Corte di cassazione
Sezione VI civile
Sentenza 1° settembre 2015, n. 17380

Presidente: Petitti - Estensore: Manna

IN FATTO

Con decreto del 28 maggio 2013 la Corte d'appello di Perugia, in persona del consigliere delegato, rigettava per incompetenza territoriale, competente essendo la Corte distrettuale di Roma, il ricorso ex lege n. 89/2001 proposto dall'avv. Salvatore S., in proprio, per ottenere la condanna del Ministero dell'Economia e delle Finanze al pagamento di un equo indennizzo per la durata irragionevole di un processo amministrativo svoltosi innanzi al TAR Sardegna e, in appello, davanti al Consiglio di Stato.

Il ricorrente proponeva opposizione ex art. 5-ter legge citata, e pur aderendo alla rilevata incompetenza territoriale inderogabile, atteso l'arresto di Cass. S.U. n. 6307/2010, lamentava come erronea la reiezione del ricorso, per cui chiedeva che la Corte adita, indicato il diverso giudice competente, concedesse apposito termine di riassunzione.

Tale opposizione era respinta dalla medesima Corte, in composizione collegiale, con decreto del 2 gennaio 2014, che regolava le spese di conseguenza ed applicava al ricorrente la sanzione di Euro 1.000,00 ai sensi dell'art. 5-quater legge cit. Osservava al riguardo la Corte territoriale che non essendo prevista a livello normativo la possibilità di pronunce declinatorie della competenza, in analogia a quanto previsto per i procedimenti monitori, la pronuncia non poteva essere che di rigetto, data la competenza di altra Corte d'appello, nella specie quella di Roma.

Avverso tale ultimo decreto Salvatore S. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.

Resiste con controricorso il Ministero dell'Economia e delle Finanze.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va giudicata inammissibile l'eccezione formulata dall'Avvocatura dello Stato, secondo cui l'attuale ricorrente avrebbe impugnato la sentenza del Consiglio di Stato, prima per cassazione e poi per revocazione, sicché il ricorso ex lege Pinto sarebbe stato ad ogni modo presentato in relazione a un giudizio presupposto non ancora definito.

Di tale assunto la parte controricorrente non fornisce dimostrazione, limitandosi a indicazioni non autosufficienti ai fini della decisione richiesta.

2. Col primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c., perché la Corte territoriale, nel confermare la propria non contestata incompetenza e nel rigettare la domanda, non si è pronunciata sui motivi d'opposizione.

3. Il secondo motivo espone la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3, 4° comma, e 4 l. n. 89/2001, 640, commi 1 e 2, 38 e 50 c.p.c., in relazione al n. 4 dell'art. 360 c.p.c. Deduce parte ricorrente che mentre nel procedimento per decreto ingiuntivo è possibile il rigetto della domanda per ragione d'incompetenza, in quanto la domanda può essere riproposta, non altrettanto è possibile nel caso di reiezione del ricorso ex lege n. 89/2001, come dispone il 6° comma dell'art. 3, che ammette la sola opposizione ai sensi dell'art. 5-ter, e com'è confermato dall'art. 3, comma 4, che richiama i soli primi due commi dell'art. 640 c.p.c., e non anche il terzo (relativo, appunto, alla riproponibilità, anche in via ordinaria, della domanda).

4. Il terzo motivo denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 5-quater, l. n. 89/2001, del principio enunciato da Corte cost. n. 186/2000 e dell'art. 91 c.p.c., poiché la condanna al pagamento di una somma a carico della cassa delle ammende non è obbligatoria ma rimessa alla valutazione del giudice, in funzione delle circostanze di causa. Le quali, nella specie, non evidenziavano alcuna colpa del ricorrente.

5. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Il vizio di omessa pronunzia, presupponendo l'effettiva obliterazione della "postulazione di giudizio" in almeno una delle sue articolazioni, non sussiste quando la domanda sia stata comunque esaminata, senza che rilevino i motivi di rito o di merito per cui essa sia stata disattesa, ed anzi configurandosi la preclusione processuale all'esame del merito come causa ostativa del vizio stesso, anche nell'ipotesi di carenza di una sua espressa indicazione da parte del giudice a fondamento della mancanza di un esame siffatto (così, Cass. n. 11517/1995).

Nella specie, la Corte territoriale si è pronunciata sulla domanda, rigettandola per ragioni di rito, il che - indipendentemente da quanto si dirà infra sull'erroneità di tale decisione - osta in partenza a che possa configurarsi un vizio d'omessa pronuncia. Esclusa sia la propria competenza sia la possibilità di decisioni puramente declinatorie della potestas iudicandi, la Corte territoriale ha del tutto coerentemente, dal suo angolo visuale, tratto la conseguenza di dover senz'altro respingere l'opposizione, sicché vi è stata pronuncia sulla domanda.

6. È fondato, invece, il secondo motivo.

6.1. È noto che tra le due possibili soluzioni configurabili nel caso di proposizione della domanda innanzi a un giudice incompetente, il legislatore ha optato come criterio di massima per quella che ravvisa nella competenza un presupposto processuale (che dunque deve esistere prima della domanda), piuttosto che un requisito di ammissibilità (e dunque di validità) della domanda. Lo dimostrano gli artt. 50, 38, 2° comma, 44 e 45 c.p.c. e l'art. 2943, 3° comma c.c., la cui intuitiva portata generale (evidente soprattutto per le prime quattro norme anzi dette, in quanto contenute nel libro primo del codice di rito) non richiede illustrazione.

E altrettanto nota è la conseguenza che se ne trae, ossia la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale proposta innanzi a un giudice incompetente.

Eccezionale, per contro, è la configurazione della competenza quale requisito di ammissibilità della domanda, desumibile a contrario nelle ipotesi in cui non opera il meccanismo della traslatio iudici.

Tra queste, l'art. 640 c.p.c. Sebbene riferito ai soli casi in cui la domanda monitoria sia insufficientemente "giustificata", è pacifico che tale articolo disciplini l'intera area in cui il ricorso per decreto ingiuntivo non possa essere accolto, vuoi per il difetto di presupposti processuali, vuoi per la carenza dei requisiti che condizionano nel merito l'emissione del provvedimento (non a caso, la rubrica dell'art. 633 c.p.c. parla di "condizioni di ammissibilità"). Analogamente è da ritenere allorché il rapporto giudice/parte non sia biunivoco, come nelle ipotesi di volontaria giurisdizione c.d. gestoria. In quello come in questi casi, la riassunzione del procedimento innanzi al giudice competente prima dell'instaurazione del contraddittorio (o nella congenita assenza di qualsivoglia contraddittore) non varrebbe a conservare effetti che ad ogni modo non si sono ancora prodotti (o che neppure possono prodursi), e dunque non avrebbe senso alcuno.

Infatti, riguardo all'ipotesi del ricorso per decreto ingiuntivo, l'effetto interruttivo della prescrizione viene determinato dalla notificazione del provvedimento emesso a seguito del ricorso, e non dalla proposizione del ricorso stesso, né dall'emanazione del provvedimento da parte del giudice. L'interruzione della prescrizione presuppone, infatti, che l'interessato alla prescrizione del diritto venga a conoscenza dell'atto iniziale del procedimento, il che si verifica solo a seguito della notificazione di copia autentica del ricorso e del decreto, notificazione che determina la pendenza della lite a norma dell'art. 643 c.p.c. (Cass. nn. 2356/1973 e 933/1957).

Specularmente, la non consumazione del potere processuale allenta la tensione della problematica, perché consente alla parte di riproporre la domanda allo stesso ovvero ad un diverso giudice (v. l'art. 640, 3° comma, c.p.c.), non formandosi sulla pronuncia reiettiva alcuna preclusione pro iudicato.

6.2. Le modifiche alla legge c.d. Pinto apportate dal d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, pongono un problema parzialmente nuovo, a causa della struttura monitoria del procedimento delineato dagli artt. 3 e ss., che richiama i soli primi due commi dell'art. 640 c.p.c. (art. 3, comma 4, l. n. 89/2001). Problema che la Corte perugina ha risolto nel senso che, non essendo normativamente prevista la possibilità di pronunce declinatorie della competenza, la decisione nel caso sia stato adito un giudice incompetente non può che essere di rigetto.

Tale soluzione non può essere condivisa.

Vi si oppone, in primo luogo, la considerazione per cui anche nei procedimenti ex lege n. 89/2001 la competenza è stata costantemente configurata dalla giurisprudenza di questo S.C. quale presupposto processuale e non come condizione di ammissibilità della domanda, con conseguente applicabilità in materia della tecnica della traslatio iudici ai sensi dell'art. 50 c.p.c. E la modifica delle forme introduttive e decisorie non pare di per sé sola sufficiente a indurre una soluzione di segno opposto, per giunta all'interno di un sistema processuale che, come innanzi premesso, si basa sul principio per cui l'incompetenza del giudice adito non condiziona la validità della domanda.

In secondo luogo, la soluzione cui è pervenuta la Corte perugina è incompatibile con il sistema processuale, determinando un unicum privo di qualsivoglia possibilità di riscontro. Atteso che il sesto comma dell'art. 3 l. n. 89/2001, come modificato dal d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, prevede che se il ricorso è in tutto o in parte respinto la domanda non può essere riproposta, salvo l'opposizione ai sensi del successivo art. 5-ter, la definitiva reiezione per incompetenza, resa all'esito della fase di opposizione, produrrebbe l'effetto - del tutto ignoto - di una domanda di merito irretrattabilmente preclusa, in qualunque sede, da una pronuncia in rito. Il che, tra l'altro, contrasta con l'art. 310 c.p.c., da cui si ricava che la stabilità delle statuizioni sulla competenza è compatibile con un rinnovato giudizio di merito.

Ne deriva la formulazione del seguente principio di diritto: "In materia di equa riparazione ai sensi della l. n. 89/2001, anche dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, la competenza del giudice adito costituisce presupposto processuale e non già requisito di ammissibilità della domanda. Pertanto, la Corte d'appello, adita con l'opposizione ai sensi dell'art. 5-ter stessa legge, ove ritenga di non essere investita della competenza a provvedere non può rigettare la domanda, ma deve declinare la competenza e, indicato il diverso giudice competente, deve fissare il termine di riassunzione del procedimento innanzi a lui, in applicazione dell'art. 50 c.p.c.".

7. L'accoglimento del secondo motivo determina l'assorbimento del terzo mezzo d'annullamento, a causa dell'effetto espansivo interno della pronuncia di cassazione (art. 336, 1° comma, c.p.c.).

8. Pertanto, il decreto impugnato deve essere cassato e, ai sensi dell'art. 382, 2° comma, c.p.c., deve essere dichiarata la competenza della Corte d'appello di Roma, innanzi alla quale il procedimento dovrà essere riassunto nel termine indicato in dispositivo.

9. Spese al definitivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo ed assorbito il terzo, cassa il decreto impugnato e dichiara la competenza della Corte d'appello di Roma, innanzi alla quale il procedimento dovrà essere riassunto nel termine di gg. 90 dalla comunicazione della presente sentenza.