Corte di cassazione
Sezione VI civile
Sentenza 5 dicembre 2016, n. 24743

Presidente ed Estensore: Petitti

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d'appello di Perugia il 27 novembre 2010, i ricorrenti in epigrafe indicati e altre persone qui non ricorrenti, chiedevano la condanna del Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato dinnanzi al TAR Lazio nel marzo 1994 e deciso con sentenza del 24 dicembre 2009; giudizio volto ad ottenere l'equiparazione del trattamento economico a quello degli appartenenti alla Polizia di Stato e all'Arma dei Carabinieri;

che, con decreto depositato il 18 marzo 2014, la Corte d'appello rigettava la domanda per assenza di un pregiudizio importante, secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 633 del 2014;

che la Corte d'appello rilevava altresì che il TAR, nella sentenza che aveva definito il giudizio, aveva affermato in modo estremamente chiaro che la pretesa dei ricorrenti doveva ritenersi palesemente infondata sulla base della sentenza n. 455 del 1993 della Corte costituzionale, sia di un orientamento consolidato del giudice amministrativo;

che, quindi, tenuto anche conto del fatto che il ricorso era collettivo, che il giudizio non era durato per un tempo particolarmente elevato e che vi era consapevolezza, da parte dei ricorrenti, dell'infondatezza della pretesa, la Corte d'appello riteneva che non sussistesse, sin dall'inizio, il patema d'animo indennizzabile, derivante dalla lunga durata del procedimento;

che per la cassazione di questo decreto i ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso sulla base di un unico motivo;

che l'intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Considerato che il Collegio ha deliberato l'adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con l'unico motivo di ricorso i ricorrenti denuncia[no] violazione dell'art. 2 della l. n. 89 del 2001 e dell'art. 6, par. 1, della CEDU, nonché omessa, insufficiente, illogica e/o contraddittoria motivazione, dolendosi del fatto che la Corte d'appello non abbia considerato che il pregiudizio morale discende per le parti di un processo che si sia irragionevolmente protratto, a prescindere dal fatto che le parti siano risultate vittoriose o soccombenti, trovando tale principio deroga nei soli casi di lite temeraria o di abuso del processo, non ricorrenti nella specie;

che il ricorso è fondato, nei termini di seguito indicati;

che il decreto impugnato si fonda sulla ratio decidendi secondo cui la domanda proposta nel giudizio presupposto dai ricorrenti era manifestamente infondata e che i ricorrenti erano consapevoli di tale originaria infondatezza;

che, tuttavia, nel caso di specie, dal decreto impugnato emerge che la Corte d'appello ha desunto la consapevolezza della infondatezza della pretesa azionata nel giudizio presupposto facendo riferimento ad un elemento - la pronuncia della Corte costituzionale n. 455 del 1993 - che non risulta decisivo, atteso che la questione posta nel giudizio presupposto concerneva l'estensione del trattamento retributivo già riconosciuto al personale dell'Arma dei Carabinieri ai sottufficiali dell'esercito, con la medesima decorrenza del primo;

che in relazione a tale tipologia di controversia, nello scrutinare analoghi ricorsi aventi ad oggetto decreti della Corte d'appello di Perugia concernenti domande di equa riparazione proposte con riferimento a giudizi amministrativi nei quali si poneva la questione della estensione ai militari del trattamento economico previsto - per il periodo 1986-1991 - per i Carabinieri e altri corpi di polizia, questa Corte (Cass. n. 19478 del 2014) ha avuto modo di ritenere immune dalle proposte censure la decisione della Corte d'appello secondo cui la consapevolezza, in capo ai ricorrenti, che la loro domanda, la quale postulava la proposizione di una questione di legittimità costituzionale, fosse manifestamente infondata e insuscettibile, in quanto tale, di arrecare pregiudizio per la protrazione del processo oltre il limite della ragionevole durata, poteva considerarsi maturata solo nell'anno 1999, per effetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 331;

che, d'altra parte, non può non rilevarsi che la pronuncia della Corte costituzionale del 1993, citata nel decreto impugnato, non poteva costituire precedente idoneo a fondare la consapevolezza, in capo ai ricorrenti, della manifesta infondatezza della domanda da loro proposta, anche perché tale domanda postulava la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni della l. n. 23 del 1993, non direttamente scrutinate dalla citata decisione;

che appaiono quindi fondate le censure volte ad evidenziare la erroneità della affermazione che la consapevolezza della manifesta infondatezza della domanda - con conseguente temerarietà della domanda stessa - potesse essere insorta in capo ai ricorrenti prima ancora della proposizione della domanda, potendo la stessa essere ragionevolmente fatta risalire al 1999, e cioè alla decisione della Corte costituzionale n. 331, la cui motivazione, secondo quanto già ritenuto dalla Corte d'appello di Perugia con decreti risultati immuni dalle censure proposte con il relativo ricorso per cassazione, rendeva evidente la impossibilità di pervenire ad una soluzione favorevole rispetto alle pretese azionate dai ricorrenti anche nei giudizi aventi ad oggetto la decorrenza del disposto adeguamento;

che la identità della questione sottoposta a scrutinio in questa sede e quella oggetto di esame nella sentenza n. 19478 del 2014, impone di accogliere (così come del resto già avvenuto con le sentenze n. 27567 del 2014 e n. 22169 del 2015) il ricorso;

che il decreto impugnato va quindi cassato, con rinvio alla Corte d'appello di Perugia la quale, in diversa composizione, procederà a nuovo esame della domanda alla luce del seguente principio di diritto: «in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, la parte del giudizio presupposto che, a fondamento della domanda ivi svolta, abbia posto una questione di legittimità costituzionale della disciplina applicabile, poi dichiarata manifestamente infondata dalla Corte costituzionale, ha diritto ad essere indennizzata, nel concorso delle condizioni cui l'indennizzo è subordinato, per la parte antecedente alla dichiarazione di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale, ma non anche per l'ulteriore protrazione del giudizio a quo, trattandosi di un'evenienza non suscettibile di determinare alcun patema d'animo in ordine all'esito dello stesso»;

che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Perugia, in diversa composizione.