Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 22 settembre 2015, n. 18696
Presidente: Salvago - Estensore: Lamorgese
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Presidente della Repubblica, con decreto 19 dicembre 2011, su proposta del Ministero dell'interno, ha disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Nardodipace per la durata di diciotto mesi, ai sensi dell'art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (t.u. degli enti locali), per l'esistenza di ingerenze della criminalità organizzata. Il Ministero dell'interno ha avviato presso il Tribunale di Vibo Valentia, ai sensi del comma 11 del medesimo art. 143, il procedimento per la declaratoria di incandidabilità di coloro che a vario titolo erano stati amministratori di quel Comune: sig.ri Loielo Romano e Romolo Tassone, rispettivamente sindaco e vice sindaco, nonché Aurelio Tassone, Pasquale Larosa, Antonio Maiolo, Antonio Franzè e Alberto Franzè.
2. Il Tribunale di Vibo Valentia, con decreto 21 ottobre 2013, ha dichiarato incandidabili i prime due e ha rigettato la domanda nei confronti degli altri.
3. Avverso il suddetto decreto hanno proposto reclamo il Ministero dell'interno, il quale ha lamentato che erroneamente era stata esclusa l'incandidabilità di alcuni amministratori, sia i sig.ri Loielo Romano e Romolo Tassone, i quali hanno dedotto che, successivamente allo scioglimento del consiglio comunale, si erano già svolti due turni elettorali nella Regione Calabria, sicché la richiesta di declaratoria di incandidabilità avanzata dal Ministero doveva giudicarsi improcedibile.
4. La Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza 22 luglio 2014, per quanto ancora interessa, ha dichiarato improcedibile la domanda del Ministero volta alla declaratoria di incandidabilità di tutti gli amministratori del disciolto consiglio comunale. La Corte, tenuto conto che si erano svolti già due turni elettorali (in data 6-7 maggio 2012 e 26-27 maggio 2013) nella regione successivamente allo scioglimento del consiglio comunale, ha ritenuto che non potesse più trovare applicazione la misura di carattere preventivo e sanzionatoria della incandidabilità che era prevista dalla legge con esclusivo riferimento al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso.
5. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Procura generale presso la Corte d'appello di Catanzaro, cui ha aderito con controricorso il Ministero dell'interno, che ha proposto anche un autonomo ricorso. Resistono con controricorso i sig.ri Romano, Romolo e Aurelio Tassone, Larosa, Maiolo, Antonio e Alberto Franzè. Le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I controricorrenti eccepiscono l'inammissibilità del ricorso della Procura generale della Repubblica presso la Corte d'appello, in quanto priva di legittimazione ad agire, non essendo stata parte, nemmeno interveniente, nei precedenti gradi di giudizio; eccepiscono, inoltre, la tardività e, quindi, inammissibilità del ricorso del Ministero dell'interno.
1.1. La prima delle due eccezioni in esame è infondata.
Nelle azioni per la dichiarazione di incandidabilità degli amministratori locali responsabili di condotte che hanno dato causa allo scioglimento dell'ente locale per fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, l'art. 22, decimo comma, del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (come già l'art. 82-2 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, sostituito dall'art. 1 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570) attribuisce al Procuratore generale presso la Corte d'appello, benché sfornito del potere di azione in materia elettorale, il potere di impugnazione della decisione della medesima Corte d'appello, evidentemente ancorché non sia stato parte nel giudizio di merito.
1.2. La seconda eccezione è fondata.
Avverso la sentenza impugnata, notificata al Ministero dell'interno presso l'Avvocatura dello Stato l'8 agosto 2014, la Procura generale presso la Corte d'appello di Catanzaro ha notificato tempestivamente il ricorso per cassazione il 1° settembre 2014. Un successivo ricorso è stato proposto dal Ministero dell'interno sia con atto denominato come controricorso, ma da intendere come ricorso incidentale (v., tra le tante, Cass. n. 4252/1976), notificato in data 24 ottobre 2014, sia con un successivo ricorso notificato il 3 dicembre 2013: in entrambi gli atti il Ministero, in sostanziale adesione al ricorso principale della Procura generale, ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata.
Nella costante giurisprudenza di questa Corte si è affermato il principio dell'unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, il quale comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione (principale), tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l'atto contenente il controricorso; pertanto, sebbene quest'ultima modalità non possa considerarsi essenziale, dal momento che ogni ricorso successivo al primo si converte in ricorso incidentale, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, la sua ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) per la notificazione del controricorso, risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dal termine (breve o lungo) di impugnazione in astratto operativo, a norma dagli artt. 325 e 327 c.p.c. (v. Cass. n. 5695/2015, n. 20136 e 26622/2005, n. 7325/2002) o - può aggiungersi - di disposizioni speciali, qual è quella contenuta nell'art. 22, decimo comma, del d.lgs. n. 150/2011, che stabilisce il termine di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza per proporre il ricorso per cassazione in materia elettorale. Tale principio - è stato anche precisato - non trova deroghe riguardo alle impugnazioni di tipo adesivo che perseguono lo scopo di rimuovere il medesimo capo della sentenza sfavorevole o capi della sentenza diversi da quelli oggetto della già proposta impugnazione o che si rivolgono contro una parte non impugnante.
Nel caso in esame, considerando che il suddetto termine di quaranta giorni è ridotto a venti giorni (dieci più dieci), a norma dell'art. 22, undicesimo comma, del citato d.lgs. del 2011, che stabilisce che nel giudizio di cassazione relativo alle cause elettorali "tutti i termini del procedimento sono ridotti della metà", come già previsto dall'art. 82-3 del d.P.R. n. 570/1960 (v. Cass., Sez. un., n. 360/1977), entrambi i ricorsi del Ministero dell'interno sono tardivi, in quanto non rispettosi del predetto termine, decorrente dalla scadenza del periodo feriale (16 settembre 2014) durante il quale il ricorso principale della Procura generale è stato notificato (il 1° settembre 2014), tenuto conto che il ricorso per cassazione in materia elettorale è soggetto alla sospensione feriale dei termini (v. Cass. n. 2195/2003). Ne consegue l'inammissibilità dei ricorsi del Ministero dell'interno.
2. Nell'unico motivo di ricorso, la Procura generale presso la Corte d'appello di Catanzaro denuncia la violazione dell'art. 143, undicesimo comma, del d.lgs. n. 267/2000, per avere la sentenza impugnata ingiustificatamente circoscritto la declaratoria di incandidabilità alla prima tornata elettorale temporalmente successiva al decreto presidenziale di scioglimento, mentre l'intendimento del legislatore era di impedire la possibilità di candidarsi al primo turno successivo di ciascuna elezione regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale che si svolga nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato; di conseguenza, la pronuncia definitiva di incandidabilità che sopraggiunga dopo lo svolgimento del primo turno di una o più elezioni tra quelle elencate, è destinata a produrre i suoi effetti con riferimento alle altre elezioni (tra quelle elencate) non ancora svoltesi dopo lo scioglimento.
2.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Ai fini dell'interpretazione dell'art. 143, undicesimo comma, del d.lgs. n. 267/2000, che per la prima volta viene all'esame di questa Corte nei termini prospettati, si pone un duplice ordine di problemi nell'individuazione dell'ambito applicativo dell'incandidabilità temporanea prevista per gli amministratori locali che si siano resi colpevoli della cattiva gestione della cosa pubblica.
Il primo riguarda l'individuazione di quali siano le elezioni, tra quelle (regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali) indicate, cui si riferisce la norma nel prevedere l'incandidabibilità al primo turno elettorale successivo allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali; il secondo riguarda l'operatività della incandidabilità nel caso in cui il provvedimento che la dichiari in modo definitivo sopraggiunga quando uno o più turni elettorali si siano già tenuti nella regione successivamente allo scioglimento.
2.1.1. La norma dispone che "Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo".
L'univoco tenore letterale e grammaticale della norma, chiaramente evidenziato dall'utilizzo della congiunzione coordinante "e", solitamente adoperata per esprimere l'unione di due elementi, e non della congiunzione disgiuntiva "o", solitamente usata per esprimere un'alternativa, consente di identificarne l'ambito applicativo in relazione a tutte le tornate elettorali indicate. Di conseguenza, la candidatura è preclusa nel primo turno elettorale di ciascuna delle predette elezioni (regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali) che si svolgano, successivamente allo scioglimento, nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato.
La diversa interpretazione proposta dalle parti private, nel senso che l'incandidabilità opererebbe esclusivamente con riferimento al primo turno della prima (intesa come una qualsiasi) elezione, tra quelle sopra indicate, che si svolga successivamente allo scioglimento, non è condivisibile. La norma, se ha precisato quali siano le elezioni cui si riferisce l'incandidabilità, cioè quelle regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, è perché ha inteso implicitamente ma chiaramente riferirsi a tutte queste elezioni e, quindi, al primo turno di ciascuna di esse, posto che altrimenti si sarebbe limitata a riferire l'incandidabilità al primo turno di una qualsiasi elezione che si svolga nella regione successivamente allo scioglimento dell'ente.
L'interpretazione qui confutata, inoltre, produce l'effetto di sminuire irragionevolmente l'ambito applicativo della misura interdittiva nei confronti degli amministratori locali colpevoli della cattiva gestione della cosa pubblica. Si tratta di una misura che le Sezioni Unite di questa Corte hanno configurato come un rimedio volto alla salvaguardia di beni primari della collettività nazionale, al fine di evitare il ricrearsi delle situazioni, cui lo scioglimento dell'ente ha inteso ovviare, di ingerenza e condizionamento da parte delle associazioni criminali operanti sul territorio (v., in tal senso, Cass., Sez. un., n. 1747/2015).
2.1.2. Con riguardo all'ambito temporale di operatività della misura interdittiva in esame, secondo l'interpretazione seguita nella sentenza impugnata, l'incandidabilità, sebbene dichiarata con provvedimento giurisdizionale definitivo, non potrebbe operare rispetto alle elezioni successive (al suddetto provvedimento), nel caso in cui una o più elezioni si siano già svolte dopo lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale e nelle more del procedimento giurisdizionale, in considerazione del dato letterale che farebbe limitato riferimento "al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso".
Il problema si pone quando, com'è avvenuto nel caso in esame, vi sia una distanza temporale - che in una ridotta misura è fisiologica, nonostante l'urgenza con la quale è previsto che siano trattate le controversie in materia elettorale (art. 22, sedicesimo comma, del d.lgs. n. 150/2011) - tra la data di scioglimento dell'ente e l'adozione del provvedimento definitivo di incandidabilità.
In tal caso, è ben possibile che dopo la prima data e prima del provvedimento definitivo di incandidabilità si tengano turni elettorali nell'ambito della regione, ai quali potrebbero partecipare i medesimi candidati colpiti dalla misura interdittiva divenuta definitiva solo successivamente.
L'interpretazione sostenuta dalle parti private non è condivisibile, perché conduce a una sostanziale e implicita abrogazione della norma, che sarebbe tanto più irragionevole in quanto renderebbe l'incandidabilità inoperativa proprio quando il provvedimento giurisdizionale assuma il carattere della definitività.
È invece ragionevole interpretare la norma nel senso che l'incandidabilità operi quando, come previsto dalla norma, "sia dichiarata con provvedimento definitivo", valendo evidentemente per tutti i turni elettorali successivi che si svolgeranno nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, sebbene nella stessa regione si siano svolti uno o più turni elettorali (di identica o differente tipologia) successivamente allo scioglimento dell'ente ma prima che il provvedimento giurisdizionale dichiarativo dell'incandidabilità abbia assunto il carattere della definitività.
È opportuno precisare che neppure è condivisibile la diversa opinione, che sembra adombrata dalla stessa Procura generale nel motivo in esame, secondo la quale la pronuncia definitiva di incandidabilità, ove sopravvenga dopo lo svolgimento del primo turno di una o più elezioni, sarebbe destinata a produrre i suoi effetti con riferimento soltanto alle "altre" (tipologie di) elezioni tra quelle elencate, cioè diverse da quelle già svoltesi dopo lo scioglimento dell'ente, poiché per queste ultime l'incandidabilità non potrebbe operare nei turni elettorali successivi al provvedimento giurisdizionale definitivo che l'abbia accertata. Questa interpretazione non è condivisibile, laddove attribuisce effetti esecutivi ad un provvedimento di incandidabilità prima che sia divenuto definitivo e non considera che nelle elezioni precedenti la persona era candidabile ed eleggibile (salva la ricorrenza di una specifica causa di ineleggibilità o incompatibilità), divenendo incandidabile solo per effetto del provvedimento giurisdizionale definitivo e con riferimento alle elezioni successive nel senso che si è chiarito (nel precedente p. 2.1.1).
L'interpretazione qui seguita, oltre che coerente con il tenore letterale della disposizione, è rispettosa del principio generale di libero accesso di tutti i cittadini in condizioni di uguaglianza alle cariche elettive (art. 51 Cost.) che è possibile limitare soltanto per la necessità di garantire un elettorato passivo scevro da contaminazioni e condizionamenti da parte della malavita organizzata.
3. In conclusione, il ricorso principale è accolto nei termini sopra precisati e la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d'appello di Catanzaro, in diversa composizione, che dovrà decidere la causa nel merito, facendo applicazione dei principi sopra enunciati, nonché provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi del Ministero dell'interno; in accoglimento del ricorso della Procura generale presso la Corte d'appello di Catanzaro, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla medesima Corte, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.