Corte di cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 21 maggio 2008, n. 12964

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Negli anni 1993-1997 il Comune di Volterra decideva di avvalersi dell'opera di anziani per coadiuvare o sostituire il personale dello stesso comune nella sorveglianza della pinacoteca, del museo, del parco archeologico e degli alunni delle scuole materne durante il trasporto. Inizialmente detto comune provvedeva a stipulare una convenzione direttamente con singoli anziani. Indi (periodo dal 1° febbraio 1996 al 30 novembre 1997) stipulava una convenzione con l'associazione tra anziani Auser, avente ad oggetto la sorveglianza del museo, della pinacoteca, dell'acropoli, del teatro: il compenso orario veniva pagato all'Auser, la quale tratteneva per sé una piccola parte e passava il resto all'anziano che aveva eseguito la prestazione, a titolo di rimborso spese.

2. A seguito di ispezione eseguita nel gennaio-febbraio 1998, l'INPS accertava che i rapporti con gli anziani costituivano veri e propri rapporti di lavoro, assoggettabili a contribuzione. Non solo, ma nel periodo in cui era intervenuta l'Auser, veniva ravvisata una illecita intermediazione di mano d'opera. Il comune proponeva ricorso al Comitato Provinciale dell'INPS, ricorso che veniva accolto limitatamente al periodo in cui il Comune di Volterra aveva intrattenuti rapporti diretti con ogni singolo anziano; per il periodo successivo, invece, il ricorso amministrativo veniva respinto e pertanto l'Ente veniva invitato a pagare la contribuzione per il periodo 1° febbraio 1996-30 novembre 1997.

3. Contro tale intimazione il Comune proponeva azione giudiziale di accertamento negativo dell'obbligo contributivo, contestando la ricostruzione effettuata dagli ispettori dell'INPS e sostenendo trattarsi di mere prestazioni di volontariato senza alcuna connotazione di lavoro subordinato. Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Volterra, accoglieva il ricorso, motivando nel senso che il comune aveva correttamente utilizzato lo schema legale del lavoro in regime di volontariato con l'intervento dell'Auser.

L'utilizzo di tale schema, rispondente alla l. n. 266/1991, escludeva la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato od autonomo.

4. Proponeva appello l'INPS e la Corte di Appello di Firenze, in riforma della sentenza impugnata, riteneva sussistere la pretesa contributiva dell'INPS sulla base delle considerazioni che di seguito si riassumono:

- il riferimento alla normativa del volontariato non impedisce l'accertamento di un rapporto di lavoro, una volta stabilito che i compensi percepiti dagli anziani travalicavano il concetto di mero rimborso-spese; tale potrebbe essere soltanto un rimborso di spese vive;

- non si dubita della legittimità della corresponsione di un contributo all'Auser;

- è la quota oraria attribuita ai soci ad esorbitare dal limite del mero rimborso;

- ne consegue che l'Auser si è posta come intermediaria di rapporti di lavoro subordinato, in cui il singolo anziano veniva chiamato a collaborare col personale comunale per circa tre ore ogni volta, a richiesta del personale medesimo, e quindi lo coadiuvava nell'espletamento di compiti istituzionali;

- ne deriva la costituzione di un rapporto di lavoro di diritto privato tra anziano e Comune, con l'intermediazione dell'associazione di volontariato, onde l'Amministrazione rimane tenuta alla contribuzione nei confronti dell'INPS.

5. Ha proposto ricorso per Cassazione il Comune di Volterra, deducendo sei motivi, illustrati da memoria integrativa. Resiste con controricorso l'INPS.

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. Iniziandosi l'esame per motivi logici dal secondo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 2, 5, 7 della l. n. 266/1991, 8 e 10 della l. r. Toscana n. 28/1993, 115 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360, n. 5, c.p.c.: ricordato che il comune si è rivolto all'Auser per avere garanzia circa la continuità degli interventi, e che il rimborso orario corrisposto veniva diviso rispettivamente all'80% ed al 20% tra singolo anziano e Auser, il ricorrente sottolinea come la corresponsione di un compenso all'associazione non sia stata minimamente contestata, mentre la qualità di volontario viene definita dalla legge come incompatibile con ogni forma di lavoro subordinato od autonomo. Se l'Auser ha corrisposto ai soci dei rimborsi eccessivi, è circostanza che non può riguardare il comune ed è significativo come la Corte di Appello non abbia censurato in alcun modo la legittimità dell'incarico affidato dal Comune all'Auser.

7. Il motivo è infondato. Esso muove da una petizione di principio: poiché la qualità di volontario è per definizione incompatibile con un rapporto di lavoro, "ergo" non si può ipotizzare la sussistenza di alcun rapporto di lavoro. L'argomentazione non tiene conto che un rapporto di lavoro può essere dissimulato da un rapporto di volontariato, a seconda del suo atteggiarsi in fatto. Se risulta che se un presunto volontario è in realtà un soggetto assunto e retribuito da una associazione di (presunto) volontariato, non sarà applicabile la disciplina sul volontariato ma la normale disciplina gius-lavoristica.

8. L'art. 5 della l. n. 266/1991- Legge Quadro sul Volontariato - prevede che le organizzazioni di volontariato traggono le loro risorse economiche, tra l'altro, da contributi di privati e rimborsi derivanti da convenzioni. La l.r. Toscana n. 28/1993 prevede all'art. 2 che le attività di volontariato sono quelle prestate in modo «personale, spontaneo e gratuito» dal volontario. L'art. 8 prevede che la Regione corrisponda contributi per la qualificazione e l'aggiornamento dei volontari. L'art. 10 prevede la stipula di convenzioni, le quali dovranno disporre l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali per i volontari e contro la responsabilità civile; nonché prevedere le «spese rimborsabili».

9. Deriva dal quadro normativo sopra riassunto che l'attività del volontario è per sua natura gratuita, onde la corresponsione di un compenso oltre il mero rimborso spese comporta che l'attività in questione non sarà più di volontariato, ma dovrà essere altrimenti definita. Non è sufficiente il «nomen iuris» di volontario per escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro, ma la qualificazione giuridica di volontario discende dalla spontaneità e gratuità della prestazione.

10. Col terzo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., dell'art. 1 della l. n. 1369/1990 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360, n. 5, c.p.c.: in tanto è possibile ricostruire la fattispecie sotto il profilo dell'intermediazione di mano d'opera, in quanto si tratti di attività imprenditoriale, laddove si è trattato del supporto ad attività istituzionali del comune.

11. Il motivo è fondato e va accolto. La Corte di Appello dà atto che oggetto delle prestazioni degli anziani era costituita dall'apertura e sorveglianza delle aree archeologiche, delle sale espositive del Museo Guarnacci e della Pinacoteca comunale: tutte attività istituzionali, come del resto riconosciuto dalla difesa dell'INPS in appello: «persone formalmente dipendenti da una cooperativa, ma di fatto sostanzialmente prestanti la loro attività per il comune di residenza nell'ambito delle attività istituzionali del comune medesimo».

12. A sensi dell'art. 1 della l. n. 1369/1960, è vietato all'imprenditore affidare in appalto o in subappalto l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di mano d'opera assunta e retribuita dall'appaltatore. Tale disposizione si applica anche agli enti pubblici (comma 4) ed alle aziende dello stato. La giurisprudenza ha peraltro ritenuto che detto art. 1 sia inoperante per le amministrazioni pubbliche non costituite in forma di azienda e non svolgenti attività di impresa: Cons. Stato, 6 marzo 1998, n. 379; Cass., S.U., 19 ottobre 1990, n. 10183, la quale ha ritenuto che in caso di violazione dell'art. 1 cit. si ha nullità del contratto, rimanendo esperibile la sola azione di ingiustificato arricchimento.

13. L'art. 6 bis del d.l. n. 9/1993, convertito con modificazioni nella l. n. 67/1993, ha disposto che i divieti previsti dall'art. 1 della l. n. 1369/1960 non trovano applicazione per le province, i comuni e loro consorzi. Trattasi di norma in virtù della quale i comuni sono posti fuori del campo di applicazione della l. n. 1369/1960.

14. L'art. 6 bis citato è stato abrogato dall'art. 74 del d.lgs. n. 29/1993, il quale peraltro con l'art. 36 ha tipizzato le assunzioni nelle amministrazioni pubbliche con la esclusiva previsione a) del concorso pubblico, b) dell'avviamento degli iscritti agli uffici di collocamento, c) chiamata numerica degli iscritti nelle categorie "protette". Le assunzioni anche in forma di contratti d'opera - prosegue l'art. 36 - effettuate in violazione del divieto determinano responsabilità personali, patrimoniali e disciplinari di chi le ha disposte e sono nulle di pieno diritto. Il d.lgs. n. 546/1993, art. 38, ha sostituito l'art. 74 del d.lgs. n. 29/1993, ed ha peraltro ribadito l'abrogazione dell'art. 6 bis del d.l. n. 9/1993 convertito con modificazioni nella l. n. 67/1993. Anche l'art. 36 del d.l. n. 29.1993 è stato sostituito, ma è stata confermata la nullità di pieno diritto delle assunzioni effettuate dalla P.A. al di fuori delle tre ipotesi tipizzate: concorso pubblico, chiamata numerica, categorie protette.

15. L'art. 22 del d.lgs. n. 80/1998 (non applicabile alla fattispecie «ratione temporis», ma tuttavia significativo di un indirizzo legislativo) dopo avere ribadito i tre canali di reclutamento suddetti, dispone al comma 8 che «in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferme restando responsabilità e sanzioni. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative». Il d.lgs. n. 165/2001 ha recepito tale ultima disposizione (art. 36) e con l'art. 72 ha disposto che «sono abrogate o rimangono abrogate», tra le altre disposizioni, l'art. 6 bis del d.l. n. 9/93 e il d.lgs. n. 29/1993. Il quadro normativo viene completato con l'art. 1 del d.lgs. n. 276/2003, il quale, ridisegnando la materia della somministrazione del lavoro, ha escluso dal proprio campo di applicazione le pubbliche amministrazioni ed il loro personale (art. 1).

16. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, si ha che a partire dal d.l. n. 9/1993 la l. n. 1369/1960 non è applicabile alla Pubblica Amministrazione. Indi, le forme di assunzione alle dipendenze della stessa Amministrazione vengono tipizzate in tre forme, con nullità di rapporti di lavoro diversamente costituiti, anche se dissimulati sotto l'aspetto formale di contratti d'opera; con la "novella" del 1998 viene poi precisato che alla nullità del rapporto consegue il solo diritto al risarcimento del danno in capo al lavoratore.

17. Ne deriva che, anche ammesso che il Comune, l'Auser e gli anziani abbiano "de facto" posto in essere prestazioni riconducibili ad una intermediazione od appalto di prestazioni di lavoro, non è possibile ricostruire la fattispecie inquadrandola nell'art. 1 della l. n. 1369/1960, perché il comune è fuori dell'ambito di applicazione di tale legge. L'INPS non aveva pertanto il potere di esigere una contribuzione a fronte di un rapporto di lavoro, in ipotesi, colpito da nullità; ovvero (ma la fattispecie esula dalla presente controversia) prospettare la debenza di una retribuzione a sensi dell'art. 2126 c.c. sulla quale conteggiare la contribuzione: il che non risulta.

18. Col quarto motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 2697, 2700 c.c. e 115 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte di Appello affermato il vincolo di subordinazione su basi inconsistenti.

19. Il motivo è assorbito dall'accoglimento del motivo che precede, dandosi peraltro atto, per compiutezza di esposizione, che effettivamente la Corte di Appello sembra avere affermato il requisito della subordinazione facendolo discendere dalla valutazione degli ispettori, e trascurando peraltro che l'attività valutativa degli organi inquirenti non costituisce prova. Invero, le argomentazioni della Corte di Appello si attagliano ugualmente ad un rapporto di mera collaborazione ovvero ad un rapporto di occasionale prestazione d'opera.

20. Col quinto motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione, a' sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 2222 c.c., 10 ed 11 della l.r. Toscana n. 28/1993, 3 del d.l. n. 433/1992 convertito con modificazioni nella l. n. 14/1993, 115 c.p.c. e carenza di motivazione: spettava all'INPS provare la sussistenza di rapporti di lavoro subordinati, mentre nella specie si è in presenza al più di rapporti di collaborazione autonoma.

21. Il motivo è assorbito; valgono per esso le considerazioni svolte a proposito del motivo quarto.

22. Col sesto motivo, si censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 2094 c.c., 1 e 5 del r.d.l. n. 680/1938, 3 della l. n. 379/1955 e carenza di motivazione, sotto il profilo che, una volta accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro tra comune e anziano, la legittimazione ad esigere la contribuzione sarebbe spettata all'ENPAS, ora INPDAP.

23. Il motivo è assorbito dall'accoglimento dei motivi che precedono.

24. Col primo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 434, 414, 415, 154, 437 c.p.c. ed omessa motivazione, poiché la Corte di Appello ha concesso "termine" all'INPS per produrre o riprodurre i verbali ispettivi ed ha prorogato tale termine nonostante l'opposizione del comune, finché ha consentito all'appellante INPS di produrre i verbali in questione in vista dell'udienza di discussione.

25. Il motivo è assorbito dall'accoglimento del ricorso nel merito.

26. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata. La causa, non risultando necessari ulteriori accertamenti in fatto, può essere decisa nel merito mediante il rigetto dell'appello proposto avverso la sentenza di primo grado, la quale diviene in tal modo definitiva. Giusti motivi, in relazione all'opinabilità della materia del contendere, alla complessità della ricostruzione in fatto, alla presenza di diverse fonti normative, al diverso esito nei vari gradi ed al comportamento processuale delle parti, consigliano la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione e di quelle di appello.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'appello avverso la sentenza di primo grado. Compensa le spese del giudizio di appello e di quello di cassazione.