Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 4 dicembre 2013, n. 6378
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 maggio 2013 la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza emessa ex art. 442 c.p.p. dal Tribunale di Alba in data 16 gennaio 2012 che, dichiarati prescritti i fatti commessi dal mese di luglio 2001 al mese di dicembre 2003 e assolto il sig. C. dai fatti del mese di novembre 2006, lo ha condannato alla pena di 16 giorni di reclusione e 60,00 euro di multa perché colpevole del reato continuato ex artt. 81 c.p. e 2 del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito in l. 11 novembre 1983, n. 638, modificata dal d.lgs. 24 marzo 1994, n. 211, commesso dal mese di marzo al mese di ottobre 2006.
2. Avverso tale provvedimento il sig. C. propone ricorso, in sintesi lamentando:
a. Errata applicazione di legge ai sensi dell'art. 606, lett. b), c.p.p. e vizio motivazionale ai sensi dell'art. 606, lett. e), c.p.p. con riguardo alle conseguenze della omessa notificazione dell'avviso di accertamento con correlato invito ad adempiere al versamento del dovuto, non potendosi ritenere valida la notificazione che si assume effettuata alla società di cui il ricorrente non era più amministratore a far data dal primo dicembre 2006;
b. Errata applicazione di legge ai sensi dell'art. 606, lett. b), c.p.p. e vizio motivazionale ai sensi dell'art. 606, lett. e), c.p.p. con riguardo all'elemento psicologico del reato, elemento su cui non è caduto alcun accertamento in relazione alla mancata notificazione dell'avviso di accertamento e alla conseguente possibilità di regolarizzazione da parte del ricorrente, costituendo detto avviso una condizione di procedibilità dell'azione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che l'esame debba prendere le mosse dalla rilevanza giuridica e dalle finalità della contestazione amministrativa che deve precedere l'esercizio dell'azione penale. Sul punto va richiamato il principio fissato dalle Sezioni Unite penali (sentenza n. 1855/2012, ud. 24 novembre 2011) e chiaramente esposto al punto 9 della motivazione, in cui si afferma:
"Conclusivamente si deve affermare sul punto che l'art. 2, comma 1-bis, secondo periodo, l. n. 638 del 1983, introdotto dall'art. 1 d.lgs. n. 211 del 1994, ha modificato i termini e le modalità di operatività della causa di non punibilità già prevista dalla normativa previgente, introducendo, prima dell'invio della notitia criminis, un meccanismo, costituito dalla contestazione o notifica dell'accertamento della violazione, finalizzato ad agevolare la definizione del contenzioso in sede amministrativa, nel termine all'uopo concesso al datore di lavoro, senza introdurre una condizione di procedibilità del reato. A ben vedere il comma 1-ter del citato art. 2, secondo il quale "la denuncia di reato è presentata o trasmessa senza ritardo dopo il versamento di cui al comma 1-bis ovvero decorso inutilmente il termine ivi previsto" costituisce solo una deroga all'obbligo di riferire, "senza ritardo" - peraltro il termine è ripetuto nello stesso comma 1-ter - la notizia di reato al pubblico ministero, imposto alla polizia giudiziaria dall'art. 347 c.p.p. e, in generale, al pubblico ufficiale dall'art. 331, comma 2, c.p.p., posponendone l'adempimento. Sicché non vi è ragione di dubitare che il pubblico ministero eserciti ritualmente l'azione penale per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali anche se non si sia perfezionato il procedimento per la definizione del contesto in sede amministrativa, così come esercita l'azione penale per i fatti costituenti reato di cui sia venuto a conoscenza aliunde rispetto ai meccanismi di informazione previsti dai citati art. 347 e 331 c.p.p.".
2. Escluso, dunque, che si sia in presenza di una condizione di procedibilità, rimane fermo il diritto del datore di lavoro ad essere messo in concreto in condizione di esercitare la possibilità di sanare il debito. Sul punto la sentenza delle Sezioni Unite conclude che a tale diritto corrispondono specifici obblighi per l'ente previdenziale e per l'autorità giudiziaria. In sintesi (punto 10 della motivazione), esiste un conseguente "obbligo, secondo la formulazione dell'art. 2, comma 1-bis, da parte dell'ente previdenziale di rendere noto, nelle forme previste dalla norma, al datore di lavoro l'accertamento delle violazioni, nonché le modalità e termini per eliminare il contenzioso in sede penale... Incombe, perciò, in primo luogo sull'ente previdenziale l'obbligo di assicurare la regolarità della contestazione o della notifica dell'accertamento delle violazioni e attendere il decorso del termine di tre mesi, in caso di inadempimento, prima di trasmettere la notizia di reato al pubblico ministero. Sarà, poi, compito dello stesso pubblico ministero verificare che l'indagato sia stato posto concretamente in condizione di esercitare la facoltà di fruire della causa di non punibilità, notiziando, nel caso di esito negativo di detta verifica, l'ente previdenziale perché adempia all'obbligo di contestazione o di notifica dell'accertamento delle violazioni imposto dall'art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983... Analogamente, il giudice di entrambi i gradi di merito dovrà provvedere alla verifica che l'imputato sia stato posto in condizione di fruire della causa di non punibilità, accogliendo, in caso di esito negativo, l'eventuale richiesta di rinvio formulata dall'imputato, finalizzata a consenti[r]gli di provvedere al versamento delle ritenute, tenuto conto che la legge già prevede la sospensione del decorso della prescrizione per il periodo di tre mesi concesso al datore di lavoro per il versamento, sicché tale sospensione giustifica il rinvio del dibattimento anche in assenza di una espressa previsione normativa. Per dare concretezza ed effettività all'esercizio della facoltà da parte dell'imputato di effettuare il versamento delle ritenute all'ente previdenziale si deve rilevare che l'avviso dell'accertamento inviato dall'ente al datore di lavoro contiene l'indicazione del periodo cui si riferisce l'omesso versamento delle ritenute ed il relativo importo, la indicazione della sede dell'ente presso il quale deve essere effettuato il versamento entro il termine di tre mesi all'uopo concesso dalla legge e l'avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità. Per avere la certezza, quindi, che l'imputato sia stato posto in grado di fruire della causa di non punibilità il giudice di merito, così come prima di lui il pubblico ministero, dovranno verificare, nel caso di omessa notifica dell'accertamento, se l'imputato sia stato raggiunto in sede giudiziaria da un atto di contenuto equipollente all'avviso dell'ente previdenziale che gli abbia consentito, sul piano sostanziale, di esercitare la facoltà concessagli dalla legge".
4. Al termine del discorso così sviluppato la sentenza citata fissa al punto 11 il seguente principio e trae da esso le conseguenze di seguito riportate:
"11. Al quesito posto alle Sezioni Unite, avente ad oggetto la possibile equivalenza del decreto di citazione a giudizio alla notifica dell'avviso di accertamento delle violazioni, pertanto, deve essere data risposta nel senso che "il decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dell'avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all'imputato, contiene gli elementi essenziali del predetto avviso". Consegue da quanto rilevato che deve essere ritenuto tempestivo, ai fini del verificarsi della causa di non punibilità, il versamento delle ritenute previdenziali effettuato dall'imputato nel corso del giudizio, allorché risulti che lo stesso non ha ricevuto dall'ente previdenziale la contestazione o la notifica dell'accertamento delle violazioni o non sia stato raggiunto nel corso del procedimento penale da un atto che contenga gli elementi essenziali dell'avviso di accertamento, come precisati. Se, poi, il procedimento sia pervenuto in sede di legittimità, senza che l'imputato sia stato posto in grado di fruire della causa di non punibilità, deve essere disposto l'annullamento con rinvio della sentenza per consentirgli di fruire della facoltà concessa dalla legge".
5. Così ricostruiti la "ratio" del meccanismo fissato dalla legge e le relative modalità di attuazione, questa Corte deve affrontare il tema della validità della comunicazione effettuata dall'ente territoriale al ricorrente odierno.
6. Ricordato che la citata sentenza delle Sezioni Unite ha chiarito che per l'ente previdenziale sussiste un obbligo di notificazione che segue le regole ordinarie e può avere adempimento a mezzo del servizio postale, deve concordarsi col ricorrente allorché censura la validità di una comunicazione effettuata presso la sede della società in epoca successiva alla data di cui egli è cessato dalla carica di amministratore. In effetti, essendo la responsabilità penale caratterizzata da personalità, va escluso che gli obblighi e gli adempimenti richiesti alla persona giuridica siano sovrapponibili a quelli della persona fisica che non è (più) legata alla persona giuridica da rapporti di immedesimazione o rappresentanza formale.
7. In altri termini, può qui affermarsi il principio che mentre la comunicazione indirizzata dall'ente previdenziale all'interessato può considerasi validamente effettuata presso sede della persona giuridica qualora permanga in capo allo stesso il rapporto di rappresentanza o un rapporto organico con la stessa, non altrettanto può dirsi per l'ipotesi che tali rapporti siano cessati e non risulti così rispettato il diritto della persona a essere informato dall'ente previdenziale circa l'esistenza dell'inadempimento e ad attivarsi utilmente al fine di evitare le relative conseguenze penali. In tale ipotesi, dunque, la comunicazione deve essere inoltrata dall'ente previdenziale all'ex amministratore personalmente, il che non toglie che sul piano operativo la comunicazione possa essere effettuata presso entrambi gli indirizzi (persona giuridica debitrice e persona fisica potenzialmente perseguibile in sede penale).
8. Consegue a tale conclusione che nel caso in esame sussiste la violazione del diritto del ricorrente, così come interpretato dalla citata decisione delle Sezioni Unite, e va rilevato che si è in presenza di violazione che non risulta avere trovato rimedio nei successivi adempimenti posti in essere nella fase d'indagine e nei gradi del processo. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino affinché, nel rispetto dei principi fissati con la presente decisione, si proceda a nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.
Depositata l'11 febbraio 2014.