Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 14 novembre 2017, n. 7884
Presidente: Fumo - Estensore: de Gregorio
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato la Corte d'Appello di Palermo, Sezione per le misure di prevenzione, a seguito dell'impugnazione, presentata ai sensi degli artt. 10 e 27 del d.lgs. 159/2011 dagli attuali ricorrenti N. Alfonso e P. Marianna, della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, e patrimoniale della confisca di beni mobili ed immobili emessa con decreto del Tribunale nel mese di aprile 2014, ha parzialmente riformato il primo provvedimento, riducendone a due anni la durata nei confronti di N. e revocando la confisca di due immobili, di un motociclo e di oggetti preziosi.
1. Avverso il provvedimento è stato proposto ricorso dalla difesa, che col primo motivo ha lamentato la violazione dell'art. 1, lett. a) e b), d.lgs. 159/2011 e l'illogicità di motivazione, poiché il Collegio aveva ritenuto l'attualità della pericolosità sociale del ricorrente, che era destinatario del provvedimento di prevenzione personale ai sensi dell'art. 1 e 4, lett. c), d.lgs. 159/2011, nonostante le condotte antigiuridiche addebitategli fossero risalenti nel tempo e in assenza di indici rivelatori di un'attuale pericolosità sociale.
2. Col secondo motivo è stata censurata l'erronea applicazione degli artt. 4, lett. c), 16, 18, 24, comma 2, e 28, comma 2, della medesima normativa, nonché la motivazione illogica, poiché il decreto di sequestro nei confronti del ricorrente aveva ritenuto che il delitto di usura addebitatogli, fosse inserito nel catalogo dei reati indicati dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., mentre non lo è, difettando, quindi, uno dei presupposti oggettivi per l'emissione dei provvedimenti ablatori di sequestro e confisca.
2.1. Per altro profilo è stata dedotta la violazione dell'art. 24, comma 2, del d.lgs. 159/2011, poiché il Tribunale aveva emesso il provvedimento di confisca dopo il termine di 18 mesi dalla data di immissione in possesso dell'amministratore giudiziario ed aveva disposto la proroga di tale termine senza motivarne le ragioni e per un anno, anziché per i prescritti sei mesi. La motivazione della Corte sarebbe illogica in quanto, in presenza di puntuali censure contenute nei motivi di appello, aveva considerato legittima la decisione del Tribunale, ponendo in luce che tale durata corrispondeva ad una doppia proroga di sei mesi, consentita dalla legge, e che la difesa in proposito nulla aveva eccepito. Ha sostenuto il ricorrente che anche la Corte avrebbe depositato il suo provvedimento di conferma oltre la scadenza dei termini, pur considerando la sospensione degli stessi per consentire la conclusione della perizia d'ufficio.
3. Il ricorso, infine, ha censurato le conclusioni dei Giudici di appello, che non avrebbero valutato i contenuti dell'elaborato del perito di ufficio, che avrebbe escluso il requisito della sussistenza della sproporzione tra il patrimonio del proposto ed i suoi redditi leciti.
La difesa ha depositato note d'udienza, con le quali ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Il PG ha depositato requisitoria scritta, con la quale, ripercorso l'iter logico-giuridico del provvedimento impugnato, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. Quanto al primo motivo, che ha censurato l'applicazione della misura personale della sorveglianza speciale, sia pure ridotta rispetto alla prima decisione, circa la ritenuta sussistenza del requisito dell'attualità della pericolosità sociale del ricorrente, va premesso "in fatto" che il ricorrente è stato destinatario del provvedimento di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno ai sensi dell'art. 1 e 4, lett. c), d.lgs. 159/2011, per aver realizzato plurime condotte di usura, ripetute nel periodo dal 2003 al 2008.
2. Riguardo all'attualità della pericolosità sociale del proposto la Corte territoriale ha valorizzato la decisione di conferma della prima condanna in grado di appello nel giudizio di merito penale, per la maggior parte delle imputazioni rivoltegli. Il requisito della pericolosità sociale è stato ritenuto in riferimento alla consolidata pratica illecita, protrattasi per più anni (2003-2008) ed al numero dei rapporti usurari instaurati, e quindi di persone offese. Da tali elementi, uniti alla constatazione dell'assenza di attività lavorative legittime, è stata desunta la dedizione costante dell'imputato allo svolgimento di usura con caratteristiche di professionalità. Nel provvedimento impugnato, a sostegno della valutazione positiva circa l'attuale pericolosità sociale di N., è stato fatto riferimento anche al negativo comportamento processuale, sottolineato dai Giudici del merito, ed alla conseguente richiesta di rinvio a giudizio per delitto di calunnia, nonché ad un secondo e diverso fatto qualificabile come calunnia, realizzato nel corso del giudizio di appello nel luglio 2013 ai danni della Polizia giudiziaria e del PM. Infine, il provvedimento ha sottolineato che le asserzioni difensive circa il prospettato reinserimento sociale di N. dopo un periodo trascorso agli arresti domiciliari erano rimaste prive di elementi di sostegno.
2.1. Deve, altresì, precisarsi che il decreto del Tribunale di Palermo, in buona sostanza confermato dal provvedimento della Corte d'appello oggi impugnato, risaliva all'aprile 2014 e che, come è chiaro dalla lettura di quest'ultimo e dalla sintesi ora resane, il nucleo centrale delle argomentazioni a sostegno dell'attuale pericolosità del proposto è costituito dall'esito confermativo del secondo processo di merito. Deve, quindi, constatarsi che nel caso concreto tra l'accertamento della pericolosità, legato all'attività usuraria ed il decreto che ha ritenuto l'attualità della pericolosità sociale è intercorso il notevolissimo arco di tempo che va dal 2008, epoca finale del delitto di usura - per come rilevato nel giudizio di merito - ed il 2014, epoca di emissione del decreto.
2.2. In proposito deve ricordarsi la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che ha sancito l'esistenza di un onere di accertamento concreto per il Giudice della prevenzione riguardo agli elementi giustificativi dell'attualità della pericolosità sociale, non essendo legittimo affidarsi ad una sorta di presunzione di pericolosità derivante dalla condanna in sede penale del soggetto contemporaneamente sottoposto al procedimento di prevenzione, in special modo se sia decorso un apprezzabile lasso di tempo tra l'epoca dell'accertamento in sede penale e il momento della formulazione del giudizio nella procedura di prevenzione. Sez. 6, Sentenza n. 50128 dell'11 novembre 2016 Cc. (dep. 25 novembre 2016) Rv. 268215. Conformi: Sez. 1, Sentenza n. 23641 dell'11 febbraio 2014 Cc. (dep. 5 giugno 2014) Rv. 260104; Sez. 2, Sentenza n. 26774 del 30 aprile 2013 Cc. (dep. 19 giugno 2013) Rv. 256819.
2.3. La decisione della Corte territoriale appare, dunque, in disarmonia con il suddetto principio, essendosi in definitiva affidata proprio al concetto di pericolosità presuntivamente derivante dalla conferma in grado di appello della condanna penale, non adempiendo, di conseguenza, all'obbligo di verificare in concreto l'esistenza di dati positivi a sostegno del giudizio di attuale pericolosità sociale. In proposito deve osservarsi che i riferimenti contenuti nel decreto impugnato ai giudizi per calunnia da celebrare o addirittura da instaurare a carico di N., appaiono scarsamente significativi ai fini in esame, se non proprio eccentrici rispetto al dato normativo di riferimento, di cui all'art. 1, lett. a) e b) - cui rimanda l'art. 4, lett. c) - che si riferiscono rispettivamente a soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi ed a soggetti che vivono con i proventi di attività delittuose, che nella fattispecie concreta erano costituite da attività di usura.
2.4. Con riferimento alla misura personale si deve, dunque, disporre l'annullamento con rinvio.
3. Quanto al secondo motivo di ricorso, che ha evidenziato presunte violazioni di legge in riferimento agli artt. 4, lett. c), 16, 18, 24, comma 2, e 28, comma 2, del d.lgs. 159/2011, va osservato che la confisca è stata disposta ai sensi dell'art. 16 del d.lgs. 159/2011, che individua tra i destinatari delle misure di prevenzione patrimoniali i soggetti indicati nell'art. 4, lett. c), della medesima normativa, cioè coloro che siano abitualmente dediti a traffici delittuosi o che vivano con i proventi di attività delittuose, come nel caso concreto è stato ritenuto per N. per le attività usurarie, nel pieno rispetto dei presupposti normativi necessari per l'adozione del provvedimento.
4. La doglianza inerente il mancato rispetto dei termini per l'adozione del decreto di confisca è fondata. La norma di cui si invoca la violazione - art. 24/2 d.lgs. 159/2011 - prevede che il provvedimento ablatorio sia emanato nel termine massimo di un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario; il termine può essere prorogato con decreto motivato del Tribunale per periodi di sei mesi ciascuno e per non più di due volte nel caso di indagini complesse o per compendi patrimoniali rilevanti, come nella fattispecie in esame.
4.1. La censura del ricorso ha riguardato il decreto di confisca, emesso in primo grado dal Tribunale dopo il termine di 18 mesi dalla data di immissione in possesso dell'amministratore giudiziario ed ha sottolineato che i primi Giudici avevano disposto la proroga di tale termine senza motivarne le ragioni e per un anno, anziché per i prescritti sei mesi.
4.2. La Corte d'Appello ha chiarito che non erano state espresse nel verbale dell'udienza in cui tale proroga era stata adottata le ragioni che l'avevano determinata ma ha ritenuto legittimo il modo di procedere del Tribunale. Allo scopo sono stati valorizzati tre elementi: l'esistenza di uno dei presupposti indicati nella legge per determinare la proroga, cioè un compendio patrimoniale rilevante, destinato, quindi, a rimanere immutato fino alla decisione; la fase di udienza nel cui ambito la risoluzione era stata presa, nella quale le parti erano state presenti, essendo, pertanto, garantito il contraddittorio ed a tale proposito è stato posto in evidenza che la difesa nulla aveva eccepito, né in quell'udienza, né nella successiva; è stato, infine, osservato che il provvedimento di proroga non aveva superato il limite di un anno complessivamente ricavabile dalla normativa e che il decreto di confisca era stato depositato entro il termine prorogato di due anni e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario.
Le argomentazioni usate dai Giudici di appello finiscono per eludere o privare di senso la norma che essi hanno applicato.
5. Deve, infatti, ricordarsi che l'attuale normativa prevede esplicitamente che si possano prorogare i termini entro i quali deve essere adottato il provvedimento di confisca per non più di due volte, per periodi di sei mesi ciascuna e indicando ogni volta le specifiche ragioni che giustificano il protrarsi del vincolo reale temporaneo sui beni del proposto; tale meccanismo implica l'obbligo per il Giudice della prevenzione di verificare le effettive necessità del prolungamento del sequestro temporaneo dei beni dell'interessato.
5.1. L'interpretazione storica conferma la predetta opinione, poiché il testo previgente - art. 2-ter, comma 3, l. 575/1965 - in caso di indagini complesse prevedeva che il decreto di confisca potesse intervenire entro il termine massimo di un anno dall'avvenuto sequestro, prorogabile una sola volta, con provvedimento motivato, per un altro anno. Il vincolo reale provvisorio, pertanto, complessivamente era estensibile fino a due anni in attesa dell'esito delle indagini, dovendo essere esplicitate le ragioni del suo protrarsi.
5.2. La normativa ora in gioco, disciplinando diversamente il tema dei termini, ha esteso il termine ordinario per l'adozione del decreto di confisca ad un anno e sei mesi, per di più facendolo decorrere dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario, che può essere successiva anche in misura consistente all'esecuzione del sequestro - come nella prassi avviene - ed ha lasciato immutato il periodo di possibile proroga massima, controbilanciando la possibilità di una più lunga complessiva restrizione patrimoniale con la previsione di due provvedimenti di proroga, che ogni volta spieghino le ragioni del prolungamento adottato, imponendo, quindi, in tal modo al Giudice in entrambe le occasioni un obbligo di accertamento circa l'effettiva necessità dello stesso.
5.3. A convalida dell'interpretazione precedente va, infine, osservato che il nuovo testo del codice antimafia - aggiornato con l. 17 ottobre 2017, n. 161 - in tema di confisca all'art. 24/2 prevede la perdita di efficacia del sequestro, se il Tribunale non deposita il decreto di confisca entra un anno e sei mesi dall'immissione in possesso dell'amministratore giudiziario, con possibilità di una sola proroga con decreto motivato per sei mesi. Il risultato del nuovo meccanismo procedurale è di una restrizione complessiva del tempo dell'imposizione del vincolo reale temporaneo sui beni del proposto fino a due anni, dovendosene desumere, con argomento logico a contrario, un'ulteriore ragione circa l'esistenza di uno stringente obbligo di motivazione per le proroghe fino al diverso e più lungo termine di due anni e sei mesi previsto nel testo del codice antimafia applicato nella fattispecie in esame.
5.4. Infine, deve osservarsi che la necessità di verifica semestrale riguardo all'accertamento degli elementi di fatto che giustifichino la proroga dei termini per l'adozione della confisca di prevenzione ed il correlativo onere di motivazione imposto in proposito al Giudice, risultano funzionali al rispetto del canone costituzionale di garantire lo svolgimento di un procedimento di prevenzione che corrisponda anch'esso al criterio della ragionevole durata di cui all'art. 111 Cost., come già accennato proprio dalla motivazione della sentenza di questa Corte, Sez. 1, n. 43796/2015, citata nel decreto per cui è ricorso, a sostegno dell'interpretazione qui censurata. Del resto i suddetti obblighi appaiono funzionali, altresì, al rispetto dei diritti di proprietà e/o di libera iniziativa economica riconosciuti dalla Costituzione ad ogni cittadino e, quindi, anche alla persona sottoposta alla procedura di prevenzione, Sez. 1, Sentenza n. 10237 del 24 gennaio 2003 Cc. (dep. 5 marzo 2003) Rv. 223665, in motivazione. Tali diritti possono essere compressi per esigenze di giustizia nella considerazione del limite del minor sacrificio possibile degli stessi, all'evidenza anche sotto il profilo della necessità di verificare il permanere dei presupposti del sequestro di prevenzione su beni e/o attività del proposto, tramite l'emissione di motivati decreti di proroga.
5.5. Il provvedimento impugnato, pertanto deve essere annullato senza rinvio per la misura della confisca nei confronti di entrambi i ricorrenti.
6. Gli altri motivi di ricorso - sub 2.1 e 3 - restano assorbiti, dovendo solo aggiungersi che la confisca in grado di appello è stata emessa nel rispetto dei termini, se solo si considera il periodo di loro sospensione per effettuare la perizia richiesta dalla difesa, mentre le altre censure hanno riguardato un ipotizzato vizio di motivazione non proponibile in Cassazione ai sensi dell'art. 10/3 del d.lgs. 159/2011.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d'Appello di Palermo per nuovo esame con riferimento alla misura di prevenzione personale nei confronti di N. Alfonso e senza rinvio con riferimento alla misura di prevenzione patrimoniale nei confronti di entrambi i ricorrenti.
Depositata il 19 febbraio 2018.