Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 28 gennaio 2016, n. 323
Presidente: Virgilio - Estensore: Russo
FATTO E DIRITTO
1. L'art. 86, comma 1, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, n. 87) ha disposto la cessazione, con effetto dopo il 31 dicembre 2013, della convenzione tra il MIT - Dip.to trasp. terrestri e navigaz. e SIS e Poste Italiane s.p.a. per la gestione automatizzata dei pagamenti di corrispettivi dovuti dall'utenza per le pratiche automobilistiche ed i servizi connessi. Al contempo, s'è stabilito l'affidamento a gara del servizio ex art. 4, comma 171, della l. 24 dicembre 2003, n. 350, «... nel rispetto della normativa dell'Unione europea...».
Sicché, con bando pubblicato in GUUE il 9 luglio 2013 e nella GU n. 81 del successivo giorno 12, il MIT ha indetto la procedura per l'affidamento di tal servizio per 84 mesi, da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, per un importo a base d'asta pari a Euro 490 mln, IVA esclusa.
L'Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM già più volte aveva richiamato il MIT a terminare gli affidamenti diretti di tal servizio a Poste Italiane s.p.a. Ma, dopo l'indizione di detta gara, essa ha riscontrato nella relativa lex specialis, solo in apparenza adeguata ai suoi richiami, un irrazionale e sproporzionato favor dell'elemento dell'offerta tecnica «capillarità, disponibilità e numerosità degli sportelli fisici» agli sportelli in proprietà (SFP), piuttosto che a quelli in piena ed efficace disponibilità (SFO). Invero, la lex specialis ha disposto che, in caso di SFP, è pari a punti 9 il punteggio massimo conseguibile per un numero di comuni pari a =/> 8.500 (capillarità), mentre, in caso di SFO, è pari a punti 6. Il punteggio massimo spettante per il numero complessivo di sportelli (numerosità) è pari a punti 6 per gli SFP e solo punti 2 gli SFO. Per quanto concerne l'elemento della disponibilità, per gli sportelli che garantiscano un'apertura settimanale =/> h 40/settim. spettano ulteriori punti 3 agli SFP ed agli SFO punti 0.
Sicché l'AGCM, in data 13 agosto 2013, ha reso un parere negativo ai sensi dell'art. 21-bis, comma 2, I periodo della l. 10 ottobre 1990, n. 287, rendendo noto al MIT che le riscontrate criticità sono state «... idonee a ostacolare un corretto confronto concorrenziale delle offerte presentabili, e dunque risult(a)no in violazione dell'art. 2 del Dlgs. n° 163/2006, che stabilisce il rispetto del principio di libera concorrenza e non discriminazione nelle procedure per ... concessioni di servizi...», onde gli ha chiesto di comunicarle le iniziative per risolvere tal violazione. Con nota ricevuta il 4 settembre 2013, il MIT ha reso noto all'AGCM che, a suo dire, non vi sarebbero motivi per modificare il contenuto degli atti di gara.
2. Contro gli atti di tal procedura è insorta allora l'Autorità avanti al TAR Lazio, ai sensi dell'art. 21-bis, comma 2, II periodo della l. 287/1990 e con il ricorso n. 9377/2013 RG (munito di regolare procura speciale, notificato il 4 ottobre 2013 in mani proprie al MIT e depositato il successivo giorno 14), deducendo in diritto l'unico, articolato motivo della violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 86, del d.l. 1/2012 e della violazione dei principi di libera concorrenza, di parità di trattamento e di non discriminazione di cui agli artt. 2 e 30 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonché delle norme a tutela della concorrenza e del mercato. A tal ricorso è seguito, una volta decorso il termine di sessanta giorni assegnato al MIT di cui al citato art. 21-bis, comma 2, II periodo - quando, cioè e secondo l'AGCM stessa, se ne è realizzata la condizione di procedibilità ex lege -, l'atto per motivi aggiunti, proposto dopo l'istanza di rinvio del giorno 22 ottobre 2013, senza procura speciale, notificato il successivo 23 ottobre all'Avvocatura erariale e riproduttivo in sostanza del gravame introduttivo.
L'adito TAR, con sentenza n. 7546 del 27 maggio 2015 (u.p. del 20 dicembre 2013), ha disatteso o sorvolato sulle numerose eccezioni di rito e ha respinto nel merito la pretesa attorea, in quanto non ha ravvisato nella legge speciale di gara alcun carattere anticoncorrenziale per: 1) la possibilità di partecipare alla gara stessa mediante avvalimento o in ATI, anche sovrabbondante; 2) la scarsa incidenza dell'elemento problematico riscontrato dall'AGCM nel sistema del punteggio; 3) l'assenza d'irrazionalità nella scelta della maggior premialità a favore degli SFP.
3. Appella quindi detta AGCM, con il ricorso in epigrafe, deducendo l'erroneità della sentenza gravata per: A) l'evidente peso rilevante del punteggio stabilito (23/70) per la rete di sportelli e, in quell'ambito, la rilevanza della quota (18/23) spettante agli SFP, rispetto agli SFO (4/23); B) l'omesso sindacato sulla valutazione tecnica della P.A., non consequenziale all'affermazione dello stesso TAR dei principi di massima partecipazione, di par condicio e di non costituzione a priori dell'unico miglior offerente possibile, in coerenza con quanto prescrive l'art. 30, comma 3, del d.lgs. 163/2006 nei riguardi delle concessioni di servizi; C) l'incongruenza del richiamo del TAR, allo scopo di giustificare la coerenza delle regole sull'offerta tecnica con quelle di libera concorrenza, alle ATI sovrabbondanti e l'irragionevolezza in sé del diverso trattamento tra SFP e SFO; D) l'illegittimità della lex specialis di gara ove, al contempo, dà siffatto vantaggio ad un solo operatore e scoraggia gli altri competitori, senza che tutto ciò risponda ad un'apprezzabile utilità concreta per l'ente aggiudicatore.
Resistono in giudizio il Ministero intimato ed il Consorzio Poste Motori (aggiudicatario della concessione del servizio), i quali propongono entrambi gravame incidentale al fine di far constare tutte le eccezioni di rito respinte o assorbite in primo grado e concludono, nel merito, per il rigetto del presente appello principale.
Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
4. Vanno esaminate tutte le domande incidentali proposte contro l'appello dell'AGCM, stante il loro carattere veramente paralizzante di esso, incentrato solo, in ragione del decisum di prime cure, sul merito della controversia a suo tempo azionata. È ben vero che l'esame dell'appello incidentale, proposto (come nel caso in esame) dalla parte vittoriosa nel merito su questioni pregiudiziali decise in senso ad essa sfavorevole, va effettuato solo se l'appello principale sia giudicato fondato. Infatti, mentre in caso contrario non sussiste l'interesse dell'appellante incidentale alla pronunzia sulla sua impugnazione (arg. ex C.d.S., VI, 15 settembre 2015, n. 4283), non così accade nel caso in esame per il quale il Collegio ravvisa elementi di fondatezza con riguardo ai profili, dianzi evidenziati, sub B) e C), disattesi dal TAR.
5. Ebbene, iniziando dai motivi incidentali proposti dal Ministero intimato (in parte simili a quelli del Consorzio aggiudicatario), in primo grado era stata eccepita la tardività del relativo ricorso, in quanto la notificazione di esso presso l'Avvocatura erariale non era stata tempestiva.
La questione, però, si mostra alquanto più complessa, come ben si può evincere dalle premesse in fatto e da quanto si dirà tra un momento - tant'è che la vicenda della tardività ne occupa solo un segmento -, ma comunque il TAR ha respinto. Ciò in quanto il TAR ha reputato che la successiva costituzione in giudizio avesse un effetto sanante della primigenia notifica, avvenuta presso la sede ministeriale. La questione, che adesso è ripresa e sviluppata, se si segue la scansione degli eventi è al contempo più lineare e, appunto, più articolata, rispetto alla soluzione, qui non condivisa, offerta dal TAR stesso.
L'AGCM s'è gravata avanti al TAR Lazio, ai sensi dell'art. 21-bis, comma 2, II periodo della l. 287/1990 ed una volta ricevuta la nota ministeriale di risposta al suo parere negativo sugli atti della pubblica gara in tal modo contestata. Essa ha infatti proposto il ricorso n. 9377/2013 RG, munito della regolare procura speciale rilasciata ad un avvocato del libero foro, notificato il 4 ottobre 2013 presso la sede del MIT e depositato il successivo giorno 14. Già soltanto da questi pochi dati non è chi non veda l'inammissibilità in sé del citato ricorso, per l'evidente ragione che all'Autorità, al momento in cui le è pervenuta la risposta del MIT, son stati resi manifesti gli elementi della controversia, ossia le ragioni di dissenso dal predetto parere, entro il termine di legge (sessanta giorni). Sarebbe stato onere dell'Autorità non solo d'adire questo Giudice nei successivi trenta giorni, com'è accaduto poi materialmente, ma di farlo seguendo le regole ex art. 41, comma 3, c.p.a. in relazione all'art. 11 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, non derogate punto dal ripetuto art. 21-bis, comma 2, II periodo, in caso contrario verificandosene l'inammissibilità (cfr. ex multis C.d.S., V, 6 marzo 2015, n. 1145).
Né si può predicare, come vorrebbe il TAR, la sanatoria della nullità di siffatta notifica grazie alla riproposizione del ricorso stavolta notificato all'Avvocatura dello Stato e ciò per un duplice ordine di considerazioni. Per un verso, nella specie s'è verificata non già la vicenda della spontanea ed incondizionata costituzione in giudizio del Ministero erroneamente intimato - la qual cosa avrebbe determinato il raggiungimento dello scopo -, bensì la situazione in cui esso, non costituito a causa della prima notifica erronea, lo ha fatto dopo la (irrituale) rinnovazione di quest'ultima e solo per farne constare la nullità insieme a tal irritualità. Per altro verso, detta "rinnovazione", eseguita nella forma dell'atto per motivi aggiunti, è stata effettuata direttamente a cura dell'Autorità ricorrente e senza seguire la procedura ex art. 44, comma 4, c.p.a., in virtù del quale spetta a questo Giudice e non alla parte ricorrente di stabilire un termine perentorio per formalizzare la rinnovazione d'una notifica nulla, sempreché se ne ravvisi la non imputabilità alla parte stessa. Da qualunque angolo visuale si voglia apprezzare il caso in esame, il ricorso di primo grado resta pur sempre inammissibile, perché o quello introduttivo lo è a cagione dell'omessa intimazione dell'Avvocatura erariale, o lo è quello "rinnovato" fuori dal citato art. 44, comma 4 (per cui non ha impedito alcuna decadenza, maxime la consolidazione in capo ad essa della nota ministeriale pervenutale il 4 settembre 2013), o lo è, quest'ultimo, per la duplice ragione dell'omessa procura speciale e della tardività rispetto al termine di trenta giorni per proporre l'impugnazione.
6. Obietta anzitutto l'Autorità che una nuova procura non sarebbe occorsa per proporre siffatti motivi aggiunti, stante il chiaro tenore dell'art. 24 c.p.a. Sennonché essa esprime un dato contraddittorio: se, secondo la sua prospettazione, il gravame introduttivo è stato superfluo, il secondo atto non sarebbe potuto essere qualificato come un atto per motivi aggiunti ed avrebbe abbisognato, quale unico atto introduttivo del giudizio, di tal procura. Nel caso inverso, l'atto per "motivi aggiunti" in realtà sarebbe servito solo per aggirare la decadenza intervenuta e l'inammissibilità conseguente, secondo quanto testé accennato.
Obietta ancora l'AGCM, seguendo l'avviso del TAR sul punto, che il termine de quo decorrerebbe non tanto dalla ricezione dell'atto con cui il MIT ha respinto il parere negativo, bensì dallo spirare di quello di sessanta giorni, posto dal medesimo comma 2, II periodo per consentire alla P.A. destinataria di tal parere di conformarvisi, ma tal assunto, a ben vedere, non trova un serio appiglio testuale.
Ora, il ripetuto art. 21-bis, comma 2, II periodo dice che «... se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni...».
Dalla serena lettura della norma s'evince la peculiare legitimatio ad causam che concede all'AGCM per agire in giudizio innanzi a questo Giudice, contro atti generali, regolamenti e provvedimenti amministrativi ritenuti lesivi della libertà di concorrenza. L'adizione di questo Giudice, da parte di tal Autorità, è necessariamente preceduta, a pena d'inammissibilità, da una fase precontenziosa caratterizzata dall'emanazione, da parte sua, di un parere motivato rivolto alla P.A. i cui atti sono sospettati di tal lesione. Nel parere sono segnalate le violazioni riscontrate e sono indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato, donde la duplice funzione di esso. Da un lato, serve a sollecitare la P.A. a rivedere quanto statuito, mercé la conformazione di questa agli indirizzi dell'Autorità, se del caso con uno speciale esercizio della funzione d'autotutela giustificato dalla particolare rilevanza dell'interesse pubblico così coinvolto. Dall'altro, mira a tutelare quest'ultimo anzitutto all'interno della stessa P.A., sì da concepire il ricorso a questo Giudice quale extrema ratio nella risoluzione del conflitto tra due soggetti pubblici. Sicché la fase precontenziosa costituisce un significativo strumento di deflazione del contenzioso, essendo ragionevole ritenere che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente e solo al Giudice per la tutela di un interesse pubblico primario, comune ad entrambi.
Tuttavia, né il dato testuale, né la ratio testé evidenziata autorizzano a concludere che solo lo spirare del termine di sessanta giorni assurga, sempre e di per sé solo, a dies a quo affinché l'AGCM possa adire questo Giudice. Infatti, tale termine inizia a decorrere, come in qualunque altro caso in cui alla P.A. ne sia assegnato uno per statuire in modo espresso, o dall'atto definitivo di non conformazione (dunque in sé lesivo, quand'anche immotivato o pretestuoso), o dal silenzio della P.A. stessa in caso di sua inerzia a fronte del parere negativo.
Ha ragione dunque il MIT nell'affermare l'inammissibilità dell'atto per motivi aggiunti, in quanto rivolto verso l'effettivamente inesistente "atto" di conferma del rifiuto d'adeguarsi al citato parere, paradosso semantico, prim'ancora che logico, in cui cade il TAR per non voler vedere ciò che è in sé evidente in quella sequenza di ricorso e motivi aggiunti, ossia un atto lesivo mal impugnato ed un tentativo d'aggirare l'inammissibilità così verificatasi.
Non serve invece l'argomento, che l'Autorità riprende dal pedissequo passaggio della sentenza che, ai fini del ripetuto art. 21-bis, comma 2, il termine colà indicato sia assegnato alla P.A. non per fornire la risposta (purchessia) al parere, ma per conformarvisi. È vera la preferenza del legislatore verso la conformazione quale strumento di risoluzione del conflitto tra i soggetti pubblici coinvolti, ma pure è vero che l'Autorità non gode in questi casi di poteri particolari di supremazia nei confronti del destinatario del parere. Appunto per questo la legge le fornisce tal speciale legittimazione ad agire, a fronte d'una volontà altrimenti irriducibile o di un'inerzia colpevole, con la conseguenza che, ove si verifichi (e se ne dia atto espressamente) la volontà di non conformazione della P.A. prima dello scadere del termine assegnato a quest'ultima, la lesione s'è così verificata. Non v'è dunque alcuna necessità d'attendere un ripensamento del destinatario nel residuo lasso di tempo fino alla scadenza stessa, poiché l'attesa in sé non serve a nulla e potendo tal ripensamento avvenire a giudizio già instaurato e fintanto che non intervenga il giudicato. Insomma, tale "attesa" in realtà non è un dato connotante della fattispecie delineata dall'art. 21-bis, sia perché il termine di sessanta giorni è posto a favore del debitore della prestazione - il quale può, in quell'arco di tempo, asserire di non dovere nulla e di non volersi conformare ad alcunché -, sia perché l'"attesa" del ripensamento è, in fondo, ciò che qualunque destinatario d'un atto lesivo spera prima d'intraprendere un contenzioso, al fine di evitarlo.
Sfugge allora al Collegio perché mai, avanti ad una così chiara struttura della fattispecie legale e ad un'altrettanto lineare vicenda in fatto, si configuri un errore scusabile nella specie, non esistendo sul punto una pluralità di pronunce contraddittorie e non potendosi certo dire dubbie o di comprensione difficile la regola della tempestiva impugnazione dell'atto lesivo indipendentemente da quando esso intervenga, né tampoco quella della notifica del ricorso giurisdizionale all'Avvocatura dello Stato nei casi indicati dall'art. 41, comma 3, c.p.a.
Non alla stessa conclusione deve pervenire il Collegio con riguardo al residuo motivo di gravame incidentale, inerente all'eccepito difetto di jus postulandi per non aver l'Autorità proposto il ricorso con il patrocinio dell'Avvocatura erariale secondo la previsione ex art. 21-bis, comma 2, II periodo A tal riguardo, è evidente il conflitto di interessi tra due Amministrazioni pubbliche (l'Autorità ed il MIT) patrocinate in giudizio, ex lege ed in via esclusiva, dall'Avvocatura stessa, ma tal conflitto è, nella specie facilmente risolubile. Infatti, quando la fase precontenziosa di cui al precedente I periodo sia inefficace ed occorra adire questo Giudice, si deve far sempre riferimento all'ordinario metodo di risoluzione indicato nell'art. 43 del r.d. 1611/1933, che ne implica la soluzione a favore della P.A. attrice o ricorrente. Tuttavia, nel caso in esame, è intervenuto un parere dell'Avvocato generale dello Stato che non ha ravvisato i presupposti per proporre ricorso con il patrocinio dell'Avvocatura erariale a favore dell'AGCM. Sicché rettamente quest'ultima, esaurita la fase precontenziosa, s'è rivolta ad un avvocato del libero foro per adire il TAR, senz'uopo d'ulteriori attese o spiegazioni stante il chiaro tenore di quest'ultimo parere.
7. Vanno accolti, così e nei limiti fin qui esaminati, l'appello incidentale del MIT e, per le stesse ragioni, quello del Consorzio intimato, con conseguente correzione della sentenza del TAR sulle questioni pregiudiziali. Resta così assorbita, essendo divenuta ormai irrilevante, ogni questione sulla ritualità della notifica a mezzo posta (in data 22 ottobre 2013) del ricorso introduttivo. Restano pure assorbite le censure sul merito della controversia, stante sia l'inammissibilità in radice del ricorso di primo grado, sia l'erroneità della sentenza sul punto.
La novità della questione e giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 6675/2015 RG in epigrafe, accoglie, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, gli appelli incidentali e dichiara improcedibile quello principale, confermando con diversa motivazione la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.