stevens - fa dunque riferimento alla necessaria valutazione dell'adeguatezza delle "rimanenti" sanzioni rispetto ai già richiamati canoni di effettività, proporzionalità e dissuasività.
7. Nel quadro qui in sintesi delineato va collocata la successiva sentenza della Grande Camera della Corte EDU, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia. Secondo la Grande Camera, gli Stati possono legittimamente scegliere «risposte giuridiche complementari di fronte ad alcuni comportamenti socialmente inaccettabili» attraverso procedure diverse che formino «un insieme coerente in maniera tale da trattare sotto i suoi diversi aspetti il problema sociale in questione» e a condizione che «tali risposte giuridiche combinate non rappresentino un onere eccessivo» per la persona interessata (§ 121): in forza dell'art. 4 Prot. n. 7, la Corte stessa verifica se la doppia incriminazione sia il frutto di «un sistema integrato che permette di reprimere un illecito sotto i suoi vari aspetti in maniera prevedibile e proporzionata e che forma un insieme coerente, in modo tale da non causare alcuna ingiustizia all'interessato» (§ 122). Dall'art. 4 cit., osserva ancora la Corte di Strasburgo in un passaggio di grande rilievo del percorso argomentativo della sentenza in esame, non discende il divieto di comminare una sanzione amministrativa - pur se qualificabile come "penale" - per fatti per i quali è opportuno perseguire penalmente l'autore in relazione a un elemento ulteriore rispetto al mero mancato pagamento dell'imposta: oggetto dell'art. 4 cit. è prevenire l'ingiustizia per la persona che sia perseguita o punita due volte per la stessa condotta criminalizzata, ma ciò non esclude la legittimità di un approccio "integrato" che involga «fasi parallele condotte da autorità diverse con finalità diverse» (§ 123).
La Grande Camera osserva quindi che, nei casi in cui è prevista la repressione in forza sia della legge penale, sia di quella amministrativa, il modo più sicuro per garantire il rispetto dell'art. 4 cit. sarebbe quello di prevedere un meccanismo in grado di unificare i due procedimenti: tuttavia, l'art. 4 cit. «non esclude che si possano tenere procedimenti misti, anche fino alla conclusione degli stessi», purché tra tali procedimenti sussista un «nesso materiale e temporale sufficientemente stretto», ossia che gli scopi perseguiti e i mezzi utilizzati per raggiungerli siano sostanzialmente complementari e presentino un nesso temporale e che «le eventuali conseguenze derivanti da una tale organizzazione del trattamento giuridico del comportamento in questione devono essere proporzionate e prevedibili per la persona sottoposta alla giustizia» (§ 130).
Ai fini della valutazione della sussistenza di tali condizioni, continua la Grande Camera, è necessario valutare: a) se i procedimenti abbiano scopi complementari e investano, anche in concreto, aspetti diversi della stessa condotta antisociale censurata; b) se la duplicità dei procedimenti sia, in base alla legge e nella pratica, una conseguenza prevedibile dello stesso comportamento sanzionato; c) se i procedimenti siano condotti in modo tale da evitare, per quanto possibile, «qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova, soprattutto grazie a una interazione adeguata tra le diverse autorità competenti, facendo apparire che l'accertamento dei fatti compiuto in uno dei procedimenti è stato ripreso nell'altro»; d) se, soprattutto, «la sanzione imposta all'esito del procedimento conclusosi per primo sia stata tenuta presente nell'ambito del procedimento che si è concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull'interessato un onere eccessivo, rischio, quest'ultimo, che è meno suscettibile di presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l'importo globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionato» (§ 132). La Grande Camera sottolinea, inoltre, la necessità di valutare se le sanzioni non formalmente penali non siano riconducibili al "nucleo essenziale" del diritto penale, poiché, «se, a titolo supplementare, tale procedimento non ha carattere veramente infamante, vi sono meno possibilità che faccia gravare un onere sproporzionato sull'accusato» (§ 133).
7.1. Il significativo mutamento registratosi nella giurisprudenza della Corte EDU con la sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia è stato rilevato anche dalla Corte costituzionale con la recente sentenza n. 43 del 2018: ha osservato il giudice delle leggi che «la rigidità del divieto convenzionale di bis in idem, nella parte in cui trova applicazione anche per sanzioni che gli ordinamenti nazionali qualificano come amministrative, aveva ingenerato gravi difficoltà presso gli Stati che hanno ratificato il Protocollo n. 7 alla CEDU, perché la discrezionalità del legislatore nazionale di punire lo stesso fatto a duplice titolo, pur non negata dalla Corte di Strasburgo, finiva per essere frustrata di fatto dal divieto di bis in idem», sicché, allo scopo di alleviare tale inconveniente, la Corte EDU ha enunciato «il principio di diritto secondo cui il ne bis in idem non opera quando i procedimenti sono avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto ("sufficiently closely connected in substance and in time"), attribuendo a questo requisito tratti del tutto nuovi rispetto a quelli che emergevano dalla precedente giurisprudenza», precisando che: «legame temporale e materiale sono requisiti congiunti; [...] il legame temporale non esige la pendenza contemporanea dei procedimenti, ma ne consente la consecutività, a condizione che essa sia tanto più stringente, quanto più si protrae la durata dell'accertamento; [...] il legame materiale dipende dal perseguimento di finalità complementari connesse ad aspetti differenti della condotta, dalla prevedibilità della duplicazione dei procedimenti, dal grado di coordinamento probatorio tra di essi, e soprattutto dalla circostanza che nel commisurare la seconda sanzione si possa tenere conto della prima, al fine di evitare l'imposizione di un eccessivo fardello per lo stesso fatto illecito»; inoltre, si dovrà anche valutare «se le sanzioni, pur convenzionalmente penali, appartengano o no al nocciolo duro del diritto penale, perché in caso affermativo si sarà più severi nello scrutinare la sussistenza del legame e più riluttanti a riconoscerlo in concreto». Pertanto, sottolinea ancora la sentenza n. 43 del 2018, «il ne bis in idem convenzionale cessa di agire quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la definitività del primo procedimento, ma viene subordinato a un apprezzamento proprio della discrezionalità giudiziaria in ordine al nesso che lega i procedimenti, perché in presenza di una "close connection" è permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della definizione dell'altro. Inoltre neppure si può continuare a sostenere che il divieto di bis in idem convenzionale ha carattere esclusivamente processuale, giacché criterio eminente per affermare o negare il legame materiale è proprio quello relativo all'entità della sanzione complessivamente irrogata. Se pertanto la prima sanzione fosse modesta, sarebbe in linea di massima consentito, in presenza del legame temporale, procedere nuovamente al fine di giungere all'applicazione di una sanzione che nella sua totalità non risultasse sproporzionata, mentre nel caso opposto il legame materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto di bis in idem pienamente operante». Rileva conclusivamente la sentenza in esame che «si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l'uno dall'altro, alla facoltà di coordinare nel tempo e nell'oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata», sicché «ciò che il divieto di bis in idem ha perso in termini di garanzia individuale, a causa dell'attenuazione del suo carattere inderogabile, viene compensato impedendo risposte punitive nel complesso sproporzionate».
7.2. Con la pronuncia della Grande Camera della Corte EDU, deve rilevarsi come si siano registrate significative convergenze tra gli orientamenti delle Corti europee, nei più alti consessi di ciascuna, in tema di ne bis in idem a norma dell'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Cedu e dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e in riferimento alla previsione per il medesimo illecito di sanzioni penali e di sanzioni amministrative alle quali debba riconoscersi natura sostanzialmente penale.
Secondo la Corte di giustizia (sentenza della Grande Sezione del 26 febbraio 2013 Aklagarem c. Akeberg Fransson - C-617/10), quando debba verificarsi la conformità ai diritti fondamentali di una disposizione o di un provvedimento nazionale, le autorità e i giudici nazionali possono «applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione»; con particolare riferimento al principio del ne bis in idem, ha osservato ancora la sentenza Fransson, spetta al giudice nazionale «valutare, alla luce di tali criteri, se occorra procedere ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali previsto dalla legislazione nazionale sotto il profilo degli standard nazionali», circostanza, questa, che «potrebbe eventualmente indurlo a considerare tale cumulo contrario a detti standard, a condizione che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive».
Le valutazioni cui è chiamato il giudice nazionale ai fini indicati dalla Corte di giustizia non presentano profili di incompatibilità rispetto a quelle delineate dalla Grande Camera della Corte Edu (15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia): venuto meno, a seguito del revirement sancito della Grande Camera, l'automatismo che faceva discendere la violazione del divieto di bis in idem dal riconoscimento della natura "convenzionalmente" penale della sanzione qualificata come amministrativa applicata cumulativamente ad altra sanzione penale, il divieto di cui all'art. 4 cit. non opera se i due procedimenti siano sufficientemente connessi nella sostanza e nel tempo e siano assicurate sanzioni complessivamente proporzionate e prevedibili, dovendosi verificare, come si è visto, la complementarietà degli scopi e l'incidenza su profili diversi del fatto illecito, la prevedibilità dei due procedimenti e la loro configurazione in modo da escludere duplicazioni nell'acquisizione e nella valutazione degli elementi posti a base dell'irrogazione della sanzione "amministrativa" e di quella (anche formalmente) penale, nonché, la previsione di meccanismi compensativi idonei ad assicurare la proporzionalità complessiva del trattamento sanzionatorio. Verifiche, queste, alle quali vanno associate quelle, prescritte dalla Corte dell'Unione, relative - oltre alla proporzionalità - all'effettività e alla dissuasività dell'apparato sanzionatorio.
8. In questo quadro si collocano le tre pronunce rese il 20 marzo 2018 dalla Grande Sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea nelle cause Menci (C-524/15), Garlsson Real Estate SA in liquidazione, Ricucci Stefano, Magiste international SA c. Consob (C-537/16) e Di Puma c. Consob e Consob c. Zecca (C-596/16 e C-597/16).
8.1. La sentenza Menci, che, per l'articolato apparato motivazionale, può essere assunta quale termine principale per l'esame dell'orientamento accreditato dalla Grande Sezione (salvo l'approfondimento specifico per la tematica del ne bis in idem in rapporto alla disciplina degli abusi di mercato, oggetto in particolare della sentenza Garlsson Real Estate), richiama i consolidati criteri funzionali all'identificazione della natura sostanzialmente penale di una sanzione formalmente amministrativa (criteri sostanzialmente assimilabili ai criteri Engel elaborati dalla Corte EDU) e all'accertamento dell'idem, ossia dell'esistenza di uno stesso reato sulla base dell'identità dei fatti materiali (sentenza Menci, rispettivamente, §§ 26 ss. e §§ 34 ss.; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, §§ 28 ss. e 36 ss.). Sul punto, mette conto rilevare, con riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio, che del tutto pacifici, alla stregua dei criteri richiamati e della giurisprudenza delle due Corti europee, sono la natura sostanzialmente "penale" della sanzione irrogata da Consob e l'identità dei fatti attribuiti all'imputato nel presente giudizio e in quello che ha condotto all'irrogazione della sanzione formalmente amministrativa; al riguardo, è sufficiente richiamare quanto rilevato da questa Corte con l'ordinanza n. 1792/15 del 10 novembre 2014: «l'identità del fatto imputato al ricorrente nel presente procedimento rispetto a quello ascrittogli in sede amministrativa risulta univocamente - e senza necessità di ulteriori accertamenti preclusi a questa Corte di legittimità - dalla sentenza della Corte di appello di Roma acquisita (recante l'attestazione in data 28 marzo 2014 già richiamata): la sentenza dà atto dell'applicazione a Roberto C. C. della sanzione pecuniaria di euro 350.000,00, oltre che della sanzione accessoria ex art. 187-quater, comma 1, TUF per la durata di dodici mesi, avendolo ritenuto responsabile della violazione dell'art. 187-bis, comma 1, TUF, perché, quale analista di ricerca operante presso la sede di Londra di Citigroup, comunicava tra il 13 gennaio 2006 e il 23 gennaio 2006, al di fuori del normale esercizio del lavoro, a sette operatori di mercato l'informazione privilegiata relativa all'imminente pubblicazione, da parte di Citigroup, di una ricerca di mercato dello stesso C. C. predisposta su Banca Italease s.p.a., contenente una raccomandazione di acquisto per un target price significativamente superiore al prezzo di mercato del titolo azionario della stessa società. Alla luce di quanto rilevato al punto 1 del Ritenuto in fatto, risulta univocamente l'identità del fatto contestato in sede penale e di quello definitivamente accertato in sede amministrativa».
8.2. Nel delineare la portata della tutela accordata dall'art. 50 CDFUE, la Grande Sezione mette in correlazione detta norma con l'art. 52, comma 1, in forza del quale, da una parte, eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla stessa Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà, mentre, dall'altra, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo qualora siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui: dalla lettura coordinata delle norme indicate, la Corte di giustizia trae una serie di indicazioni volte ad individuare le condizioni in presenza delle quali il cumulo di sanzioni sostanzialmente penali (seppur formalmente eterogenee) non integra una violazione del principio del ne bis in idem secondo il diritto dell'Unione europea.
Al riguardo, viene in rilievo, in primo luogo, la necessaria base legale della disciplina del cumulo sanzionatorio e, segnatamente, la previsione dello stesso attraverso «norme chiare e precise che consentano al soggetto dell'ordinamento di prevedere quali atti e omissioni possano costituire oggetto di un siffatto cumulo di procedimenti e di sanzioni» (sentenza Menci, §§ 42 e 49; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, §§ 44 e 52).
In secondo luogo, le sentenze del 20 marzo 2018 richiamano la necessaria complementarietà finalistica del cumulo sanzionatorio e, con essa, il ruolo decisivo del giudice interno: un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato allorché detti procedimenti e dette sanzioni riguardino, in vista della realizzazione di un «obiettivo di interesse generale», «scopi complementari vertenti, eventualmente, su aspetti differenti della medesima condotta di reato interessata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (sentenza Menci, § 44; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, § 46).
La Grande Sezione delinea poi, in terzo luogo, un requisito afferente al necessario coordinamento tra i procedimenti, ossia a una previsione normativa tale da far sì che «gli oneri derivanti, a carico degli interessati, da un cumulo del genere siano limitati a quanto strettamente necessario al fine di realizzare l'obiettivo» di interesse generale richiamato (sentenza Menci, § 52; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, § 54). La Corte di giustizia richiama, quindi, un canone di proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, canone che - a conferma della dimensione prevalentemente sostanziale riconosciuta al ne bis in idem pure nell'ambito del diritto dell'Unione europea - rinviene il proprio fondamento anche nell'art. 49, comma 3, della Carta, in forza del quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato: in questa prospettiva, la Grande Sezione rileva che «al cumulo di sanzioni di natura penale devono accompagnarsi norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte corrisponda alla gravità del reato di cui si tratti, considerato che un'esigenza siffatta discende non soltanto dall'articolo 52, paragrafo 1, della Carta, ma altresì dal principio di proporzionalità delle pene di cui all'articolo 49, paragrafo 3, della medesima», norme che «devono prevedere l'obbligo per le autorità competenti, qualora venga inflitta una seconda sanzione, di far sì che la severità del complesso delle sanzioni imposte non sia superiore alla gravità del reato constatato» (sentenza Menci, § 55; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, § 56). Anche sotto questo profilo centrali sono - nel percorso argomentativo della sentenza Menci - il ruolo del giudice del rinvio e il riferimento alla fattispecie concreta (sia sotto il profilo della gravità dell'illecito, sia sotto quello della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio), posto che «spetta, in definitiva, al giudice del rinvio valutare la proporzionalità dell'applicazione concreta della summenzionata normativa nell'ambito del procedimento principale, ponderando, da un lato, la gravità del reato tributario in discussione e, dall'altro, l'onere risultante concretamente per l'interessato dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni di cui al procedimento principale» (sentenza Menci, § 59; anche la sentenza Garlsson Real Estate richiama, ai §§ 59 e 61, la necessaria verifica, sul punto, da parte del giudice del rinvio).
8.3. La sentenza Menci ha poi espressamente richiamato i più recenti approdi della giurisprudenza della Corte EDU: rilevato che «nella misura in cui la Carta contiene diritti corrispondenti a diritti garantiti dalla CEDU, l'articolo 52, paragrafo 3, della Carta, prevede che il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione», sicché occorre «tenere conto dell'articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU ai fini dell'interpretazione dell'articolo 50 della Carta», la Corte di giustizia richiama le conclusioni cui è giunta la Corte EDU con la sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia, secondo cui «un cumulo di procedimenti e di sanzioni tributarie e penali volte a reprimere una medesima violazione della legge tributaria non lede il principio del ne bis in idem, sancito all'articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU, quando i procedimenti tributari e penali di cui trattasi presentano un nesso temporale e materiale sufficientemente stretto».
8.4. Con specifico riferimento alla disciplina degli abusi di mercato, la sentenza Garlsson Real Estate - intervenuta in un caso, per così dire, "simmetrico" a quello in esame, in cui la sanzione (anche formalmente) penale era divenuta definitiva e il giudizio a quo riguardava la sanzione formalmente amministrativa irrogata da Consob - ha riconosciuto come sussistenti alcune delle condizioni sopra richiamate.
Quanto alla necessaria base legale, la Corte di giustizia ha fatto riferimento alla disciplina prevista in materia dal TUF, riferimento senz'altro estensibile anche all'abuso di informazioni privilegiate che viene in rilievo nel caso in esame.
Quanto alla necessaria complementarietà finalistica del cumulo sanzionatorio, la Grande Sezione ha identificato l'obiettivo di interesse generale sotteso alla normativa statale in tema di abusi di mercato nella tutela dell'integrità dei mercati finanziari dell'Unione e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, rilevando che, alla luce dell'importanza attribuita dalla giurisprudenza della stessa Corte di giustizia al fine di realizzare tale obiettivo, «un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato qualora tali procedimenti e tali sanzioni perseguano, ai fini del conseguimento di un simile obiettivo, scopi complementari riguardanti, eventualmente, aspetti diversi del medesimo comportamento illecito interessato, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (§ 46); invero, sembra alla Grande Sezione «legittimo che uno Stato membro voglia, da un lato, scoraggiare e reprimere ogni violazione, intenzionale o meno, del divieto di manipolazione del mercato applicando sanzioni amministrative stabilite, se del caso, in maniera forfettaria e, dall'altro, scoraggiare e reprimere violazioni gravi di tale divieto, che sono particolarmente dannose per la società e che giustificano l'adozione di sanzioni penali più severe» (§ 47).
Con riguardo alla proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, la sentenza Garlsson Real Estate ha osservato, richiamando la direttiva 2003/6, che «la proporzionalità di una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, non può essere messa in dubbio per il solo fatto che lo Stato membro di cui trattasi abbia optato per la possibilità di un cumulo siffatto, a pena di privare detto Stato membro di tale libertà di scelta» (§ 49), sicché «una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede una tale possibilità di cumulo è idonea a realizzare l'obiettivo di cui al punto 46 della presente sentenza» (§ 50).
In ordine al requisito del necessario coordinamento tra i procedimenti, in modo da limitare gli oneri derivanti dal cumulo a quanto strettamente necessario al fine di realizzare l'obiettivo, la sentenza Garlsson Real Estate ha rilevato la necessità di «norme che assicurino un coordinamento volto a ridurre allo stretto necessario l'onere supplementare che un simile cumulo comporta per gli interessati» (§ 55). Sotto il profilo della proporzionalità, inoltre, la disciplina deve «prevedere l'obbligo per le autorità competenti, in caso di irrogazione di una seconda sanzione, di assicurarsi che la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte non ecceda la gravità del reato accertato» (§ 56). Con specifico riferimento alla fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo, la Grande Sezione ha osservato che, se è vero che l'obbligo di cooperazione e di coordinamento tra il pubblico ministero e la Consob previsto all'art. 187-decies TUF può ridurre l'onere derivante, per l'interessato, dal cumulo di un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di un procedimento penale per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, tuttavia «nel caso in cui sia stata pronunciata una condanna penale in forza dell'articolo 185 del TUF al termine di un procedimento penale, la celebrazione del procedimento riguardante la sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale eccede quanto è strettamente necessario per il conseguimento dell'obiettivo di cui al punto 46 della presente sentenza, qualora tale condanna penale sia idonea a reprimere l'infrazione commessa in modo efficace, proporzionato e dissuasivo» (§ 57). La sentenza Garlsson Real Estate ha poi rilevato che i fatti oggetto della norma penale (l'art. 185 TUF, nel caso di specie), devono presentare una certa gravità e che «le pene che possono essere inflitte in forza di tale disposizione comprendono la reclusione nonché una multa, il cui spazio edittale corrisponde a quello previsto per la sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale» (di cui all'art. 187-ter TUF, nel caso di specie) (§ 58); alla luce di tale rilievo, la Grande Sezione afferma che «il fatto di proseguire un procedimento di sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale ai sensi di tale articolo 187-ter eccederebbe quanto strettamente necessario per conseguire l'obiettivo di cui al punto 46 della presente sentenza, nei limiti in cui la condanna penale pronunciata in via definitiva, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (§ 59); sproporzione, questa, non scongiurata dal meccanismo delineato dall'art. 187-terdecies TUF, in quanto esso «sembra avere ad oggetto solamente il cumulo di pene pecuniarie, e non il cumulo di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di una pena della reclusione», sicché «detto articolo non garantisce che la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato in questione» (§ 60).
8.5. Le sentenze della Grande Sezione del 20 marzo 2018 hanno delineato la portata del principio del ne bis in idem in termini per i quali possono estendersi alla giurisprudenza della Corte di giustizia i rilievi svolti dalla Corte costituzionale (sent. n. 43 del 2018) a proposito dell'orientamento della Corte Edu delineato dalla sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia (espressamente richiamata dalla sentenza Menci), ossia, da un lato, che il principio opera sulla base di un apprezzamento proprio della discrezionalità giudiziaria in ordine al nesso che lega il procedimento penale e quello solo formalmente amministrativo e, dall'altro, che il criterio eminente per affermare o negare il legame tra detti procedimenti è quello relativo all'entità della sanzione complessivamente irrogata: di grande rilievo, in tal senso, è il fondamento del canone di proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio individuato dalla Grande Sezione, un fondamento che instaura una correlazione tra l'art. 50 e l'art. 49, comma 3, della Carta. Sul punto, deve aggiungersi, che la centralità del profilo sanzionatorio assunta, secondo gli orientamenti dei più alti consessi delle Corti europee, nelle valutazioni relative al principio del ne bis in idem esclude che, con riguardo a tali valutazioni, possa - come prospettato dall'ultima memoria della parte civile - attribuirsi rilievo alla direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 (non presa in considerazione dalla sentenza Garlsson Real Estate). L'adozione di tale direttiva non ha dato corpo ad un fenomeno successorio, posto che la direttiva, a norma dell'art. 288, terzo comma, TFUE, opera sulla base di una riserva di competenza in favore dello Stato-membro e presuppone l'attuazione del risultato da raggiungere attraverso normative nazionali (esse sì assoggettate, quando assumano la forma legislativa, al regime della successione di leggi penali): del resto, sia la direttiva del 2003, sia quella del 2014 prevedevano la possibilità del cumulo sanzionatorio (essendo stato modificato solo il rapporto tra sanzione penale e sanzione amministrativa "sostanzialmente" penale, nel senso della "preferenza" accordata alla prima dalla più recente direttiva) e proprio sotto il vigore della direttiva del 2003 fu adottata la disciplina del TUF ancora oggi, in buona sostanza, vigente. Tuttavia, il rilievo sul piano sistematico (quale «parametro interpretativo») della direttiva del 2014 prospettato dalla parte civile conferirebbe comunque valenza in malam partem ad una normativa successiva al fatto, in contrasto con il principio fondamentale di irretroattività ex art. 25, secondo comma, Cost.
D'altra parte, la sentenza Garlsson Real Estate ha esaminato la disciplina del "doppio binario" dettata in tema di abusi di mercato dal TUF, ribadendo il ruolo del giudice nazionale nella valutazione del complessivo trattamento sanzionatorio ed individuando un profilo di illegittimità dell'art. 187-terdecies TUE nella parte in cui ha ad «oggetto solamente il cumulo di pene pecuniarie, e non il cumulo di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di una pena della reclusione». La circostanza che nel giudizio a quo venisse in rilievo, a fronte dell'irrevocabilità della condanna penale, l'applicazione della sanzione irrogata da Consob non incide sulle valutazioni generali della sentenza del 20 marzo 2018, in toto riferibili anche al caso in esame; il che esclude in radice la ravvisabilità di questioni da sottoporre nuovamente all'esame della Corte di giustizia.
9. I rilievi fin qui svolti rendono ragione della necessità di verificare se la disciplina sanzionatoria del TUF che viene in rilievo nel caso di specie sia conforme alla disciplina della Cedu e al diritto dell'Unione europea, alla luce dei dicta delle due Corti europee già richiamati.
9.1. Muovendo dalla verifica della conformità della disciplina del TUF al principio del ne bis in idem, così come ricostruito, nella sua portata applicativa, dalla sentenza della Grande Camera A. e B. c. Norvegia, va escluso, innanzitutto, che le sanzioni amministrative comminate per l'abuso di informazioni privilegiate siano riconducibili al "nucleo duro" del diritto penale (ossia si presentino come connotate da particolare attitudine stigmatizzante). A questo proposito, mette conto sottolineare che i più recenti approdi della giurisprudenza costituzionale hanno messo in luce come la riconducibilità di una sanzione formalmente amministrativa alla materia penale secondo i canoni convenzionali non comporti la riferibilità tout court a detta sanzione dell'apparato di garanzie proprio della sanzione penale in senso stretto: infatti, «ciò che per la giurisprudenza europea ha natura "penale" deve essere assistito dalle garanzie che la stessa ha elaborato per la "materia penale"; mentre solo ciò che è penale per l'ordinamento nazionale beneficia degli ulteriori presidi rinvenibili nella legislazione interna», non essendo precluso al legislatore interno il riconoscimento di determinate garanzie al (solo) «nucleo più incisivo del diritto sanzionatorio, rappresentato dal diritto penale, qualificato come tale dall'ordinamento interno» (Corte cost., sent. n. 43 del 2017). Viene così delineata una modulazione delle tutele accordate alle sanzioni riconducibili alla "materia penale", nel senso della non equiparabilità in toto di quelle penali in senso stretto (e, dunque, espressione del nucleo più incisivo del sistema sanzionatorio) a quelle amministrative: per queste ultime, anche in ossequio al principio di sussidiarietà (Corte cost., sentt. n. 49 del 2015; n. 68 del 2017), il legislatore conserva la discrezionalità - purché non trasmodi nella manifesta irragionevolezza - di configurare un trattamento sanzionatorio per l'illecito amministrativo non sorretto dall'identico corpus di garanzie della sanzione penale in senso stretto (cfr. sent. n. 193 del 2016). Il che conferma - in una prospettiva di ricostruzione della nozione di materia penale definita, in dottrina, "a geometria variabile" - la non riconducibilità delle sanzioni amministrative comminate per l'abuso di informazioni privilegiate al nucleo più incisivo del diritto sanzionatorio, rappresentato dal diritto penale.
La disciplina italiana degli abusi di mercato, inoltre, prevede un meccanismo compensativo finalizzato ad assicurare la complessiva proporzionalità delle sanzioni penali e amministrative irrogate all'agente: in forza dell'art. 187-terdecies TUF, quando per lo stesso fatto è stata applicata una sanzione amministrativa pecuniaria, l'esazione della pena pecuniaria (così come della sanzione pecuniaria dipendente da reato) è limitata alla parte eccedente quella riscossa dall'autorità amministrativa. Pur facendo espresso riferimento la disposizione appena richiamata all'ipotesi (senz'altro statisticamente più frequente) in cui la sanzione amministrativa pecuniaria sia già stata applicata e, dunque, la pena pecuniaria (così come la sanzione pecuniaria dipendente da reato) debba essere limitata, in sede di esazione, alla parte eccedente quella riscossa dall'autorità amministrativa, deve ritenersi (come già affermato da questa Corte con l'ordinanza Sez. 5, n. 1782 del 10 novembre 2014 - dep. 2015 e in accordo con molteplici voci dottrinali), che il meccanismo "compensativo" ivi stabilito debba trovare applicazione anche quando la sequenza risulti invertita (come espressamente stabilito dall'art. 4, comma 17, del d.lgs. 14 agosto 2018, n. 107, non ancora in vigore alla data della deliberazione della presente sentenza). Il che rende ragione dello stretto "collegamento" tra gli esiti del procedimento penale e del procedimento relativo all'applicazione della sanzione amministrativa funzionale ad assicurare la proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio: si rinviene, dunque, nella legislazione interna quel «meccanismo compensatorio» funzionale ad assicurare la proporzionalità della complessiva risposta sanzionatoria richiesto dalla Grande Camera. Il punto, tuttavia, dovrà essere esaminato nuovamente alla luce delle indicazioni offerte, con riferimento al diritto dell'Unione europea e segnatamente all'art. 50 CDFUE, dalla citata sentenza della Corte di giustizia del 20 marzo 2018 Garlsson Real Estate.
La disciplina dell'illecito penale e quella dell'illecito amministrativo, inoltre, hanno scopi complementari. Come affermato dalle Sezioni unite civili di questa Corte, in tema di sanzioni amministrative per la violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, il giudizio di colpevolezza è ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l'indagine all'accertamento della "suità" della condotta inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall'autorità amministrativa la fattispecie tipica dell'illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall'art. 3 della l. 24 novembre 1981, n. 689, l'onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (cfr. Sez. un. civ., n. 20930 del 30 settembre 2009, Rv. 610512, in tema di violazione dell'art. 190 TUF; conf. Sez. 2, n. 27225 del 4 dicembre 2013, Rv. 628802, che ha ribadito il principio di diritto richiamato anche in tema di violazione dell'art. 187-bis, comma 4, TUF). Il rilievo - in uno con l'equiparazione, per l'illecito amministrativo, del tentativo alla consumazione (art. 187-bis, comma 6, TUF) - giova a mettere in luce una più marcata finalizzazione dell'illecito amministrativo alla tutela oggettiva del mercato e della fiducia degli investitori; tutela, questa, propria anche del bene protetto dalla norma incriminatrice dell'illecito penale, in relazione al quale, tuttavia, essa si salda alle ulteriori finalizzazioni tipiche della sanzione penale e, in particolare, all'istanza special-preventiva. Gli scopi delle diverse previsioni sanzionatorie non sono, dunque, in toto sovrapponibili, risultando, comunque, complementari e danno vita a un sistema integrato che, per un verso, chiama in causa, di regola in prima battuta (e, comunque, attraverso procedimenti che garantiscono la convergenza degli apporti conoscitivi), l'autorità amministrativa portatrice di peculiari competenze tecniche nelle complesse dinamiche dei mercati finanziari e, per altro verso, fa leva sulla tutela penale rispetto alle più gravi violazioni della disciplina in tema di abusi di mercato.
Del tutto pacifica la prevedibilità dell'irrogabilità delle due sanzioni, i relativi procedimenti sono configurati dalla disciplina interna in modo tale da assicurare - ferme restando le peculiari regole acquisitive e valutative del giudizio penale - la tendenziale univocità degli elementi conoscitivi posti a fondamento dell'applicazione delle sanzioni: significative, in tal senso, sono l'attribuzione alla Consob dei diritti e delle facoltà processuali nel procedimento penale riconosciuti agli enti e alle associazioni rappresentativi degli interessi lesi dal reato (artt. 187-undecies TUF e 91 c.p.p.); l'attribuzione alla Consob di poteri di indagine previa autorizzazione del procuratore della Repubblica (art. 187-octies, comma 5, TUF); la disciplina dei rapporti tra autorità giudiziaria e Consob dettata dall'art. 187-decies TUF, avuto riguardo, in particolare, alla specifica previsione dello scambio di informazioni funzionale all'accertamento delle violazioni. Previsioni, queste, che - in uno con il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui le relazioni ispettive dei funzionari della Consob sono utilizzabili ai fini di prova relativamente alle parti riguardanti il rilevamento dei dati oggettivi sull'andamento delle sedute di borsa ed al contenuto delle registrazioni delle comunicazioni telefoniche degli intermediari (Sez. 5, n. 4324/13, Dall'Aglio, cit.; conf. Sez. 5, n. 14759 del 2 dicembre 2011 - dep. 2012, Fiorani, Rv. 252300) - rendono ragione, su un piano generale, della connessione temporale dei procedimenti, confermata, nel caso concreto in esame, dallo sviluppo temporale dei due procedimenti, posto che la sentenza della Corte di appello relativa alla sanzione amministrativa è intervenuta il 7 novembre 2011, laddove, nel giudizio penale, la sentenza di primo grado è pressoché coeva, essendo stata deliberata il 20 dicembre 2011, mentre quella di appello è intervenuta il 16 gennaio 2013; invero, la successiva protrazione del procedimento penale deve essere ricondotta, da un lato, alla mancata impugnazione da parte dell'interessato della sentenza della Corte di appello di Roma (relativa all'applicazione delle sanzioni amministrative) - mancata impugnazione che si ricollega all'esercizio di una facoltà riconosciuta all'interessato e non esclude la necessità di valutare l'irrogazione della sanzione "formalmente" amministrativa e di quella penale alla luce del principio del ne bis in idem, nelle declinazioni offerte dalle Corti europee - e, dall'altro, alle vicende giurisdizionali ricollegate alla sentenza Grande Stevens e al successivo revirement della Corte EDU, nonché all'incidente di legittimità costituzionale promosso da questa Corte e alla tempistica delle sentenze della Corte di giustizia del 20 marzo 2018.
Deve pertanto concludersi che il procedimento penale e quello amministrativo previsti dalla disciplina nazionale in tema di abusi di mercato presentano quella connessione sostanziale e temporale che, secondo l'insegnamento della sentenza della Grande Camera della Corte EDU, A e B. c. Norvegia, esclude la violazione del principio del ne bis in idem (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 6993 del 22 settembre 2017 - dep. 2018, Servello, Rv. 272588).
9.2. Passando alla verifica della conformità della disciplina del TUF al principio del ne bis in idem così come configurato dal diritto dell'Unione europea e alla luce delle pronunce della Grande Sezione del 20 marzo 2018, per le ragioni già indicate sussiste senz'altro la base legale della disciplina del cumulo sanzionatorio. Quanto alla necessaria complementarietà finalistica, anche per tale requisito valgono i rilievi già formulati, dovendosi solo ribadire come la stessa sentenza Garlsson Real Estate abbia rimarcato che, alla luce dell'importanza attribuita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia al fine di assicurare la tutela dell'integrità dei mercati finanziari dell'Unione e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, «un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato qualora tali procedimenti e tali sanzioni perseguano, ai fini del conseguimento di un simile obiettivo, scopi complementari riguardanti, eventualmente, aspetti diversi del medesimo comportamento illecito interessato, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (§ 46).
Quanto al coordinamento tra i procedimenti funzionale alla limitazione allo stretto necessario degli oneri derivanti dal cumulo e al connesso profilo della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, la sentenza Garlsson Real Estate ha rilevato, per un verso, che la prosecuzione del procedimento (in sede amministrativa, nel caso esaminato) eccederebbe il limite strettamente necessario qualora la «condanna penale pronunciata in via definitiva, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (§ 59) e, per altro verso, che la sproporzione non risulta scongiurata dal meccanismo delineato dall'art. 187-terdecies TUF, in quanto esso «sembra avere ad oggetto solamente il cumulo di pene pecuniarie, e non il cumulo di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di una pena della reclusione» (§ 60).
Al riguardo, dunque, pur ravvisando profili di illegittimità della disciplina interna, avuto particolare riguardo alla mancata riferibilità del meccanismo "compensativo" ex art. 187-terdecies TUF anche alla pena della reclusione comminata dalla norma penale in materia di abusi di mercato, la sentenza Garlsson Real Estate riconosce comunque un margine di apprezzamento, in relazione alla fattispecie concreta, in capo al giudice nazionale: conclusione, questa, che trova conferma nelle indicazioni offerte anche dalla sentenza Menci, in tema di disciplina del cumulo sanzionatorio relativo agli illeciti tributari, lì dove sottolinea che spetta al giudice del rinvio valutare la proporzionalità dell'applicazione concreta della normativa sanzionatoria nell'ambito del procedimento principale, ponderando, da un lato, la gravità del reato in questione e, dall'altro, l'onere risultante concretamente per l'interessato dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni di cui al procedimento principale (§ 59).
10. È, dunque, compito del giudice nazionale verificare la sussistenza o meno del requisito della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio applicato al ricorrente (cfr. Sez. 5, 16 luglio 2018, Franconi, come da notizia di decisione diramata): giudizio che, nella prospettiva eminentemente - pur se non esclusivamente - sostanziale assunta dal divieto di bis in idem a seguito della recente convergenza degli orientamenti delle Corti europee (convergenza registrata anche dalla Corte costituzionale), integra un elemento essenziale della garanzia, tanto nella prospettiva della Cedu, quanto in quella del diritto dell'Unione europea.
10.1. Al riguardo, le conclusioni fin qui raggiunte alla luce degli approdi della giurisprudenza della Corte di giustizia (in linea con quelli della Corte EDU) possono essere così enunciate: nella verifica della compatibilità con il principio del ne bis in idem del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all'autore dell'abuso di mercato, il giudice comune deve valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo) e, in particolare, agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato (anche sotto il profilo dell'incidenza del fatto sull'integrità dei mercati finanziari e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari), tenendo conto, con riguardo alla pena della multa, del meccanismo "compensativo" di cui all'art. 187-terdecies TUF; qualora detta valutazione dovesse condurre a ritenere il complessivo trattamento sanzionatorio lesivo della garanzia del ne bis in idem, nei termini sopra diffusamente richiamati, il giudice nazionale dovrà dare applicazione diretta al principio garantito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, disapplicando, se necessario e, naturalmente, solo in mitius, le norme che definiscono il trattamento sanzionatorio.
10.2. Tali conclusioni sono imposte dal rilievo che «il principio del ne bis in idem garantito dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea conferisce ai soggetti dell'ordinamento un diritto direttamente applicabile nell'ambito di una controversia come quella oggetto del procedimento principale» (sentenza Garlsson Real Estate, in dispositivo) e non reca alcun vulnus ai princìpi costituzionali richiamati dalla parte civile Consob nella sua ultima memoria.
In ordine al principio di obbligatorietà dell'azione penale ex art. 112 Cost., come questa Corte ha già avuto modo di rilevare con l'ordinanza n. 1782/15 del 10 novembre 2014, esso non può «operare come una sorta di generalizzata preclusione al "recepimento", nell'ordinamento interno, della riconducibilità nel genus della sanzione penale, così come delineato dalla Cedu, di sanzioni formalmente non qualificate come tali»: rilievo, questo, all'evidenza riferibile anche al "recepimento" dell'interpretazione del diritto dell'Unione europea - e, segnatamente, dell'art. 50 CDFUE - offerta dalla Corte di giustizia.
I medesimi rilievi valgono anche con riguardo al principio di legalità, che pure non può essere invocato per giustificare una indiscriminata preclusione alla conformazione del diritto interno al diritto dell'Unione europea in materia penale: rilievo, questo, che trova conferma, in primo luogo, nelle tante pronunce della giurisprudenza di legittimità in tema, ad esempio, di disciplina dell'immigrazione alla luce della direttiva 2008/115/CE e della sentenza della Corte di giustizia, 28 aprile 2011, El Dridi (ex plurimis, Sez. 1, n. 20130 del 29 aprile 2011, Sall, Rv. 250041) o di disciplina delle scommesse alla luce degli artt. 49 e 56 TFUE e di varie decisioni della Corte di Lussemburgo (ex plurimis, Sez. 3, n. 43955 del 15 settembre 2016, Tomassi, Rv. 267936). Ma analoga conferma si rinviene nella giurisprudenza costituzionale; investita delle questioni di legittimità della disciplina sanzionatoria penale in materia di giochi e scommesse, sollevate anche in riferimento ad alcune norme dei Trattati e sulla base, tra l'altro, del rilievo che, «ai fini della certezza del diritto e della sua applicazione», la normativa censurata dovrebbe essere «necessariamente e preliminarmente» sottoposta a vaglio di legittimità costituzionale «per contrasto con tutte le disposizioni di rango primario, europee ed italiane che siano», la Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 48 del 2017, ha ribadito il consolidato orientamento secondo cui: «per giurisprudenza di questa Corte, fondata sull'art. 11 della Costituzione e costante a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, il giudice nazionale deve dare piena e immediata attuazione alle norme dell'Unione europea provviste di efficacia diretta - quali pacificamente sono quelle evocate dall'odierno rimettente (sentenza n. 284 del 2007) - e non applicare, in tutto o anche solo in parte, le norme interne ritenute con esse inconciliabili»; la «non applicazione deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite - sindacabile unicamente da questa Corte - del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona».
Princìpi e diritti fondamentali della persona che risultano salvaguardati dall'assetto del ne bis in idem e dei compiti di accertamento riconosciuti al giudice penale. Infatti, sempre con riguardo al principio di legalità in materia penale, mette conto osservare che l'apprezzamento cui è chiamato, nei termini sopra indicati, il giudice comune con riferimento alla compatibilità del complessivo trattamento sanzionatorio irrogato all'interessato con la garanzia del ne bis in idem è sostanzialmente affine alle valutazioni sottese ai parametri commisurativi di cui all'art. 133 c.p., determinando, rispetto ad essi, un "allargamento" dell'oggetto di tali valutazioni, che, per un verso, devono essere estese al trattamento sanzionatorio inteso come comprensivo anche della sanzione formalmente amministrativa e, per altro verso, devono investire il fatto commesso nei diversi aspetti propri dei due illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo).
11. Come si è detto, in caso di valutazione di incompatibilità del complessivo trattamento sanzionatorio con la garanzia del ne bis in idem, il giudice dovrà dar corso all'applicazione diretta del principio garantito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, disapplicando le norme interne che definiscono il trattamento sanzionatorio.
Disapplicazione, questa, che potrà investire in toto la norma relativa alla sanzione non ancora divenuta irrevocabile solo quando la "prima" sanzione sia, da sola, proporzionata al disvalore del fatto, avuto riguardo anche agli aspetti propri della "seconda" sanzione e agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato. Solo in presenza di una sanzione irrevocabile idonea, da sola, ad "assorbire" il complessivo disvalore del fatto, dunque, il giudice comune dovrà disapplicare in toto la norma che commina la sanzione non ancora irrevocabile, così escludendone l'applicazione.
Si tratta, all'evidenza, di ipotesi, che, considerata la già evidenziata estraneità della sanzione irrogata dall'autorità amministrativa al nucleo più incisivo del diritto sanzionatorio, rappresentato dal diritto penale, sono potenzialmente suscettibili di venire in rilievo nel caso in cui la valutazione circa la violazione del ne bis in idem riguardi la sanzione amministrativa, essendo già divenuta irrevocabile quella penale (ossia nel caso preso in considerazione dalla sentenza Garlsson Real Estate): sanzione penale, evidentemente, determinata in termini di particolare severità rispetto al disvalore complessivo del fatto.
Nel caso opposto in cui (come nella fattispecie di cui al presente procedimento) la sanzione divenuta irrevocabile sia quella irrogata da Consob, la disapplicazione in toto della norma sanzionatoria penale può venire in rilievo in ipotesi del tutto eccezionali, in cui la sanzione amministrativa - evidentemente attestata sui massimi edittali in rapporto ad un fatto di gravità, sotto il profilo penale, affatto contenuta - risponda, da sola, al canone della proporzionalità nelle diverse componenti riconducibili ai due illeciti.
Fuori dall'ipotesi del tutto eccezionale appena richiamata, l'accertamento dell'incompatibilità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato rispetto alla garanzia del ne bis in idem comporta, nel caso di sanzione amministrativa già divenuta irrevocabile, esclusivamente la rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina dette sanzioni - non già in toto, ma - solo nel minimo edittale e con i limiti che saranno subito di seguito messi in luce.
11.1. Venendo al caso di specie, non si verte in ipotesi in cui il cumulo sanzionatorio assuma quelle connotazioni idonee ad imporre la disapplicazione in toto della sanzione penale: decisivi - e suscettibili di apprezzamento diretto da parte di questa Corte sulla base degli elementi di fatto già accertati (cfr. Sez. un., n. 3464 del 30 novembre 2017 - dep. 2018, Matrone, Rv. 271831) - sono, oltre alle peculiarità della fattispecie concreta più oltre evidenziate, l'irrogazione di una sanzione amministrativa più prossima al minimo edittale e le stesse valutazioni della sentenza del 7 novembre 2011 della Corte di appello di Roma (che ha disatteso le censure dell'opponente in punto determinazione della sanzione amministrativa), sentenza non impugnata dall'odierno ricorrente.
Si verte dunque in ipotesi in cui la verifica del giudice sulla compatibilità del trattamento sanzionatorio con il principio del ne bis in idem può condurre alla sola rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius del minimo edittale nei termini ora specificati.
11.2. Questa Corte non è in grado di operare siffatta ulteriore verifica, poiché essa investe la proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio e, dunque, implica valutazioni comprensive anche delle sanzioni irrogate da Consob, rispetto alle quali non possono trarsi elementi decisivi dalle conformi sentenze di merito che rendano superfluo il rinvio per nuovo esame sul punto (Sez. un., n. 3464 del 2018, Matrone, cit.). Eloquenti in tal senso sono le stesse deduzioni della parte civile, che confermano l'impossibilità per questa Corte di procedere a un diretto apprezzamento della complessiva proporzionalità del trattamento sanzionatorio: allo scopo di evidenziare la proporzionalità del cumulo delle sanzioni applicate all'odierno imputato rispetto alla gravità del reato, infatti, la parte civile richiama una serie di circostanze (afferenti all'entità della lesione all'integrità del mercato e al valore complessivo degli strumenti finanziari negoziati) la cui valutazione implica, all'evidenza, apprezzamenti di merito preclusi a questa Corte. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Né in senso contrario risultano decisive le pur rilevanti peculiarità del caso di specie e, segnatamente, l'irrogazione - a fronte di un'imputazione relativa a molteplici condotte di illecita comunicazione della notizia riservata - della pena della reclusione in misura pari ad un anno, ossia, in assenza di applicazione di circostanze attenuanti, alla metà del minimo edittale: tali peculiarità, rimesse alla valutazione del giudice del rinvio (esclusa, naturalmente, qualsiasi reformatio in peius), non ne esauriscono comunque l'apprezzamento, posto che più ampia è la portata delle statuizioni in punto trattamento sanzionatorio potenzialmente associabile alla valutazione, ai fini del ne bis in idem, della complessiva proporzionalità del trattamento stesso. Sotto questo profilo, peraltro, le conclusioni del Procuratore generale, volte, in buona sostanza, ad "allineare" anche la durata delle pene accessorie al minimo edittale irrogato per la pena detentiva principale, non tengono conto delle indicate, peculiari connotazioni del trattamento sanzionatorio, avuto riguardo, come si è detto, all'irrogazione di una pena detentiva illegale in bonam partem.
D'altra parte, l'eventuale disapplicazione delle norme relative al trattamento sanzionatorio (con esclusione della multa, in virtù del meccanismo "compensativo" di cui all'art. 187-terdecies TUF) si traduce, come si è detto, nella possibilità di derogare in mitius al minimo edittale, deroga comunque circoscritta, per quanto riguarda la reclusione, nel limite minimo insuperabile dettato dall'art. 23 c.p.: il carattere "di sistema" rivestito dal limite minimo di quindici giorni della durata della reclusione, funzionale ad integrare le comminatorie di pena indeterminate nel minimo, è confermato dal rilievo che esso trova applicazione non solo con riferimento alle diminuenti processuali collegate all'opzione per un rito speciale (cfr., per il giudiz[i]o abbreviato, Sez. 7, n. 27674 del 15 marzo 2016, Diop, Rv. 267536; per l'applicazione della pena su richiesta delle parti, Sez. 6, n. 4917 del 3 dicembre 2003 - dep. 2004, Pianezza, Rv. 229995), ma anche rispetto ad istituti sostanziali (Sez. 3, n. 29985 del 3 giugno 2014, Lan, Rv. 260263, che ha ritenuto il limite minimo assoluto di giorni quindici ex art. 23 c.p. invalicabile anche in relazione ai delitti tentati; conf. Sez. 5, n. 4892 del 22 ottobre 2010 - dep. 2011, Cariolo, Rv. 249246) e a comminatorie edittali incise, nel minimo, da declaratorie di illegittimità costituzionale (Sez. 6, n. 6190 dell'11 aprile 1995, Bonina, Rv. 201895, che, con riguardo alla declaratoria di illegittimità costituzionale del minimo edittale per il reato di oltraggio stabilita dalla sentenza n. 341 del 1994 della Corte costituzionale, ha individuato la pena minima facendo rifermento all'art. 23 c.p.). Pertanto, il necessario riferimento al limite assoluto di quindici giorni di reclusione ex art. 23 c.p. colloca comunque l'eventuale deroga in mitius delle norme sul trattamento sanzionatorio in esame in una cornice edittale delineata dalla legge.
A ciò si aggiunga, che, nel caso in esame, non viene in rilievo alcuna applicazione retroattiva di una norma più severa, poiché, al contrario, la più ampia valutazione cui è chiamato il giudice del rinvio è all'evidenza in bonam partem: del resto, già le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che «l'utilizzo della normativa sovranazionale, allo scopo di integrazione di elementi normativi, va escluso allorquando [...] gli esiti di una esegesi siffatta si traducano in una interpretazione in malam partem della fattispecie penale nazionale» (Sez. un., n. 38691 del 25 giugno 2009, Caruso, Rv. 244191).
Inoltre, non possono ritenersi insufficientemente determinati i presupposti in base ai quali il giudice deve verificare la sussistenza della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, verifiche da effettuare alla luce di parametri commisurativi riconducibili, come si è messo in luce, nel genus delineato dall'art. 133 c.p. e specificati dalla giurisprudenza delle Corti europee (rispetto ai quali, come si è visto, la stessa parte civile ha prospettato molteplici elementi dimostrativi). Del resto, se è vero che la possibile disapplicazione, nei termini indicati, delle norme relative al trattamento sanzionatorio determina un sensibile allargamento della cornice edittale all'interno della quale il giudice del rinvio dovrà, se necessario, rideterminare il trattamento sanzionatorio e, in particolare, la durata della reclusione, va comunque rimarcato che tale allargamento non priva la valutazione del giudice di una base legale sufficientemente determinata.
11.3. Al riguardo, le ulteriori conclusioni raggiunte possono essere così enunciate: in tema di abusi di mercato, nel caso in cui la sanzione irrogata da Consob sia già divenuta irrevocabile, la verifica del giudice penale circa la legittimità, rispetto al principio del ne bis in idem, del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all'autore degli illeciti - fuori dall'ipotesi del tutto eccezionale (e non ricorrente nel caso di specie) in cui la sanzione amministrativa sia, da sola, proporzionata al disvalore del fatto, valutato alla luce degli aspetti propri di entrambi gli illeciti e, in particolare, degli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato - può comportare esclusivamente la rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina dette sanzioni solo nel minimo edittale, con esclusione della multa, in virtù del meccanismo "compensativo" di cui all'art. 187-terdecies TUF, e, con riguardo alla reclusione, fermo restando il limite minimo insuperabile dettato dall'art. 23 c.p.
11.4. L'assetto che scaturisce dall'applicazione diretta del principio del ne bis in idem garantito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea affermata dalle sentenze del 20 marzo 2018 della Grande Sezione della Corte di giustizia è in linea con i limiti della diretta applicabilità del diritto dell'Unione europea nella materia penale. Al riguardo, mette conto sottolineare che, pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale disposto dall'ordinanza n. 24 del 2017 della Corte costituzionale nella c.d. vicenda Taricco, la Corte di giustizia ha affermato che l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la normativa interna in materia di prescrizione (ma il riferimento può essere appunto esteso alla materia penale tout court), sulla base della "regola Taricco", viene meno quando ciò comporta «una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell'insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell'applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato» (così, in dispositivo, Corte di giustizia, Grande sezione, 5 dicembre 2017, in causa C- 42/17, M. A. S. e M. B., richiamata adesivamente da Corte cost., sentenza n. 115 del 2018): ora, come si è visto, l'assetto delineato non determina alcuna applicazione retroattiva di una norma penale più severa e attribuisce al giudice comune valutazioni sulla legittimità, alla stregua del ne bis in idem, del trattamento sanzionatorio fondate su presupposti, da un lato, e funzionali a determinazioni, dall'altro, le une e gli altri sufficientemente determinati.
Osserva conclusivamente il Collegio, che, nel quadro normativo dato, l'assetto indicato rappresenta una soluzione obbligata al fine di individuare il necessario punto di equilibrio tra le istanze, costituzionalmente protette, sottese al principio di legalità e, segnatamente, alla determinatezza della disciplina penale, così da escludere che al giudice penale possano essere assegnati inammissibili «obiettivi di scopo» (Corte cost., ord. n. 24 del 2017), e il recepimento delle garanzie proprie del principio del ne bis in idem come delineato dal diritto dell'Unione europea (oltre che dalla Cedu): individuazione che deve necessariamente fondarsi sulla considerazione sistematica dei princìpi costituzionali e sovranazionali in termini tali da assicurare - nei limiti invalicabili in cui può espletarsi il ruolo del giudice comune - il necessario equilibrio tra la salvaguardia del principio costituzionale di legalità, nella pregnanza ad esso attribuita dalla giurisprudenza costituzionale, e la diretta applicazione del principio del ne bis in idem stabilita della Corte di giustizia dell'Unione europea.
12. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, che procederà alla verifica indicata in ordine alla proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio irrogato al ricorrente, valutando, tra l'altro, l'incidenza del fatto sull'integrità dei mercati finanziari dell'Unione e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari (sentenza Garlsson Real Estate, § 46) anche alla luce dei nova eventualmente acquisiti, e si uniformerà, nel quadro offerto dalla pronunce della Corte di giustizia e dalla Corte EDU, ai princìpi di diritto richiamati e compendiati ai punti 10.1. e 11.3. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
Quanto alla condanna alle spese del presente giudizio in favore della parte civile, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità afferma che essa dipende dalla sussistenza di un interesse civile tutelabile, e, pertanto, non può essere disposta nel giudizio di impugnazione quando si discuta unicamente della pena irroganda (Sez. 5, n. 33319 del 13 giugno 2016; Sez. fer., n. 1019 del 13 settembre 2012 - dep. 2013, Antonini, Rv. 254291): di qui la conclusione che, quando l'annullamento con rinvio è limitato al trattamento sanzionatorio, questa Corte procede alla liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile. Nel caso di specie, tuttavia, pur vertendo sul trattamento sanzionatorio, l'annullamento e il successivo giudizio di rinvio chiamano in causa, nei termini sopra indicati, anche la sanzione irrogata da Consob, che, dunque, conserverà la veste di parte anche nel giudizio di rinvio: al cui esito, dunque, va altresì devoluto il regolamento delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame su detto punto ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso. Spese della parte civile al definitivo.
Depositata il 31 ottobre 2018.