Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Ordinanza 12 marzo 2008, n. 6534
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'avvocato Alessio D.V., con atto notificato il 15 dicembre 2005, conveniva in giudizio Adele V., Raffaele C. e Marina C. chiedendone la condanna al pagamento di Euro 118.220,29 a titolo di compenso per prestazioni professionali svolte in favore dei citati convenuti.
C. Marina e C. Raffaele, costituitisi, resistevano alla domanda sollevando numerose eccezioni in rito e di merito e, in via riconvenzionale, proponevano domanda risarcitoria nei confronti dell'attore.
Con separato atto si costituiva anche V. Adele la quale articolava le stesse tesi difensive sviluppate dai convenuti C. e chiedeva di chiamare in causa il consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli - che aveva emesso il parere di congruità richiamato dall'avvocato D.V. a sostegno della domanda - con riferimento alla richiesta dell'attore volta ad ottenere la condanna dei convenuti al pagamento delle "spese di liquidazione parere pagate al consiglio dell'ordine". La V. sosteneva che - nell'ipotesi di accoglimento anche parziale della domanda e di condanna di essa convenuta di rimborso in favore dell'attore dell'intero importo dallo stesso pagato al consiglio dell'ordine per il rilasciato parere - il consiglio dell'ordine doveva essere condannato a rivalerla.
La chiamata in causa veniva autorizzata dal giudice designato alla trattazione della lite ed eseguita dalla V.
Il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli si costituiva ed eccepiva, tra l'altro, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario "rientrando nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia inerente il parere espresso in materia di liquidazione dei compensi all'avvocato".
Adele V. ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione chiedendo l'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.
Hanno resistito con separati controricorsi l'avvocato Alessio D.V. ed il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli. Il primo ha eccepito l'inammissibilità del ricorso proposto dalla V. per violazione dell'art. 366, n. 4, c.p.c., con condanna della ricorrente al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. Il secondo ha insistito per l'affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo "attesa la natura di atto amministrativo del parere".
Raffaele e Marina C. non hanno svolto attività difensiva.
Il P.G. ha chiesto dichiararsi la giurisdizione esclusiva del giudice ordinario.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Innanzitutto va rilevata l'infondatezza dell'eccezione preliminare sollevata dall'avvocato D.V. relativa all'asserita inammissibilità del ricorso della V. "per mancanza dei motivi di diritto di cui all'articolo 366 n. 4 c.p.c.".
Al riguardo è appena il caso di segnalare che, come di recente queste Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare, l'art. 366-bis c.p.c., introdotto dall'art. 6 del d.lgs. n. 40 del 2006 - a norma del quale il ricorso per cassazione che non contenga, per ciascun motivo, la formulazione di un quesito di diritto deve essere dichiarato inammissibile - non si applica al regolamento preventivo di giurisdizione, il quale non costituisce un mezzo di impugnazione, bensì uno strumento apprestato per consentire alle parti di ottenere, già nel corso del procedimento di primo grado - e a condizione che la causa non sia stata ancora decisa né nel merito, né su questioni processuali - una pronuncia definitiva sulla giurisdizione (ord. 22 ottobre 2007, n. 22059).
Tanto premesso va osservato che la questione di giurisdizione - prospettata con esclusivo riferimento alla domanda di rivalsa proposta da Adele V. nei confronti del COA di Napoli ed avente ad oggetto l'importo pagato dal D.V. per il rilascio del parere - va risolta dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo.
Come sopra riportato nella parte narrativa che precede - e come risulta dalla consentita lettura degli atti processuali - con l'atto introduttivo del giudizio l'avvocato D.V. ha chiesto la condanna dei convenuti al pagamento del compenso per le prestazioni professionali svolte in favore della V. e dei C., nonché al rimborso di quanto erogato al consiglio dell'ordine per il sollecitato ed ottenuto parere di congruità.
I convenuti Marina e Raffaele C. hanno sollevato numerose eccezioni contestando, tra l'altro, l'effettiva prestazione dell'attività professionale posta a base della pretesa fatta valere dall'avvocato D.V. e sostenendo che il parere espresso dal consiglio dell'ordine era affetto da numerosi errori. Trattasi, come è evidente, di controversia tra privati relativa all'accertamento ed alla valutazione dell'attività professionale posta a base della domanda avanzata dall'avvocato D.V. Il Consiglio dell'ordine è estraneo alla detta controversia tra il professionista ed i suoi clienti.
L'altra convenuta V. Adele, nel costituirsi in giudizio, ha tra l'altro sostenuto che il Consiglio dell'ordine aveva errato nel rilasciare il parere "liquidando all'attore più di ciò che gli spetta" (pagina 3 della comparsa di costituzione in giudizio) ed ha quindi chiesto la condanna del Consiglio a rivalerla nell'ipotesi di condanna di essa V. "a rimborsare all'attore l'intero importo da lui pagato al Consiglio dell'Ordine" (sempre pagina 3 della comparsa di risposta).
Questa controversia promossa dalla V. contro il consiglio dell'ordine rientra tra quelle devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo al quale spetta valutare l'ammissibilità e la fondatezza della domanda di rivalsa proposta dalla V. nei confronti del consiglio dell'ordine.
La detta domanda si risolve in sostanza in una richiesta risarcitoria strettamente collegata non a mera attività dell'ente pubblico, disancorata e non sorretta da un atto amministrativo formale, ma a provvedimento amministrativo emesso nell'ambito e nell'esercizio di poteri autoritativi, ancorché asseritamente viziato da illegittimità.
Occorre in proposito evidenziare che nessun dubbio può sussistere - come è pacifico e più volte affermato da questa Corte - in ordine alla natura di ente pubblico non economico del consiglio dell'ordine degli avvocati che svolge funzioni di amministrazione mediante attività procedimentale (tra le tante, sentt. 13 gennaio 2005, n. 560; 10 dicembre 2002, n. 17548; 26 giugno 2001, n. 8748; 6 agosto 1990, n. 7939). È evidente l'importanza dei molteplici compiti - quali, ad esempio, la tenuta degli albi, la funzione disciplinare, la vigilanza sulla condotta degli iscritti - affidati ai consigli dell'ordine forense nell'interesse dei professionisti e di quello statuale in generale.
Tra i compiti demandati agli ordini degli avvocati rientra quello, che rileva in questa sede, di esprimere il parere di congruità sulla liquidazione degli onorari a norma dell'art. 14 r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578.
Tale parere - del quale ai sensi dell'art. 636 c.p.c. l'avvocato deve munirsi al fini di chiedere il decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c. ed al quale il giudice a tal fine è tenuto ad uniformarsi - non si esaurisce in una mera certificazione della rispondenza del credito esposto alla tariffa professionale "essendo esso, anche dal punto di vista logico e semantico, espressione di un motivato giudizio critico e non di una mera operazione contabile", Detto parere "corrisponde ad una funzione istituzionale dell'organo professionale in vista degli interessi degli iscritti e della dignità della professione, nonché dei diritti degli stessi clienti, ed è volto ad impedire richieste di onorari sproporzionati e comunque inadeguati all'obiettiva importanza dell'opera professionale" (nel sensi suddetti sentenza di questa Corte 29 ottobre 1992, n. 11765).
Si tratta di conseguenza di un'attività esterna che si conclude con la formazione di un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo autoritativo - emesso nell'esercizio di un potere riconosciuto in via esclusiva dalla legge come espressione di potestà amministrativa per finalità di pubblico interesse - che modifica la situazione giuridica precedente avendo effetti costitutivi per il richiedente (consentendogli di promuovere la procedura monitoria ex artt. 633 e 636 c.p.c.) e quindi impugnabile avanti al giudice amministrativo.
Ciò posto va notato che, come ripetutamente statuito da queste Sezioni Unite, nel sistema normativa conseguente alla l. 21 luglio 2000, n. 205, in tema di tutela giurisdizionale intesa a far valere la responsabilità della p.a. da attività provvedimentale illegittima, la giurisdizione sulla tutela dell'interesse legittimo spetta, in linea di principio, al giudice amministrativo, sia quando il privato invochi la tutela di annullamento, sia quando insisti per la tutela risarcitoria, in forma specifica o per equivalente, non potendo tali tecniche essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione. E siccome deve escludersi la necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell'atto illegittimo e dannoso, al giudice amministrativo può essere chiesta la tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria completiva, ma anche la sola tutela risarcitoria (nei sensi suddetti, ordinanza 13 giugno 2006, n. 13659).
Quindi a norma dell'art. 7, comma 3, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, modificato dall'art. 7 della l. n. 205 del 2000 - secondo il quale il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno - quest'ultimo può essere disposto dal giudice amministrativo non soltanto se investito della domanda di annullamento dell'atto amministrativo, quale effetto ulteriore della riscontrata illegittimità di esso, ma anche - purché ricorra (come appunto nella specie) la giurisdizione generale di legittimità - nel caso in cui la parte interessata si limiti ad invocare la sola tutela risarcitoria.
Va aggiunto che, come chiarito nella giurisprudenza di legittimità, la domanda risarcitoria nei confronti della p.a. va rivolta al giudice amministrativo in quanto la condotta causativa di danno si riconnetta direttamente all'esercizio di attività provvedimentale (nel caso in esame rilascio di un parere con effetti costitutivi e vincolanti), anche se il provvedimento sia stato annullato dallo stesso giudice in sede di giurisdizione di legittimità o a seguito di ricorso straordinario (ord. 15 giugno 2006, n. 13911).
In definitiva, applicando i detti principi nel caso di specie, la domanda risarcitoria proposta nella presente causa nei confronti del consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli deve ritenersi devoluta al giudice amministrativo, in quanto la condotta causativa di danno si collega direttamente all'esercizio di attività provvedimentale dell'ente pubblico consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli.
Dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla detta controversia, va disposta la prosecuzione del relativo giudizio innanzi al competente tribunale amministrativo.
Sussistono giusti motivi - anche in considerazione della natura della controversia e delle questioni trattate - per compensare tra tutte le parti costituite le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla controversia promossa da Adele V. nei confronti del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli. Compensa le spese del giudizio di cassazione.