Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 13 luglio 2018, n. 18724

Presidente: Didone - Estensore: Di Marzio

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 23 gennaio 2015 la Corte d'appello di Bologna ha respinto l'appello proposto da Mefin S.r.l. nei confronti di Unicredit S.p.A. contro la sentenza con cui il Tribunale di Parma, accertata l'appartenenza della stessa Mefin S.r.l., originaria attrice, alla categoria degli «operatori qualificati», ai sensi dell'art. 31 del regolamento Consob numero 11522 del 1998, con il conseguente esonero, per l'intermediario finanziario convenuto, dagli oneri di informazione sulla natura e sui rischi degli investimenti in prodotti finanziari effettuati per conto del cliente, aveva respinto la domanda volta alla dichiarazione di invalidità o di risoluzione del contratto «Sunrise Swap n. 298434-453» o «Sunrise Swap 5 anni».

2. Per la cassazione della sentenza Mefin S.r.l. ha proposto ricorso per 14 motivi.

Unicredit S.p.A. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto l'adozione della modalità di motivazione semplificata.

2. Il ricorso contiene 14 motivi.

3. Il primo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 1362 e seguenti, 1421 c.c., 23 Tuf, nonché degli articoli 115 e 116 c.p.c.», censurando la sentenza impugnata per aver qualificato quale valido contratto quadro il documento intitolato «norme relative alle operazioni di interest rate swap tra Rolo Banca 1473 S.p.A. ed operatori qualificati» del 15 ottobre 2001.

4. Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.

4.1. L'inammissibilità deriva anzitutto dalla violazione del principio di autosufficienza.

È difatti cosa nota che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall'art. 366 c.p.c., impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. 28 dicembre 2017, n. 31082; Cass. 3 febbraio 2015, n. 1926). In breve - si può riassumere il senso del principio citando l'art. 47 del regolamento della Corte EDU - il ricorso deve «consentire alla Corte di determinare natura e oggetto del ricorso senza dover consultare altri documenti».

Nel caso in esame il ricorso non contiene «la specifica indicazione» (art. 366, n. 6, c.p.c.) del documento in discorso - il documento intitolato «norme relative alle operazioni di interest rate swap tra Rolo Banca 1473 S.p.A. ed operatori qualificati» del 15 ottobre 2001 -, giacché, oltre ad indicare il luogo di reperibilità del medesimo, né lo trascrive, né ne riassume comprensibilmente il contenuto, limitandosi a menzionare gli elementi di cui esso mancherebbe per essere configurato come contratto di intermediazione finanziaria, peraltro sul discusso presupposto, richiamato in riferimento ad una non meglio precisata «recente interpretazione giurisprudenziale» (pagina 22 del ricorso), che detto contratto abbia natura di mandato senza rappresentanza.

4.2. Il motivo è altresì inammissibile per le modalità del suo confezionamento, svolgendo cumulativamente censure diverse concernenti la validità del contratto (artt. 1421 c.c. e 23 Tuf), la sua interpretazione (artt. 1362 e ss. c.c.) ed il complessivo governo del materiale istruttorio (artt. 115 e 116 c.p.c.). Si tratta dunque all'evidenza di doglianze eterogenee, e per di più in relazione di reciproca esclusione (giacché la denuncia di violazione di legge non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie: Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. un., 5 maggio 2006, n. 10313), che denunciano ipotetici assortiti errores commessi dal giudice di merito sotto profili totalmente distinti.

Orbene, in materia di ricorso per cassazione, l'articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d'inammissibilità dell'impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l'individuazione delle questioni prospettate (Cass. 17 marzo 2017, n. 7009, sulla scia di Cass., Sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100).

Tale principio è d'altronde conforme alle indicazioni raccolte nel Protocollo siglato il 17 dicembre 2015 dalla Corte di cassazione e dal Consiglio nazionale forense, a mezzo dei loro presidenti, in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria, Protocollo le cui soluzioni interpretative sono per la loro provenienza tendenzialmente meritevoli di essere valorizzate.

Il protocollo muove dalla considerazione che «il sovradimensionamento degli atti difensivi di parte possa essere di ostacolo alla effettiva comprensione del loro contenuto essenziale con effetti negativi sulla chiarezza e celerità della decisione», ed afferma tra l'altro che: «L'esposizione deve rispondere al criterio di specificità e di concentrazione dei motivi e deve essere contenuta nel limite massimo di 30 pagine» (in questo caso le pagine sono apparentemente oltre 80, e le regole redazionali previste dal Protocollo, che suggerisce l'impiego di caratteri di 12 punti ed un'interlinea di 1,5, sono ignorate, con l'uso di caratteri ed interlinee a tratti minuscole, sicché le pagine sono in realtà molte di più).

Ebbene, nell'endiadi «specificità e concentrazione», la concentrazione si contrappone evidentemente a diluizione, sicché, non dovendo il motivo essere diluito, ossia allungato col superfluo e col non direttamente pertinente, esso non può simultaneamente svolgere più censure, il che per l'appunto può nuocere - salvo non si versi nella situazione evidenziata dalla citata Cass., Sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100 - alla comprensibilità di ciascuna di esse.

Nel caso in esame, il motivo, spiegato nei termini che si sono indicati, rende incomprensibile l'individuazione dell'esatta linea di demarcazione tra l'una e l'altra censura, la cui identificazione rimette in definitiva, inammissibilmente, a questa Corte.

4.3. L'inammissibilità, inoltre, discende dalla violazione di elementari principi dettati nella materia dalla Corte di cassazione.

4.3.1. Ed invero, per quanto riguarda l'asseritamente erronea interpretazione del documento del 15 ottobre 2001, la censura si infrange contro la regula iuris secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 14 luglio 2016, n. 14355). In particolare, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell'interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo l'onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (Cass. 15 novembre 2013, n. 25728).

In questo caso, l'indicazione degli specifici canoni ermeneutici violati è totalmente mancante: essa in definitiva si risolve in ciò, che l'interpretazione motivatamente fornita dal giudice di merito non è gradita alla ricorrente per cassazione, la quale ve ne contrappone una diversa ad essa più favorevole, svolgendo così una censura di pieno merito. E non dovrebbe essere necessario rammentare la nozione istituzionale secondo cui la Corte di cassazione non è mai (salvo il caso della cassazione e decisione del merito) giudice del fatto sostanziale.

4.3.2. Quanto alla violazione del principio della disponibilità e di quello della valutazione delle prove, basterà rammentare che in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 11 dicembre 2015, n. 25029; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960).

Al di fuori di tali circoscritte ipotesi, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012. (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).

Di guisa che, nel caso in esame, i citati artt. 115 e 116 c.p.c. non sono stati richiamati a proposito (e peraltro sono citati erroneamente in riferimento al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., che, come si sa, attiene alla violazione della legge sostanziale), in vista di una nuova valutazione del documento in discorso, tale da condurre a ribaltare il giudizio di merito al riguardo compiuto dalla Corte territoriale.

E, d'altro canto, il motivo, spiegato ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c., neppure può essere ricondotto - sorvolando sull'erroneità della sua formulazione - all'ambito di applicazione del n. 5 dell'art. 360 c.p.c., giacché esso non ha ad oggetto un fatto, inteso, secondo quanto chiarito da questa Corte, come fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (Cass., Sez. un., n. 8053/2014), bensì la valutazione del documento in discorso.

5. Il secondo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 1325, 1421 c.c., 23 Tuf, e comunque agli articoli 101, comma 2, 115 e 116 c.p.c.», censurando la sentenza impugnata per aver omesso di rilevare la nullità del contratto d'intermediazione finanziaria del 15 ottobre 2001 in quanto sottoscritto dalla sola società ricorrente.

6. Il motivo va disatteso.

Non è il caso qui di dilungarsi sui molteplici profili di inammissibilità del motivo, che pure palesemente sussistono alla stregua dei principi ricordati ai §§ 4.1., 4.2., 4.3., 4.3.1. e 4.3.2.

Basterà rammentare che le Sezioni unite di questa Corte hanno di recente stabilito il principio, al quale il Collegio intende uniformarsi, secondo cui: «In tema d'intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall'art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell'investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest'ultimo, e non anche quella dell'intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti» (Cass., Sez. un., 16 gennaio 2018, n. 898).

7. Il terzo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 6 del decreto legislativo 5/2003, 1325, 1421 c.c., 23 Tuf nonché 101, comma 2, e 345 c.p.c., e, comunque, in relazione agli articoli 115, 116 c.p.c., nonché 345 c.p.c.», censurando nuovamente il mancato rilievo della nullità per difetto di forma del contratto d'intermediazione finanziaria del 15 ottobre 2001.

8. Il motivo va disatteso.

Tralasciati anche in questo caso i profili di inammissibilità, che ancora una volta sussistono in applicazione dei principi ricordati ai §§ 4.1., 4.2., 4.3., 4.3.1. e 4.3.2., è sufficiente richiamare l'autorità della pronuncia delle Sezioni unite da ultimo citata.

9. Il quarto motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 6 decreto legislativo 5/2003, 1325, 1352 e 1421 c. c., nonché 101, comma 2, 115, 116 e 345 c.p.c.», censurando la sentenza impugnata per non aver rilevato la nullità di ciò che la ricorrente qualifica come «preteso contratto denominato "Sunrise Swap 5 anni"» per violazione del requisito di forma convenzionale secondo la stessa ricorrente previsto nel documento del 15 ottobre 2001, considerato dalla Corte territoriale quale contratto d'intermediazione finanziaria.

10. Il motivo va disatteso.

È nuovamente superfluo dilungarsi sui molteplici profili di inammissibilità della censura, che pure sussistono in base agli principi ricordati ai §§ 4.1., 4.2., 4.3., 4.3.1. e 4.3.2., trattandosi di doglianza manifestamente priva di pregio.

La stessa Mefin S.r.l. ha riferito di aver sottoscritto «un sedicente "modulo per operazioni in prodotti derivati OTC tassi" dd. 10.7.2004», che si assume essere, secondo la prospettazione della stessa ricorrente, «privo dei c.d. "elementi costitutivi essenziali" per il perfezionamento di una operazione di swap» (pagina 4 del ricorso): e che, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, è in effetti il contratto quadro che sorregge il successivo contratto di swap.

Sicché il richiamo alla violazione della asserita pattuizione di forma convenzionale, riconducibile all'art. 1352 c.c., è chiaramente fuori bersaglio, giacché il requisito formale è per ammissione della stessa ricorrente sussistente, mentre la censura concerne il contenuto - non certo la forma - dell'accordo, che non potrebbe, secondo la ricorrente, «giammai essere qualificato come contratto di swap» (pagina 40 del ricorso) per la mancanza di talune indicazioni giudicate essenziali, non si sa in relazione a quali parametri normativi, dalla società.

11. Il quinto motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, in relazione agli articoli 99, 112 e 113 c.p.c.», censurando la sentenza impugnata, per aver giudicato inammissibile, per la sua novità, la domanda di nullità del contratto per mancanza di causa derivante dalla incongruità del c.d. nozionale.

12. Il motivo è inammissibile perché aspecifico.

Rimane infatti avvolto nell'oscurità, alla lettura del ricorso, il perché il c.d. nozionale sarebbe incongruo, così da determinare, secondo la ricorrente, la nullità del contratto per mancanza di causa in ragione del difetto di alea a carico della banca.

Ciò esime dall'osservare che un probl[e]ma di incongruità del nozionale in tanto si può porre, evidentemente, in quanto si versi in ipotesi di swap di copertura, mentre in questo caso, come subito si vedrà, il giudice di merito ha ritenuto trattarsi di swap speculativo, sicché la doglianza è nuovamente fuori centro.

13. Il sesto motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 6 del decreto legislativo 5/2003, 1325 e 1421 c.c., 23 Tuf, nonché 101, comma 2, 115, 116 e 345 c.p.c.» censurando nuovamente la sentenza impugnata per non aver pronunciato la nullità del contratto di swap per mancanza di causa, in conseguenza della mancanza di necessaria correlazione funzionale tra rischio e tipologia del prodotto finanziario acquistato, il quale avrebbe perseguito finalità speculative, con grave sbilanciamento del rapporto a favore della banca.

14. Anche in questo caso il motivo è inammissibile.

14.1. La tesi, in sostanza, si riassume in ciò, che la società avrebbe stipulato il contratto di swap al fine di cautelarsi dal rischio di oscillazione dei tassi di interesse (il che coincide in effetti con una tipica funzione economica dell'IRS) e che, tuttavia, il contratto avrebbe invece perseguito finalità speculative tali da porre l'alea unicamente a carico di Mefin S.r.l.

E questo, secondo la consulenza di parte prodotta dalla stessa società, la cui efficacia probatoria - è subito da dire - è pari a zero, perché Mefin S.r.l. avrebbe potuto guadagnare «solo in caso di significativo rialzo dei tassi di interesse, ipotesi pressoché impossibile».

14.2. Anzitutto l'inammissibilità discende dalla circostanza che la ricorrente non ha individuato la ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata.

Difatti la Corte territoriale ha radicalmente escluso che il contratto fosse stato stipulato per la menzionata finalità e non per una finalità speculativa, affermando che la convinzione riferita dal B., ossia del legale rappresentante della società, «che i tre contratti in derivati da lui conclusi con la banca fossero finalizzati ad una "assicurazione contro il rischio futuro dei tassi" è smentito dalle avvertenze contenute nel contratto quadro relative alle operazioni di interest rate swap da lui sottoscritto».

E dunque il motivo neppure sfiora la motivazione posta dalla Corte di merito a fondamento della decisione assunta.

14.3. Al di là di quanto precede, premesso che il contratto di swap non è certo in sé immeritevole - e ritenere il contrario costituirebbe del resto una grottesca compressione dell'autonomia negoziale -, nel quadro di applicazione del secondo comma dell'art. 1322 c.c. (v. p. es. Cass. 31 luglio 2017, n. 19013, la quale sostiene che, in caso di swap con funzione di «copertura» occorre che vi sia una correlazione tra l'operazione ed il rischio da coprire; v. pure Cass. 18 luglio 2017, n. 18781), a parte il fatto che il motivo è nel suo complesso inammissibile perché non autosufficiente, dal momento che l'esatto contenuto del contratto di swap in discorso, come già si diceva, non è comprensibilmente descritto, sicché la Corte non è neppure in grado di apprezzare il contenuto della pattuizione, nel caso di specie l'immeritevolezza è fatta discendere non già dall'intrinseca conformazione del rapporto, ma dagli esiti economici prodottisi ex post, peraltro sulla base di valutazioni di parte come tali prive di qualunque efficacia probatoria.

Ora, è facile ritenere «pressoché impossibile» l'aumento dei tassi di interesse, quando, alla scadenza del periodo di riferimento, un incremento non vi sia stato: ben più difficile è preconizzare in anticipo ciò che accadrà, per il che - per l'appunto - viene stipulato il contratto IRS con funzione di copertura delle possibili oscillazioni dei tassi di interesse, oscillazioni che, nella comune esperienza, non sono affatto né impossibili, né necessariamente lievi. Sicché, in definitiva, il sostenere in una fattispecie come quella considerata la tesi della nullità del contratto per mancanza di causa, in conseguenza della mancanza di alea, possiede in sé - e cioè se l'assenza di causa non emerga alla stregua del testo contrattuale valutato ex ante - la stessa fondatezza che avrebbe la tesi della nullità del contratto di assicurazione per il rischio di incendio o di terremoto, che costituiscono normalmente eventualità remote alquanto, una volta che l'incendio o il terremoto non abbiano avuto luogo. Insomma, i contratti aleatori sono previsti dall'ordinamento e non vanno certo incontro in se stessi ad un giudizio di immeritevolezza. È fortemente opinabile, poi, se il giudizio di meritevolezza possa essere impiegato a fini di riequilibrio equitativo del contratto, ma certo - ammesso che ciò sia possibile - l'operazione va almeno compiuta secondo una valutazione operata ex ante, non ex post, sì da giudicare meritevoli i contratti di swap in cui l'investitore ha guadagnato e immeritevoli quelli in cui ha perso.

15. Il settimo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 342 e 346 c.p.c.», censurando la sentenza della Corte d'appello per aver ritenuto che la sentenza di primo grado non fosse stata impugnata nella parte in cui aveva rigettato la domanda di nullità per difetto di causa.

16. Il motivo è assorbito per effetto della pronuncia di inammissibilità del precedente.

17. L'ottavo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 1362 e seguenti, 1421 c.c., nonché 115 e 116 c.p.c.», censurando la sentenza impugnata per non aver considerato il rilievo probatorio del documento numero 18 prodotto dalla banca nel giudizio di primo grado nonché i documenti 3 e 4 prodotti dall'attrice.

18. Il motivo è inammissibile ed è spiegato contro l'evidenza.

Sono palesemente sussistenti tutti i vizi di inammissibilità già elencati nello scrutinio del primo motivo, ai §§ 4.1., 4.2., 4.3., 4.3.1. e 4.3.2.

Ma, al di là di questo, il motivo in questione si riferisce al contratto di swap oggetto del contendere, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, è stato considerato dal giudice del merito e ritenuto valido, mentre la censura si appunta sulla valutazione del suo contenuto, valutazione evidentemente interdetta in questa sede, mirando a rimettere in discussione il giudizio di merito, attraverso la considerazione di una pluralità di elementi, che secondo la ricorrente, avrebbero dovuto condurre ad una declaratoria di inesistenza o invalidità del menzionato contratto.

19. Il nono motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c.», censurando la sentenza impugnata per aver omesso di esaminare il documento 29 prodotto dalla banca.

20. Anche qui l'inammissibilità è macroscopica.

Il documento è stato esaminato mediante il richiamo al giudizio già svolto dal primo giudice. Viene ancora una volta sollecitata una inammissibile rivalutazione del fatto.

21. Il decimo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c., 1322, 1325 e 1421 c.c.», censurando la sentenza impugnata, nuovamente, per aver ritenuto valido e meritevole di tutela il contratto di swap.

22. Il pletorico motivo in esame, che ripropone argomenti già abbondantemente svolti e ribaditi, è palesemente inammissibile sotto tutti i profili già evidenziati in riferimento al primo ed al sesto motivo.

23. L'undicesimo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 1421 c.c., 23 Tuf, 101, comma 2, 115, 116 e 345 c.p.c.», censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto inammissibile la domanda di nullità «del preteso contratto denominato interest rate swap d.d. 15.10.2001, la domanda di nullità del preteso contratto denominato Atlantic swap d.d. 19.11.2002 nonché la domanda di nullità di tutte le pretese operazioni in derivati dedotte in giudizio».

24. Il motivo è inammissibile.

Esso non è autosufficiente.

Alla lettura del ricorso rimane ignoto lo specifico contenuto di tali distinti contratti di swap, antecedenti rispetto a quello inizialmente dedotto in giudizio, né si sa quali siano «tutte le pretese operazioni in derivati dedotte in giudizio», non meglio identificate.

25. Il dodicesimo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 345 e 346 c.p.c., e, comunque, in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c.», censurando la sentenza impugnata per aver addebitato ad essa ricorrente di non aver impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto che Mefin S.r.l. non avesse assolto all'onere di dimostrare la mancanza dei requisiti di esperienza e competenza in materia di strumenti finanziari collegati alla posizione di operatore qualificato.

26. Il motivo è inammissibile dal momento che la Corte territoriale ha motivato sul punto, ritenendo che la società dovesse essere considerata operatore qualificato, né si pone un problema di ribaltamento dell'onere della prova, giacché la Corte ha rammentato che B. aveva espressamente dichiarato di possedere «una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari», correttamente richiamando il principio formulato da Cass. 26 maggio 2009, n. 12138, secondo cui, a fronte dell'espressa ammissione di appartenenza alla categoria degli operatori qualificati, ricade sull'interessato l'onere della prova contraria.

27. Il tredicesimo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 345 e e 346 c.p.c., e, comunque, in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c.», censurando la sentenza impugnata per aver considerato Mefin S.r.l. operatore qualificato ex articolo 31 del regolamento Consob numero 11.522 del 1998.

28. Il motivo è anche questa volta palesemente inammissibile.

Come si è già detto, gli artt. 115 e 116 c.p.c. non sono richiamati a proposito (v. § 4.3.2.), mentre il motivo - che non ha nulla a che vedere con la nozione di imprenditore qualificato come considerata sul piano normativo - mira a rimettere in discussione la valutazione di fatto compiuta dal giudice di merito, il quale ha valorizzato la già menzionata dichiarazione proveniente dal B. evidenziando che, secondo quanto già stabilito dal Tribunale, non era stata allegata alcuna circostanza specifica da cui desumere la mancanza del dichiarato requisito di competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari.

29. Il quattordicesimo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, comma 1, numero 3, in relazione agli articoli 115, 116 c.p.c., e, comunque, in relazione agli articoli 345 e 346 c.p.c.», censurando la sentenza della Corte d'appello per aver ritenuto che non fosse stata impugnata la statuizione di primo grado di rigetto della domanda [di] nullità del contratto di swap per omessa indicazione della facoltà di recesso del cliente.

30. Il motivo è assorbito dal rigetto del precedente, giacché, rimasta ferma l'attribuzione alla società di operatore qualificato, rimane parimenti ferma l'inapplicabilità dell'invocata disposizione ai sensi dell'art. 31 del regolamento Consob numero 11.522 del 1998.

31. Le spese seguono la soccombenza. Secondo il già citato Protocollo il mancato rispetto dei limiti dimensionali indicati è valutabile ai fini della liquidazione delle spese del giudizio, che vengono nel caso di specie liquidate di conseguenza, anche in ragione della inusuale, e per di più in larghissima parte superflua e ripetitiva, dilatazione del ricorso.

32. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro 13.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.