Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 11 febbraio 2014, n. 20962

RITENUTO IN FATTO

D.M. Salvatore ricorre avverso l'ordinanza emessa in data 25 ottobre 2013 dal Tribunale del Riesame di Napoli con la quale è stato rigettato l'appello proposto in data 13 e 25 giugno 2013, nell'interesse del ricorrente, avverso le ordinanze emesse rispettivamente in data 20 maggio 2013 e 21 giugno 2013 dal g.i.p. presso il tribunale di Napoli.

Chiedendo l'annullamento del provvedimento impugnato il ricorrente deduce:

a) Violazione di legge processuale penale e mancanza di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. c) ed e), c.p.p. in relazione all'art. 297, comma 3, c.p.p.

Secondo il ricorrente l'ordinanza impugnata sarebbe censurabile sotto il profilo dell'applicazione del principio delle c.d. "contestazioni a catena".

Premesso che a carico dell'imputato sono state emesse due ordinanze di custodia cautelare in carcere, aventi ad oggetto fatti identici (estorsione e rapina aggravate ai sensi dell'art. 7 l. 309/1990) commessi nel medesimo arco temporale, anteriore all'emissione della prima ordinanza, nonché fondate sul medesimo assetto probatorio, il ricorrente sottolinea che il Tribunale del Riesame avrebbe dovuto rilevare la piena sovrapponibilità delle contestazioni mosse in entrambe le ordinanze e disporre l'applicazione del meccanismo previsto dall'art. 297, comma 3, c.p.p.

Il Tribunale ha negato la retrodatazione sul presupposto che la richiesta sarebbe stata avanzata dalla difesa solo successivamente alla chiusura delle indagini preliminari; secondo il ricorrente questo dato processuale non sarebbe preclusivo per il riconoscimento del meccanismo invocato, in quanto gli elementi addotti a sostegno del secondo ordine custodiale non apporterebbero alcun elemento di novità tale da giustificare la sua emissione; al contrario il rinvio a giudizio e/o comunque il superamento della fase delle indagini preliminari, se valutati come termine preclusivo all'accoglimento della richiesta avanzata, potrebbero inficiare totalmente i termini di durata massima di custodia cautelare in riferimento all'intero processo, in ogni sua fase.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

2. Osserva la Corte che il Tribunale del Riesame ha rigettato l'appello proposto dal ricorrente, applicando il principio di diritto in base al quale poiché il difensore ha avanzato la richiesta di perenzione della misura per scadenza dei termini allorquando il procedimento aveva già superato la fase delle indagini preliminari, per tale motivo doveva ritenersi assolutamente preclusa la possibilità di applicazione del meccanismo della retrodatazione (cfr. Cass. 1129/2008; Cass. 6841/2004; Cass. 40913/2001).

In sostanza, i giudici hanno ritenuto che, poiché le istanze difensive finalizzate all'ottenimento della declaratoria di inefficacia della misura sono state presentate l'una l'8 maggio 2013 e l'altra il 18 giugno 2013, ossia dopo la chiusura delle indagini preliminari e successivamente alla data di emissione del decreto di giudizio immediato in data 2 agosto 2012, sarebbe impedita l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 297, comma 3, c.p.p.

3. Tale conclusione non può essere condivisa.

A parere del Collegio, l'aver presentato un'istanza volta al riconoscimento del meccanismo di cui all'art. 297, comma 3, c.p.p. dopo la conclusione delle indagini preliminari, non può ritenersi preclusivo per il riconoscimento della fondatezza dell'istanza avanzata, perché tale conclusione potrebbe inficiare totalmente il rispetto dei termini di durata massima di custodia cautelare in riferimento all'intero processo in ogni sua fase.

3.1. In questo senso deve essere condiviso il principio affermato da questa Corte, sez. I, n. 1217/2013 del 5 aprile 2013, secondo cui "non è significativo che gli elementi indiziari fossero presenti o meno al momento di emissione della prima misura, ma rileva che fossero stati acquisiti prima del decreto che ha disposto il giudizio abbreviato in modo che la stessa Procura della Repubblica avrebbe potuto tenerne conto ai fini di richiedere l'emissione di un unico titolo custodiale" sancendo dunque, nella fattispecie specifica, la condizione essenziale entro la quale l'invocato meccanismo trova il suo momento preclusivo.

In questo caso dunque la Corte sottolineando la circostanza che gli elementi indiziari erano stati acquisiti prima che venisse emesso il decreto di giudizio abbreviato, ha esteso ad una fase successiva a quella delle indagini preliminari il momento entro il quale poter avanzare la richiesta di applicazione del meccanismo di cui all'art. 297, comma 3, c.p.p., diversamente da quanto stabilito dal Tribunale del Riesame, per le ragioni prima evidenziate.

Questa interpretazione si pone nel solco tracciato dalle Sezioni unite con la pronuncia n. 21957 del 22 marzo 2005, PM in proc. Rahulia, CED n. 231059, secondo la quale nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare per fatti diversi, tra i quali non sussiste la connessione prevista dall'art. 297, comma terzo, c.p.p., i termini delle misure disposte con le ordinanze successive decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se al momento dell'emissione di questa erano desumibili dagli atti gli elementi che hanno giustificato le ordinanze successive. Si è dunque affermato che l'applicazione della retrodatazione deve operare nelle seguenti situazioni: 1) emissione di più ordinanze cautelari nell'ambito dello stesso procedimento per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, oppure per fatti diversi, ma tra loro connessi per continuazione, concorso materiale o vincolo teleologico, in cui la retrodatazione della decorrenza della seconda misura opera in via automatica dall'inizio della prima a prescindere dalla possibilità di desumerne gli elementi giustificativi dagli atti posti a fondamento del primo provvedimento, caso previsto dall'art. 297 c.p.p., comma 3, prima parte; 2) emissione di ordinanze in procedimenti diversi per reati tra loro avvinti da connessione qualificata, per i quali la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare, secondo quanto stabilito dall'art. 297 c.p.p., comma 3, seconda parte; 3) emissione di ordinanze cautelari nello stesso procedimento per fatti diversi non legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione sussiste solo se all'atto del primo titolo cautelare esistevano elementi che giustificavano la misura adottata con il secondo provvedimento, caso non disciplinato dall'art. 297 c.p.p., comma 3, in base alla sentenza n. 408 del 2005 della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma in esame nella parte in cui non prevede la retrodatazione nei casi di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti diversi, non legati da connessione qualificata, se al momento della emissione della prima ordinanza esistevano i presupposti per l'adozione delle misure stabilite con la seconda, parificando, a garanzia dei diritti di libertà dell'indagato, quanto a disciplina positiva tutti i casi nei quali una pluralità di provvedimenti coercitivi per scelta dell'autorità giudiziaria siano stati adottati in tempi diversi, con differente decorrenza e protrazione della loro durata, pur sussistendo la possibilità concreta e giuridica di essere emessi nel medesimo contesto temporale. La Corte costituzionale dunque ha offerto un'interpretazione della regola della retrodatazione sovrapponibile a quella della sentenza S.U. Rahulia ed entrambe si sono pronunciate in merito all'ipotesi della successione di provvedimenti cautelari nell'ambito dello stesso procedimento o in procedimenti distinti, ma riunibili e mantenuti separati per scelte discrezionali dell'organo inquirente, che si è ritenuto non potersi tradurre in un pregiudizio per la libertà individuale con la protrazione surrettizia dei termini di durata delle misure custodiali (v. anche Sezioni Unite n. 14535 del 19 dicembre 2006, Librato, CED n. 235908).

4. Ciò premesso va rilevato che nel caso in esame, nel quale i due titoli cautelari sono stati emessi in procedimenti diversi, il percorso giustificativo del provvedimento impugnato riconosce la sussistenza dei presupposti richiesti per operare la retrodatazione della seconda misura cautelare, per l'ammissione implicita del vincolo di connessione qualificata tra i reati rispettivamente contestati con le due ordinanze e per quella esplicita della desumibilità dei fatti di cui al secondo titolo dagli atti sui quali si era fondato il primo, tutti già acquisiti persino in un momento antecedente alla prima ordinanza, basati soprattutto sulle dichiarazioni di Giovanni C. e Ciro C., oltre a captazioni ambientali e dichiarazioni delle parti offese, certamente nella disponibilità della Procura della Repubblica prima del rinvio a giudizio nel procedimento relativo alla prima ordinanza.

Non è dunque significativo che gli elementi indiziari fossero presenti o meno in tale procedimento al momento di emissione della prima misura, ma rileva che fossero stati acquisiti prima del decreto che ha disposto il giudizio immediato di modo che la stessa Procura della Repubblica avrebbe potuto tenerne conto ai fini di richiedere l'emissione di unico titolo cautelare.

Se dunque si ritengono sussistenti, come si è verificato nel caso di specie, i presupposti di operatività del meccanismo di retrodatazione della decorrenza della seconda misura cautelare dall'esecuzione del primo provvedimento, emesso in data 22 marzo 2011, allora deve anche verificarsi da quando, in base alla suddetta ordinanza l'imputato è stato sottoposto ininterrottamente a custodia in carcere sino alla pronuncia del decreto di giudizio immediato nello stesso secondo procedimento, ossia sino al 2 agosto 2012, e se dunque sia stato superato il periodo ininterrotto di un anno, che costituisce il limite di durata previsto per la fase delle indagini preliminari.

5. La correttezza di tale conclusione, del resto, trova conferma anche negli ulteriori ripetuti interventi della Corte costituzionale, più volte chiamata a pronunciarsi sul tema, al fine di risolvere le questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine alla corretta definizione dei canoni interpretativi e alla compatibilità costituzionale della disciplina in questione.

Con la sentenza 233/2011, infatti, la Corte ha stabilito che: "È costituzionalmente illegittimo l'art. 297, comma 3 del codice di procedura penale, nella parte in cui - con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi - non prevede che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l'imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all'adozione della seconda misura. La preclusione all'applicazione del meccanismo di retrodatazione dei termini, connessa alla formazione del giudicato sui fatti oggetto della prima ordinanza cautelare in data anteriore a quella di adozione della seconda ordinanza, viola l'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata disparità di trattamento tra imputati che versano in situazioni eguali. In particolare, i coimputati dei medesimi reati si vedrebbero negato o riconosciuto il diritto alla scarcerazione, a seconda che nei loro confronti si sia formato o meno il giudicato sui fatti oggetto della prima ordinanza cautelare, col risultato, tra l'altro, di penalizzare coloro che abbiano scelto riti alternativi e omesso di impugnare la sentenza di condanna. La medesima preclusione viola, altresì, l'art. 13, quinto comma, Cost., poiché rende possibile l'elusione dei limiti massimi di durata della custodia cautelare che invece sono predeterminati dal legislatore e che non possono risultare dipendenti da circostanze accidentali estranee alle esigenze di garanzia della libertà personale dell'imputato nel corso del processo".

Più recentemente, la Corte è intervenuta ancora sull'argomento dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 309 del codice di procedura penale, se interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento del riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall'art. 297, comma 3, c.p.p. del medesimo codice, sia subordinata - oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare impugnata - anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino dall'ordinanza (v. Corte cost. ord. n. 293/2013), eliminando così la necessità che gli elementi della retrodatazione emergano fin dalla prima ordinanza.

6. Appare dunque evidente che il principio della retrodatazione della decorrenza dei termini della custodia cautelare, sulla base delle condizioni prima elencate, è ancorato alla necessità che gli elementi indiziari possano essere individuati prima che venga emessa la prima ordinanza, con la possibilità di estendere ad una fase successiva a quella delle indagini preliminari il momento entro il quale poter avanzare la richiesta di applicazione del meccanismo previsto dall'art. 273, comma 3, c.p.p., diversamente da quanto sostenuto nel provvedimento impugnato.

7. Alla luce delle suesposte considerazioni che il Collegio condivide, va annullata l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Manda alla cancelleria perché provveda ai sensi dell'art. 94 disp. att.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Si provveda ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p.

Depositata il 23 maggio 2014.