Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 14 marzo 2016, n. 992

Presidente: Anastasi - Estensore: Castiglia

FATTO

Con bando pubblicato sulla G.U.C.E. in data 8 luglio 2011, il Provveditorato regionale per le opere pubbliche di Lazio, Abruzzo e Sardegna ha indetto una gara per l'affidamento, con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, dei lavori di ripristino degli immobili sede del palazzo di giustizia dell'Aquila, danneggiati dal sisma del 2009, e per la selezione di un operatore economico al quale affidare la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori.

A seguito dell'esclusione dell'impresa classificatasi al primo posto, l'aggiudicazione definitiva è stata disposta in favore dell'A.T.I. costituito dalle società Lattanzi s.r.l. e CPC Compagnia per costruire.

La società PA.CO. - Pacifico costruzioni ha impugnato il provvedimento con un ricorso che il T.A.R. Abruzzo, sez. I, ha respinto con sentenza 12 febbraio 2015, n. 82, dichiarando improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso incidentale della Lattanzi resistente (in proprio e quale capogruppo mandataria dell'A.T.I. aggiudicataria).

La PA.CO. ha interposto appello contro la sentenza, riproponendo tutti i motivi e le istanze risarcitorie formulate in primo grado.

Per resistere all'appello, si sono costituite in giudizio la Lattanzi e la parte pubblica (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Provveditorato regionale per le opere pubbliche di Lazio, Abruzzo e Sardegna, Commissario delegato per l'emergenza terremoto in Abruzzo).

Con sentenza 19 ottobre 2015, n. 4778, la Sezione ha respinto i motivi dell'appello rubricati sub a), c) e d), accogliendo invece il motivo sub b) (mancato svolgimento congiunto, da parte delle imprese componenti l'A.T.I. aggiudicataria, del sopralluogo sul sito dei lavori, in violazione di clausola del bando).

Per l'effetto, la Sezione ha disposto l'annullamento dell'aggiudicazione pronunciata in favore del raggruppamento Lattanzi e, per potersi pronunziare sulle domande di subentro e di risarcimento, formulate dalla parte vincitrice in relazione al contratto di appalto nel frattempo stipulato, ha disposto istruttoria, ordinando all'Amministrazione di depositare le informazioni in suo possesso.

Con nota del 16 novembre 2015, l'Amministrazione ha comunicato che, alla data del 9 novembre, l'appalto presenterebbe uno stato di avanzamento pari a euro 8.597.002,24, corrispondente al 52,72%.

Anche la Lattanzi ha fatto pervenire un documento di analogo tenore.

Con memoria del 30 novembre, l'Amministrazione sostiene che:

la sentenza n. 4778/2015 non conterrebbe alcun accertamento giudiziale circa l'esistenza di un danno risarcibile;

la PA.CO. avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per mancata dimostrazione del possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi dei progettisti indicati;

la stessa PA.CO. non avrebbe dato prova del pregiudizio patrimoniale sofferto;

lo stato di avanzamento dei lavori e la caratteristica di appalto integrato complesso propria del contratto, con stretta compenetrazione tra progettazione ed esecuzione, non consentirebbe il subentro nel rapporto.

Con memoria depositato l'8 febbraio 2016, la PA.CO. prende atto dello stato di avanzata esecuzione dell'appalto e, pur confermando la propria disponibilità al subentro, insiste nella domanda di risarcimento del danno per equivalente, che articola anche in relazione a una perizia versata agli atti del giudizio.

Con nuova nota del 2 febbraio scorso, l'Amministrazione comunica che, alla data del 21 gennaio, l'appalto presenterebbe uno stato di avanzamento pari a euro 9.755.760,00, corrispondente al 59,82%.

All'udienza pubblica del 25 febbraio 2016, l'appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, il Collegio rileva che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall'art. 64, comma 2, c.p.a., devono considerarsi assodati i fatti oggetto di giudizio.

Del pari non è contestata l'avanzata fase di esecuzione del contratto, come detto in narrativa. Pertanto, anche considerata la natura dell'appalto, il subentro per il periodo contrattuale residuo non apparirebbe conforme né all'interesse della stazione appaltante né all'interesse generale a garantire la continuità del servizio in corso (cfr. ad es. C.d.S., sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4298; Id., sez. III, 10 aprile 2015, n. 1839).

Il Collegio - visto l'art. 122 c.p.a. - ritiene quindi di non poter dichiarare l'inefficacia del contratto di appalto e di dover accordare piuttosto - ai sensi dell'art. 124 c.p.a. - la tutela per equivalente.

A questo proposito, l'Amministrazione si difende sostenendo che la società appellante non avrebbe provato il danno di cui chiede il ristoro: le pretese risarcitorie sarebbero dunque destituite di fondamento.

La tesi non è sostenibile.

Se è vero che anche nel processo amministrativo vale l'onere della prova (art. 64 c.p.a.), il Collegio è comunque dell'avviso che - sulla scorta di una valutazione di comune esperienza e in difetto di contestazione della controparte - il danno ingiusto sofferto dall'appellante debba ritenersi dimostrato nell'an. Il danno è, per dir così, in re, essendo evidente il pregiudizio economico che un'impresa subisce dalla mancata aggiudicazione - alla quale invece avrebbe avuto diritto - della gara cui ha partecipato (cfr. C.d.S., sez. IV, n.4298/2012, cit.).

Né può valere in contrario l'asserita mancanza del possesso, da parte della P.A.C.O., di un requisito di partecipazione alla gara (con riguardo ai requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi dei progettisti indicati), censurata in primo grado dall'impresa aggiudicataria con il ricorso incidentale, ma non riproposta in questa sede di appello, in cui - dando seguito alla sentenza n. 4778/2015 - resta ormai solo da decidere sul subentro della parte vincitrice nell'appalto e sul risarcimento del danno.

Come sempre, invece, più delicato è il punto della determinazione dell'importo dovuto a titolo risarcitorio.

Al riguardo, l'appellante fa spesso riferimento alla decisione pronunciata, in una fattispecie analoga che la vedeva parte, dal T.A.R. per l'Abruzzo (sez. I, 6 dicembre 2011, n. 611).

Il precedente può essere certo di rilievo ma, nel valutarlo, occorre anche tenere presente che questo Consiglio di Stato, nel confermare la sentenza di primo grado salvo un parziale accoglimento dell'appello incidentale della stessa PA.CO., ha osservato come la pronunzia non fosse modificabile per l'assenza di specifici motivi di impugnazione riferiti al quantum (sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 744).

Con riguardo alle richieste di PA.CO., il Collegio ritiene di svolgere le considerazioni che seguono.

a) PA.CO. chiede il risarcimento del lucro cessante, stimandolo nel 10% della propria offerta economica, per un totale di euro 1.474.103,47.

Si tratta di tradizionale criterio di prassi, che si ritiene comunemente discendere dall'art. 345 dell'allegato F della legge 20 marzo 1865, n. 2248, e che ora si riflette negli artt. 134 e 158 del codice degli appalti pubblici.

Tuttavia tale criterio, se pure è in grado di individuare in via presuntiva l'utile che l'impresa può trarre dall'esecuzione di un appalto, non può formare oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, risultando per l'imprenditore ben più favorevole dell'impiego del capitale; di conseguenza, in linea di principio, è necessario, ai sensi dell'art. 124 c.p.a., che l'impresa fornisca la prova della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, con riferimento all'offerta economica presentata al seggio di gara (cfr. per tutte C.d.S., sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5098; Id., sez. VI, 9 dicembre 2010, n. 8646; Id., sez. III, 12 maggio 2011, n. 2850; Id., sez. IV, n. 4298/2012, cit.).

Nella memoria dell'8 febbraio, l'appellante sostiene di avere fornito la prova rigorosa dell'ammontare del danno sofferto attraverso la perizia dell'arch. Mignano, versata in atti, secondo cui la quantificazione del lucro cessante, secondo il criterio ricordato, corrisponderebbe all'utile d'impresa concretamente quantificato nel computo metrico e nel computo comparativo sviluppato sulla scorta delle analisi dei prezzi unitari che hanno composto la propria offerta economica.

Il risultato della perizia non è contestato dall'Amministrazione.

Ciò posto, il Collegio ritiene di riconoscere integralmente tale voce di danno (utile effettivo desumibile dall'offerta), anche ponendosi nel solco rappresentato dalla citata sentenza n. 744/2014.

Il Collegio è consapevole dell'esistenza di un indirizzo secondo cui da un importo dovuto a titolo di lucro cessante, determinato sulla base dell'offerta economica, andrebbe comunque detratto quanto percepito dall'impresa grazie allo svolgimento di ulteriori attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in contestazione.

Tale onere di provare l'assenza dell'aliunde perceptum vel percepiendum si fonderebbe su dato di comune esperienza, perché l'imprenditore (specie se in forma societaria e nel caso in esame, in particolare, trattandosi di primaria impresa a livello nazionale), in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, non rimarrebbe inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procurerebbe prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trarrebbe utili. Esso graverebbe non sull'Amministrazione, ma sull'impresa (cfr. ad es. C.d.S., sez. III, n. 1839/2015, cit.).

Il Collegio ritiene però di condividere il rilievo che l'indirizzo ricordato trasforma irragionevolmente l'(assenza dell') aliunde perceptum da fattore impeditivo ad elemento costitutivo della pretesa risarcitoria, facendo, peraltro, gravare sull'impresa che chiede il risarcimento la difficile (se non impossibile) prova di un fatto negativo (cfr. C.d.S., sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283). Sicché tale indirizzo non può essere seguito e va in concreto disatteso, perché l'Amministrazione non ha provato che l'appellante abbia conseguito un lucro alternativo incompatibile con la contestuale esecuzione dell'appalto per cui è causa.

b) Ancora a titolo di lucro cessante, PA.CO. chiede il risarcimento della perdita patrimoniale derivante alla mancata progettazione definitiva-esecutiva, misurata ancora nel 10% dell'importo netto offerto (euro 188.950) per complessivi euro 18.895.

Il Collegio ritiene congruo riconoscere tale voce, non contestata dall'Amministrazione, ridotta però equitativamente del 20%, in mancanza di una più dettagliata prova da parte del danno da parte dell'appellante.

c) PA.CO. chiede poi il risarcimento del danno emergente (con riferimento a varie voci, dalle spese generali alle spese di partecipazione alla gara) per un importo di euro 438.403,32.

Tale voce non può essere riconosciuta.

Conformemente a un consolidato orientamento del giudice amministrativo, non è ristorabile il danno per spese e costi di partecipazione alla gara, per le spese generali e legali e spese di progettazione, perché che la partecipazione alle gare d'appalto comporta per i partecipanti dei costi che ordinariamente restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di aggiudicazione che in caso di mancata aggiudicazione (cfr. per tutte C.d.S., sez. IV, n. 744/ 2014, cit.; Id., sez. III, n. 1839/2015, cit.).

Va solo disposto il rimborso del contributo unificato pagato dall'appellante nei successivi gradi di giudizio trattandosi di conseguenza ex lege (art. 13, comma 6-bis.1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115) connessa esclusivamente al verificarsi della situazione di fatto rappresentata dall'accoglimento del ricorso (cfr. C.d.S., sez. V, 13 gennaio 2014, n. 68, ove riferimenti ulteriori).

d) Ancora la società appellante domanda il risarcimento del danno da perdita di chance, valutato nel 10% dell'utile sperato (per euro 1.417.342,69) e del danno curriculare, valutato nel 5% dell'offerta economica (per euro 746.499,23).

Il Collegio ritiene che le due voci non possano essere distinte. Infatti, il danno curricolare è solo una specificazione del danno da perdita di chance, posto che quella che viene comunque in gioco è la perdita per l'impresa di altre occasioni di lavoro e di guadagno a seguito dell'illegittimo diniego dell'aggiudicazione (cfr. C.d.S., sez. III, n. 1839/2015, cit.).

Com'è noto, la quantificazione di tale voce di danno è liquidata dal giudice amministrativo in via equitativa, riconoscendo delle somme pari a una percentuale (variabile dall'1% al 5%) applicata in alcuni casi sull'importo globale dell'appalto, in altri sulla somma già liquidata a titolo di lucro cessante (per un riassunto, si veda C.d.S., sez. VI, n. 4283/2015).

Nel caso di specie, il Collegio ritiene di adeguarsi a quanto stabilito dalla Sezione che, in analoga controversia, ha considerato congruo una somma pari alla percentuale del 2% dell'importo offerto.

e) Infine, PA.CO. chiede il risarcimento di un ulteriore danno costituito dal protrarsi dell'immobilizzazione di personale, mezzi e attrezzature al fine di subentrare nell'esecuzione dell'appalto successivamente alla pubblicazione della sentenza n. 4778/ 2015. Il relativo importo è stimato in euro 987.264,63.

Tale voce risulta carente di prova, sia nell'an che nel quantum, e non può essere riconosciuta. Del resto, tale immobilizzazione, anziché costituire un danno in sé, rappresenta lo stesso presupposto (negativo) del risarcimento del danno da mancato guadagno, in quanto è proprio l'immobilizzazione delle risorse e dei mezzi tecnici ad escludere il c.d. aliunde perceptum, il quale, ove percepito in conseguenza di attività materialmente incompatibili (data la struttura imprenditoriale) con la contestuale esecuzione dell'appalto di cui si lamenta la mancata aggiudicazione, dovrebbe altrimenti essere detratto da quanto riconosciuto a titolo di lucro cessante (in tal senso C.d.S., sez. IV, n. 744/2014, cit., e sez. VI, n. 4283/2015, cit.).

La domanda risarcitoria va quindi accolta nei termini sopra esposti.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., l'Amministrazione proporrà, entro il termine di 120 giorni decorrenti dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza, il pagamento di una somma determinata sulla base dei criteri indicati in motivazione, riconoscendo le voci di danno ivi indicate, quantificate secondo i criteri precisati.

L'importo complessivo andrà incrementato degli interessi legali, dalla data della pubblicazione della sentenza a quella dell'integrale pagamento; non invece della rivalutazione monetaria, non avendo l'appellante dato la prova del maggior danno sofferto (cfr. ad es. C.d.S., sez. V, 14 aprile 2015, n. 1879).

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza a carico dell'Amministrazione, secondo la legge, nella misura liquidata nel dispositivo; possono essere compensate nei riguardi della Lattanzi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:

dispone che il contratto di appalto per cui è causa mantenga efficacia;

condanna l'Amministrazione al risarcimento del danno, da quantificarsi secondo i criteri indicati in motivazione, a favore dell'A.T.I. avente come capogruppo PA.CO. - Pacifico Costruzioni s.p.a.

Condanna l'Amministrazione al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore della società appellante, che liquida nell'importo di euro 6.000,00 (seimila/00), oltre agli accessori di legge.

Compensa le spese processuali nei riguardi della società Lattanzi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.