Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 22 settembre 2016, n. 18574

Presidente: Rordorf - Estensore: Di Iasi

PREMESSO IN FATTO

Avendo gli acquirenti di immobile alienato da una società versato l'Iva con l'aliquota agevolata al 4%, l'Agenzia delle entrate, verificato a seguito di sopralluogo che l'immobile presentava caratteristiche di lusso, notificò ai suddetti acquirenti avvisi di liquidazione coi quali recuperava la differenza tra l'imposta pagata e quella dovuta, maggiorata della sanzione nella misura del 30%.

I contribuenti hanno impugnato i suddetti avvisi e la C.T.P. adita ha respinto il ricorso. La C.T.R. della Toscana, con la sentenza n. 66/31/09 impugnata in questa sede, ha confermato la decisione di primo grado rilevando (per quanto ancora di interesse): che i sopralluoghi non richiedono l'autorizzazione prevista dall'art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972; che quanto evidenziato dall'Ufficio a seguito del sopralluogo già risultava in modo inequivoco dalla documentazione in suo possesso; che era da escludere che l'Ufficio fosse incorso in decadenza essendo applicabile nella specie la proroga biennale di cui all'art. 11 l. n. 289 del 2002.

Avverso questa sentenza i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione successivamente illustrato da memoria. L'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Il collegio della quinta sezione civile chiamato a decidere sul ricorso ha, con ordinanza interlocutoria n. 18382 del 2015, rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite in ordine al contrasto rilevato nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità circa l'applicabilità o meno della proroga biennale prevista dall'art. 11 l. n. 289 del 2002 all'ipotesi di revoca del beneficio dell'Iva agevolata al 4%.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Come risulta dall'ordinanza interlocutoria sopra richiamata, il collegio della V sezione civile, al fine di valutare la rilevanza della questione rimessa a queste sezioni unite, ha già delibato in ordine all'eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dall'Agenzia resistente, ravvisandone l'infondatezza sul rilievo che i quesiti posti a conclusione dei motivi di ricorso sono da ritenersi adeguatamente formulati e che non risulta necessaria nella specie l'indicazione di atti e documenti, trattandosi di ricorso incentrato "su questioni volte all'interpretazione di norme".

Sempre al medesimo fine il collegio rimettente ha delibato in ordine al primo motivo di ricorso (col quale, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972, i ricorrenti si sono doluti perché i giudici d'appello hanno ritenuto non necessaria l'autorizzazione di cui al citato art. 52 in ipotesi di sopralluogo), evidenziando la carenza di interesse dei contribuenti alla censura proposta, posto che la decisione della CTR era sostenuta da una ulteriore ratio decidendi (secondo la quale quanto evidenziato dall'Ufficio a seguito del sopralluogo emergeva già dalla documentazione in suo possesso) non censurata in questa sede.

Queste sezioni unite condividono i sopraesposti rilievi del collegio rimettente nonché le ragioni ad essi sottese.

2. Col secondo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 11 l. n. 289 del 2002, i ricorrenti si dolgono del fatto che i giudici d'appello abbiano ritenuto l'applicabilità della proroga biennale del termine di accertamento prevista dalla suddetta norma all'ipotesi di revoca del beneficio dell'Iva agevolata al 4%, sostenendo che il legislatore avrebbe limitato la proroga prevista esclusivamente al caso di accertamento in rettifica e liquidazione della maggiore imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull'incremento di valore degli immobili.

La censura è fondata nei limiti di cui in prosieguo.

Giova innanzitutto evidenziare che, alla stregua del citato articolo 11 siccome interpretato da condivisibile giurisprudenza di questo giudice di legittimità (tra le altre v. Cass. ord. nn. 19248 del 2014 e 21955 del 2012 nonché sent. nn. 24575 e 12069 del 2010), non può escludersi la possibilità di fruire della proroga di due anni dei termini per la rettifica e la liquidazione della maggior imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni nonché sull'incremento del valore aggiunto, anche nelle ipotesi di definizione delle violazioni relative all'applicazione di agevolazioni tributarie sulle medesime imposte.

Tanto non è messo in discussione neppure nell'ordinanza di remissione, nella quale si evidenzia invece un consistente contrasto nella giurisprudenza della quinta sezione civile (e della articolazione della suddetta nell'ambito della sesta sezione) tra un primo orientamento (v. Cass. sent. nn. 6665 del 2014; 7646 del 2014; 3394 del 2015; 6742 del 2015 nonché ord. n. 9330 del 2014) che ritiene applicabile la proroga del termine di accertamento suddetto anche con riguardo a violazioni concernenti, come nella specie, la fruizione dell'aliquota agevolata dell'Iva in caso di acquisto della prima casa, ed un diverso orientamento (v. in proposito Cass. sent. n. 12847 del 2013 nonché ord. nn. 28508 del 2013; 16440 del 2013; 16437 del 2013 e 5115 del 2015) che invece esclude la prorogabilità del termine di accertamento dell'Iva, trattandosi di tributo diverso da quelli (imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni nonché sull'incremento del valore aggiunto) ai quali il citato art. 11 l. n. 289 del 2002 fa espresso ed esclusivo riferimento.

In particolare il primo dei due orientamenti risulta sostenuto da una interpretazione logico-sistematica delle disposizioni in materia tesa ad evidenziare la ratio ad esse sottesa, che renderebbe incongrua una differente disciplina, quanto alla possibilità di proroga dei termini per l'accertamento, tra diversi tipi di tributi.

Il secondo orientamento esclude la prorogabilità del termine per l'accertamento in relazione a tributi diversi da quelli cui la norma fa espresso riferimento, fondandosi sul dato letterale, sulla natura eccezionale della proroga dei termini di decadenza, sul rilievo che la proroga dei termini presuppone l'astratta applicabilità della disciplina condonistica che è esclusa in materia di Iva.

L'analisi dei due orientamenti sopra riportati evidenzia con chiarezza paradigmatica la tensione che attraversa l'ermeneutica tributaria, divisa tra l'esigenza di rispetto del principio generale di stretta interpretazione delle norme lato sensu tributarie (quindi anche di quelle collegate o strumentali alle norme impositive in senso stretto) e l'esigenza di evitare una disparità di trattamento, in ipotesi ingiustificata, tra situazioni analoghe che solo una (supposta) mancanza di coordinamento tra disposizioni successive assoggetta a differente disciplina.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. per tutte Sez. un., ord. n. 11373 del 2015 e la giurisprudenza anche costituzionale ivi richiamata), a salvaguardia dell'equilibrio tra gli interessi che si contrappongono nel rapporto tributario (la garanzia dei contribuenti e le esigenze di bilancio dell'ente impositore), che si esprime a livello costituzionale nell'art. 53 Cost., nella riserva di legge sancita dall'art. 23 Cost. e nella previsione dell'art. 81 Cost. (vieppiù dopo la l. cost. n. 1 del 2012), l'ambito dell'imposizione è tracciato dal legislatore (in positivo come in negativo) attraverso la precisa indicazione di oggetti e soggetti tassabili, con la conseguenza che in relazione alle norme impositive è pacificamente escluso che la tassazione possa investire oggetti o soggetti non espressamente emergenti dal dato normativo espresso, onde anche le norme agevolative, per esigenza speculare, non possono essere suscettibili di integrazione ermeneutica trascendente i confini semantici del suddetto dato normativo espresso.

Tale principio non può non riverberarsi su tutte le norme lato sensu tributarie, anche quelle strumentali, ivi comprese quelle che regolano limiti, termini e poteri delle parti del rapporto tributario e, a fortiori, quelle prevedenti deroghe ad essi.

A quanto sopra esposto sul piano generale occorre aggiungere che la disciplina derogatoria in genere è da ritenersi di stretta interpretazione e, con particolare riferimento a possibili deroghe a termini di decadenza, che il terzo comma dell'art. 3 dello Statuto del contribuente (l. n. 212 del 2000) prevede che "i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati", essendo in proposito da evidenziare che, se è vero che le previsioni dello Statuto del contribuente, pur costituendo criteri guida per il giudice nell'interpretazione ed applicazione delle norme tributarie, anche anteriori, non hanno rango superiore alla legge ordinaria, sicché ne è ammessa la modifica o la deroga, è pur vero che deroghe o modifiche non possono che intervenire con legge e, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, devono essere "espresse" (v. Cass. n. 1248 del 2014).

Ne discende che, in relazione a dette norme, non può ritenersi ammessa un'operazione ermeneutica (quale quella attuata dalla giurisprudenza richiamata in relazione al primo degli orientamenti sopra esposti) che, sia pure attraverso una interpretazione logico-sistematica, si spinga oltre la lettera della legge, nella specie ritenendo spettante all'Amministrazione un più ampio termine per l'accertamento in relazione ad un tributo (IVA) per il quale tale più ampio termine non è stato espressamente previsto, dovendo evidenziarsi che in relazione a norme eccezionali o comunque di "stretta interpretazione", anche l'esegesi logico-evolutiva (ed eventualmente quella costituzionalmente orientata) sono precluse se, operando non difformemente dalla interpretazione analogica, conducano ad una estensione della sfera di operatività della norma interpretata ad ipotesi non sussumibili nel relativo specifico significato testuale (v. in tal senso la già citata Sez. un., ord. n. 11373 del 2015).

Né peraltro la diversa disciplina riservata a tributi differenti con riguardo alla proroga del termine di decadenza dall'accertamento potrebbe giustificare un dubbio (peraltro neppure prospettato dalla parte interessata) di illegittimità costituzionale della norma in esame, posto che eventuali dissimmetrie nella disciplina di tributi diversi non potrebbero ritenersi irragionevoli o ingiustificate proprio in ragione della indubbia differenza tra i suddetti tributi con tutte le relative conseguenze sotto diversi profili.

Dall'argomentare che precede discende la declaratoria di inammissibilità del primo motivo di ricorso per carenza di interesse e l'accoglimento del secondo. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con l'accoglimento del ricorso introduttivo.

I contrasti e le dissonanze riscontrati nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità in ordine alla questione di diritto esaminata giustificano la compensazione delle spese dell'intero processo.

P.Q.M.

La Corte a Sezioni Unite dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo. Compensa le spese dell'intero processo.