Corte di cassazione
Sezione VI civile
Sentenza 7 marzo 2016, n. 4482
Presidente ed Estensore: Cicala
FATTO
L'odierna intimata, in data 8 agosto 2008 costituiva, assieme al coniuge, un trust, denominato "Trust Kilometro Lanciato", di cui si nominava trustee, e di cui erano beneficiari: per il fondo A) gli stessi disponenti (l'odierna resistente e il di lei coniuge) se in vita, diversamente i loro discendenti; per il fondo B) i disponenti, la propria madre e il fratello, se in vita, diversamente i loro eredi legittimi.
L'amministrazione finanziaria, ritenendo che all'atto di costituzione del trust andasse applicata la tassazione sulle donazioni di cui alla l. 286/2006 art. 2, comma 47, emetteva avviso di liquidazione applicando l'aliquota dell'8%, per un ammontare complessivo di Euro 37.610. Avverso tale atto proponeva ricorso alla CTP di Milano la contribuente; l'adita Commissione Tributaria rigettava il ricorso e confermava l'atto impugnato. Avverso tale sentenza la sig.ra V. proponeva appello alla CTR della Lombardia la quale, con decisione oggi ricorsa, accoglieva l'appello, riformava la sentenza di primo grado e annullava l'avviso di liquidazione.
La Amministrazione ha proposto ricorso a questa Corte deducendo un unico articolato motivo. La contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale avverso la compensazione delle spese.
DIRITTO
La ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 47, l. 286/2006.
La doglianza dell'ufficio è sintetizzabile nei seguenti termini: posto che l'art. 2, comma 47, della l. 286/2006 non soltanto resuscita l'imposta sulle donazioni e sulle successioni (d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346), ma anche istituisce quella sugli atti che costituiscono vincoli di destinazione; e posto che il trust, per definizione, costituisce un vincolo di destinazione sui beni che ne fanno parte, è giocoforza ritenere tassabile anche tale atto. La sentenza di secondo grado, dunque, nel ritenere che l'atto costitutivo del trust è tassabile solo nei limiti in cui costituisca un atto di liberalità incorre nel vizio di violazione di legge e ciò sia perché il trust è un istituto che determina in ogni caso un arricchimento del beneficiario sia perché la legge di cui si lamenta la violazione sottopone a tassazione tutti gli atti che costituiscono un vincolo di destinazione a prescindere dallo spirito di liberalità ad essi sotteso.
Si esaminano preliminarmente le eccezioni di inammissibilità sollevate da parte resistente.
La controricorrente lamenta in primis che il motivo di ricorso, nella sostanza, esula da quelli espressamente e tassativamente indicati dall'art. 360 c.p.c.; secondariamente lamenta che l'ufficio non abbia preso posizione su alcuni aspetti essenziali della questione così come riproposti dalla sentenza di secondo grado quali il tempo della tassazione, il riconoscimento delle franchigie ed altri. Tali eccezioni sono infondate. La prima eccezione è infondata in quanto il motivo di ricorso si sostanzia effettivamente in una pretesa violazione dell'art. 2 cit. La seconda eccezione è infondata in quanto la parte ricorrente si limita, correttamente, all'illustrazione del motivo di doglianza, non essendo necessario né corretto ripercorrere in questa sede le proprie argomentazioni su tutti gli elementi sottoposti al giudizio di secondo grado (e non decisi dal giudice).
Il ricorso deve essere accolto in adesione alla pregressa giurisprudenza di questa Corte.
La dizione letterale della norma e la sua evoluzione nel complesso processo di elaborazione normativa che è sfociato nella attuale dizione dell'art. 2, comma 47, l. 286/2006, evidenzia la volontà del legislatore di istituire una vera e propria nuova imposta che colpisce tout court degli atti che costituiscono vincoli di destinazione.
Ciò in una visione di sfavore nei confronti dei vincoli negoziali di destinazione, scoraggiati attraverso la leva fiscale. Sopravvive ovviamente lo spazio per sostenere che l'istituzione di vincoli per cui è prevista una specifica disciplina o mirati a effetti espressamente approvati dal legislatore (quale la definizione dei rapporti delle imprese in crisi) non ricadano nell'ambito impositivo di questa norma; ma simile ipotesi non si attaglia (né è stata invocata) nel caso di specie.
È quindi applicabile il dictum di questa Corte secondo cui "il tenore della norma evidenzia che l'imposta è istituita non già sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione, come, invece, accade per le successioni e le donazioni, in relazione alle quali è espressamente evocato il nesso causale: l'imposta è istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione dei vincoli". È dunque colpito un fenomeno patrimoniale del tutto diverso e distinto rispetto a quello investito dalla imposta sulle successioni e donazioni (prevista nel medesimo comma).
Perciò appaiono incongrue tutte le riflessioni che collegano la tassazione alla identificazione di un qualche "utile" o "vantaggio" percepito da un soggetto, e quindi - ad esempio - vorrebbero collegare l'onere tributario alla acquisizione dei beni da parte di un soggetto legittimato ad utilizzarli a proprio esclusivo vantaggio. Rinviando così sine die la tassazione (od escludendola) ove questo vantaggio non derivi dal negozio costitutivo del vincolo.
Né la tassazione della "ricchezza in sé", in quanto evidenziata dall'atto di disposizione, si pone in contrasto con l'art. 53 Cost. L'atto negoziale esprime infatti una "capacità contributiva" ancorché non determini (o non determini ancora) alcun vantaggio economico diretto per qualcuno.
La gran parte della tassazione indiretta colpisce, del resto, la manifestazione di ricchezza e non (necessariamente) l'arricchimento. Anche nella compravendita l'imposta di registro coinvolge la manifestazione di ricchezza delle parti, senza che si indaghi se ed in quale misura esse abbiano tratto dall'operazione vantaggio economico; che ben può non sussistere se i beni sono ceduti a prezzo di mercato. Mentre l'arricchimento vero e proprio potrà se mai essere inciso sotto il profilo della plusvalenza.
Né le indubbie difficoltà tecniche che suscita l'applicazione della norma consentono all'interprete di sfuggire ad una puntuale disposizione impositiva; infatti "adducere inconveniens non est solvere argumentum".
La previsione in unico contesto normativo di due imposte intrinsecamente diverse quali l'imposta sulle successioni e donazioni e quella sulla istituzione di vincoli di destinazione, suscita notevoli difficoltà; in quanto l'originario rinvio alla disciplina della imposta di registro si è rivelato incongruo per la imposta sulle successioni ed ha costretto il legislatore a richiamare in vita la "vecchia" specifica normativa su tale imposta. Ma la disciplina dell'imposta sulle successioni è, a sua volta, poco adatta ad una imposta sui vincoli di destinazione.
Quindi "l'atto costitutivo di un trust, in cui comparivano come disponenti due coniugi, che indicavano se stessi altresì come beneficiari" è stato assoggettato "in relazione all'aliquota applicabile, alla misura dell'8% prevista dal comma 49, lett. c), della norma in questione, imposta dalla sua natura residuale, non rientrando la figura dei conferenti, che seguitano ad essere proprietari dei beni, in alcuna delle altre categorie previste dalla norma, che godono di aliquota inferiore" (ordinanza 3886/2015).
La sentenza impugnata deve dunque essere cassata con rinvio al giudice di merito che deciderà la controversia in base al seguente principio di diritto:
La costituzione di un vincolo di destinazione su beni (nel caso di specie attraverso l'istituzione di un trust), costituisce - di per sé ed anche quando non sia individuabile uno specifico beneficiario - autonomo presupposto impositivo in forza dell'art. 2, comma 47, l. 286/2006, che assoggetta tali atti, in mancanza di disposizioni di segno contrario, ad un onere fiscale parametrato sui criteri di cui alla imposta sulle successioni e donazioni.
Il giudice di merito provvederà anche per le spese.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia ad altra sezione CTR della Lombardia.