Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 19 dicembre 2009, n. 26806
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione depositato in data 8 aprile 2005 la Procura regionale della Corte dei Conti per la Lombardia evocava in giudizio G. Luigi, in qualità di amministratore delegato di Enel Power s.p.a., C. Antonino, in qualità di amministratore delegato di Enel distribuzione s.p.a., C. Gabriele, in qualità di vicepresidente pro tempore di Enel Power s.p.a. ed A. Vito, dipendente di Enel s.p.a. fino al 30 novembre 2000 e poi in rapporto di collaborazione coordinata con Enel Power fino all'11 giugno 2003, e ne chiedeva la condanna al risarcimento per complessivi Euro 62.442.681,01, in relazione a molteplici condotte illecite dai medesimi tenute, consistenti nell'avere concordato ed accettato indebite dazioni di denaro al fine di favorire le imprese costruttrici nell'aggiudicazione e successiva gestione di appalti in danno di società pubbliche. I fatti venivano desunti dagli atti del procedimento penale e dalle dichiarazioni confessorie rese dai convenuti.
Con sentenza del 9 novembre 2005, la Sezione regionale di I grado della Corte dei Conti accoglieva solo parzialmente la domanda risarcitoria, sia con riferimento al danno patrimoniale diretto che al danno all'immagine.
Proponevano appello i convenuti ed appello incidentale il Procuratore regionale.
La Sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti, con sentenza depositata il 3 dicembre 2008, rigettava gli appelli dei convenuti, accogliendo solo parzialmente l'appello dell'A., quanto al danno all'immagine, condannando lo stesso per tale titolo al pagamento di Euro 100.000,00.
La Sezione centrale della Corte dei conti affermava, come già il primo giudice, la sua giurisdizione, ritenendo ipotizzabile la responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti di s.p.a. a partecipazione azionaria pubblica ed effettivamente sussistente la stessa nella fattispecie.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione G. Luigi, C. Antonino, C. Gabriele, nonché ricorso incidentale A. Vito.
Resiste con controricorso il P.G. presso la Corte dei Conti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi.
Con il primo motivo dei rispettivi ricorsi, sostanzialmente simili, i ricorrenti C., G. e C., lamentano, ai sensi dell'art. 360, n. 1, c.p.c., la violazione degli artt. 1 l. n. 20/1994, 3 e 7, l. n. 97/2001, dell'art. 81, r.d. n. 2440/1923 e 52 r.d. 1234/1214, per avere la Corte dei Conti affermato la sussistenza della responsabilità amministrativa di essi amministratori di s.p.a. a partecipazione pubblica, mentre tale responsabilità non era ipotizzabile, segnatamente tenuto conto che l'Enel svolgeva attività di impresa su mercati liberi e concorrenziali, esercitata con finalità di lucro e senza finalità pubblicistiche, con conseguente difetto di giurisdizione della Corte dei Conti.
1.2. Con il primo motivo del ricorso incidentale l'A. lamenta la violazione delle norme che disciplinano la giurisdizione della Corte dei Conti (artt. 1 l. n. 20/1994, 3 e 7, l. n. 97/2001, dell'art. 81, r.d. n. 2440/1923 e 52 r.d. 1234/1214), assumendo il difetto di giurisdizione del giudice contabile nei confronti di esso incaricato di una s.p.a., per quanto facente parte di un gruppo societario la cui capogruppo, sempre una s.p.a., sia qualificabile come impresa pubblica.
2. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi a norma dell'art. 335 c.p.c.
Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di una s.p.a. cosiddetta "in mano pubblica" si applichino le norme di diritto societario o se dalla presenza di capitali pubblici consegua invece l'assoggettamento di questi soggetti alle norme proprie della responsabilità amministrativa, con la conseguente giurisdizione della Corte dei Conti.
Il problema non è quello di definire se, come e quando una s.p.a. "pubblica" risponda, come persona giuridica per danno erariale ad una P.A., ma si tratta di stabilire sulla base di quale statuto gli amministratori o i dipendenti di una s.p.a. "pubblica" rispondano dei danni ad essa direttamente prodotti ed indirettamente riflessi sulla p.a., in quanto titolare della partecipazione azionaria.
La differenza è rilevante, se si considera che nel primo caso la s.p.a. "pubblica" è il soggetto responsabile del danno che deve risarcire con il proprio patrimonio sociale, nel secondo caso essa diviene il soggetto danneggiato il cui patrimonio deve essere reintegrato.
Vanno, quindi, fissati alcuni principi generali.
3.1. Com'è noto, il limite esterno della giurisdizione della Corte dei conti, sul quale le sezioni unite della Corte di cassazione sono chiamate a pronunciarsi, ha rilevanza costituzionale: discende dal disposto dell'art. 103, comma secondo, della Costituzione, a tenore del quale "la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge". Al di fuori delle materie di contabilità pubblica, e quindi anche in tema di responsabilità, occorre dunque che la giurisdizione della Corte dei conti abbia il suo fondamento in una specifica disposizione di legge.
In termini generali, il contenuto ed i limiti della giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità trovano la loro base normativa nella previsione dell'art. 13 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, secondo cui la corte giudica sulla responsabilità per danni arrecati all'erario da pubblici funzionari nell'esercizio delle loro funzioni. Tali limiti sono stati successivamente ampliati dall'art. 1, quarto comma, della l. 14 gennaio 1994, n. 20, che ha esteso il giudizio della Corte dei conti alla responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici anche per danni cagionati ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza. La giurisdizione di detta corte non è quindi circoscritta alla sola ipotesi di responsabilità contrattuale dell'agente, ma può esplicarsi anche in caso di responsabilità aquiliana.
3.2. In passato i limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti, al pari di quella del giudice amministrativo, erano però (relativamente) più agevoli da tracciare: la più netta distinzione tra l'area del pubblico e quella del privato, la normale corrispondenza tra la natura pubblica dell'attività svolta dall'agente ed il suo organico inserimento nei ranghi della pubblica amministrazione, la conseguente più agevole demarcazione di confini, tra l'agire dell'amministrazione in forza della potestà pubblica ad essa spettante e per le finalità tipicamente a questa connesse ed il suo agire invece iure privatorum: erano tutti elementi che facilitavano anche l'individuazione dei limiti esterni della giurisdizione in esame.
La più recente evoluzione dell'ordinamento ha reso ora questi confini assai meno chiari, da un lato incanalando sovente le finalità della pubblica amministrazione in ambiti tipicamente privatistici, dall'altro affidando con maggiore frequenza a soggetti privati la realizzazione di finalità una volta ritenute di pertinenza esclusiva degli organi pubblici.
In quest'ottica anche le sezioni unite della Cassazione, per evitare il rischio di un sostanziale svuotamento - o almeno di un grave indebolimento - della giurisdizione della corte contabile in punto di responsabilità, ha teso a privilegiare un approccio più "sostanzialistico", sostituendo ad un criterio eminentemente soggettivo, che identificava l'elemento fondante della giurisdizione della Corte dei conti nella condizione giuridica pubblica dell'agente, un criterio oggettivo che fa leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate.
Si è perciò affermato che, quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, occorre aver riguardo al rapporto di servizio tra l'agente e la pubblica amministrazione, ma che per tale può intendersi anche una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all'amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un'attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell'atto di investitura - provvedimento, convenzione o contratto - né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica (Sez. un. 3 luglio 2009, n. 15599; 31 gennaio 2008, n. 2289; 22 febbraio 2007, n. 4112; 20 ottobre 2006, n. 22513; 5 giugno 2000, n. 400; Sez. un., 30 marzo 1990, n. 2611, ed altre conformi).
L'affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un servizio pubblico integra quindi una relazione funzionale incentrata sull'inserimento del soggetto medesimo nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico e ne implica, conseguentemente, l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, a prescindere dalla natura privatistica dello stesso soggetto e dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il rapporto (Sez. un. 27 settembre 2006, n. 20886; 1° aprile 2008, n. 8409; 1° marzo 2006, n. 4511; 19 febbraio 2004, n. 3351), anche se l'estraneo venga investito solo di fatto dello svolgimento di una data attività in favore della pubblica amministrazione (Sez. un. 9 settembre 2008, n. 22652) ed anche se difetti una gestione del danaro secondo moduli contabili di tipo pubblico o secondo procedure di rendicontazione proprie della giurisdizione contabile in senso stretto (Sez. un. 12 ottobre 2004, n. 20132). Lo stesso dicasi per l'accertamento della responsabilità erariale conseguente all'illecito o indebito utilizzo, da parte di una società privata, di finanziamenti pubblici (Sez. un. 5 giugno 2008, n. 14825, e Sez. un., n. 4511/06, cit.); o per la responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un'opera pubblica, quando la concessione investe il privato dell'esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell'amministrazione, onde egli agisce per le finalità proprie di quest'ultima (Sez. un., n. 4112/07, cit.).
Nella medesima ottica, a partire dal 2003, le sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto spettare alla Corte dei conti, dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, ultimo comma, della l. n. 20 del 1994, la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto la responsabilità di privati funzionari di enti pubblici economici (quali, ad esempio, i consorzi per la gestione di opere) anche per i danni conseguenti allo svolgimento dell'ordinaria attività imprenditoriale e non soltanto per quelli cagionati nell'espletamento di funzioni pubbliche o comunque di poteri pubblicistici (Sez. un., 22 dicembre 2003, n. 19667). Si è sottolineato che si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie dell'amministrazione pubblica mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato; con la conseguenza - si è precisato - che, nell'attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato - nel quale si colloca la condotta produttiva del danno (Sez. un., 25 maggio 2005, n. 10973; 20 giugno 2006, n. 14101; 1° marzo 2006, n. 4511; Cass. 15 febbraio 2007, n. 3367).
3.3. Se quanto appena osservato vale certamente per gli enti pubblici economici, i quali restano nell'alveo della pubblica amministrazione pur quando eventualmente operino imprenditorialmente con strumenti privatistici, è da stabilire entro quali limiti alla medesima conclusione si debba pervenire anche nel diverso caso della responsabilità di amministratori di società di diritto privato partecipate da un ente pubblico. Le quali non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico.
Il codice civile dedica alla società per azioni a partecipazione pubblica solo alcune scarne disposizioni, oggi contenute nell'art. 2449 (come modificato dall'art. 13 della l. 25 febbraio 2008, n. 34, a seguito della pronuncia della Corte giustizia delle Comunità europee, 6 dicembre 2007, n. 463/04), essendo stato il successivo art. 2450 ormai abrogato dall'art. 3, primo comma, del d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito con modificazioni dalla l. 6 aprile 2007, n. 46. Ma siffatte residue disposizioni del codice non valgono a configurare uno statuto speciale per dette società (spesso, viceversa, interessate da norme speciali, non sempre tra loro ben coordinate), salvo per i profili inerenti alla nomina e revoca degli organi sociali, specificamente ivi contemplati, né comunque investono il tema della responsabilità di detti organi, che resta quindi disciplinato dalle ordinarie norme previste dal codice civile a questo riguardo, com'è confermato dalla immutata indicazione del secondo comma del citato art. 2449, a tenore del quale anche i componenti degli organi amministrativi e di controllo di nomina pubblica "hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea". Né pare dubbio che quest'ultimo principio valga anche per le società a responsabilità limitata eventualmente partecipate da un ente pubblico, in difetto di qualsiasi specifica disposizione del codice che se ne occupi.
Se ne è desunto - anche alla luce di quanto espressamente indicato nella relazione ("È lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici") - che la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta. Dall'identità dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico, logicamente perciò discende la responsabilità di detti organi nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi termini - contemplati dagli artt. 2392 e segg. del codice - in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata.
3.4. È innegabile, nondimeno, che si possano determinare dei problemi quando il modello giuridico-formale prescelto entra in tensione con il fenomeno economico sottostante, come non di rado accade proprio nel caso in cui lo Stato o altro ente pubblico assume una partecipazione in una società per perseguire in tal modo finalità di rilevanza pubblica.
Ne è testimone, in certa misura, la sentenza delle sezioni unite 26 febbraio 2004, n. 3899, che, dopo aver ribadito il principio per cui una società per azioni costituita con capitale maggioritario del comune in vista dello svolgimento di un servizio pubblico ha una relazione funzionale con l'ente territoriale, caratterizzata dall'inserimento della società medesima nell'iter procedimentale dell'ente locale e dal conseguente rapporto di servizio venutosi così a determinare, ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti nelle controversie in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale riguardanti gli amministratori ed i dipendenti di una siffatta società. La portata di tale affermazione non risulta però del tutto univoca: perché nella medesima sentenza si ha cura di specificare, per un verso, che l'elemento determinante della decisione era costituito, in quel caso, dal rapporto di servizio intercorrente tra la società privata ed il comune (piuttosto che dal rapporto partecipativo e dal conseguente investimento di risorse finanziarie pubbliche nel patrimonio della società privata) e, per altro verso, che la questione se il danno subito dal comune partecipante alla società fosse diretto, o meramente riflesso, rispetto a quello arrecato al patrimonio sociale, costituiva un profilo estraneo al giudizio sui limiti della giurisdizione.
Proprio quest'ultimo profilo sembra invece meritare un ulteriore approfondimento, potendo assumere carattere decisivo ai fini che qui interessano.
3.5. In primo luogo, non sembra si possa prescindere dalla distinzione tra la posizione della società partecipata, cui eventualmente fa capo il rapporto di servizio instaurato con la pubblica amministrazione, e quella personale degli amministratori (nonché dei sindaci o degli organi di controllo della stessa società): i quali, ovviamente, non s'identificano con la società, sicché nulla consente di riferire loro, sic et simpliciter, il rapporto di servizio di cui la società medesima sia parte.
Quanto appena osservato non vale però a chiudere ogni possibile spazio alla giurisdizione della Corte dei conti in ordine ad eventuali comportamenti illegittimi imputabili agli organi delle società a partecipazione pubblica, dai quali sia scaturito un danno per il socio pubblico.
S'è già prima accennato vuoi alla possibilità che tale giurisdizione sia riferita anche ad ipotesi di responsabilità aquiliana, vuoi alla possibilità che essa si configuri pure in difetto di una formale investitura pubblica dell'agente. Entra allora in gioco un ulteriore importante elemento normativo, cui finora non si è fatto riferimento ma che occorre adesso prendere in considerazione. Si allude alla disposizione dell'art. 16 bis della l. 28 febbraio 2008, n. 31 (che ha convertito il d.l. 31 dicembre 2007, n. 248), così concepita: "Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario".
Tale norma, benché la sua applicazione ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione sia espressamente esclusa, assume un evidente significato retrospettivo, nella misura in cui lascia chiaramente intendere che, in ordine alla responsabilità di amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblica, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria. Non si capirebbe, altrimenti, la ragione per la quale il legislatore ha inteso stabilire che, per l'avvenire (e limitatamente alle società quotate, o loro controllate, con partecipazione pubblica inferiore al 50%), la giurisdizione spetta invece in via esclusiva proprio al giudice ordinario.
Resta però da verificare entro quali limiti, al di fuori del ristretto campo d'applicazione della disposizione da ultimo richiamata, sia davvero configurabile la giurisdizione del giudice contabile che il legislatore ha in tal modo presupposto in rapporto ad atti di mala gestio degli organi di società a partecipazione pubblica.
In difetto di norme esplicite in tal senso (e fatta salva la specificità di singole società a partecipazione pubblica il cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis, come nel caso della Rai), è ai principi generali ed alle linee portanti del sistema che occorre aver riguardo. Ed è proprio in quest'ottica che assume rilievo decisivo la già accennata distinzione tra la responsabilità in cui gli organi sociali possono incorrere nei confronti della società (prevista e disciplinata, per le società azionarie, dagli artt. 2393 e segg. e, per le società a responsabilità limitata, dal primo, terzo, quarto e quinto comma dell'art. 2476 c.c.) e la responsabilità che essi possono assumere direttamente nei confronti di singoli soci o terzi (prevista e disciplinata, per le società azionarie, dall'art. 2395 e, per le società a responsabilità limitata, dal sesto comma del citato art. 2476).
3.6. In tale ultimo caso la configurabilità dell'azione del procuratore contabile, tesa a far valere la responsabilità dell'amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall'ente pubblico quando questo sia stato direttamente danneggiato dall'azione illegittima, non incontra particolari ostacoli (né si pongono difficoltà derivanti dalla possibile concorrenza di siffatta azione con quella ipotizzata in sede civile dai citati artt. 2395 e 2476, sesto comma, poiché l'una e l'altra mirerebbero in definitiva al medesimo risultato).
Non importa qui indagare sulla natura dell'indicata responsabilità: se essa abbia carattere extracontrattuale (come la giurisprudenza è per lo più incline a ritenere: si vedano, tra le altre, Cass. 5 agosto 2008, n. 21130; 25 luglio 2007, n. 16416; e 3 aprile 2007, n. 8359) o se pur sempre presupponga la violazione di un preesistente obbligo di corretto comportamento dell'amministratore e del componente dell'organo di controllo anche nei diretti confronti di ciascun singolo socio (onde alcune autorevoli voci di dottrina ravvisano anche in tal caso un'ipotesi di responsabilità almeno lato sensu contrattuale). Quel che appare certo è che la presenza dell'ente pubblico all'interno della compagine sociale ed il fatto che la sua partecipazione sia strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed abbia implicato l'impiego di pubbliche risorse non può sfuggire agli organi della società e non può non comportare, per loro, una peculiare cura nell'evitare comportamenti tali da compromettere la ragione stessa di detta partecipazione sociale dell'ente pubblico o che possano comunque direttamente cagionare un pregiudizio al patrimonio di quest'ultimo.
Tipico esempio di questa situazione è il danno all'immagine dell'ente pubblico (su cui si veda Sez. un. 20 giugno 2007, n. 14297) che derivi da atti illegittimi posti in essere dagli organi della società partecipata: danno che può eventualmente prodursi immediatamente in capo a detto ente pubblico, per il fatto stesso di essere partecipe di una società in cui quei comportamenti illegittimi si siano manifestati, e che non s'identifica con il mero riflesso di un pregiudizio arrecato al patrimonio sociale (indipendentemente dall'essere o meno configurabile e risarcibile anche un autonomo e distinto danno all'immagine della medesima società).
Nessun dubbio, quindi, sulla sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti in un'ipotesi siffatta; e se ne trae conferma anche dal disposto dell'art. 17, comma 30-ter, della l. 3 agosto 2009, n. 102 (quale risulta dopo le modifiche apportate dal d.l. in pari data, n. 103, convertito con ulteriori modificazioni nella l. 3 ottobre 2009, n. 141), che disciplina e limita le modalità dell'azione della magistratura contabile appunto in caso di danno all'immagine, nelle ipotesi previste dall'art. 7 della l. 27 marzo 2001, n. 97, ossia in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nel precedente art. 3 della stessa legge, compresi quelli "di enti a prevalente partecipazione pubblica". Non si vede come la medesima regola stabilita per i dipendenti non debba valere anche per gli amministratori e gli orgni di controllo della società a partecipazione pubblica.
3.7. Ad opposta conclusione si deve invece pervenire nel caso in cui l'azione sia proposta per reagire ad un danno cagionato al patrimonio della società.
Non solo, come detto, non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l'ente pubblico partecipante e l'amministratore (o componente di un organo di controllo) della società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso dall'atto di mala gestio, ma neppure sussiste in tale ipotesi un danno qualificabile come danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della suindicata società sia socio. La ben nota distinzione tra la personalità giuridica della società di capitali e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale dell'una rispetto agli altri non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l'illegittimo comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dell'ente: patrimonio che è e resta privato.
È certo vero che il danno sofferto dal patrimonio della società è per lo più destinato a ripercuotersi anche sui soci, incidendo negativamente sul valore o sulla redditività della loro quota di partecipazione; ma - fatte salve le limitate eccezioni oggi introdotte dall'art. 2497 c.c. (come modificato dal d.lgs. n. 6 del 2003), in tema di responsabilità dell'ente posto a capo di un gruppo di imprese societarie, che qui non rilevano - il sistema del diritto societario impone di tener ben distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio (o del terzo) da quelli che siano il mero riflesso di danni sofferti dalla società.
Dei danni diretti, cioè di quelli prodotti immediatamente nella sfera giuridico-patrimoniale del socio e che non consistano nella semplice ripercussione di un danno inferto alla società, solo il socio stesso è legittimato a dolersi; di quelli sociali, invece, solo alla società compete il risarcimento, di modo che per il socio anche il ristoro è destinato a realizzarsi unicamente nella medesima maniera indiretta in cui si è prodotto il suo pregiudizio (principio pacifico: si vedano, ex multis, Cass. 5 agosto 2008, n. 21130; 3 aprile 2007, n. 8359; 27 giugno 1998, n. 6364; e 28 febbraio 1998, n. 2251).
Si capisce, allora, come il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all'azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti: perché non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci - pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nell'unico patrimonio sociale.
L'esattezza di tale conclusione trova conferma anche nell'impossibilità di realizzare, altrimenti, un soddisfacente coordinamento sistematico tra l'ipotizzata azione di responsabilità dinanzi giudice contabile e l'esercizio delle surriferite azioni di responsabilità (sociale e dei creditori sociali) contemplate dal codice civile. L'azione del procuratore contabile ha presupposti e caratteristiche completamente diverse dalle azioni di responsabilità sociale e dei creditori sociali contemplate dal codice civile: basta dire che l'una è obbligatoria, le altre discrezionali; l'una ha finalità essenzialmente sanzionatoria (onde non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla mala gestio dell'amministratore o dall'omesso controllo del vigilante), le altre hanno scopo ripristinatorio; l'una richiede il dolo o la colpa grave, e solo in determinati casi è esercitabile anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno; per le altre è sufficiente anche la colpa lieve ed il debito risarcitorio è pienamente trasmissibile agli eredi.
D'altronde, almeno in tutti i casi nei quali vi siano anche soci privati la cui partecipazione è suscettibile di subire danno per effetto del comportamento illegittimo degli organi sociali, sarebbe impossibile escludere l'esperibilità degli ordinari strumenti di tutela approntati dal codice civile a beneficio della società (e dei soci privati, nonché eventualmente dei creditori).
E però, se si ipotizzasse il possibile concorso tra l'azione del procuratore contabile e l'azione sociale di responsabilità contemplata dal codice civile, occorrerebbe poter individuare il modo di disciplinare tale concorso, stante la descritta diversità delle rispettive caratteristiche delle differenti azioni.
L'assenza del benché minimo abbozzo di coordinamento normativo in proposito suona palese conferma della non configurabilità, in simili situazioni, di un'azione diversa da quelle previste dal codice civile, che sia destinata a ricadere nella giurisdizione del giudice contabile.
3.8. Giova ancora aggiungere che l'esclusione dell'ipotizzata giurisdizione del giudice contabile per l'azione di risarcimento di danni cagionati al patrimonio della società partecipata da un ente pubblico neppure provoca, a ben vedere, il rischio di una lacuna nella tutela dell'interresse pubblico coinvolto nella descritta situazione.
Nell'attuale disciplina della società azionaria - ed in misura ancor maggiore in quella della società a responsabilità limitata - l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, in caso di mala gestio imputabile agli organi della società, non è più monopolio dell'assemblea e non è più, quindi, unicamente rimessa alla discrezionalità della maggioranza dei soci. Una minoranza qualificata dei partecipanti alla società azionaria (art. 2393-bis c.c.) ed addirittura ciascun singolo socio della società a responsabilità limitata (art. 2476, terzo comma, c.c.) sono infatti legittimati ad esercitare tale azione (anche nel proprio interesse, ma a beneficio della società) eventualmente sopperendo all'inerzia della maggioranza. Ne consegue che, trattandosi di società a partecipazione pubblica, il socio pubblico è di regola in grado di tutelare egli stesso i propri interessi sociali mediante l'esercizio delle suindicate azioni civili. Se ciò non faccia e se, in conseguenza di tale omissione, l'ente pubblico abbia a subire un pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente prospettabile l'azione del procuratore contabile nei confronti (non già dell'amministratore della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti) di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio ed abbia perciò pregiudicato il valore della partecipazione. Ed è ovvio che, con riguardo ad un'azione siffatta, vi sia piena competenza giurisdizionale della Corte dei conti.
4.1. Sulla base dei suddetti principi la questione della giurisdizione ha semplice soluzione.
La Corte dei conti ha pronunziato sentenza nei confronti degli attuali ricorrenti C., G., e C. per danni diretti al patrimonio delle Società, conseguenti all'aggiudicazione delle gare d'appalto, a condizioni meno vantaggiose per l'impresa appaltante ovvero al recupero da parte dell'impresa aggiudicataria della dazione illecita nel corso dell'esecuzione del contratto ovvero mediante la c.d. retrocessione dei corrispettivi contrattuali convenuti, nonché per il danno patrimoniale da disservizio costituito dalle spese sostenute dalle società (Enelpower o Enel produzione) per ripristinare l'efficienza lesa.
Quanto all'A., questi egualmente è stato condannato al risarcimento di danni subiti direttamente dal patrimonio della società Enelpower in relazione a consulenze, ad aoutsorcing e ad un contratto dell'Enelpower con la società croata Centro Promed Doo.
Tutti e quattro i ricorrenti sono stati poi condannati al pagamento del danno all'immagine subito Enel s.p.a., Enel Produzione S.p.a. ed Enelpower s.p.a.
Si tratta, all'evidenza, di tutti danni direttamente subiti dalla società.
4.2. Ne consegue che per le domande relative a tali danni va esclusa la giurisdizione della corte dei conti, dovendosi affermare la giurisdizione del giudice ordinario.
La giurisdizione della Corte dei conti era configurabile nei confronti di chi, all'interno dell'ente pubblico partecipante, avesse omesso di adottare, essendo chiamato a farlo, un comportamento volto all'esercizio da parte del socio - pubblica amministrazione - dell'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori, con conseguente danno della società partecipata e, dunque, dell'ente pubblico partecipante.
5.1. Invece va affermata la giurisdizione delle Corte dei conti solo relativamente alla condanna di risarcimento del danno all'immagine subita dal Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Rientra nella giurisdizione della Corte dei conti l'azione di responsabilità per il danno arrecato all'immagine dell'ente da organi della società partecipata. Infatti, tale danno, anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla pubblica amministrazione, è suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso (Cass. civ., Sez. Unite, 2 aprile 2007, n. 8098).
5.2. Non può essere accolta la tesi sostenuta dai ricorrenti G. e C., secondo cui, in applicazione dell'art. 1 del d.l. n 103/2009, contenente modificazioni al d.l. n. 78/2009, va dichiarato il difetto di giurisdizione per ogni tipo di danno all'immagine, in quanto tale danno potrebbe essere liquidato solo nei casi e nei modi di cui all'art. 7 l. n. 97/2001, e cioè in presenza di una sentenza penale irrevocabile di condanna per delitto contro la p.a., che nella fattispecie mancherebbe.
Infatti, a parte altri rilievi, come rilevano gli stessi ricorrenti la norma nella sua formulazione letteraria fa salvi gli atti posti in essere dalla procura della Corte dei Conti nel caso in cui, alla data di entrata in vigore del decreto legge convertito, fosse già intervenuta una sentenza nell'ambito del giudizio sottoposto alla cognizione del giudice contabile.
6. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente C. lamenta la violazione dell'art. 360 c.p.c., dell'art. 1 l. 20/1994, artt. 3 e 7 l. n. 97/2001, art. 81 r.d. n. 2440/1923 e dell'art. 52 r.d. n. 1234/1214.
Assume il ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che egli fosse stato dipendente anche di Enelpower, avendo svolto solo funzioni per Enel produzione.
7. Il motivo è inammissibile.
Anche dopo l'inserimento della garanzia del giusto processo nella formulazione dell'art. 111 Cost., il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni della Corte dei conti in sede giurisdizionale continua ad essere circoscritto al controllo dell'eventuale violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice contabile, ovvero all'esistenza dei vizi che attengono all'essenza della funzione giurisdizionale e non si estende al modo del suo esercizio (Cass. Sez. Unite, 16 febbraio 2007, n. 3615).
Nella fattispecie il ricorrente prospetta profili che attengono al merito del giudizio promosso davanti alla Corte dei Conti, negando il rapporto di servizio intrattenuto con Enelpower e la sua partecipazione agli illeciti in danno di società del gruppo Enel, nonché il nesso causale tra la sua condotta ed i plurimi eventi dannosi. I vizi lamentati attengono, quindi, a pretesi errores in iudicando della Corte dei Conti, per cui la loro prospettazione è inammissibile in questa sede.
8. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente incidentale A. lamenta la carenza di giurisdizione della Corte dei Conti per violazione delle disposizioni che disciplinano l'ambito della giurisdizione contabile nei confronti di collaboratori esterni consulenti di s.p.a. aventi natura pubblicistica (art. 1 l. n. 20/1994; artt. 3 e 7 l. n. 97/2001, art. 81 r.d. n. 2440/1923; art. 52 r.d. n. 1214/1934). Assume il ricorrente che all'epoca dei fatti oggetto di causa egli non era dipendente di EPW, ma era legato ad essa solo da un contratto di collaborazione e poi di consulenza, donde il difetto di giurisdizione della Corte dei conti nei suoi confronti.
9.1. Il motivo è infondato.
In tema di responsabilità per danno erariale, l'esistenza di un rapporto di servizio, quale presupposto per un addebito di responsabilità al detto titolo, non è limitata al rapporto organico o al rapporto di impiego pubblico, ma è configurabile anche quando il soggetto, benché estraneo alla Pubblica Amministrazione, venga investito, anche di fatto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore della Pubblica Amministrazione, con inserimento nell'organizzazione della medesima, e con particolari vincoli ed obblighi diretti ad assicurare la rispondenza dell'attività stessa alle esigenze generali cui è preordinata. (Cass. Sez. Unite, 12 marzo 2004, n. 5163; Cass. S.U. n. 19661/2003).
9.2. Nella fattispecie la sentenza impugnata ha ravvisato tale inserimento dell'A. nell'organizzazione della s.p.a. Enelpower, con l'assunzione di vincoli ed obblighi funzionali, poiché questi agiva nell'espletamento dell'attività consulenziale per conto di Enelpower, sulla base di lettera di incarico e di due disposizioni interne.
Ne consegue che le censure mosse dal ricorrente sul punto attengono a vizi in iudicando che non possono trovare ingresso in questa sede, poiché rientrano nei limiti interni della giurisdizione, estranei al sindacato di questa Corte di cassazione (Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 16 dicembre 2008, n. 29348).
10. In definitiva va accolto, nei termini di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, per cui va dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti in merito alla domanda proposta dalla Procura della Corte dei Conti limitatamente ai soli danni attinenti alle società, con esclusione della domanda attinente al risarcimento del danno all'immagine subita dal Ministero dell'Economia e delle Finanze. Vanno rigettati i restanti motivi dei ricorsi del C. e dell'A. Va cassata senza rinvio, in relazione al motivo accolto, l'impugnata sentenza.
Esistono giusti motivi per compensare per intero tra le parti, le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi. Accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo motivo di ciascun ricorso. Dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti limitatamente ai soli danni attinenti al patrimonio delle società. Rigetta i restanti motivi dei ricorsi del C. e dell'A. Cassa senza rinvio, in relazione al motivo accolto, l'impugnata sentenza. Compensa per intero tra le parti, le spese del giudizio di cassazione.