Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 2 aprile 2014, n. 1572

FATTO E DIRITTO

Preso atto che:

a) l'oggetto del presente giudizio è costituito da una serie di provvedimenti inerenti la complessa riorganizzazione degli enti gestori dei servizi pubblici del comune di Torino, le selezioni indette per la scelta dei soci operativi, gli atti di alienazione delle partecipazioni;

b) tali provvedimenti sono stati impugnati - con ricorso principale e otto atti di motivi aggiunti - da un gruppo di cittadini residenti nel comune e utenti dei servizi pubblici in questione;

c) l'impugnata sentenza, pronunciandosi con dovizia di argomenti sulle varie eccezioni pregiudiziali sollevate dalle parti intimate:

I) ha dichiarato inammissibile la domanda di annullamento per carenza della legittimazione a ricorrere dei proponenti, non potendosi riconoscere in capo a questi ultimi una posizione differenziata rispetto a quella vantata dal quivis de populo;

II) ha dichiarato improcedibile l'impugnativa avverso le gare andate deserte (tale capo non è stato appellato);

III) ha condannato i ricorrenti a pagare le spese di lite in favore di ciascuna parte costituita liquidandole in euro 2.000/00;

d) gli odierni ricorrenti hanno interposto appello contestando in primo luogo la statuizione di inammissibilità del ricorso di primo grado (pagine 6-23 dell'atto di gravame);

e) si sono costituite le parti intimate concludendo per l'infondatezza del gravame in fatto e diritto e riproponendo ulteriori eccezioni pregiudiziali sollevate in prime cure ma non esaminate dall'impugnata sentenza, fra cui quella relativa alla originaria carenza di interesse ad agire (cfr. ad esempio, pagina 15 della memoria difensiva della società Amiat depositata in data 25 marzo 2014);

Considerato che:

f) la Sezione non intende decampare dai principi di recente elaborati dalla Adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. sentenza n. 9 del 2014, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 60, 74 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a.), in forza dei quali:

I) l'azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta - sulla falsariga del processo civile - a tre condizioni fondamentali che, valutate in astratto con riferimento alla causa petendi della domanda e non secundum eventum litis, devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere fino al momento della decisione; tali condizioni sono: il c.d. titolo o possibilità giuridica dell'azione - cioè la situazione giuridica soggettiva qualificata in astratto da una norma, ovvero, come altri dice, la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all'esercizio del potere amministrativo -; l'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. (o interesse al ricorso, nel linguaggio corrente del processo amministrativo); la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva, discendente dall'affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo);

II) in termini generali trova ingresso nel sistema della giustizia amministrativa anche la tutela del c.d. interesse ad agire strumentale, ma solo in casi eccezionali, se ed in quanto collegato ad una posizione giuridica attiva, protetta dall'ordinamento, la cui soddisfazione sia realizzabile unicamente attraverso il doveroso rinnovo dell'attività amministrativa, dovendosi rifiutare, a questi fini, il riferimento ad una utilità meramente ipotetica o eventuale che richiede per la sua compiuta realizzazione il passaggio attraverso una pluralità di fasi e atti ricadenti nella sfera della più ampia disponibilità dell'Amministrazione; pertanto «la facoltà di agire in giudizio non è attribuita, indistintamente, a tutti i soggetti che potrebbero ricavare eventuali ed incerti vantaggi dall'accoglimento della domanda»;

III) avuto riguardo alla prima delle condizioni dell'azione (ovvero il c.d. titolo o possibilità giuridica dell'azione o legittimazione al ricorso), si osserva che la medesima non è configurabile allorquando appaia finalizzata a tutelare interessi di mero fatto;

IV) nessuna posizione di interesse legittimo è enucleabile dall'esame della causa petendi di un ricorso che si risolve, all'evidenza, nella richiesta di tutela di un interesse materiale non iure, (nella specie vedere modellata l'organizzazione dei servizi pubblici comunali secondo le proprie aspirazioni socio economiche), se messo in relazione alle norme ed ai principi comunitari e nazionali che tutelano i valori della legalità, del libero mercato e della concorrenza;

V) tale conclusione è coerente con la funzione svolta dalle condizioni dell'azione nei processi di parte, innervati come sono dal principio della domanda e dal suo corollario rappresentato dal principio dispositivo; in particolare il c.d. titolo e l'interesse ad agire, assolvono una funzione di filtro in chiave deflattiva delle domande proposte al giudice, fino ad assumere l'aspetto di un controllo di meritevolezza dell'interesse sostanziale in gioco, alla luce dei valori costituzionali ed internazionali rilevanti, veicolati dalle clausole generali fondamentali sancite dagli artt. 24 e 111 Cost.; tale scrutinio di meritevolezza, costituisce, in quest'ottica, espressione del più ampio divieto di abuso del processo, inteso come esercizio dell'azione in forme eccedenti o devianti, rispetto alla tutela attribuita dall'ordinamento, lesivo del principio del giusto processo apprezzato come risposta alla domanda della parte secondo una logica che avversi ogni inutile e perdurante appesantimento del giudizio al fine di approdare attraverso la riduzione dei tempi della giustizia ad un processo che risulti anche giusto:

VI) l'interesse ad agire sancito dall'art. 100 c.p.c., da sempre considerato applicabile al processo amministrativo ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall'art. 39, comma 1, c.p.a. è scolpito nella sua tradizionale definizione di "bisogno di tutela giurisdizionale", nel senso che il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo; è dunque espressione di economia processuale, manifestando l'esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla concretezza ed attualità del danno (anche in termini di probabilità), alla posizione soggettiva di cui si invoca tutela; esso resta logicamente escluso quando sia strumentale alla definizione di questioni correlate a situazioni future e incerte perché meramente ipotetiche; sicché in tale frangente la pretesa ostesa in giudizio si rivela per quello che è, ovvero, una mera speranza al riesercizio futuro ed eventuale del potere amministrativo, inidonea a configurare l'interesse ad agire;

Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie osserva il collegio che:

g) non sussiste una lesione attuale e concreta della sfera giuridica dei ricorrenti che discenda, secondo una ragionevole prognosi ancorata a circostanze non meramente ipotetiche e future, dall'attuazione degli impugnati provvedimenti, tanto sulla scorta dell'analisi in astratto della causa petendi della domanda di annullamento;

h) i ricorrenti hanno fatto valere un interesse di mero fatto, basato su valutazioni di carattere politico ed economico (la cui apprezzabilità sfugge a questa sede), introducendo una sorte di azione popolare;

i) la legittimazione al ricorso non può trovare fondamento nelle norme del codice del consumo che prendono in considerazione il singolo rapporto di utenza e le criticità correlate, mentre nel caso di specie si contestano le scelte fondamentali del comune espressione di amplissima discrezionalità politica ed amministrativa; del resto, allorquando la legge ha voluto dare rilievo ad aspettative generali degli utenti dei servizi pubblici, lo ha fatto introducendo specifiche norme disciplinanti appositi strumenti di tutela con evidenti ricadute in ordine alla sussistenza dell'interresse ad agire e della legittimazione al ricorso (si pensi alla speciale azione in materia di efficienza delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici divisata dall'art. 1, d.lgs. n. 198 del 2009);

l) parimenti inconferente è il richiamo all'art. 79 dello Statuto posto che i ricorrenti non hanno in concreto dimostrato di aver partecipato alle contestate procedure o di aver chiesto di prendervi parte, eventualmente contestando i rifiuti dell'amministrazione, mercé la proposizione delle eventuali azioni di accesso e di silenzio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

a) rigetta l'appello e per l'effetto conferma l'impugnata sentenza;

b) condanna gli appellanti, in solido fra loro, a rifondere in favore di ciascuna delle parti costituite gli onorari del presente grado di giudizio che liquida nella misura complessiva di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge (I.V.A. e C.P.A.), cadauno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.