Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Ordinanza 11 aprile 2018, n. 8984

Presidente: Mammone - Relatore: Cirillo

Rilevato che:

1. Il 27 febbraio 2009 il Commissario antiracket ha disatteso, con proprio decreto, la richiesta dell'imprenditore G.N., diretta al conseguimento dei benefici previsti dalle Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura e, in particolare, la concessione di una provvisionale di 600 mila euro su un importo di 1,5 milioni di euro.

1.1. Nel 2011 il Consiglio di Stato ha annullato il provvedimento per carenza di motivazione e d'istruttoria, fissando il consequenziale obbligo del Commissario di pronunciare nuovamente sulla richiesta di provvisionale presentata dall'imprenditore. Il 19 dicembre 2011 il Commissario ha nuovamente rigettato la richiesta dell'interessato.

1.2. Con sentenza del 15 luglio 2014, il Consiglio di Stato, adito per l'ottemperanza, ha rilevato l'inosservanza del giudicato del 2011 e ha annullato il decreto del 19 dicembre 2011, assegnando al Commissario il termine di novanta giorni per il riesame della situazione del N., fatta salva, in caso di persistente inerzia, la nomina di un commissario ad acta. Spirato il termine, l'interessato ha chiesto al Consiglio di Stato, in funzione di giudice dell'ottemperanza, di prendere atto dell'omessa esecuzione e di designare un commissario ad acta.

2. Sennonché, il 15 ottobre 2014, il Commissario antiracket, avendo acquisito relazione istruttoria della Prefettura di Roma del 25 settembre 2014 e parere sfavorevole del Comitato di solidarietà del 15 ottobre 2014, ha respinto ancora una volta l'istanza del N., assumendo che «le vicende subite non appaiono in alcun modo riconducibili ad alcuna delle fattispecie di cui alla L. n. 44 del 1999, art. 3».

2.1. Indi, con sentenza del 13 ottobre 2015, il Consiglio di Stato ha respinto l'istanza di nomina del commissario ad acta ed il reclamo avverso la nuova pronuncia sfavorevole contenuta nel decreto del Commissario antiracket del 15 ottobre 2014. Ha osservato che, mentre con il provvedimento del 19 dicembre 2011 il Commissario sostanzialmente non ha compiuto le necessarie valutazioni su alcuni aspetti rilevanti della vicenda estorsiva (il cui procedimento penale si era concluso con decreto di archiviazione del 23 giugno 2008), invece, il provvedimento del 15 ottobre 2014, pur confermando la pregressa determinazione negativa, è stato adottato previa acquisizione della nuova relazione della Prefettura di Roma del 25 settembre 2014 e sostenuto da una sufficiente e non irragionevole motivazione.

3. Contro la predetta sentenza l'interessato ha proposto ricorso e, denunciando eccesso di potere giurisdizionale e sviamento nel sindacato di merito, ha sostenuto che il giudice amministrativo abbia ignorato la preclusione derivante dal giudicato già formatosi sull'accesso al contributo e abbia così trascurato i limiti della giurisdizione circoscritti alla mera quantificazione del contributo richiesto.

3.1. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalle sezioni unite con sentenza n. 26274 del 20 dicembre 2016, laddove si afferma che la decisione di rigetto della domanda proposta per ottenere l'ottemperanza di un giudicato amministrativo non è sindacabile dalla Corte di cassazione per motivi inerenti all'interpretazione del giudicato e delle norme oggetto di quel giudizio, atteso che gli errori nei quali il giudice amministrativo sia eventualmente incorso, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa.

4. Per la revocazione della decisione delle sezioni unite del 20 dicembre 2016 il N. propone ricorso, assumendo che la Corte sarebbe incorsa in errore di fatto, laddove non si sarebbe avveduta che la relazione prefettizia del 25 settembre 2014, posta a fondamento del decreto commissariale del 15 ottobre 2014 e della censurata sentenza amministrativa del 13 ottobre 2015, altro non fosse che la medesima relazione istruttoria posta a fondamento del decreto commissariale del 2009, già annullato nel 2011 dal Consiglio di Stato. Le controparti non svolgono difese. Il ricorrente deposita memoria.

Considerato che:

1. Il ricorso per revocazione è manifestamente inammissibile e la sua inammissibilità va dichiarata con ordinanza camerale. Infatti, il rito camerale (non partecipato) dell'ammissibilità della revocazione, pur disegnato sul calco delle regole per la sezione prevista dall'art. 376, primo comma, c.p.c. nella sua interazione con le sezioni semplici e non essendo prevista una relazione tra essa e le sezioni unite, non osta a che, su sentenze e ordinanze pronunziate da queste ultime, possano validamente essere, per evidenti ragioni di coerenza logica e sistematica, chiamate a decidere le medesime sezioni unite, sia pure col rito camerale previsto per l'ammissibilità della revocazione, di cui al combinato disposto del novellato art. 380-bis e dell'art. 391-bis c.p.c. (conf. Cass., Sez. un., ud. 27 febbraio 2018 - dep. 14 marzo 2018, n. 6336, in materia di correzione delle sentenze delle sezioni unite).

2. Nella specie, in sede di ottemperanza al giudicato amministrativo del 2011, che - previo annullamento per difetto di istruttoria e di motivazione del decreto del 2009 di diniego dei contributi ex lege n. 44 del 1999 - ha onerato il Commissario antiracket ad emetterne uno nuovo, il Consiglio di Stato nel 2015 ha rigettato l'istanza di nomina di un commissario ad acta per provvedere in sostituzione dell'Amministrazione, atteso che, nelle more del procedimento, era intervenuto l'ulteriore decreto dell'ottobre 2014, anch'esso negativo, ma sufficientemente istruito e motivato

2.1. Le sezioni unite, adite ex art. 362 c.p.c., hanno, quindi, ritenuto inammissibile il ricorso con il quale l'interessato ha lamentato l'omessa considerazione, da parte del giudice dell'ottemperanza, dell'asserita preclusione derivante dal giudicato in punto debenza dell'accesso al beneficio richiesto, trattandosi di censure attinenti all'interpretazione del giudicato del 2011.

2.2. Le sezioni unite, richiamando nella decisione revocanda la costante giurisprudenza di legittimità (segnatamente Cass., Sez. un., 6 settembre 2013, n. 20565), osservano che il rigetto della domanda proposta per ottenere l'ottemperanza di un giudicato amministrativo, ove sia fondato sulla valutazione dell'inesistenza di un contrasto tra la decisione di cui si chiede l'osservanza e il successivo provvedimento dell'amministrazione reiterativo della misura, non incide sui limiti esterni della giurisdizione, trattandosi di un possibile esito naturale del giudizio.

2.3. Aggiungono che - al fine di distinguere le fattispecie nelle quali è consentito il sindacato della Corte di cassazione sul rispetto dei limiti esterni della giurisdizione nelle decisioni adottate dal Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza, da quelle nelle quali un tale sindacato è inammissibile - è decisivo, secondo la giurisprudenza di legittimità (segnatamente Cass., Sez. un., 26 aprile 2013, n. 10060 e 3 febbraio 2014, n. 2289), stabilire se oggetto del ricorso sia il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (limiti interni della giurisdizione) oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (limiti esterni della giurisdizione).

2.4. Indi, concludono affermando: «ne consegue che - così come nella concreta fattispecie - ove le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino l'interpretazione del giudicato e delle norme oggetto di quel giudizio, gli errori nei quali il giudice amministrativo sia eventualmente incorso, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa e non sono sindacabili dalla Corte di cassazione».

3. L'odierna domanda di revocazione, sub specie di errore di fatto (cfr. pag. 17, righi 16-19), denuncia sostanzialmente un preteso errore di giudizio sulla portata e sui limiti del giudicato del 2011 e del sindacato circa i limiti esterni della giurisdizione (sent. pag. 3). Né vale invocare un asserito equivoco del Consiglio di Stato sul contenuto della cd "nuova relazione" prefettizia dell'ottobre del 2014, laddove si tratta di questione estranea alla reale ratio decidendi della revocanda sentenza delle sezioni unite.

3.1. L'art. 391-bis c.p.c. stabilisce che «Se la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta [...] da errore di fatto ai sensi dell'articolo 395, numero 4), la parte interessata può chiederne [...] la revocazione». Quest'ultima disposizione prescrive che «Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione [...] se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa» e precisa che «Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso, se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».

3.2. La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l'errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l'errore di fatto riguarda solo l'erronea presupposizione dell'esistenza o dell'inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti e integri gli estremi dell'error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all'ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all'ipotesi della violazione (vedasi tra le tante Cass., Sez. un., 27 dicembre 2017, n. 30994 e sent. ivi cit. a § 3.4; conf. Cass., Sez. un., 27 dicembre 2017, nn. da 30995 a 30997). Resta, quindi, esclusa dall'area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. un., n. 30994/2017, cit.).

3.3. In sintesi estrema la combinazione dell'art. 391-bis e dell'art. 395, n. 4), c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l'errore di diritto sostanziale o processuale e l'errore di giudizio o di valutazione. Né, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall'art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali. Sicché non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell'appello e del ricorso per cassazione (conf. Cass., Sez. un., n. 30994/2017, cit.). Inoltre, quanto all'effettività della tutela giudiziaria, anche la giurisprudenza europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l'ordinata amministrazione della giustizia (Corte giust., 3 settembre 2009, Olimpiclub; 30 settembre 2003, Kobler; 16 marzo 2006, Kapferer; conf. Corte EDU, 28 luglio 1998, Omar c. Francia; 27 marzo 2014, Erfar-Avef c. Grecia; 3 luglio 2012, Radeva c. Bulgaria); il che convalida il contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di «sviste» o di «puri equivoci» senza che rilevino a pretesi errori di valutazione (Corte cost. n. 17/1986, n. 36/1991, n. 207/2009; conf. Cass., Sez. un., n. 30994/2017, cit.).

4. Dunque le interpretazioni letterale e sistematica, ma pure quelle costituzionalmente e convenzionalmente orientate, degli artt. 391-bis e 395, n. 4), c.p.c. portano a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali), oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di precedente controversia, rispondendo la «non ulteriore impugnabilità in generale» all'esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale e della CEDU, di conseguire l'immutabilità e definitività della pronuncia all'esito di un sistema variamente strutturato (Cass., 29 aprile 2016, n. 8472). Il carattere d'impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l'inammissibilità di ogni censura ivi non compresa (Cass., 7 maggio 2014, n. 9865).

5. Nella specie, così come ha ulteriormente precisato in memoria, il ricorrente assume che il Commissario antiracket, nel negativo provvedimento del 2014, avrebbe omesso quell'autonoma valutazione dei fatti prescritta sin dal decreto del Capo dello Stato che nel 2008 aveva annullato l'iniziale diniego del 2006, atteso che si è riportato alle valutazioni del G.I.P. e del P.G. sulla vicenda.

Sicché, nel 2015 il Consiglio di Stato, invece di censurare l'operato del Commissario, avrebbe smentito i propri giudicati (e la stesso pregresso decisum del Capo dello Stato) nel ritenere ragionevoli le valutazioni contenute nella cd. "nuova relazione" della Prefettura poi recepita dal Commissario.

Il che significherebbe, a suo dire, che la Corte, nella revocanda sentenza delle sezioni unite, sarebbe «... incorsa in evitabili erronee interpretazioni delle fattispecie, con esplicito riferimento ai due punti precedenti», ovverosia «avrebbe potuto cassare la sentenza del C.d.S. stante il mancato rispetto e la evidente violazione del principio di diritto sancito col decreto del Capo dello Stato, in particolare in ordine ai limiti esterni della giurisdizione».

Però, se questa è la interpretazione del proprio assunto dato dalla stessa difesa del ricorrente (v. memoria), è del tutto evidente che manca la deduzione di un qualsivoglia errore di fatto, proponendosi solo pretesi errores in iudicando e in procedendo estranei al perimetro del rimedio revocatorio.

Ciò comporta l'inammissibilità del ricorso per revocazione in esame, senza alcuna conseguenza in punto di spese mancando attività difensiva delle controparti.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.