Corte di cassazione
Sezione II civile
Sentenza 11 giugno 2018, n. 15049

Presidente: Petitti - Estensore: Federico

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Il 9 aprile 2009 ed il 9 aprile 2010 la società di revisione KPMG S.p.A. formulava giudizi senza rilievi sui bilanci relativi, rispettivamente, agli anni 2008 e 2009 della Banca Monte dei Paschi di Siena (d'ora innanzi MPS).

Successivamente, il nuovo consiglio di amministrazione della MPS, insediatosi a seguito dell'accertamento di gravi irregolarità a carico del precedente consiglio, all'esito di approfondimenti condotti con l'ausilio di propri esperti, apportava, con il bilancio al 31 dicembre 2013, correzioni contabili rilevanti in relazione ai bilanci degli anni 2008 e 2009.

In concomitanza con detta iniziativa la Consob iniziava accertamenti sulla condotta della società di revisione, diretti ad accertare se si fossero verificate, nell'attività di revisione dei bilanci MPS 2008 e 2009, violazioni della normativa applicabile.

Il procedimento sanzionatorio, svoltosi secondo le scansioni previste nel Regolamento Consob n. 18750 del 19 dicembre 2013, veniva avviato dalla Divisione Corporate Governance della Consob, con note di contestazioni del 20 marzo 2014.

A conclusione dell'istruttoria, la Consob, in data 26 settembre 2014, approvava la delibera n. 19042/2014, con la quale, in conformità alla relazione dell'Ufficio Sanzioni Amministrative (USA), irrogava nei confronti della KPMG la sanzione pecuniaria di 450.000,00 euro, ai sensi degli artt. 26 d.lgs. 39/2010 e 163 d.lgs. 58/1998, per aver violato numerosi principi di revisione contabile in occasione dello svolgimento dell'attività di revisione sui bilanci di esercizio e consolidato della Banca Monte dei Paschi di Siena, sia per l'anno 2008 che per l'anno 2009.

Con riferimento al bilancio 2008, veniva irrogata la sanzione amministrativa di 150.000,00 euro in relazione alle verifiche sulle operazioni finanziarie di c.d. "Total Return Swap" su BTP, poste in essere dalla capogruppo MPS e dalla società controllata Santorini Investments Limited Partnership con la Deustche Bank AG, per importi rilevanti nel mese di dicembre 2008.

Con riferimento al bilancio 2009, veniva applicata la sanzione amministrativa di 300.000,00 euro, avuto riguardo alle verifiche sull'operazione di finanziamento dell'acquisizione della Banca Antonveneta e sul trattamento contabile dell'obbligazione strutturata "Alexandria Capital PLC Liquidity Linked Notes" e delle operazioni di asset swap e long term repo su BTP poste in essere da MPS.

La KPMG proponeva ricorso in opposizione innanzi alla Corte di Appello di Milano, chiedendo l'annullamento della delibera Consob o, in subordine, la riduzione dell'importo delle sanzioni irrogate, nonché la disapplicazione del Regolamento Consob n. 18750/2013 in relazione al procedimento sanzionatorio adottato dalla Commissione, per violazione del principio del contraddittorio di cui all'art. 24 l. 262/2005, nonché dell'art. 195, comma 2, TUF e dell'art. 6 CEDU.

A seguito dell'accoglimento, in data 6 novembre 2014, della richiesta di accesso agli atti e la successiva messa a disposizione da parte della Consob degli ulteriori documenti in data 17 novembre 2014, KPMG depositava ricorso per motivi aggiunti, in data 30 dicembre 2014, con il quale proponeva ulteriori censure rispetto a quelle contenute nell'atto introduttivo originario.

La Corte d'Appello di Milano, con decreto depositato l'8 ottobre 2015, previa dichiarazione di inammissibilità dei motivi aggiunti presentati a giudizio avviato dall'opponente, rigettava l'opposizione.

Per la cassazione di detto decreto propone ricorso la KPMG, articolato in cinque motivi.

La Consob resiste con controricorso.

In prossimità dell'odierna udienza entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo, articolato, motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 195, comma 2, d.lgs. 58/1998 e dell'art. 24, comma 1, della l. 262/2005, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), e all'art. 111, comma 7, Cost., censurando la pronuncia della Corte d'Appello di Milano per aver omesso di rilevare l'illegittimità del procedimento sanzionatorio e conseguentemente della delibera impugnata, per violazione del principio del contraddittorio e della conoscenza degli atti istruttori.

In particolare, si censura la mancata previsione, nel Regolamento sanzioni, della possibilità per l'incolpato di replicare alla Relazione conclusiva dell'Ufficio Sanzioni Amministrative (d'ora innanzi USA) e della facoltà di essere sentito sul contenuto e le conclusioni della Relazione innanzi alla Commissione.

La ricorrente lamenta, dunque, una violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, deducendo che il procedimento sanzionatorio suddetto non rispetta né il criterio di ragionevolezza, né quello di proporzionalità, nel rapporto di parità delle armi tra accusa e difesa.

Il motivo è infondato.

Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, infatti, in tema di intermediazione finanziaria, il procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative postula solo che, prima dell'adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell'addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell'interessato.

Pertanto, non violano il principio del contraddittorio l'omessa trasmissione, in via preventiva, all'interessato delle conclusioni dell'USA della Consob e la sua mancata personale audizione innanzi alla Commissione, non trovando d'altronde applicazione, in tale fase, i principi del diritto di difesa e del giusto processo, riferibili solo di procedimento giurisdizionale (Cass., Sez. un., 20935 del 30 settembre 2009; Cass. 18683 del 4 settembre 2014).

Tale paradigma procedimentale, come questa Corte ha già affermato, non si pone in contrasto con l'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, quando - come stabilito dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014, "Grande Stevens c. Italia" - pur avendo le sanzioni natura sostanzialmente penale, il provvedimento con cui le stesse vengono irrogate sia assoggettato - come, appunto, quello adottato ex art. 163, comma 1, lett. a), del TUF - ad un sindacato giurisdizionale pieno, attuato nell'ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo (Cass. 8210 del 22 aprile 2016).

Del pari infondato il riferimento alla posizione assunta dal Consiglio di Stato, nelle sentenze nn. 1595/2015 e 1596/2015, avuto riguardo alla illegittimità del procedimento sanzionatorio Consob di cui al regolamento n. 15086/2005 per violazione dell'art. 6, par. 1, CEDU e dell'art. 187-septies TUF.

Conviene premettere che pure il Consiglio di Stato, nelle citate pronunce, ha escluso, richiamandosi alla già menzionata giurisprudenza di questa Corte, che le sanzioni Consob ed il relativo procedimento all'esito del quale le stesse sono state irrogate siano in contrasto con la CEDU, in quanto la successiva fase giurisdizionale, innanzi ad un organo dotato di piena giurisdizione, è in grado di colmare eventuali mancanze della fase amministrativa.

Il Consiglio di Stato ha pure escluso che il regolamento Consob presentasse profili di illegittimità avuto riguardo ai precetti costituzionali ed ai principi sul diritto di difesa e sul giusto processo (art. 111 Cost.), ritenuti direttamente riferibili ai giudizi innanzi ad organi giurisdizionali, non potendo pienamente equipararsi il principio del "giusto procedimento" a quello del "giusto processo".

Le pronunce del Consiglio di Stato evidenziano, invece, profili di criticità del regolamento rispetto alla normativa nazionale ed in particolare ai principi affermati dalla l. 262/2005 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari), escludendo peraltro che le carenze relative al c.d. giusto procedimento diano luogo a pretese autonomamente azionabili prima ed indipendentemente dall'emanazione del provvedimento sanzionatorio: di qui la statuizione di inammissibilità dei ricorsi per carenza di interesse, essendo in quella sede impugnati atti endo-procedimentali, inidonei a produrre alcuna lesione su una situazione soggettiva tutelabile.

A parte, dunque, ogni rilievo sulla intrinseca attendibilità delle suddette valutazioni, che non hanno dato luogo ad una pronuncia di annullamento del regolamento, è assorbente, anche in questa sede, la considerazione che il presente giudizio ha ad oggetto un provvedimento sanzionatorio e non anche la valutazione di legittimità degli atti endoprocedimentali, quali disciplinati dal regolamento Consob (Cass. 12 ottobre 2007, n. 21493).

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 195, comma 4, d.lgs. 58/1998, dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nonché dell'art. 111, comma 7, Cost., con riferimento all'inammissibilità dei motivi aggiunti di ricorso avanzati da KPMG ed alla conseguente omessa pronuncia sui medesimi.

Il terzo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell'art. 153, comma 2, c.p.c. e dell'art. 132, comma 2, n. 4, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. e dell'art. 111, comma 7, Cost., con riferimento al rigetto dell'istanza di rimessione in termini, formulata in via subordinata da KPMG sempre in relazione ai "motivi aggiunti" ed alla assoluta carenza di motivazione al riguardo.

I motivi, che, in virtù della stretta connessione vanno unitariamente esaminati, sono fondati.

È infatti vero, in linea generale, che la formulazione di "motivi aggiunti", successivi alla proposizione del ricorso originario, in quanto diretta ad ampliare la materia del contendere, è incompatibile con il carattere impugnatorio del giudizio di cui all'art. 195 TUF, nel quale, analogamente a quanto stabilito nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa di cui alla l. 689/1981 l'atto introduttivo del giudizio, con il deposito dei documenti allegati, segna in modo definitivo il thema decidendum senza che siano consentiti successivi ampliamenti di esso (cfr. al riguardo Cass. n. 232 dell'11 gennaio 2016).

Nel caso di specie, peraltro, è pacifico che dopo la notifica della delibera sanzionatoria, effettuata il 7 ottobre 2014, KPMG ha presentato, in data 10 ottobre 2014, istanza di accesso agli atti del procedimento.

Detta istanza è stata però accolta solo il 6 novembre 2014, dopo che era decorso il termine per l'impugnazione della delibera.

Atteso che al momento della notifica del ricorso, vale a dire il 5 novembre 2014, la Commissione non aveva ancora dato riscontro alla richiesta di accesso, KPMG, nell'impossibilità di esaminare tutti gli atti del procedimento entro i termini per notificare il ricorso, aveva formulato espressa riserva di integrare i motivi di opposizione, una volta esaminati i documenti oggetto dell'istanza di accesso agli atti.

In particolare, a seguito dell'accesso agli atti, sono stati consegnati a KPMG, solo in data 17 novembre 2014, i seguenti documenti:

- la relazione predisposta dall'U.S.A. in data 19 settembre 2014;

- il verbale n. 5240 della seduta della Commissione del 24 settembre 2014;

- il verbale n. 5242 relativo alla seduta della Commissione del 26 settembre 2014.

Orbene, KPMG ha notificato il 17 dicembre 2014 ulteriore ricorso contenente motivi aventi ad oggetto:

a) la totale assenza di parte motivazionale nei verbali delle sedute della Commissione;

b) la partecipazione del Direttore Generale a tali sedute;

c) la mancanza di doverosa chiarezza circa l'esito della votazione della commissione;

d) la modifica, in itinere, del testo dell'atto di accertamento, al fine di giustificare la tardività delle contestazioni.

Tutti i motivi suddetti traggono origine, secondo quanto prospettato dalla ricorrente, dai documenti acquisiti in occasione dell'accesso agli atti.

Orbene, una volta accertato che i nuovi motivi di opposizione si fondano sui documenti tardivamente messi a disposizione dalla Consob, la pronuncia di inammissibilità di detti motivi non appare conforme a diritto.

È infatti ravvisabile, nel caso di specie, l'impossibilità, per cause non imputabili alla ricorrente, di formulare tempestivamente tutte le ragioni di censura, attesa la non contestata incompletezza degli atti messi a sua disposizione da parte della Consob, nel termine utile al fine della proposizione del ricorso in opposizione.

In tal caso, il presupposto per la rimessione in termini, in un giudizio impugnatorio quale quello in oggetto, deriva dalla stessa incompletezza della documentazione messa a disposizione dell'incolpato e dall'accertamento che i motivi di opposizione si fondano sugli atti esibiti tardivamente.

Accertato ciò, il concreto pregiudizio al diritto di difesa dell'opponente deve ritenersi in re ipsa, non potendo richiedersi un'ulteriore valutazione sul "merito" dei motivi aggiunti.

Se infatti, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche con riferimento al primo motivo di ricorso, non può equipararsi il principio del "giusto procedimento" a quello del "giusto processo", il recupero delle facoltà difensive in sede giurisdizionale va garantito in modo pieno ed assoluto, e la completa disponibilità degli atti su cui il provvedimento sanzionatorio è fondato, costituisce presupposto indefettibile di tali garanzie difensive.

Nel caso dunque in cui, per ragioni non imputabili al ricorrente, questi, pur a fronte di una richiesta tempestivamente proposta, non abbia avuto pieno accesso a tutti gli atti formati nell'ambito del procedimento sanzionatorio Consob, in quanto messi a sua disposizione una volta scaduti i termini per proporre opposizione, deve ritenersi compromesso il pieno esercizio del suo diritto di difesa e dunque applicabile in suo favore l'istituto della rimessione in termini, di cui all'art. 153, comma 2, c.p.c., al fine di proporre ulteriori motivi di opposizione rispetto a quelli originariamente e ritualmente proposti.

La tempestiva proposizione del ricorso in opposizione e l'espressa riserva ivi contenuta in ordine all'eventuale predisposizione di nuovi motivi, fondati sui documenti successivamente resi accessibili dalla Consob, appare dunque idonea a legittimare una pronuncia di rimessione in termini in ordine alla formulazione di tali ulteriori motivi fondati sui documenti tardivamente messi a disposizione.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 195, comma 7, d.lgs. 58/1998 in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. e all'art. 111, comma 7, Cost.

La ricorrente lamenta che la Corte milanese abbia disapplicato la disposizione dell'art. 195, comma 7, TUF, il quale, nella formulazione anteriore al d.lgs. 72/2015, prescriveva che la Corte d'Appello decidesse sull'opposizione in camera di Consiglio.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha infatti ritenuto, con scelta processuale che non è stata specificamente censurata, che il procedimento di opposizione di cui all'art. 195 l. n. 58 del 1998, nella formulazione all'epoca vigente, il quale, pur traendo linfa da due distinti modelli normativi (l'opposizione a sanzioni amministrative prevista in generale dalla l. n. 689 del 1981 e il rito camerale disciplinato dagli artt. 737 ss. c.p.c.), si caratterizza in termini di modello procedimentale autonomo (Cass., Sez. un., 20930/2009), consentisse il ricorso alla pubblica udienza di discussione, quale strumento maggiormente idoneo a garantire le esigenze di tutela del contraddittorio.

La Corte ha fatto ricorso ad un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa, in conformità a quanto affermato dalla Corte EDU nella pronuncia del 4 marzo 2014, la quale, in relazione alle procedure sanzionatorie di cui all'art. 195 TUF, aveva ravvisato l'opportunità che i procedimenti avverso le sanzioni amministrative irrogate dalla Consob si svolgessero in udienza pubblica per consentire ai ricorrenti un'effettività di tutela.

Né risulta che questa scelta abbia arrecato alcun pregiudizio al diritto di difesa dell'odierna ricorrente, che anzi, come evidenziato nella menzionata pronuncia CEDU, nella pubblica udienza avrebbe meglio potuto articolare le sue pretese difensive e che, come già evidenziato, non ha in alcun modo contestato tale decisione della Corte.

Il quinto motivo attiene alla violazione e falsa applicazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e all'art. 111, comma 7, Cost. per motivazione meramente apparente o comunque manifestamente illogica e incomprensibile, avuto riguardo all'eccezione di tardività delle contestazioni.

L'accoglimento del secondo e terzo motivo assorbe l'esame del presente mezzo.

In conclusione, vanno accolti il secondo e terzo motivo di ricorso, respinto il quarto, assorbito il quinto.

La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione alle censure accolte e la causa va rinviata, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano, che si conformerà al seguente principio di diritto:

"La tempestiva proposizione del ricorso in opposizione e l'espressa riserva ivi contenuta in ordine all'eventuale predisposizione di nuovi motivi, fondati su documenti resi accessibili dalla Consob oltre il termine utile per proporre il ricorso, è idonea a legittimare una pronuncia di rimessione in termini per la formulazione di ulteriori motivi di opposizione, in quanto detti motivi siano fondati sui documenti tardivamente messi a disposizione".

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso.

Respinge il quarto, assorbito il quinto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivi accolti e rinvia la causa, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano.