Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 30 maggio 2016, n. 11134
Presidente: Mazzacane - Estensore: Greco
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La s.r.l. Pubblicità Ripamonti impugnò davanti al giudice tributario l'avviso di liquidazione, ad essa notificato il 2 gennaio 2007, con il quale il Comune di Milano - che a norma dell'art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 416, aveva escluso per il proprio territorio l'applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (tosap), prevedendo con regolamento, dall'anno 2000, che l'occupazione di strade, aree e relativi spazi sovrastanti e sottostanti, fosse assoggettata, in sostituzione della tassa, al pagamento di un canone (cosap), da parte del titolare della concessione, determinato in base a tariffa - richiedeva il versamento del canone relativo all'esposizione temporanea, per il 2001, di striscioni in varie vie di Milano, e quindi su suolo pubblico.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, adita per la riforma della decisione di primo grado, depositata il 21 aprile 2008, di annullamento dell'atto impositivo, dal Comune di Milano, che anzitutto eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice tributario, appartenendo la controversia alla cognizione del giudice ordinario, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 64 del 2008 (pubblicata il 14 marzo 2008), affermativa della natura di entrata patrimoniale e non tributaria della cosap, preso atto della pronuncia del giudice delle leggi, passava nondimeno all'esame del merito della causa, e confermava la sentenza di primo grado per essere prescritta la pretesa dell'amministrazione.
Riteneva infatti che la sentenza con la quale la Corte costituzionale nel 2008 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato dal d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito nella l. 2 dicembre 2005, n. 248, nella parte in cui stabilisce che "appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni", aveva escluso la natura tributaria della cosap "e desunto l'illegittimità costituzionale della norma denunciata in quanto attribuisce alla giurisdizione tributaria la cognizione di controversie relative a prestazioni patrimoniali non tributarie".
Tuttavia, proseguiva il giudice d'appello, "quanto sopra osservato, non può essere superato il fatto oggettivo della prescrizione del diritto del Comune a richiedere il pagamento del canone. La stessa Corte costituzionale ha sancito che tale efficacia retroattiva si arresta esclusivamente di fronte al giudicato o al decorso dei termini di prescrizione o decadenza stabiliti per l'esercizio di determinati diritti...". Nella specie, "anche osservando la previsione civilistica del termine quinquennale, è maturato, per l'anno d'imposta 2001, nel 2006, quindi in epoca precedente alla notifica dell'avviso di liquidazione, ben prima che la Consulta dichiarasse la giurisdizione del giudice ordinario".
Nei confronti della decisione, il Comune di Milano propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, uno dei quali attinente alla giurisdizione, illustrati con successiva memoria.
La s.r.l. Pubblicità Ripamonti non ha svolto attività nella presente sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il Comune ricorrente assume che in base al disposto dell'art. 136 Cost. le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale operano ex tunc, producendo i loro effetti anche sui rapporti sorti anteriormente alla pronuncia di illegittimità; ne deriverebbe che, dal giorno successivo alla loro pubblicazione, le norme dichiarate incostituzionali non potrebbero più trovare applicazione, salvo quanto discende dall'art. 25 Cost. per la materia penale: il principio, enunciato con il ricorso alla formula della cd. retroattività di dette sentenze, varrebbe per i rapporti tuttora pendenti, con esclusione di quelli esauriti, i quali rimarrebbero regolati dalla legge dichiarata invalida. L'effetto di annullamento derivante dalle pronunce di incostituzionalità, dal giorno successivo alla pubblicazione, impedirebbe al giudice, cui la detta pronuncia ha sottratto la giurisdizione, di decidere sulla domanda. Anche l'accertamento dell'avvenuta decadenza o la dichiarazione dell'avvenuta prescrizione sarebbero soggette alle regole della giurisdizione, sicché quando non vi sia ancora alcuna pronuncia definitiva sulla decadenza o sulla prescrizione del diritto, ed è ancora sub judice la pretesa del creditore di quanto ancora gli è dovuto, non sarebbe consentito al giudice, cui è stata sottratta la giurisdizione con la pronuncia di incostituzionalità della norma che gliela attribuiva, decidere sulla prescrizione eccepita.
Con il secondo motivo, posto che il giudice di primo grado aveva dichiarato d'ufficio la decadenza triennale del Comune, decadenza non eccepita dalla contribuente concessionaria, lamentava la violazione dello ius novorum da parte della Pubblicità Ripamonti, che solo in appello aveva eccepito la prescrizione del credito del Comune, e denunciava l'ultrapetizione del giudice d'appello, che si era pronunciato oltre i limiti delle domande fatte valere dalla ricorrente nel ricorso introduttivo.
Con il terzo motivo il Comune di Milano, rilevato che nella specie si trattava di striscioni, e quindi di pubblicità temporanea, con periodo di esposizione generalmente di 15 giorni (cfr. artt. 15 e 42 del d.lgs. n. 507 del 1993), assume che non era ravvisabile il carattere di periodicità nella prestazione del versamento del canone, sicché andava applicata la prescrizione ordinaria decennale.
Il primo motivo è fondato.
L'art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b), del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della l. 2 dicembre 2005, n. 248, disponeva che «appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'art. 63 e successive modificazioni».
Tale disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 64 del 2008, in considerazione della natura non tributaria del canone. In particolare, la Corte costituzionale ha rilevato che questa Corte con diverse pronunce che, per il numero elevato, la sostanziale identità di contenuto e la funzione nomofilattica dell'organo decidente, costituiscono diritto vivente ha costantemente dichiarato che le controversie attinenti al cosap non hanno natura tributaria, fornendo una ricostruzione plausibile dell'istituto, non in contrasto con i criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale per individuare le entrate tributarie e costituiti dalla doverosità della prestazione e dal collegamento di questa alla pubblica spesa, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante. Il difetto della natura tributaria della controversia, ha dunque affermato la Corte costituzionale, fa necessariamente venir meno il fondamento costituzionale della giurisdizione del giudice tributario, con la conseguenza che l'attribuzione ad esso della cognizione di tali controversie si risolve inevitabilmente nella creazione, costituzionalmente vietata, di un "nuovo" giudice speciale vietato dal secondo comma dell'art. 102 Cost.
A seguito di tale pronuncia, queste Sezioni unite hanno quindi affermato che «in tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative al canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (cosap)» (Cass., sez. un., n. 28161 del 2008; Cass., sez. un., n. 7190 del 2011; Cass., sez. un., 28 ottobre 2015, n. 21950).
Con riguardo all'incidenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma dettante i criteri per la determinazione della giurisdizione, queste Sezioni unite hanno chiarito come "il principio sancito dall'art. 5 c.p.c., secondo cui i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione, la quale si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, si riferisce esclusivamente all'effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all'effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità: esse, infatti, a norma dell'art. 136 Cost., dell'art. 1 della l. cost. 11 marzo 1953, n. 1, e della legge di attuazione 11 marzo 1953, n. 87, impediscono al giudice di tenere conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione, la quale non si risolve nella mera constatazione di un evento già verificatosi, ma implica lo svolgimento di un'attività valutativa sul contenuto della norma dichiarata incostituzionale e sulla sua pertinenza al caso di specie. Tale efficacia retroattiva, che si arresta esclusivamente di fronte al giudicato o al decorso dei termini di prescrizione o decadenza stabiliti per l'esercizio di determinati diritti, non contrasta con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo, in quanto l'opportunità di evitare lo spreco di attività conseguente alla rinnovazione del processo non può prevalere sull'esigenza di evitare, a tutela del diritto di difesa del convenuto, l'esercizio di un potere giurisdizionale che, in relazione ad una determinata controversia, sia stato ritenuto contrario alla Costituzione" (Cass., sez. un., 13 febbraio 2007, n. 30469, e 16 luglio 2008, n. 19495).
Va in proposito, in particolare, posto in luce che il riferimento, nella massima che precede, "al decorso dei termini di prescrizione o decadenza stabiliti per l'esercizio di determinati diritti", va inteso nel senso di prescrizione o decadenza definitivamente accertate, ipotesi comprese nel più generale limite costituito dai "rapporti esauriti al momento della pubblicazione della decisione", di cui fa parola Cass., sez. un., 16 febbraio 2006, n. 3370.
Nel presente giudizio è, al contrario, specialmente controverso il tema della decadenza dell'amministrazione (rilevata dal giudice di primo grado d'ufficio, secondo il Comune di Milano, che ha appellato la statuizione), nonché quello, affrontato dalla sentenza di secondo grado, della maturazione della prescrizione e della prescrizione applicabile (statuizione a sua volta impugnata dal Comune di Milano nella presente sede).
È quindi incorsa nell'errore ad essa addebitato la Commissione regionale che, preso atto della carenza di giurisdizione del giudice tributario a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma attributiva della giurisdizione, ha nondimeno conosciuto della causa nel merito.
Il primo motivo del ricorso va pertanto accolto e va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, la sentenza impugnata va cassata e le parti rimesse, anche per le spese, davanti al Tribunale di Milano.
P.Q.M.
La Corte di cassazione, a sezioni unite, accoglie il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, cassa la sentenza impugnata e rimette le parti, anche per le spese, davanti al Tribunale di Milano.