Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 29 gennaio 2014, n. 14740
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Napoli, investito, dal locale Giudice delle indagini preliminari, del giudizio immediato nei confronti di G. Stefano+14 per reati fallimentari, con ordinanza del 4 febbraio 2013 ha disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero, poiché non risultava espletato l'interrogatorio degli imputati per tutte le imputazioni elevate a loro carico (l'interrogatorio era stato omesso per i capi di imputazione in ordine ai quali il Giudice delle indagini preliminari non aveva accolto la richiesta di misura cautelare). Tale omissione, a giudizio del Tribunale, determina una nullità a regime intermedio, che è stata tempestivamente eccepita dai difensori e deve comportare la regressione dell'intero procedimento alla fase delle indagini preliminari, non essendo possibile separare i procedimenti relativi ai fatti non preceduti da interrogatorio, poiché la separazione degli stessi "comporterebbe notevoli difficoltà di verifica della fondatezza dell'accusa".
2. Contro il provvedimento suddetto ha presentato ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica c/o il Tribunale di Napoli per erronea applicazione degli artt. 453, 18 e 177 c.p.p. e per abnormità del provvedimento. Deduce, in primo luogo, che il controllo sulla sussistenza delle condizioni per l'accesso al rito è demandato al Giudice delle indagini preliminari e che tale controllo è stato in concreto esercitato, in maniera peraltro puntigliosa. Inoltre, che l'unico controllo possibile da parte del giudice del dibattimento è quello concernente l'espletamento del previo interrogatorio dell'imputato.
La verifica della sussistenza della condizione da ultimo richiamata deve essere condotta, però, a giudizio del Pubblico Ministero ricorrente, non con riferimento alle singole imputazioni (vale a dire, con riferimento alle qualificazioni o subqualificazioni operate nel capo d'imputazione) - come erroneamente ritenuto dal Tribunale - ma con riferimento ai "fatti" posti a fondamento di una misura cautelare (nel proc. immediato cd. cautelare) o dai quali emerge l'evidenza della prova (nel proc. immediato cd. probatorio). Ciò è in concreto avvenuto, afferma il ricorrente, in quanto gli imputati sono stati interrogati dal Giudice delle indagini preliminari sui fatti loro contestati, anche se per alcuni di essi il giudice della cautela non ha ravvisato la sussistenza delle condizioni per l'emissione della misura (ad eccezione del solo Z., nei cui confronti non fu adottata alcuna misura e che, per questo motivo, fu invitato a rendere l'interrogatorio dal Pubblico Ministero). L'erroneità dell'iter argomentativo seguito dal Tribunale si apprezza anche considerando, aggiunge il ricorrente, che il Tribunale non ha acquisito gli interrogatori espletati dal Giudice delle indagini preliminari, ma si è limitato ad un raffronto - di natura formale - tra le imputazioni per le quali era stata emessa la misura e quelle prive di supporto cautelare, evitando di esaminare, nel concreto, gli atti che pretendeva di giudicare; inoltre, considerando che nell'impostazione del Tribunale vi è confusione tra i concetti di "gravi indizi di colpevolezza" e di "evidenza della prova" (in quanto il G.I.P. avrebbe potuto non riconoscere, in una prima fase, la sussistenza della gravità indiziaria a fini cautelari e poi, rivalutata la questione, ritenere sufficiente l'evidenza probatoria ai fini del giudizio immediato).
In secondo luogo, censura, per abnormità, la decisione di far regredire alla fase delle indagini preliminari l'intero processo, anche per la parte che, secondo lo stesso Tribunale, era stata oggetto di rituale esercizio dell'azione penale. E ciò sul presupposto di una inscindibilità delle posizioni e delle imputazioni, che, secondo il Tribunale, imporrebbe la trattazione unitaria del procedimento, perché l'eventuale separazione di quelle sfuggite all'interrogatorio "comporterebbe notevoli difficoltà di verifica della fondatezza dell'accusa", laddove l'art. 18 c.p.p., richiamato dal Tribunale, preclude la separazione solo allorché il giudice ritenga la riunione "assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti".
3. Con memorie tempestivamente depositate nella cancelleria di questa Corte i difensori di Giancarlo T., Paolo B., Stefania V., Gaspare Giovanni A. e Manuela F. hanno chiesto il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero. I difensori di Stefania V., A. Giovanni e F. Manuela rappresentano anche che in data 11 ottobre 2013 e 9 ottobre 2013 è stato notificato agli imputati avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis c.p.p. che, preludendo all'esercizio dell'azione penale nei termini ordinari, costituisce rinuncia implicita da parte del Pubblico Ministero al giudizio immediato. Il difensore degli ultimi due presenta anche una sorta di ricorso incidentale e solleva questioni che attengono alla violazione degli artt. 453, comma 1, e 154, comma 1, c.p.p., nonché questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2-bis, c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, per essere stato emesso il decreto di giudizio immediato dallo stesso giudice che aveva disposto la misura cautelare a carico degli imputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. In conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, va qui ribadito il principio, certamente fuori discussione, che, una volta disposto il giudizio immediato, il giudice del dibattimento non può sindacare la sussistenza delle condizioni necessarie alla sua adozione, poiché non è previsto dalla disciplina processuale un controllo ulteriore rispetto a quello tipico (art. 455 c.p.p.) attribuito al giudice per le indagini preliminari al momento della decisione sulla richiesta di giudizio immediato. Pertanto, la decisione del giudice dibattimentale che pretendesse di sindacare la sussistenza di quelle condizioni sarebbe affetta da abnormità (nel senso dell'abnormità del provvedimento con il quale il giudice del dibattimento dichiari la nullità per qualsiasi causa del decreto che dispone il giudizio immediato ed ordini la restituzione degli atti al P.M., Sez. 4, n. 46761 del 25 ottobre 2007, Rv. 238506; Sez. 1, n. 23927 del 14 aprile 2004, Iorio, Rv. 228995; in relazione alla insindacabilità dei requisiti della "evidenza della prova" e del termine di novanta giorni per promuovere il giudizio immediato, Sez. 4, n. 39597 del 27 giugno 2007, dep. 26 ottobre 2007, Pierfederici, Rv. 237831; Sez. 5, n. 1245 del 21 gennaio 1998, dep. 31 gennaio 1998, Cusani, Rv. 210027; Sez. 5, n. 5154 del 19 febbraio 1992, dep. 4 maggio 1992, Fresta, Rv. 190067). Invero, il riconoscimento della possibilità del giudice del merito di sindacare il provvedimento del G.I.P. - che abbia accolto la richiesta di giudizio immediato avanzata dal P.M. - risulterebbe in contrasto con quelle "esigenze di celerità e di risparmio di risorse processuali" che caratterizzano il rito (confr. Corte cost., ord. n. 371 del 2002; Corte cost., ord. n. del 1992).
Questa Corte, conformemente alla previsione normativa, ha anche ribadito, però, che residua, in capo al giudice del dibattimento, e quindi anche in sede di legittimità, un potere-dovere di controllo dopo l'ammissione del rito immediato, ed è quello concernente l'espletamento del previo interrogatorio dell'indagato (ex multis, Cass., n. 6989 del 10 gennaio 2011).
Il problema che si pone in concreto è quello di stabilire, pertanto, se sia stato espletato l'interrogatorio degli imputati. Al quesito è stato dato dal Tribunale, correttamente, risposta negativa, giacché l'interrogatorio di cui all'art. 453 c.p.p., per dirsi espletato, deve riguardare tutti i fatti di reato addebitati all'imputato, e non solo una parte di essi. Pertanto, ove i fatti storici, indipendentemente dal loro inquadramento giuridico, siano diversi, su tutti deve espletarsi, previamente, l'interrogatorio in questione. Il giudizio immediato, infatti, in omaggio a esigenze di celerità del procedimento, sacrifica il diritto dell'indagato all'udienza preliminare ed ha, come logico contrapposto, il diritto di quest'ultimo al previo interrogatorio, funzionale sia alla verifica della evidenza della prova, sia al completo dispiegarsi del diritto di difesa. Per assolvere compiutamente a questa duplice funzione l'interrogatorio dell'indagato non può prescindere, però, dalla completa contestazione degli addebiti e dalla connessa facoltà, per l'indagato, di esporre compiutamente le proprie difese, giacché solo la contestazione, in forma esaustiva, dell'accusa consente all'interessato di interloquire in maniera significativa sui fatti oggetto di giudizio. A questa conclusione conducono anche evidenti esigenze di equità e l'esigenza di evitare facili aggiramenti della normativa, se, di fronte ad una molteplicità di addebiti, fosse consentito al titolare dell'azione penale di interrogare l'accusato solo per una parte di essi - magari di rilievo marginale - e promuovere, per tutti, il giudizio immediato.
Nel caso di specie gli imputati sono stati rinviati a giudizio, omessa l'udienza preliminare, per una serie di reati tra loro connessi, ma tra loro distanti sotto l'aspetto materiale e psicologico (associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, estorsione, corruzione, ricorso abusivo al credito, ecc.) senza che fossero stati interrogati, dal Giudice delle indagini preliminari o dal Pubblico Ministero, su tutti. Solo assertiva e tautologica è l'affermazione del Pubblico ministero ricorrente che gli imputati sono stati compiutamente interrogati (nel senso dianzi precisato), giacché nessuna prova, in merito, è stata fornita al giudice del dibattimento, né a questa Corte, come si evince sia dal tenore dell'ordinanza impugnata, sia dal tenore del ricorso proposto a questa Corte. Infatti, lo stesso ricorrente si duole che il Giudice del dibattimento non abbia previamente acquisito, per formulare il giudizio di sua competenza, gli interrogatori degli imputati (effettuati dal G.I.P.), ma non afferma che la loro acquisizione fosse stata richiesta dalla pubblica accusa e disattesa dal giudicante, né che gli interrogatori abbiano avuto ad oggetto tutte le imputazioni per cui è processo. Anzi, affermando che gli interrogatori furono espletati, dal G.I.P., solo sui fatti per cui era stata accolta la richiesta di misura cautelare, ammette che l'incombente non riguardò tutti i reati, ma solo quelli per cui furono applicate le misure. Deve qui allora ribadirsi che, essendo obbligo del Pubblico Ministero di promuovere il giudizio immediato solo quando siano venute ad esistenza tutte le condizioni richieste dall'art. 453 c.p.p. per il giudizio speciale, è suo onere dimostrare che interrogatorio ha avuto luogo, sia perché grava su di lui l'obbligo di rispetto della normativa processuale, sia perché spesso solo lui è in condizione di dimostrare che la principale condizione richiesta dall'art. 453 cit. si è verificata (per iniziativa sua o del Giudice delle indagini preliminari). Tanto non è avvenuto, per cui il primo motivo di doglianza va senz'altro disatteso.
2. È infondato anche il secondo motivo. Quando l'interrogatorio ha riguardato solo alcune delle imputazioni elevate a carico dell'imputato, sovviene, per il giudice, la regola dell'art. 18 c.p.p., secondo cui deve essere disposta la separazione dei procedimenti, salvo che il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti.
Nel caso di specie il Tribunale di Napoli ha ritenuto che il decreto di giudizio immediato fosse affetto da nullità parziale (perché l'interrogatorio non aveva riguardato tutte le imputazioni) ed ha disposto la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari. Ciò ha fatto, però, non perché ha ritenuto la "riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti", ma perché ha ritenuto che la separazione dei procedimenti "comporterebbe notevoli difficoltà di verifica della fondatezza dell'accusa". Si tratta di motivazione errata, giacché la separazione dei procedimenti è esclusa, nella voluntas legis, dalla impraticabilità dell'opzione in considerazione dei riflessi, gravemente negativi, sull'accertamento dei fatti, e non per le "difficoltà" di verifica della fondatezza dell'accusa. Tuttavia, il provvedimento non è abnorme, non ponendosi fuori dell'ordinamento (il Tribunale ha esercitato un potere a lui spettante), né determinando una stasi processuale, per cui non è consentito decretare il suo annullamento. La non impugnabilità, per il resto, del provvedimento in questione comporta che il ricorso del Pubblico Ministero è, sotto l'aspetto in esame, inammissibile.
3. Le questioni sollevate da Gaspare Giovanni A. e Manuela F. non possono essere prese in alcuna considerazione, posto che non esiste il "ricorso incidentale" di Cassazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.
Depositata il 28 marzo 2014.