Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 18 giugno 2008, n. 3034
FATTO
L'odierno appellante - funzionario dell'Ufficio Imposte Dirette di Pinerolo - sospeso dal servizio prima obbligatoriamente in seguito a misura restrittiva (25 luglio 1995) e poi facoltativamente per rimessione in libertà (10 settembre 1995), patteggiava la pena di anni uno e mesi due di reclusione con il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena stessa, come da sentenza 30 gennaio 1997 (irrevocabile in data 2 aprile 1997).
Con riguardo alla enumerazione degli appelli, il Tribunale Amministrativo Regionale in epigrafe indicato, con le rispettive sentenze oggetto dei gravami in esame, adottava le seguenti decisioni sui separati ricorsi proposti dall'interessato avverso i provvedimenti successivamente emanati dall'Amministrazione:
a. N.R.G. 2799 dell'anno 2003 (provvedimento n. 193/17 marzo 1997 di avvio del procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente e n. 241/17 marzo 1997 di sua sospensione cautelare dal servizio nelle more della conclusione di tale procedimento). Il T.A.R. ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso relativamente alla impugnazione della nota n. 193/97 in quanto seguita dall'atto sanzionatorio definitivo e lo ha accolto per quanto concerne la nota n. 241/97 (essendo divenuta irrevocabile la sentenza di patteggiamento in data 2 aprile 1997, non il 16 marzo 1997, e non risultando da alcun elemento che l'applicata sanzione del licenziamento ha la "necessaria decorrenza dalla data del 17 marzo 1997");
b. N.R.G. 2798 dell'anno 2003 (provvedimento n. 586/10 giugno 1997 con il quale è stata inflitta la sanzione del licenziamento in applicazione dell'art. 25, comma 5, del C.C.N.L. per il Comparto Ministeri). Questo ricorso è stato respinto dal T.A.R. perché, è stato ritenuto in merito ai fatti di cui alla sentenza di patteggiamento, che l'Ufficio Istruttore ha proceduto correttamente alla loro valutazione disciplinare alla luce delle risultanze processuali (non avendo il ricorrente conformato la sua condotta al dovere ed ai principi previsti dalla menzionata norma contrattuale, per la tempestività del procedimento sanzionatorio, stante la gravità specifica anche in considerazione della posizione rivestita dall'incolpato nell'ufficio di appartenenza);
c. N.R.G. 1734 dell'anno 2004 (decisione del Collegio Arbitrale di Disciplina del Ministero delle Finanze n. 158/9 ottobre 1997 e Direttoriale n. 1271/05.12.1997, non già 10 giugno 1997, di conferma della sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso). Il T.A.R. ha rigettato questo ricorso, respinta "ratione temporis" l'eccezione di difetto di giurisdizione (art. 39 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80), atteso che l'Amministrazione ha ricevuto completa conoscenza dei fatti solo con la sentenza e la notizia della sua irrevocabilità (la sentenza patteggiata ha natura confessoria e di condanna, l'esigenza della motivazione del provvedimento disciplinare appare pienamente soddisfatta con il mero richiamo alla sentenza penale patteggiata, nella specie la gravità dei fatti valutati è in re ipsa con ragionamento sufficiente e logico).
Con gli appelli in esame - tramite un unico motivo per profili di censura articolati in modo identico tra N.R.G. 2798/2003 rispetto a N.R.G. 1734/2004, la prima doglianza di N.R.G. 2799/2003 corrispondendo al loro primo mezzo - il ricorrente ha chiesto che i ricorsi di primo grado in epigrafe siano accolti, deducendo nei loro tratti essenziali:
A. la contestazione disciplinare è da ritenersi comunque tardiva, sia sotto il profilo della ritenuta perentorietà del termine per il suo avvio ex art. 24 C.C.N.L., sia in relazione al periodo di tempo troppo lungo intercorso tra l'arresto, noto all'Amministrazione, e l'inizio del procedimento disciplinare (mentre, per quanto riguarda la specifica improcedibilità in N.R.G. 2799/03 per sopravvenuta carenza di interesse, l'Amministrazione, una volta aperto il procedimento disciplinare, avrebbe dovuto sospendere il medesimo per consentire all'interessato di impugnare, eventualmente, la sentenza penale, per poi riavviare l'iter disciplinare esclusivamente al passaggio in giudicato della pronuncia ex art. 444 c.p.p.);
B. è privo di fondamento l'assunto del T.A.R. secondo cui il ricorrente, per contestare l'avvio del procedimento disciplinare in assenza di irrevocabilità della sentenza patteggiata, avrebbe dovuto autonomamente impugnare l'atto prot. n. 193 del 17 marzo 1997, gravato con il ricorso in data 3 giugno 1997 (censura non formulata in N.R.G. 1734/04);
C. il fatto che l'ufficio istruttore abbia richiesto gli atti di causa all'autorità penale non prova assolutamente che lo stesso ufficio abbia poi effettuato realmente un accertamento autonomo circa l'esistenza degli stessi, né una autonoma valutazione in ordine allo loro idoneità a costituire fatti meritevoli della sanzione disciplinare impugnata;
D. il provvedimento di licenziamento è privo di adeguata istruttoria e motivazione, segnatamente non risultando i necessari accertamenti relativi all'attribuibilità al ricorrente dei fatti contestati;
E. non si è spiegata in sentenza la ragione per cui non si ritiene sussistente la lamentata contraddittorietà fra i provvedimenti che, nonostante la riconosciuta insussistenza degli addebiti più gravi, hanno applicato all'appellante la sanzione massima della destituzione.
Con rispettive memorie depositate il 4 aprile 2008 il ricorrente ha ulteriormente illustrato le proprie difese.
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze intimato, costituitosi in giudizio nei tre gravami, con la memoria depositata in pari data in N.R.G. 1734/04, ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità di tale appello per difetto di giurisdizione, sia pure per considerazioni parzialmente diverse rispetto a quelle prospettate in primo grado e, in particolare, per la natura rituale del lodo, impugnabile solo dinanzi alla corte d'appello ai sensi dell'art. 828 c.p.c., ovvero, se ne ravvisi natura irrituale, stante la incensurabilità del lodo per violazione di legge o per ogni diversa valutazione o ricostruzione del merito.
Alla udienza del 15 aprile 2008 le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1. L'Amministrazione finanziaria, con i separati atti gravati in primo grado e ora oggetto di esame tramite gli appelli indicati nell'epigrafe di questa decisione, contestava all'odierno ricorrente gli addebiti e lo sospendeva cautelarmente dal servizio nelle more del relativo giudizio disciplinare in seguito a sentenza di patteggiamento (R.N.G. 2799/2003), gli irrogava la sanzione del licenziamento senza preavviso (R.N.G. 2798/2003), confermava questa misura dopo il lodo emesso dal Collegio Arbitrale di Disciplina (R.N.G. 1734/2004), in relazione ad incriminazioni derubricate in corruzione e definite, ex art. 444 c.p.c., in anni uno e mesi due con sospensione condizionale della pena.
Per la loro evidente connessione soggettiva ed oggettiva, le cause in trattazione possono perciò essere riunite ai fini di un'unica decisione, stante la organicità impressa dall'unitario procedimento disciplinare.
2. In linea pregiudiziale va esaminata l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa statale in N.R.G. 1734/2004 sotto il duplice profilo (alternativo) della impugnabilità del lodo n. 158/9 ottobre 1997 (ove ravvisato rituale) solo dinanzi al giudice ordinario (Corte di Appello), ai sensi dell'art. 828 c.p.c., e, se ritenuto irrituale, per la sua incensurabilità a motivo di violazione di legge e di ogni diversa valutazione o ricostruzione del merito.
Va premesso, nella specie, che la controversia attiene alla materia del pubblico impiego contrattualizzato, anteriore all'art. 45, comma 17, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (le cui disposizioni sono ora contenute nell'art. 69 del Testo Unico approvato con il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
Orbene, il legislatore, nel trasferire al Giudice Ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato, ha posto il discrimine temporale di cui sopra con riferimento non alla fase di instaurazione della controversia o, ancora meno, all'adozione degli atti consequenziali alla medesima (ovvero alla sentenza emanata su di essa), ma in correlazione al dato storico, costituito dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste a base della pretesa avanzata: è il titolo di tale pretesa, dunque, che deve risultare antecedente al 30/06/1998, affinché la domanda possa essere proposta (purché presentata non oltre il 15 settembre 2000) davanti al Giudice Amministrativo.
Nella situazione in esame, tutto il procedimento disciplinare instaurato si è snodato con atti e tempi anteriori al 30 giugno 1998, come è provato dalla Direttoriale impugnata in prime cure n. 1271/05.12.1997, di conferma del licenziamento dopo l'emissione del lodo in questione.
Ne segue che non sussiste il rappresentato difetto di giurisdizione del giudice adito e che correttamente l'appello contro la pronuncia tanto del giudice amministrativo di primo grado, quanto del lodo disciplinare arbitrale, è stato proposto innanzi al suo giudice naturale, chiamato per legge al relativo sindacato "ratione temporis" anche quanto al lodo arbitrale (Cons. St., IV, 8 giugno 2007, n. 3001; Cass., SS.UU., 3 maggio 2005, n. 9108).
3. A circoscrivere le questioni di causa, va ora ricordato che l'appellante veniva sospeso obbligatoriamente dal servizio perché tratto in arresto (25 luglio 1995) e, a seguito di revoca della misura cautelare restrittiva (10 settembre 1995), facoltativamente sospeso sino alla sentenza definitiva, avverso cui l'interessato ha interposto ricorso, accolto dal T.A.R. Piemonte con una precedente sentenza n. 92 del 13 febbraio 1997.
Questi accadimenti anteriori non sono per nulla incidenti nella controversia odierna (anche se richiamati nei ricorsi dal ricorrente) in quanto non oggetto diretto di esame, come pure le vicende riportate in memoria (a sostegno di un'archiviazione del procedimento disciplinare o comunque adozione di altra sanzione non espulsiva), in quanto fatti indipendenti dalle impugnazioni da scrutinare: questi eventi sono relativi alla sentenza della Corte dei Conti n. 261/02, di proscioglimento del ricorrente dagli addebiti contestati dalla Procura, in ragione della ritenuta insussistenza di un danno economico e/o all'immagine, nonché alla determinazione assunta dal Consiglio dei Dottori Commercialisti - nella seduta del 14 gennaio 2000 - di non farsi luogo ad azione disciplinare nei confronti dell'attuale ricorrente, ritenendo non provati i fatti al medesimo imputati.
Infine, a chiarimento finale, poiché nei ricorsi vi sono diffusi cenni a lesione dei principi generali in materia di certezze circa la posizione professionale e retributiva del ricorrente, va anche segnalato che nel presente giudizio non sono in contestazione pretese patrimoniali: sul punto, invero, non sono articolati appositi mezzi di gravame.
4. Con il primo motivo rubricato sub. A della esposizione in fatto, viene deplorato come la sentenza impugnata non risulti convincente nel motivare la ritenuta improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse all'impugnazione del provvedimento di contestazione prot. n. 193/17.03.1997, e in ordine al mancato rispetto delle disposizioni sui termini del procedimento disciplinare di cui all'art. 24 del C.C.N.L. 16 maggio 1995 (G.U.R.I., S.O., n. 124 del 30 maggio 1995).
Il T.A.R. ha statuito che l'impugnazione della detta nota è improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse, in quanto, successivamente all'invio della detta nota al ricorrente, il Direttore Regionale delle entrate per il Piemonte ha adottato il provvedimento prot. n. 586/10.06.1997, con il quale è stata inflitta allo stesso ricorrente la "sanzione del licenziamento senza preavviso in applicazione dell'art. 25, 5° comma del C.C.N.L.".
La tesi di fondo del ricorrente, circa la tardività della contestazione e la sua conseguente illegittimità, è nell'affermazione che il momento in cui l'Amministrazione è pervenuta a conoscenza dei fatti in questione è da ricondurre all'ordinanza di custodia cautelare (28 luglio 1995) ed alle acquisizioni documentali presso la Procura circa il rinvio a giudizio (agosto 1996).
Il mezzo è palesemente da respingere perché infondato.
Come noto, costituisce principio generale della materia che, in vista dell'apertura o in pendenza del procedimento disciplinare, l'Amministrazione può sospendere cautelarmente dal servizio il dipendente inquisito; tale sospensione si fonda su un presupposto autonomo e diverso da quello rappresentato dalla pendenza del procedimento penale ex art. 9 l. n. 19 del 1990 (in tal senso dispone anche il tenore dell'art. 27 C.C.N.L. di riferimento).
Nella specie, l'Amministrazione in data 17 marzo 1997, ha assunto a presupposto, della contestazione (ex art. 25, comma 5, C.C.N.L.) e della sospensione (ex art. 27, comma 4, C.C.N.L.), la sentenza patteggiata del 30 gennaio 1997 e, quindi, il procedimento disciplinare è stato attivato in tempi ragionevoli ed entro i previsti "180 giorni da quando l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza definitiva" (ancorché erroneamente ritenuta passata in giudicato il 16 marzo 1997).
Diversa, infatti, è la situazione del prevenuto rispetto a quella del condannato in cui la certezza della commissione dei fatti addebitati è acclarata e da questi fatti derivano - per stessa ammissione dell'impiegato (patteggiamento) - responsabilità (derubricata) nel versante disciplinare.
Quindi, sinteticamente, la contestazione degli addebiti non è affatto seguita a distanza notevole dalla data dei fatti accertati e di acquisita conoscenza della sentenza penale (in disparte la natura sollecitatoria del termine di 20 giorni, peraltro da computare dalla data di conclusione dell'indagine preliminare).
Inoltre - poiché qualora per il fatto addebitato all'impiegato sia stata iniziata azione penale, il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso - l'equivoco insorto circa la intervenuta irrevocabilità della sentenza patteggiata non è idonea a produrre lesioni a diritti o interessi e recare un effetto travolgente sul procedimento disciplinare instaurato in quanto, nell'ipotesi consimile della ripresa del suo corso, non occorre affatto ripetere la contestazione degli addebiti, quando v'è - come in fattispecie - identità tra i fatti penali e quelli posti a fondamento dell'azione disciplinare instaurata.
Infine, se l'interesse ventilato era quello alla possibile impugnabilità della sentenza penale, non è certo la contestazione degli addebiti che ha impedito una tale eventualità dedotta, il cui mancato esercizio è da ascrivere unicamente a libera scelta dell'interessato.
5. Ne segue, quanto alla lamentela annotata sub B del fatto in ordine alla autonoma avvenuta impugnazione della contestazione prot. n. 193/1997 che - contrariamente a quanto prospettato - il T.A.R. ha unicamente inteso affermare che la lesione della posizione giuridica del ricorrente deriva dai fatti penali addebitati che costituiscono oggetto del finale provvedimento sanzionatorio: vale a dire, se l'appellante intendeva dolersi per la messa in esecuzione ai fini disciplinari della sentenza patteggiata, nonostante la non ancora acquisita irrevocabilità, doveva tempestivamente gravare la contestazione degli addebiti.
Le restanti doglianze, titolate sub C - D - E dell'esposizione in fatto, possono essere unitariamente scrutinate.
Circa il valore della sentenza c.d. di patteggiamento e l'attribuibilità al ricorrente dei fatti contestati, la Sezione non può che rifarsi alla prevalente giurisprudenza secondo cui, anche prima della l. n. 97 del 2001, tale sentenza consente di ritenere assodati gli illeciti penali in essa contemplati (cfr. Cons. St., sez. IV, 12.03.2007, n. 1213): in ogni caso, l'Amministrazione ha compiuto "in comparazione con la memoria prodotta a fini di difesa dell'incolpato", un sintetico ma univoco accertamento autonomo ed in concreto della responsabilità amministrativo-disciplinare, come è dato evincere da una piana lettura dell'atto di licenziamento senza preavviso prot. n. 586/17 giugno 1997.
Relativamente alla idoneità ritenuta dall'Amministrazione di tali fatti penali a costituire addebiti e per la sanzione disciplinare applicata, la gravità dei fatti illeciti ascritti è in re ipsa (cfr., da ultimo, IV, 31 maggio 2007, n. 2867): corruzione nel contesto di accertamenti tributari e in veste di ufficiale procedente che lascia "emergere un modo di essere della figura del predetto funzionario non in linea con quanto richiesto dall'art. 23 del C.C.N.L.".
A proposito della addotta contraddittorietà, è sufficiente osservare che gli "ampi margini di dubbio circa la sussistenza dell'addebito sub C dell'atto di contestazione, circostanza che però nulla toglie alla gravità specifica ..." si riferiscono alle "possidenze immobiliari e consistente movimentazione di capitali" in titoli azionari e di Stato: queste circostanze non sono dunque affatto scriminanti e in nulla pertinenti rispetto alla gravità degli episodi in sé di corruzione.
Gli argomenti introdotti sono dunque inaccoglibili e da respingere nel loro complesso perché infondati.
6. In conclusione, previa loro riunione, gli appelli in esame devono essere respinti e le rispettive sentenze confermate.
Il Collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese anche degli odierni gradi di giudizio, in ragione della natura della controversia e dell'anno cui risale la vertenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, riuniti i ricorsi meglio specificati in epigrafe, li respinge e, per l'effetto, conferma le rispettive sentenze.
Compensa integralmente fra le parti le spese degli odierni gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.