Corte di cassazione
Sezione VI civile
Ordinanza 6 ottobre 2017, n. 23472
Presidente: Nappi - Relatore: Acierno
Con provvedimento notificato il 26 maggio 2009, confermato in sede giurisdizionale, la Commissione territoriale di Torino ha respinto la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da I.F., cittadino nigeriano.
In data 24 gennaio 2012 lo straniero presentava domanda di riesame della propria posizione ai sensi e per gli effetti della c.d. «procedura Vestanet C3 - gestione emergenza Nord Africa», riguardante lo status degli stranieri che, pur appartenendo a Paesi terzi, vivevano nel territorio libico e da lì erano stati costretti a fuggire per le condizioni di guerra civile venutesi a determinare nel 2011.
La Commissione territoriale di Torino, con provvedimento del 17 dicembre 2012, ha ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria e ha disposto la trasmissione degli atti al Questore per quanto di competenza. Tuttavia, con successivo provvedimento del 7 marzo 2013, la predetta Commissione ha revocato il provvedimento iniziale (non ancora notificato all'interessato), dando espressamente atto di essere incorsa in errore per aver mancato di accertare che il richiedente si trovava in Italia fin dal 2008, quindi prima dello scoppio della guerra civile in Libia.
Quest'ultimo provvedimento è stato impugnato da sig. I. dinanzi al Tribunale di Bologna, che con ordinanza del 29 novembre 2013 - ritenuto che la revoca dello status di protezione umanitaria potesse essere disposta soltanto dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo ai sensi dell'art. 33, d.lgs. 25/2008 - ha annullato l'atto impugnato e ha contestualmente dichiarato valido ed efficace il primo provvedimento della Commissione territoriale emesso in data 17 dicembre 2012.
Con sentenza del 4 luglio 2014 la Corte d'appello di Bologna, investita dell'impugnazione proposta dal Ministero dell'interno, ha accolto integralmente il gravame, negando al sig. F. il beneficio richiesto della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Rilevava la Corte territoriale che il provvedimento della Commissione emesso il 7 marzo 2013 non poteva qualificarsi come revoca in senso tecnico ai sensi dell'art. 33, d.lgs. 25/2008, dovendosi al contrario ritenere che l'Amministrazione abbia agito in autotutela per emendare il proprio precedente deliberato, stante la presa d'atto del fatto che I.F. non era legittimato ad avvalersi della «procedura Vestanet C3», in quanto presente in Italia fin dal 2008 e dunque in un periodo anteriore allo scoppio della c.d. "primavera araba" del maggio 2011. Inoltre, il procedimento giurisdizionale instaurato dinanzi al Tribunale di Bologna non poteva assumere la forma di un giudizio meramente impugnatorio, essendo devoluta al giudice ordinario l'intera cognizione relativa all'accertamento della sussistenza o meno del diritto vantato dall'interessato.
Nella specie il sig. I., presente in Italia dal 2008, non aveva diritto al riesame della propria posizione (già definita con provvedimento notificato il 26 maggio 2009, confermato in sede giurisdizionale), in quanto la predetta procedura «Vestanet C3» era destinata a quegli stranieri che, vivendo da anni nel territorio libico, sono stati costretti a fuggire per le condizioni di guerra e violenza createsi a Seguito della "primavera araba" del 2011.
Avverso suddetta pronuncia propone ricorso per cassazione I.F. sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso il Ministero dell'Interno.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 329, 2° comma, e 112 c.p.c., in quanto la Corte d'appello ha affermato che il provvedimento di revoca della Commissione territoriale non doveva qualificarsi come revoca in senso tecnico, mancando tuttavia di rilevare che in punto di qualificazione del provvedimento si era formato giudicato interno in ragione dell'assenza di specifica impugnazione dell'Avvocatura dello Stato.
Con il secondo motivo viene lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 5 e 33, d.lgs. 25/2008, in quanto il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale è sostanzialmente una revoca, e come tale è di competenza della Commissione nazionale ai sensi dell'art. 5 e soggetto alle garanzie procedimentali di cui all'art. 33.
Con il terzo motivo viene lamentata la violazione degli artt. 35, 1° comma, d.lgs. 25/2008 e 19, d.lgs. 150/2001, in quanto, come ritenuto dal giudice di prime cure, l'annullamento del provvedimento della Commissione territoriale a seguito di impugnazione giudiziale comporta come conseguenza che rimanga valido ed efficace l'atto precedentemente assunto.
Deve essere preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività proposta dall'Amministrazione controricorrente. Invero, a seguito dell'abrogazione dell'art. 35, comma 14, d.lgs. 25/2008, in tema di tempestività del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di protezione internazionale deve applicarsi il termine ordinario di cui all'art. 327 c.p.c. e non già il termine di cui all'art. 702-quater c.p.c., relativo al rito sommario di cognizione, applicabile ai giudizi di merito in virtù dell'art. 19, d.lgs. 150/2011. Il comma 10 di quest'ultima disposizione deve essere interpretato nel suo reale significato di attribuire priorità nella trattazione delle controversie in materia di protezione internazionale, non anche nel senso di rendere applicabili al giudizio di legittimità disposizioni abrogate o riguardanti i giudizi di merito, con interpretazione, peraltro, palesemente in contrasto con il diritto delle parti ad un giusto processo ed all'effettività del diritto di difesa (Cass. n. 18704 del 22 settembre 2015, Rv. 636868-01). Nella specie, tenuto conto del dies a quo del 4 luglio 2015 (data di deposito della sentenza d'appello), il termine lungo scadeva il 19 febbraio 2015, e il presente ricorso è stato notificato esattamente in tale giorno.
I motivi di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono tutti manifestamente infondati.
In primo luogo, risulta (pp. 3 e 4 della pronuncia impugnata) che il Ministero dell'interno ha lamentato l'erronea applicazione, da parte del giudice di prime cure, dell'art. 35, d.lgs. 25/2008, per avere il Tribunale omesso di decidere nel merito della questione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poiché tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicché deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo» (Cass. n. 18632 del 3 settembre 2014, Rv. 631940-01). Per conseguenza, nessun giudicato si è formato sulla natura del provvedimento della Commissione territoriale, e la Corte d'appello ha correttamente esaminato il merito della questione circa la posizione del cittadino straniero.
In secondo luogo, la chiara esegesi degli artt. 32 e 33, d.lgs. 25/2008, rivela che le argomentazioni del ricorrente non meritano di essere condivise. Invero, l'art. 33 così dispone: «Revoca e cessazione della protezione internazionale riconosciuta 1. Nel procedimento di revoca o di cessazione dello status di protezione internazionale, l'interessato deve godere delle seguenti garanzie: a) essere informato per iscritto che la Commissione nazionale procede al nuovo esame del suo diritto al riconoscimento della protezione internazionale e dei motivi dell'esame (...). Nel caso di decisione di revoca o cessazione degli status di protezione internazionale si applicano le disposizioni di cui all'articolo 32, comma 3». La norma si riferisce esclusivamente allo status di protezione internazionale e non anche alle misure di protezione umanitaria: la distinzione è resa evidente dall'art. 2, lett. b, d.lgs. 25/2008, che definisce "domanda di protezione internazionale" la «domanda presentata secondo le procedure previste dal presente decreto, diretta ad ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria». Solo nella residuale ipotesi prevista dall'art. 32, terzo comma (richiamato dall'art. 33, terzo comma), la Commissione nazionale ha cognizione sui permessi umanitari, cioè quando, disponendo la revoca o la cessazione dello status di protezione internazionale precedentemente riconosciuto, ritiene tuttavia che «possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario» che giustifichino il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5, comma 6, d.lgs. 286/1998. In tutti gli altri casi, la stessa Commissione territoriale può procedere all'annullamento d'ufficio, in autotutela, di un provvedimento illegittimo che abbia riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria, ai sensi dell'art. 21-nonies, l. 241/1990, disposizione richiamata dall'art. 18, d.lgs. 25/2008.
Pertanto, in coerenza con il dettato normativo, deve ritenersi che la competenza a disporre la revoca della protezione umanitaria (ex art. 5, comma 6, d.lgs. 286/1998) spetti alle Commissioni territoriali e non già alla Commissione nazionale per il diritto d'asilo, la cui cognizione è circoscritta ai casi di revoca o cessazione dello status di protezione internazionale (nelle forme del rifugio politico o della protezione sussidiaria) precedentemente riconosciuto, e all'ipotesi residuale in cui, revocato o dichiarato cessato tale status, la stessa Commissione nazionale riconosca il diritto alla protezione umanitaria, ritenendo sussistenti i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 33, secondo comma, d.lgs. 25/2008).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. La novità della questione esaminata induce il Collegio a ravvisare ragione per giustificare la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.