Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 28 settembre 2018, n. 23482

Presidente: De Stefano - Estensore: Tatangelo

FATTI DI CAUSA

Il curatore del fallimento della Reysol Società Turistico Alberghiera s.p.a. ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 617 c.p.c., avverso il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione, nel corso di un procedimento di espropriazione immobiliare promosso (sulla base di distinti pignoramenti, poi oggetto di riunione) dall'Istituto San Paolo di Torino s.p.a. nei confronti della società in bonis (e proseguito dopo la dichiarazione di fallimento, trattandosi di credito fondiario), ha respinto le contestazioni da esso avanzate in relazione al progetto di distribuzione, ai sensi dell'art. 512 c.p.c., dichiarando esecutivo il piano di riparto.

L'opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Siracusa.

Ricorre la curatela, sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso Cerved Credit Managemet s.p.a., quale procuratrice di Sagrantino Italy s.r.l., dichiaratasi acquirente dei crediti posti in esecuzione.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

È stata inizialmente disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 c.p.c.: il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c. chiedendo il rigetto del ricorso e la società controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.

Successivamente, è stata disposta la trattazione in pubblica udienza e la società controricorrente ha depositato ulteriore memoria, ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo del ricorso si denunzia «violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 41 e 42, comma 3, d.lgs. n. 385/1993, 111 l.f., 10 d.lgs. n. 504/1992, 2770 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.».

2. Individuazione dei fatti e delle questioni giuridiche rilevanti.

Per quanto emerge dalla sentenza impugnata, il curatore del fallimento della società debitrice è intervenuto in un processo di espropriazione immobiliare - che era proseguito dopo la dichiarazione di fallimento, in base alle disposizioni di legge sul credito fondiario - chiedendo che in sede di riparto, nel determinare la somma da attribuire all'istituto procedente, non essendovi capienza per l'intero credito azionato, il giudice dell'esecuzione tenesse conto di alcuni crediti prededucibili maturati, riconosciuti e in parte già soddisfatti, nell'ambito della procedura fallimentare, decurtandoli dalla predetta somma (in particolare: l'importo dell'ICI pagata dal curatore ai sensi dell'art. 10 del d.lgs. n. 504/1992 in relazione all'immobile venduto, gli oneri condominiali sostenuti per lo stesso immobile, nonché i compensi spettanti alla curatela fallimentare).

Il provvedimento negativo del giudice dell'esecuzione (che, liquidate le spese della procedura esecutiva, ha attribuito all'istituto procedente l'intera somma ricavata dalla vendita dell'immobile) è stato confermato in sede di opposizione agli atti esecutivi, sulla base di una duplice argomentazione.

In primo luogo, il tribunale ha ritenuto che - in caso di prosecuzione della procedura esecutiva individuale dopo il fallimento del debitore, ai sensi dell'art. 41 del t.u.l.b. (d.lgs. n. 385/1993) - il giudice dell'esecuzione, in sede di distribuzione, non debba in alcun modo tener conto delle vicende intervenute nella procedura fallimentare (ad eccezione, ovviamente, dell'unica ipotesi in cui la vendita del cespite pignorato sia avvenuta davanti al giudice delegato prima che nel processo esecutivo, non potendo in tal caso quest'ultimo utilmente proseguire), in quanto l'attribuzione operata in sede esecutiva è provvisoria e gli organi della procedura fallimentare possono ottenere la restituzione degli importi eventualmente ricevuti in eccesso dall'istituto di credito fondiario, in base alla determinazione del relativo credito ed alla graduazione dello stesso definitivamente operata in sede fallimentare.

In secondo luogo, ha comunque ritenuto che i crediti indicati dalla curatela non potessero godere di alcun privilegio in sede esecutiva.

Ha richiamato, a fondamento di tali conclusioni, la pronuncia di questa Corte (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23572 del 17 dicembre 2004, Rv. 579506-01) nella quale è stata ricostruita in modo sistematico la disciplina dei rapporti tra esecuzione individuale per crediti fondiari e fallimento, secondo principi che sono stati successivamente confermati e specificati da una serie di ulteriori decisioni (cfr. ad es.: Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8609 del 5 aprile 2007, Rv. 596474-01; Sez. 3, Sentenza n. 11014 del 14 maggio 2007, Rv. 597463-01; Sez. 1, Sentenza n. 13663 del 11 giugno 2007, Rv. 597952-01; Sez. 1, Sentenza n. 17368 del 11 ottobre 2012, Rv. 623735-01; Sez. 1, Sentenza n. 6738 del 21 marzo 2014, Rv. 630577-01; Sez. 1, Sentenza n. 6377 del 30 marzo 2015, Rv. 634946-01) e che hanno peraltro trovato conferma e specifico fondamento normativo nella nuova formulazione dell'art. 52 l.f. (introdotta con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169).

Tale ultima disposizione prevede espressamente che il privilegio processuale attribuito al creditore fondiario, consistente nella possibilità di proseguire l'esecuzione individuale in costanza di fallimento, non esime quest'ultimo dall'onere di fare accertare il proprio credito secondo le disposizioni dettate per la verifica del passivo fallimentare, così chiarendo che l'accertamento definitivo di detto credito, così come la sua quantificazione e la sua graduazione devono avvenire esclusivamente in tale sede.

La curatela censura la decisione, limitatamente al profilo riguardante l'importo pagato per l'ICI e quello relativo agli oneri condominiali per la conservazione del bene (cfr. pag. 9 e 10 del ricorso).

Sostiene che la stessa non sarebbe conforme agli stessi principi richiamati dal tribunale, nonché a quelli desumibili dagli artt. 41 e 42, comma 3, del d.lgs. n. 385/1993, dall'art. 111 l.f., dall'art. 10 del d.lgs. n. 504/92, e dall'art. 2770 c.c.

3. Ricostruzione sistematica della disciplina dei rapporti tra esecuzione individuale promossa per credito fondiario e fallimento.

Osserva la Corte che i principi di diritto ai quali il giudice del merito ha espressamente dichiarato di conformarsi - principi che in sostanza non sono in contestazione neanche tra le parti ed ai quali non può che darsi continuità - non risultano correttamente applicati nella fattispecie concreta.

È corretto affermare che l'attribuzione del ricavato della vendita che si effettua in sede esecutiva, laddove sia in corso la procedura fallimentare, ha carattere meramente provvisorio, in quanto è in tale ultima sede che deve avvenire definitivamente l'accertamento e la graduazione dei crediti nei confronti del fallito.

Ciò non significa affatto, però, che il giudice dell'esecuzione debba del tutto prescindere dalle vicende della procedura fallimentare, ma solo che l'attribuzione che si opera in sede esecutiva, riguardando comunque un credito concorsuale ed intervenendo in un momento in cui la procedura fallimentare è ancora in corso, non può essere definitiva, in quanto tale definitività potrà aversi solo al momento della chiusura della procedura concorsuale.

Tanto la richiamata sentenza n. 23572 del 2004 di questa Corte (e le successive conformi), quanto i corrispondenti principi recepiti nell'art. 52 l.f., nel sancire in modo chiarissimo che l'accertamento e la graduazione dei crediti nei confronti del fallito devono essere operati in sede fallimentare, stanno certamente a significare che l'attribuzione al creditore fondiario che va operata in sede esecutiva ha carattere provvisorio, dovendo comunque successivamente tenersi conto di tali ulteriori accertamenti (che ben potrebbero essere ancora in corso in sede fallimentare), ma non esprimono affatto il diverso principio per cui in sede esecutiva non potrebbe e non dovrebbe tenersi conto dei predetti accertamenti, ove già avvenuti in sede fallimentare.

In altri termini, la possibilità per il curatore, pur non essendo intervenuto in sede esecutiva, di proporre l'azione di ripetizione per ottenere dal creditore fondiario la restituzione delle somme ricevute in eccesso in tale sede (sulla base del definitivo accertamento e della definitiva graduazione dei crediti nei confronti del fallito avvenuta in sede fallimentare), in ragione della mera provvisorietà dell'attribuzione esecutiva, non implica affatto, né giuridicamente né logicamente, che davanti al giudice dell'esecuzione non abbiano rilievo gli accertamenti e la graduazione già avvenuti in sede fallimentare, in modo che l'attribuzione (pur sempre) provvisoria effettuata in sede esecutiva sia comunque modulata in concreto sulla base di quello che già risulti stabilito in sede fallimentare (in via definitiva o anche in via provvisoria) così da limitare - anche in funzione del principio di economia processuale ed in conformità all'art. 111 Cost. - le eventuali successive azioni restitutorie, le quali in questo modo saranno necessarie solo in virtù di vicende non deducibili (o quanto meno non dedotte) in sede esecutiva.

Al contrario, poiché il principio di fondo desumibile dall'art. 52 l.f. e dalla ricostruzione sistematica operata dalla giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla sentenza n. 23572 del 2004) è quello per cui l'accertamento e la graduazione dei crediti concorsuali devono avvenire in sede fallimentare, è evidente che debba concludersi nel senso che, laddove tali accertamenti e tale graduazione siano in qualche modo già avvenuti nella sede ad essi deputata, sebbene non in modo definitivo (essendo la procedura concorsuale ancora pendente), al fine di determinare la somma da attribuire in via provvisoria al creditore fondiario nell'esecuzione individuale eccezionalmente proseguita, di tali accertamenti debba certamente tenersi conto.

4. Segue: conferma della ricostruzione operata; conclusioni in ordine alla non corretta applicazione dei relativi principi da parte del giudice del merito.

A conferma di quanto fin qui esposto, è agevole osservare che non sarebbe affatto ragionevole ritenere che, laddove il creditore procedente abbia ad esempio proposto la domanda di ammissione al passivo del fallimento e tale domanda sia stata respinta, con provvedimento divenuto definitivo, venga ciò nonostante ad esso attribuito il ricavato della vendita operata in sede esecutiva, importo che non potrà in nessun caso, nemmeno in parte, trattenere, costringendo il curatore del fallimento ad una successiva azione di ripetizione, del tutto evitabile (ed almeno in astratto anche incerta nella fruttuosità del suo esito).

Altrettanto è a dirsi nell'ipotesi in cui il creditore fondiario sia stato ammesso al passivo del fallimento per un determinato importo, con provvedimento ormai definitivo. Sarebbe palesemente illogica, in tale ipotesi, una differente determinazione (provvisoria) del credito da parte del giudice dell'esecuzione, posto che tale determinazione è già avvenuta in via definitiva nella sua sede propria. Si costringerebbe non solo il giudice dell'esecuzione ad una attività inutile (peraltro in taluni casi anche molto complessa, laddove si consideri che potrebbe essere necessaria demandarla ad un ausiliario, come di prassi avviene in molti tribunali, con un risultato che potrebbe dar luogo a contestazioni e comportare l'apertura di un giudizio di cognizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c.), ma anche il curatore fallimentare a porre in essere un successivo giudizio di cognizione (con l'eventuale conseguente esecuzione forzata) per ottenere la restituzione delle somme indebitamente riscosse.

Le medesime considerazioni possono proporsi per l'ipotesi in cui l'accertamento e la graduazione del credito dell'istituto fondiario procedente sia comunque avvenuta in sede fallimentare, anche se in via non definitiva (ad esempio laddove l'ammissione al passivo sia stata negata o sia avvenuta in una certa misura, ma pendano i giudizi oppositori), in quanto il principio per cui la cognizione sull'entità e sulla collocazione dei crediti nei confronti del fallito va operata in sede fallimentare e non da parte del giudice dell'esecuzione è valido anche laddove si debba effettuare una attribuzione di carattere provvisorio.

Ancora una volta, non avrebbe senso imporre al giudice dell'esecuzione una determinazione del credito, con carattere provvisorio e non definitivo (stante la possibilità di contestazioni ed opposizioni agli atti esecutivi), laddove ve ne sia già una, per quanto anch'essa non definitiva, operata dagli organi cui spetta in via esclusiva il relativo potere.

Il privilegio attribuito dalla legge all'istituto di credito fondiario, d'altra parte, allo stato attuale della legislazione vigente, non può in nessun caso giustificare che la banca trattenga le somme ricavate dalla vendita dell'immobile ipotecato in misura superiore all'importo che effettivamente gli spetti, secondo l'accertamento degli organi a tanto deputati, anche in pendenza dei procedimenti oppositivi.

In tal senso, il regime delle procedure concorsuali e di quelle esecutive individuali deve ritenersi analogo.

Laddove si proceda in sede concorsuale, deve escludersi che, in un eventuale riparto parziale, al creditore fondiario possa essere attribuito un importo superiore a quello per il quale risulta ammesso al passivo, anche in pendenza di una sua eventuale opposizione allo stato passivo volta a rivendicare l'ammissione per una somma maggiore.

In sede di esecuzione individuale, dopo le modifiche apportate all'art. 512 c.p.c. con la riforma del processo esecutivo del 2006, deve del pari escludersi che il creditore fondiario possa trattenere gli importi eventualmente riscossi direttamente dall'aggiudicatario, ai sensi dell'art. 41, comma 4, d.lgs. n. 385/1993, in misura superiore a quanto ad esso riconosciuto dovuto in base al piano di riparto dichiarato esecutivo dal giudice dell'esecuzione (piano di riparto che va sempre effettuato e che è l'atto esecutivo necessario per rendere definitiva la riscossione delle somme in favore dell'istituto provvisoriamente conseguita dall'aggiudicatario: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18227 del 26 agosto 2014, Rv. 631943-01), anche in pendenza di eventuali opposizioni agli atti esecutivi volte a contestare il riparto stesso in funzione del riconoscimento di un importo più elevato.

Analogamente (ed anche per evitare una ingiustificabile disparità di trattamento tra situazioni equivalenti), nel caso in cui l'esecuzione individuale sia iniziata o proseguita dopo il fallimento del debitore, va escluso che il creditore fondiario possa trattenere le somme riscosse dall'aggiudicatario in misura superiore all'importo per cui sia stato ammesso al passivo del fallimento, anche in pendenza di una opposizione allo stato passivo volta a rivendicare l'ammissione per una somma maggiore.

Dunque, in conclusione, i principi richiamati nella stessa sentenza impugnata, non portano affatto a ritenere che il giudice dell'esecuzione, in sede di riparto, debba totalmente prescindere dalle vicende della procedura fallimentare ma anzi, al contrario, che debba conformarsi ai provvedimenti già intervenuti in tale sede con riguardo all'accertamento, alla determinazione ed alla graduazione dei crediti nei confronti del fallito.

Tale conclusione corrisponde del resto alla lettera, oltre che allo spirito, dell'art. 41, comma 4, del d.lgs. n. 385 del 1993, in quanto il privilegio processuale assicurato al creditore fondiario comporta sì il versamento diretto in suo favore delle somme dovute dall'aggiudicatario - e quindi della somma ricavata dalla vendita, sia pure al netto delle spese proprie del processo esecutivo individuale - ma appunto nei limiti della "parte del prezzo corrispondente al complessivo credito" dello stesso: credito appunto delimitato, con l'eventuale riconoscimento di un importo minore di quello originario, anche in conseguenza dell'ammissione in prededuzione di altre somme da parte dei competenti organi della procedura fallimentare, in modo vincolante anche per il giudice dell'esecuzione.

Ciò significa che non può condividersi non solo la prima delle due argomentazioni poste dal tribunale a base della propria decisione, ma neanche la seconda, dal momento che il potere di stabilire se determinati crediti maturati nel corso della procedura fallimentare prevalgano su quello dell'istituto di credito fondiario non spetta al giudice dell'esecuzione, ma solo agli organi della procedura fallimentare.

Il giudice dell'esecuzione - oltre a liquidare le spese del processo esecutivo individuale proseguito od instaurato in costanza di fallimento, attribuzione ovviamente ad esso riservata in via esclusiva, quale giudice davanti al quale si è svolto il suddetto processo esecutivo individuale - deve cioè limitarsi a verificare se esistano provvedimenti degli organi della procedura fallimentare che abbiano - direttamente o indirettamente - operato l'accertamento, la quantificazione e la graduazione del credito posto in esecuzione (nonché di quelli eventualmente maturati in prededuzione nell'ambito della procedura fallimentare, purché già accertati, liquidati e graduati dagli organi competenti con prevalenza su di esso) e conformare ai suddetti provvedimenti la distribuzione provvisoria in favore del creditore fondiario delle somme ricavate dalla vendita, senza in alcun caso sovrapporre le sue valutazioni a quelle degli organi fallimentari, cui spettano i relativi poteri.

5. Operatività pratica della ricostruzione operata. Enunciazione dei principi di diritto applicabili nella fattispecie.

Sul piano pratico, peraltro, vanno distinte le questioni in tema di accertamento e di quantificazione del credito fondiario da quelle relative alla sua graduazione.

L'aver sottoposto la propria pretesa al procedimento di verifica del passivo (come impone l'art. 52 l.f.), costituisce infatti il fondamento stesso (recte: il fatto costitutivo) del diritto del creditore fondiario di ottenere l'attribuzione, in via provvisoria, del ricavato della suddetta vendita, e quindi si tratta di un accertamento dal quale il giudice dell'esecuzione non può prescindere e di un fatto che dovrà essere documentato dall'istituto procedente, anche a prescindere dall'intervento del curatore nella procedura esecutiva.

L'esistenza di altri crediti con diritto di preferenza rispetto a quello fondiario rappresenta invece un fatto impeditivo (ovvero modificativo o estintivo) del diritto del creditore fondiario di ottenere l'attribuzione provvisoria del ricavato della vendita dell'immobile ipotecato e dunque va dedotta e documentata dal curatore fallimentare.

In altri termini, per ottenere l'attribuzione (in via provvisoria, salvi i definitivi accertamenti operati nel prosieguo della procedura fallimentare) delle somme ricavate dalla vendita, il creditore fondiario dovrà documentare al giudice dell'esecuzione di avere sottoposto positivamente il proprio credito alla verifica del passivo in sede fallimentare, cioè di aver proposto l'istanza di ammissione al passivo del fallimento e di avere ottenuto un provvedimento favorevole dagli organi della procedura (anche se non ancora divenuto definitivo).

Solo in tal caso il giudice dell'esecuzione potrà attribuire al suddetto creditore il ricavato della vendita e dovrà farlo nei limiti del provvedimento di ammissione, disponendo la restituzione del residuo al fallito (e per esso al curatore del suo fallimento, ma senza alcuna ulteriore decurtazione).

In caso contrario (cioè laddove l'istituto non abbia affatto presentato l'istanza di ammissione al passivo, in violazione dell'art. 52 l.f., ovvero il suo credito sia stato escluso dal passivo), l'intero ricavato della vendita non potrà che essere rimesso agli organi della procedura fallimentare, per essere distribuito in tale sede.

È appena il caso di osservare che non incide sulla validità della esposta ricostruzione la possibilità che in concreto l'istanza di ammissione al passivo sia stata proposta ma su di essa gli organi della procedura non abbiano ancora avuto modo di pronunziarsi. Specie nell'attuale regime delle procedure concorsuali, che impongono all'uopo stringenti termini, in tal caso sarà infatti sufficiente attendere l'emissione del provvedimento in sede fallimentare, pur non definitivo, anche soltanto, ad esempio (e se ne ricorressero tutti i presupposti), con il semplice differimento dell'udienza di distribuzione davanti al giudice dell'esecuzione a data presumibilmente successiva a tale emissione, non essendo evidentemente possibile una sospensione in senso tecnico della procedura esecutiva (né ai sensi dell'art. 295 c.p.c., disposizione non applicabile al processo di esecuzione e certamente non configurabile nei rapporti tra processo esecutivo ed processo fallimentare, né ai sensi degli artt. 623 e 624 c.p.c., non ricorrendo evidentemente i presupposti applicativi di tali ultime norme), ma ben potendo lo stesso giudice dell'esecuzione esercitare i suoi poteri diretti al sollecito e leale svolgimento del procedimento esecutivo, ai sensi dell'art. 487 c.p.c., onde garantire che la distribuzione del ricavato dalla vendita avvenga in modo corretto, all'esito dei necessari accertamenti da parte degli organi competenti in ordine alla determinazione dei relativi crediti (ed in particolare, nella fattispecie qui in esame, dell'unico credito interessato, cioè quello dell'istituto di credito fondiario).

Per quanto invece attiene alle questioni che riguardano la graduazione dei crediti (cioè la sussistenza e l'ammontare di ulteriori crediti, maturati nel corso della procedura concorsuale, che debbano essere soddisfatti con preferenza rispetto a quelli del creditore fondiario sul ricavato della vendita dell'immobile ipotecato), il giudice dell'esecuzione non potrà prenderle in considerazione di ufficio, ma solo laddove esse vengano dedotte dal curatore che si costituisca nel processo esecutivo per far valere i relativi presupposti (a meno che non sia lo stesso creditore fondiario a chiedere che se ne tenga conto). E dovrà deciderle sulla base della ricognizione dell'esistenza o meno di provvedimenti degli organi della procedura fallimentare che effettivamente dispongano, in modo diretto o quanto meno indiretto ma inequivoco, la suddetta graduazione.

Dunque, laddove si tratti di debiti della massa il cui pagamento sia stato espressamente autorizzato dal giudice delegato, non sarà sufficiente documentarne l'avvenuto pagamento, ma occorrerà documentare che esso sia stato in qualche modo già graduato dal giudice delegato (o dagli altri organi della procedura fallimentare competenti) con prevalenza sul credito dell'istituto fondiario.

Tale graduazione - è opportuno precisarlo - può essere in alcuni casi anche implicita o indiretta, come nei casi in cui si tratti di crediti il cui pagamento, espressamente autorizzato dagli organi fallimentari, non avrebbe potuto neanche avvenire, se non quali crediti di massa gravanti su un bene determinato.

In mancanza di tali condizioni, essa richiede però quanto meno un provvedimento esplicito in tal senso, idoneo ad acquisire stabilità ai sensi dell'art. 26 l.f. (ad esempio con riguardo a eventuali spese della procedura solo in parte gravanti sul bene ipotecato).

Laddove manchi un provvedimento diretto o indiretto di graduazione degli organi della procedura fallimentare, il giudice dell'esecuzione non potrà tenere conto delle relative spese ai fini della determinazione della somma da attribuire in via provvisoria all'istituto di credito fondiario (restando comunque naturalmente salva, come sin qui ripetutamente esposto, l'eventuale successiva azione di ripetizione della curatela, esperibile nel momento in cui la suddetta graduazione abbia poi definitivamente luogo).

I principi di diritto che avrebbero dovuto essere applicati nella fattispecie sono quindi i seguenti:

«La provvisoria distribuzione delle somme ricavate dalla vendita di un immobile pignorato dall'istituto di credito fondiario, in una procedura esecutiva individuale proseguita (o iniziata) dopo la dichiarazione di fallimento del debitore ai sensi dell'art. 41 del d.lgs. n. 385/1993, dovrà essere operata dal giudice dell'esecuzione sulla base dei provvedimenti (anche non definitivi) emessi in sede fallimentare ai fini dell'accertamento, della determinazione e della graduazione di detto credito fondiario.

In particolare: a) per ottenere l'attribuzione (in via provvisoria, e salvi i definitivi accertamenti operati nel prosieguo della procedura fallimentare) delle somme ricavate dalla vendita, il creditore fondiario dovrà - anche a prescindere dalla avvenuta costituzione del curatore nel processo esecutivo - documentare al giudice dell'esecuzione di avere proposto l'istanza di ammissione al passivo del fallimento e di avere ottenuto un provvedimento favorevole dagli organi della procedura (anche se non definitivo); b) per ottenere la graduazione di eventuali crediti di massa maturati in sede fallimentare a preferenza di quello fondiario, e quindi l'attribuzione delle relative somme, con decurtazione dell'importo attribuito all'istituto procedente, il curatore dovrà costituirsi nel processo esecutivo e documentare l'avvenuta emissione da parte degli organi della procedura fallimentare di formali provvedimenti (idonei a divenire stabili ai sensi dell'art. 26 l.f.) che (direttamente o quanto meno indirettamente, ma inequivocabilmente) dispongano la suddetta graduazione.

La distribuzione così operata dal giudice dell'esecuzione ha comunque carattere provvisorio e può stabilizzarsi solo all'esito degli accertamenti definitivi operati in sede fallimentare, legittimando in tal caso il curatore ad ottenere la restituzione delle somme eventualmente riscosse in eccedenza».

6. Decisione della fattispecie concreta in esame.

Ricostruiti e chiariti, in linea generale, i principi di diritto che disciplinano la fattispecie astratta in cui il giudice dell'esecuzione debba procedere alla distribuzione delle somme ricavate dalla vendita di un immobile pignorato dall'istituto di credito fondiario, in procedura proseguita dopo la dichiarazione di fallimento del debitore ai sensi dell'art. 41 del d.lgs. n. 385/1993, occorre applicarli nella fattispecie concreta.

In base a quanto fin qui esposto, deve concludersi che il giudice dell'esecuzione, diversamente da quanto ha ritenuto il tribunale:

a) non avrebbe assolutamente dovuto prescindere dalle vicende della procedura fallimentare;

b) neanche avrebbe potuto sindacare nel merito la graduazione dei crediti fatti valere dal curatore rispetto a quello dell'istituto procedente, dovendo rimettersi in proposito alle determinazioni operate in sede fallimentare.

Avrebbe dovuto quindi verificare se esistevano ed erano stati documentati provvedimenti degli organi fallimentari che, esplicitamente o implicitamente, avevano operato la graduazione di tali crediti con preferenza rispetto al credito del fondiario, decurtando in tal caso i relativi importi da quello a quest'ultimo attribuito (in via provvisoria), nella misura in cui potevano dirsi esistenti i suddetti provvedimenti di graduazione degli organi fallimentari.

Di conseguenza, l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che ha respinto le contestazioni del curatore del fallimento Reysol s.p.a. avverso il piano di riparto, dichiarandolo esecutivo, oggetto di opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. da parte della curatela, avrebbe dovuto essere dichiarata illegittima, in accoglimento dell'opposizione stessa.

La sentenza impugnata, che ha rigettato l'opposizione, va dunque cassata.

La controversia può essere decisa nel merito, con l'accoglimento dell'opposizione agli atti esecutivi proposta dalla curatela e la dichiarazione di nullità del provvedimento impugnato, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, spettando esclusivamente al giudice dell'esecuzione il potere-dovere di rinnovare l'atto esecutivo dichiarato nullo, conformandosi ai principi di diritto indicati nella presente decisione (ciò in quanto l'opposizione agli atti esecutivi, secondo costante orientamento di questa Corte, è un giudizio di impugnazione di un atto del processo esecutivo e, quindi, a carattere meramente rescindente, istituzionalmente in grado di incidere solo su quest'ultimo, tanto da riservare agli ulteriori sviluppi del processo esecutivo ogni adeguamento di esso che ne debba derivare: cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3176 del 5 marzo 2002, Rv. 143693-01; Sez. 3, Sentenza n. 6733 del 24 marzo 2011, Rv. 617389-01; Sez. 6-3, Ordinanza n. 18692 del 30 ottobre 2012; Sez. 6-3, Ordinanza n. 589 dell'11 gennaio 2013; Sez. 3, Sentenza n. 18336 del 27 agosto 2014, Rv. 632611-01; Sez. 3, Sentenza n. 7657 del 15 aprile 2015).

7. Il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata in relazione; decidendo nel merito, l'opposizione agli atti esecutivi proposta dal curatore del fallimento della Reysol s.p.a. è accolta e l'atto esecutivo impugnato è dichiarato nullo.

Le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione delle oggettive incertezze interpretative sussistenti in ordine alle questioni di diritto trattate.

P.Q.M.

La Corte:

- accoglie il ricorso, cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara nulla l'ordinanza oggetto di opposizione;

- dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio.