Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 4 dicembre 2015, n. 24718
Presidente: Ceccherini - Estensore: Didone
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con il decreto impugnato (depositato in data 24 giugno 2009 e qualificato sentenza) il Tribunale di Firenze ha rigettato le opposizioni allo stato passivo del fallimento della s.p.a. "ES.CO.SOLAR" proposte (separatamente ma in seguito riunite) dalla AUSL n. 11 di Empoli, la quale lamentava l'esclusione di propri crediti relativi a contratti di appalto stipulati con la fallita.
Contro il provvedimento del tribunale la AUSL opponente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Non ha svolto difese il curatore del fallimento intimato.
Nel termine di cui all'art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza ex art. 157 c.p.c. per violazione dell'art. 99 l.f. nella composizione del collegio giudicante, del quale faceva parte il giudice delegato dello stesso fallimento.
Invoca la pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte 17 marzo 2004, n. 5414.
Il motivo è infondato.
È vero, infatti, che secondo Sez. 6-l, ordinanza n. 5426 del 4 aprile 2012 «il decreto che decide sull'opposizione avverso il decreto che rende esecutivo lo stato passivo è nullo, ai sensi degli artt. 99, comma 10, l.f. e 158 c.p.c., per vizio di costituzione del giudice, se emesso da collegio del quale fa parte il giudice delegato autore del decreto impugnato» e che tale principio è stato ribadito da sez. lav., sentenza n. 4677 del 9 marzo 2015.
Sennonché, mentre tale ultima pronuncia si è limitata a richiamare il precedente della Sesta sezione, più di recente proprio quest'ultima (Sez. VI-I, n. 2317/2015) è tornata sull'argomento ribadendo la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l'incompatibilità del giudice non comporta nullità della sentenza ove alla violazione del dovere di astensione del medesimo non abbia fatto seguito l'istanza di ricusazione della parte interessata (cfr., tra le più recenti, Cass. 16861/2013, 12115/2013, 10900/2010, 23930/2009, 13433/2007), salvi i casi di interesse proprio e diretto nella causa, che pone il giudice nella posizione sostanziale di parte (Cass. 23930/2009, cit., 528/2002), e d'incompatibilità derivante dalla previsione di diversa composizione del collegio giudicante - analoga al già intervenuto accoglimento della richiesta di autorizzazione all'astensione o dell'istanza di ricusazione - contenuta nella sentenza di cassazione con rinvio (Cass., sez. un., 5087/2008); ritenendo anche che «tale orientamento non può dirsi superato in base alla recente, ma isolata, Cass. 5426/2012». Nello stesso senso, poi, hanno deciso Cass. n. 18253/2015; Cass. n. 7988/2014 e Cass. 7245/2014, richiamate anche dal P.G.
Peraltro, mentre la pronuncia delle Sezioni unite richiamata dalla ricorrente non si attaglia alla concreta fattispecie (concernendo la partecipazione alla decisione di un magistrato privo della "potestas iudicandi", per ragioni inerenti alla sua qualità o nomina) deve essere ribadito che - pur dopo la riforma - il giudice incardinato presso il tribunale (giudice naturale) abbia per ciò solo piena potestas iudicandi, evidentemente anche nei giudizi di opposizione al passivo, e ancorché svolga parallelamente funzioni di giudice delegato ai fallimenti. La nuova disposizione costituisce esercizio di discrezionalità legislativa, dopo che la stessa Corte costituzionale aveva escluso l'applicabilità dell'art. 51, n. 4, c.p.c., per la natura comunque sommaria della verifica del passivo. La novella è generalmente riconosciuta coerente con il nuovo sistema, nel quale la verifica del passivo costituisce il primo grado del giudizio contenzioso, e l'opposizione ha natura d'impugnazione.
Così stando le cose, il giudice delegato è un giudice che ha conosciuto la causa nel primo grado di giudizio, e la nuova disciplina dell'art. 99 non si basa su una improbabile mancanza di potestas iudicandi (come era invece manifestamente nel caso deciso dalla sez. un. del 2004, in cui l'ingegnere capo dell'ufficio tecnico erariale di Napoli faceva parte della Giunta speciale espropriazioni, in base a norma dichiarata incostituzionale), ma costituisce una particolare applicazione dell'art. 51, n. 4, c.p.c.: con la conseguenza che la parte aveva l'onere della ricusazione, e non può dedurre la nullità ex art. 158 c.p.c.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza, perché il provvedimento da emettere doveva avere la forma del decreto.
Il motivo è infondato, posto che la ricorrente ha proposto l'impugnazione (ricorso) prescritta dalla legge e non allega alcun pregiudizio provocato del vizio meramente formale.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione sulla prova del danno, per la mancata ammissione della prova offerta anche in appello e con il quarto denuncia vizio di motivazione sulla mancata ammissione del credito per spese di consulenza.
Entrambi i motivi sono inammissibili per violazione dell'art. 366-bis c.p.c. in quanto non si concludono con la sintesi del fatto controverso prescritta da tale norma.
Invero, nel caso di denuncia di vizio motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652; sez. un., sentenza n. 7770 del 2009).
Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.