Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 9 marzo 2018, n. 1519

Presidente: Lopilato - Estensore: Simeoli

FATTO

1. La società TERMEX s.r.l. presentava in data 7 giugno 1999 alla Provincia di Genova, in qualità di "Soggetto Responsabile" del Patto Territoriale di Genova e delle Valli del Genovesato - approvato con decreto del Ministro del Tesoro n. 2492 del 23 aprile 2001 - una domanda per la concessione di agevolazioni finanziarie, ai sensi dell'art. 2, commi 203 e seguenti, della l. n. 662 del 1996, in ordine ad un programma di ampliamento di un impianto per la lavorazione di grandi macchine.

In accoglimento di tale richiesta - identificata con il numero di progetto «P17122/16» - alla TERMEX veniva riconosciuto, in via provvisoria, un contributo in conto impianti pari ad Euro 439.246,59, a fronte di un programma di investimenti per l'importo complessivo agevolabile di Euro 1.876.287,91 (successivamente, su richiesta di variazione del progetto della stessa impresa richiedente, il Soggetto Responsabile procedeva al ricalcolo del contributo in Euro 417.741,90).

Nel 2003, l'odierna appellante - depositata la documentazione di avanzamento lavori ai fini dell'erogazione delle prime 2 quote delle 3 previste - otteneva la liquidazione del contributo per un importo di Euro 209.847,50 per le spese dirette, oltre ad Euro 52.024,98 per le spese in leasing, per un totale complessivo di Euro 261.872,48, concretamente erogato dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Di seguito, concluso il programma di investimento, la TERMEX, con nota del 30 giugno 2005, richiedeva l'erogazione del rateo finale dell'agevolazione concessa in via provvisoria.

Sennonché, la Europrogetti & Finanza s.p.a. - cui era stata affidata l'istruttoria del progetto -, con nota del 14 settembre 2011, trasmetteva la relazione sullo stato finale degli investimenti, confermando sì l'ammissibilità del programma di investimenti alle agevolazioni, ma con alcuni stralci di spesa. In particolare, la relazione finale di spesa fissava in Euro 397.627,78 l'importo della spesa ammissibile e in Euro 89.207,82 il contributo concedibile in via definitiva (mentre in via provvisoria il contributo riconosciuto alla Società ricorrente era pari ad Euro 417.741,90, di cui Euro 261.872,48 già erogati a titolo di anticipazione). La limita quantificazione del contributo concedibile, come ricalcolata dal soggetto istruttore, veniva confermata dalla competente Commissione ministeriale.

Con nota prot. 91714 del 10 settembre 2013, la Provincia di Genova comunicava a TERMEX l'avvio del procedimento volto alla rideterminazione del contributo provvisorio concesso, in conseguenza dei predetti stralci di spesa sulla realizzazione dell'investimento.

Con determinazione dirigenziale n. 574 del 31 gennaio 2014, la Provincia di Genova adottava il provvedimento definitivo di concessione delle agevolazioni finanziarie, relativo all'iniziativa imprenditoriale della TERMEX, prescrivendo in capo a quest'ultima l'obbligo di restituire all'erario dello Stato la somma complessiva di Euro 179.622,71 (di cui: Euro 166.529,39, corrispondente alla differenza tra l'importo del contributo concesso in via definitiva e l'importo già erogato alla società; Euro 10.151,10 a titolo di interessi; Euro 2.942,22 a titolo di oneri di accertamento finale di spesa).

La Provincia di Genova, da ultimo, con la determinazione dirigenziale n. 2141 del 21 maggio 2014 introduceva le integrazioni richieste dal Ministero dello Sviluppo economico (con note del 5 marzo 2014 e del 9 maggio 2014), cui seguiva la presa d'atto ministeriale prot. 31427 del 15 luglio 2014.

1.1. Nel frattempo, con atto di citazione notificato il 29 novembre 2013, aveva chiesto al Tribunale civile di Genova di accertare e dichiarare il suo diritto il credito nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico e/o della Provincia di Genova, pari ad Euro 155.869,42, oltre al risarcimento dei danni patiti a causa del ritardo nell'erogazione del saldo. Il Tribunale civile, tuttavia, con sentenza del giorno 8 aprile 2014, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore della giurisdizione del giudice amministrativo.

1.2. A questo punto, con due autonomi ricorsi promossi innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale - n. 451 e n. 452 del 2014 - la TERMEX, rispettivamente: riproponeva le domande formulate nell'atto di citazione proposto davanti il Tribunale civile di Genova (l'accertamento del credito della somma di Euro. 155.869, quale sommatoria della terza rata dell'agevolazione e quanto dovuto per il saldo del leasing contratti); impugnava la determinazione dirigenziale della Provincia di Genova n. 574 del 31 gennaio 2014, con la quale l'Amministrazione provinciale adottava il provvedimento definitivo di concessione delle agevolazioni finanziarie.

Con successivi motivi aggiunti - nell'ambito del giudizio n. 452 del 2014 - veniva gravati anche il provvedimento dirigenziale della Provincia di Genova n. 2141 del 21 maggio 2014, e l'atto del Ministero dello Sviluppo Economico prot. 31427 del 15 luglio 2014.

2. Con sentenza n. 1029 del 2015, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria - riuniti i ricorsi n. 451 e n. 452 del 2014 per motivi di connessione oggettiva e soggettiva - li ha respinti entrambi.

3. Avverso tale sentenza la società Termex s.r.l. ha proposto appello deducendone l'erroneità sotto i seguenti plurimi profili di censura.

a) Con i primi due motivi di appello, si afferma che, quando il provvedimento di rideterminazione in diminuzione del contributo è stato adottato (in data 31 gennaio 2014), a distanza di oltre 9 anni dalla formulata richiesta di liquidazione del saldo finale, erano oramai spirati i limiti temporali previsti dalla normativa speciale - segnatamente dagli artt. 5, 7, lett. b), 12, comma 3, del d.m. 31 luglio 2000, n. 320 - che regolava il programma di finanziamento. Diversamente da quanto ritenuto dal primo Giudice, poi, nessuna responsabilità per gli inadempimenti delle Amministrazioni procedenti potrebbe essere addebitata alla Società appellante, la quale, al contrario, avrebbe sempre mantenuto una condotta diligente, inoltrando tutta la documentazione necessaria, dando puntuale seguito alle successive richieste delle Amministrazioni stesse.

b) La sentenza gravata sarebbe, poi, errata per non aver riconosciuto tutela alla posizione di legittimo affidamento ingeneratasi nella ricorrente. Anche a voler ammettere che le verifiche in ordine all'ammontare del contributo definitivo possano essere assunte dall'Amministrazione oltre i termini procedimentali previsti, non potrebbe ammettersi che l'esercizio del potere provvedimentale venga dall'Amministrazione rinviato sine die, dovendo tale potere essere necessariamente esercitato entro un termine ragionevole.

c) La sentenza gravata sarebbe, altresì, erronea per non aver rilevato il grave difetto di motivazione che inficierebbe il provvedimento gravato. L'apodittica elencazione delle spese ammesse e di quelle escluse, non potrebbe, infatti, ritenersi in alcun modo sufficiente ad integrare l'onere motivazionale gravante sull'Amministrazione procedente, non consentendo in alcun modo di comprendere, quali siano le ragioni che hanno indotto l'Amministrazione procedente a stralciare voci di spesa che erano già state valutate ad ammesse, sia pure in via provvisoria.

d) La sentenza gravata sarebbe, inoltre, errata per aver ritenuto che l'Amministrazione provinciale abbia preso nella dovuta considerazione gli apporti procedimentali della ricorrente, con memorie dell'11 ottobre 2013 e 9 dicembre 2013.

Conclude l'appellante che il ritardo nell'erogazione della quota a saldo del contributo le avrebbe provocato ingenti pregiudizi. Su queste basi, insiste nella richiesta di risarcimento dei danni consistenti: nella somma derivante dalla rivalutazione monetaria del capitale medesimo; negli interessi moratori maturati sul predetto capitale; nel maggior danno, calcolato in termine di ricorso al capitale di terzi, non avendo potuto disporre della somma di cui al contributo.

4. Le Amministrazioni intimate si sono costituite chiedendo che il gravame venga rigettato.

5. Con ordinanza 19 settembre 2016, n. 4035, la Sezione - «Considerato che il provvedimento impugnato, con il quale è stato rideterminato il contributo dovuto alla società appellante ed è stata richiesta la restituzione di parte delle somme già erogate (per Euro 179.622,71), è stato adottato a molti anni di distanza dalla precedente determinazione e dall'erogazione (nel 2003) dei relativi acconti; Considerato che dall'esecuzione del provvedimento impugnato, nella parte in cui è richiesta la parziale restituzione delle somme già erogate, può derivare un grave danno per l'appellante, e che a tale danno può essere posto rimedio disponendo la rateazione su base decennale, senza il maturare di interessi, dell'importo dovuto all'erario per la restituzione di parte dell'acconto concesso; Considerato che è fatta salva ogni diversa determinazione all'esito della decisione nel merito dell'appello» - ha sospeso l'esecutività della sentenza impugnata e del provvedimento impugnato in primo grado, nei sensi di cui in motivazione, per l'effetto disponendo che la restituzione di somme di denaro che è stata ingiunta dai provvedimenti impugnati in primo grado sia rateizzata in dieci anni, senza interessi.

6. All'udienza pubblica del 23 novembre 2017, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il Patto territoriale - contemplato tra gli strumenti di programmazione negoziata di cui alla l. 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) - consiste in un sorta di partenariato locale tra i diversi attori privati e pubblici coinvolti, a vario titolo, nell'attuazione di interventi economici integrati, nei diversi settori dell'industria, dell'agro-industria, dei servizi, del turismo, dell'agricoltura, della pesca ed in quello dell'apparato infrastrutturale.

Ai fini del coordinamento e dell'attuazione del Patto, i soggetti sottoscrittori individuano, tra quelli pubblici, un "soggetto responsabile", il quale: rappresenta, in modo unitario, gli interessi dei sottoscrittori; attiva le risorse finanziarie e tecniche occorrenti per la realizzazione del Patto e di verificare il rispetto degli impegni e degli obblighi assunti dai sottoscrittori; verifica e garantisce la coerenza delle iniziative imprenditoriali alle finalità per le quali il Patto è stato attivato; relaziona semestralmente sullo stato di attuazione del Patto (cfr. la deliberazione C.I.P.E. 21 marzo 1997).

Per l'attivazione del Patto è necessaria la disponibilità di progetti di investimento proposti sulla base di apposito bando emanato dal soggetto responsabile, che vengono valutati in sede istruttoria da istituti bancari convenzionati (attualmente) con il Ministero dello Sviluppo Economico, con le forme e le modalità di cui alla l. 19 dicembre 1992, n. 488. Al termine dell'istruttoria, viene stilata una graduatoria delle imprese ammesse, tenuto conto delle risorse economiche assegnate.

Il Ministero, verificate le condizioni per l'attivazione del Patto e la sussistenza della copertura finanziaria a valere sulle specifiche somme destinate dal C.I.P.E., approva con decreto il Patto stesso.

All'erogazioni in favore dei soggetti titolari dei progetti di investimento provvede la Cassa Depositi e Prestiti, su impulso del soggetto responsabile, sulla base dello stato di avanzamento del piano di investimenti.

Le modalità applicative in tema di Patti Territoriali sono state disciplinate con decreto Ministero del Tesoro del Bilancio e della Programmazione Economica 31 luglio 2000, n. 320 (Disciplina per l'erogazione delle agevolazioni relative ai contratti d'area e ai patti territoriali), come successivamente modificato.

2. Con i primi due motivi di gravame, l'appellante sostiene che lo spirare dei termini prescritti dalla regolazione di settore - segnatamente dagli artt. 5, 7, lett. b), 12, comma 3, del regolamento approvato con d.m. 31 luglio 2000, n. 320, recante la disciplina per l'erogazione delle agevolazioni relative ai contratti d'area e ai patti territoriali - per la conclusione del programma di finanziamento, avrebbe comportato in capo all'Amministrazione la decadenza del potere di rideterminare il contributo finanziario già riconosciutole.

2.1. Il motivo è infondato.

Come è noto, alla violazione del termine finale di un procedimento amministrativo non consegue l'illegittimità dell'atto tardivo - salvo che il termine sia qualificato perentorio dalla legge -, trattandosi di una regola di comportamento e non di validità. L'art. 2-bis della legge sul procedimento, infatti, correla all'inosservanza del termine finale conseguenze significative sul piano della responsabilità dell'Amministrazione, ma non include, tra le conseguenze giuridiche del ritardo, profili afferenti la stessa legittimità dell'atto tardivamente adottato. Il ritardo, in definitiva, non è quindi un vizio in sé dell'atto ma è un presupposto che può determinare, in concorso con altre condizioni, una possibile forma di responsabilità risarcitoria dell'Amministrazione.

Nel caso in esame - considerato che la perentorietà dei termini procedimentali può aversi, quale eccezione alla regola della loro natura meramente ordinatoria o acceleratoria, soltanto laddove la stessa perentorietà sia espressamente prevista dalle norme che disciplinano in modo specifico i procedimenti di volta in volta considerati, o queste sanzionino espressamente con la decadenza il mancato esercizio del potere dell'amministrazione entro i termini stabiliti - non è dato riscontrare alcuna norma (neppure tra quelle citate dall'appellante) che riconnetta al ritardo - accumulato nello svolgimento dei controlli e verifiche effettuati - la consumazione del potere dell'Amministrazione di rideterminare in via definitiva l'agevolazione.

2.2. Appare destituita di fondamento anche l'affermazione secondo cui, trascorsi cinque anni dalla conclusione dell'investimento in relazione è stata concessa l'agevolazione in via provvisoria, non sarebbe più possibile la determinazione definitiva dell'agevolazione in difformità da quella erogata in via provvisoria, ostando a ciò la possibilità che imprenditore ha di alienare i beni oggetto di investimento, ai sensi dell'art. 12, comma 3, lett. b), del d.m. n. 320 del 2000.

In senso contrario, è dirimente replicare che: la disposizione da ultimo citata verte in materia di revoca dell'agevolazione e non caso di rideterminazione del contributo provvisorio (a seguito degli stralci operati sulle spese dalla Banca istruttrice e confermati dalla Commissione ministeriale di accertamento della spesa); come correttamente osservato dal giudice di prime cure, non esiste alcun impedimento, né di ordine giuridico né di ordine materiale, alla verifica prodromica alla definitiva determinazione dell'agevolazione anche nel caso in cui l'imprenditore abbia alienato i beni, potendo le relative verifiche sempre operarsi sulla documentazione ovvero operando l'ispezione dei beni stessi; peraltro, gli stralci operati non attengono all'obbligo di mantenimento dei beni agevolati.

3. Con il secondo ordine di motivi, l'appellante sostiene che la sentenza gravata risulterebbe errata per non avere riconosciuto tutela alla posizione di legittimo affidamento ingeneratesi nella ricorrente.

3.1. In termini generali, l'affermazione e il radicamento del principio di tutela dell'affidamento può contare su di una consolidata elaborazione giurisprudenziale, amministrativa e costituzionale, che ne attesta - sia pure sulla scorta di percorsi ermeneutici differenti - la sua compatibilità con i caratteri propri del diritto pubblico: le aspettative di chi, sulla base di precedenti scelte o comportamenti dei pubblici poteri, poteva ragionevolmente confidare nella prosecuzione della situazione per lui favorevole, devono trovato specifiche forme di tutela, sul presupposto che l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica costituisce «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto» (ex plurimis: sentenze della Corte costituzionale n. 349 del 1985, n. 822 del 1988, n. 155 del 1990, n. 39 del 1993).

L'affidamento si atteggia tuttavia quale limite (generale ma) non incondizionato alla retroattività (propria e impropria) dell'atto dei pubblici poteri, potendo recedere al cospetto di altre esigenze inderogabili. Lo scrutinio dei limiti oltre il quale la pubblica amministrazione non può incidere sull'affidamento ingenerato può essere ricercato attraverso la verifica congiunta: della sussistenza di un motivo imperativo di interesse generale; del grado di consolidamento dell'affidamento dei privati, avuto riguardo alla prevedibilità del mutamento, alla buona fede, al decorso del tempo; del quomodo dell'immutazione giuridica, in quanto il peso imposto ai destinatari della disposizione retroattiva, oltre che diretto a perseguire un interesse pubblico, deve essere anche ragionevolmente proporzionato al fine che si intende realizzare.

3.2. Nel caso di specie, non risulta adeguatamente consolidata la "base affidante" invocata dalla società appellante, la quale deve apprezzarsi sulla scorta del canone (sovente invocato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea) della prevedibilità.

Invero, l'art. 9 del "disciplinare concernente i compiti gestionali e le responsabilità del Responsabile unico di contratto d'area e del Soggetto responsabile di patto territoriale, ai sensi del regolamento approvato con DM n. 320 del 31 luglio 2000" stabilisce: «[s]ulla base della relazione finale redatta dal soggetto istruttorie e del verbale di accertamento di spesa (di competenza di una specifica commissione nominata dal MAP) che sarà trasmesso dal MAP al soggetto responsabile locale lo stesso soggetto responsabile locale approva definitivamente il programma di investimenti realizzato e determina il relativo ammontare delle agevolazioni spettanti, confermando l'importo indicato dal soggetto istruttore nella propria relazione finale o rettificandolo in relazione alle risultanze dell'accertamento di spesa. Il soggetto responsabile darà poi disposizioni all'istituto convenzionato, dopo aver acquisito specifica autorizzazione da parte del MAP di erogare quanto ancora dovuto al beneficiario finale e/o al soggetto attuatore, ovvero a provvedere ad attivarsi per il recupero delle eventuali maggiori somme erogate non spettanti».

Sulla scorta di tale quadro regolatorio, l'operatore professionale prudente e accorto deve sapere che, quale che sia l'importo dell'agevolazione concesso in via anticipata e provvisoria, soltanto all'esito delle procedure di controllo, l'erogazione potrà ritenersi definitivamente acquisita al patrimonio del beneficiario.

A ciò si aggiunge che, come si vedrà nel paragrafo successivo, lo stralcio delle spese è stato dovuto ad errori di contabilizzazione compiuti dalla stessa impresa richiedente.

4. Con ulteriore motivo di appello, si afferma che la sentenza ora gravata risulterebbe errata per non avere rilevato il grave difetto di motivazione che affligge il provvedimento di rideterminazione dell'agevolazione in via definitiva adottato dalla Provincia di Genova.

4.1. Anche tale censura è destituita di fondamento.

Dagli atti impugnati si comprende agevolmente che l'ammontare finale del contributo è stato ridotto in ragione dello stralcio di numerosi titoli di spesa ritenuti non ammissibili.

Le ragioni dei predetti stralci sono indicate analiticamente nella relazione finale di spesa del soggetto istruttore, nonché nel verbale di accertamento redatto dalla Commissione ministeriale, che integrano per relationem la determinazione provinciale.

Nel dettaglio, il soggetto istruttore - le cui valutazioni tecnico-discrezionali di natura economica e finanziaria, non appaiono affette da macroscopici errori - ha ritenuto ammissibile (a fronte di spese consuntivate dall'impresa per l'importo complessivo di Euro 2.825.722,64) il minore importo di Euro 397.627,78, per le seguenti concomitanti ragioni: un'errata duplicazione di spesa consuntivata; spese riferite a fatture emesse in data antecedente a quella di decorrenza utile delle spese; spese riguardanti l'acquisto di macchinari usati o preesistenti e, comunque, senza la possibilità di verificare le modalità di pagamento, nonché a costi sostenuti per materiale di consumo e per commesse interne di lavorazione su beni usati.

5. L'ultimo motivo attiene alla violazione del contraddittorio procedimentale, ma anche sul punto la sentenza è immune dalle censure sollevate.

5.1. A seguito della comunicazione di avvio del procedimento volto alla rideterminazione del contributo del 10 settembre 2013, la ricorrente faceva pervenire le sue osservazioni. A queste ultime seguiva la nota provinciale del 21 novembre 2013, contenente ampie argomentazione di replica, e finanche la disponibilità a richiedere alla Commissione ministeriale un supplemento di istruttoria, sia pure sulla base di apposita istanza della impresa istante corredata da elementi tecnici volti a contestare nel merito gli stralci di spesa operati.

5. L'appello, dunque, va respinto.

Resta salva la possibilità per la società appellante di richiedere e per l'Amministrazione di accordare una congrua rateazione dell'obbligo restitutorio, al fine di non gravare la prima di un onere economico eccessivo.

5.1. Le spese di lite del secondo grado di giudizio devono integralmente compensarsi, in ragione della complessità della materia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 5410 del 2016, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa interamente le spese di lite del secondo grado di giudizio.