Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 8 novembre 2007, n. 23315

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Franco L., dopo avere ottenuto ed eseguito sequestro conservativo nei confronti di Maurizio M., conveniva costui innanzi al tribunale di Firenze per la convalida, la pronuncia ex art. 2932 c.c. di sentenza che tenesse luogo del contratto definitivo in relazione a preliminare avente ad oggetto il trasferimento delle quote della s.r.l. Radioguide, il pagamento del prezzo residuo (lire 28.000.000) e del valore dei titoli depositati presso la banca toscana e da questa venduti (lire 30.000.000) oltre interessi.

Il convenuto si opponeva alla domanda, sostenendo che non si era proceduto alla stipula del contratto definitivo a causa del fatto che l'altro promittente venditore, Romeo B., non si era presentato innanzi al notaio; che il preliminare si era risolto a seguito di diffida ad adempiere; che la sua efficacia era subordinata a condizione non avveratasi.

Altro giudizio con il medesimo oggetto era instaurato nei confronti del M. da Romeo B. innanzi allo stesso tribunale; in tale giudizio, che veniva riunito all'altro, il convenuto proponeva domanda riconvenzionale di risoluzione del preliminare per inadempimento.

Il tribunale accoglieva le domande attrici e rigettava la domanda riconvenzionale.

Ad opposta conclusione perveniva la corte di appello di Firenze che con sentenza resa il 4 febbraio 2003 rigettava le domande attrici, motivando come segue.

Il tribunale ha ritenuto che pure dopo la scadenza del termine stabilito nella diffida ad adempiere il L. abbia conservato il potere di chiedere l'adempimento, essendo l'effetto risolutorio rimasto nella sua disponibilità; viceversa, verificatosi l'inadempimento, la parte adempiente ha la duplice facoltà di chiedere sentenza risolutiva del contratto avente natura costitutiva o di intimare diffida ad adempiere; in questo secondo caso l'effetto risolutorio si verifica per l'inutile decorso del termine fissato nella diffida e la sentenza ha natura dichiarativa; la diffida ad adempiere è in sostanza alternativa alla domanda di risoluzione; l'intimante non ha tuttavia il potere di porre nel nulla l'effetto risolutorio già verificatosi e chiedere l'adempimento; non si otterrebbe altrimenti il risultato di dare chiarezza al rapporto e si lascerebbe indefinitamente il diffidato in soggezione del creditore; nel caso di specie la diffida ad adempiere corrisponde al tipo astratto previsto dall'art. 1454 c.c.; peraltro, la condizione stabilita nella lettera f) del contratto preliminare non si è avverata perché il M. non ha adempiuto l'obbligo di sostituire i titoli depositati con altri titoli dello stesso tipo; l'inadempimento del M. non si può ritenere di scarsa importanza considerato che la liberazione dei titoli dal vincolo pignoratizio avrebbe consentito ai promittenti venditori di rientrare in possesso di una somma cospicua; legittimamente, pertanto, il L. si è avvalso dello strumento della risoluzione di diritto, precludendosi, però, la possibilità di proporre la domanda di adempimento in forma specifica; non può accogliersi la domanda concernente i titoli di Stato atteso che la vendita di essi non ha comportato diminuzione patrimoniale a danno del L. e del B. i quali si trovano a possedere quote di una società con una minore esposizione debitoria.

Avverso tale sentenza hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione il B. ed il L., deducendo il primo tre motivi ed il secondo uno; ad entrambi i ricorsi ha resistito il M. il quale ha proposto ricorso incidentale con un motivo; il B. ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi sono proposti contro la medesima sentenza ed a norma dell'art. 335 c.p.c. vanno riuniti.

2. Il ricorso del B. risulta notificato il 4 novembre 2005 e quello del L. l'11 novembre successivo.

Quest'ultimo ricorso avrebbe, pertanto, dovuto assumere la forma del ricorso incidentale in quanto il principio dell'unicità del processo di impugnazione contro una medesima sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte nella forma della impugnazione incidentale e, quindi, nel caso del ricorso per cassazione con l'atto contenente il controricorso.

Poiché, tuttavia, tale forma non è essenziale, il ricorso proposto con atto a sé stante è valido e si converte in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini di impugnazione in astratto operativi (ex plurimis, Cass., 2 aprile 2001, n. 4789).

Conseguentemente il ricorso del B. va considerato principale e quello del L. incidentale.

3. Precede per ragioni di ordine logico l'esame del secondo motivo del ricorso del B. e dell' unico motivo del ricorso del L.

4. Con il secondo motivo il B. lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1454 c. c., nonché omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.); secondo la corte di merito la parte non può rinunciare all'effetto risolutorio del contratto che ha provocato con la diffida ad adempiere e pretendere l'adempimento; la giurisprudenza di legittimità è diversamente orientata ed in particolare ritiene che la diffida ad adempiere non può produrre effetti contro ed oltre la volontà del suo autore il quale può sempre rinunciare ad avvalersi della risoluzione già verificatasi per l'inutile decorso del termine fissato nella diffida o dichiarato giudizialmente, ripristinando l'obbligazione rimasta inadempiuta; sono indicative di siffatto orientamento le sentenze di questa Corte 23 aprile 1977, n. 1530; 18 maggio 1987, n. 4535; 4 agosto 1997, n. 7182; 28 giugno 2004, n. 11967.

5. Con l'unico motivo il L. deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1454 c.c., nonché vizi di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.); la corte di merito ha erroneamente ritenuto che l'effetto risolutorio del contratto per inadempimento non sia nella libera disponibilità del creditore diffidante; ben vero che il termine fissato nella diffida ha carattere essenziale, ma è pure vero che l'essenzialità è posta nell'interesse del creditore il quale è l'unico arbitro della convenienza di fare valere l'inutile decorso del termine; il creditore può cambiare idea dopo avere intimato la disdetta ed in questo risiede la "ratio" dell'art. 1454 c.c., norma posta a favore della parte adempiente che conserva la facoltà di rinunciare "a posteriori" all'effetto risolutorio; la norma non tutela l'interesse del diffidato ad avere certezza del rapporto; insomma l'effetto risolutorio rimane nella disponibilità del creditore che può agire per l'adempimento.

6. I motivi, da esaminare congiuntamente perché pongono la medesima tematica, sono fondati e vanno accolti.

6.1. Bisogna ammettere che la giurisprudenza di questa Corte è nel senso indicato nei motivi e, cioè, riconosce un assoluto potere dispositivo al contraente adempiente ed ammette la "ritrattazione" da parte dello stesso anche dopo l'inutile decorso del termine stabilito nella diffida ad adempiere che viene considerato come posto nel suo esclusivo interesse.

Tale giurisprudenza rileva che la diffida ad adempiere è stabilita nell'interesse della parte adempiente e non costituisce un obbligo, bensì una facoltà che si esprime "a priori" nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri ed "a posteriori" nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodottisi.

Essa ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che si ricollegano alla detta clausola e, cioè, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine che ha carattere essenziale nell'interesse della parte adempiente, alla quale è rimessa la valutazione della convenienza di farne valere valutazione decorrenza.

La risoluzione si produce di diritto indipendentemente dalla volontà dell'intimato, rimanendo nella disponibilità dell'intimante che può successivamente rinunciare ad avvalersene.

Parallelamente si è considerato che la diffida ad adempiere è un negozio giuridico, sicché non può produrre effetti contro ed oltre la volontà del suo autore che può sempre decidere di non fare valere la risoluzione già verificatasi.

Se ne è fatta derivare la necessità della domanda dell'intimante perché il giudice possa dichiarare la risoluzione e la conferma che lo stesso intimante invece di avvalersi dell'effetto risolutorio può ricorrere ad altri mezzi di tutela.

6.2. La dottrina è fortemente critica; si afferma con chiarezza che nella diffida ad adempiere l'effetto risolutorio non è nella disponibilità dell'intimante che dopo avere azionato il meccanismo risolutorio non può più rinunciarvi.

Si osserva che, se il contratto è risolto, il creditore ed il debitore liberati sono dall'obbligazione non ancora adempiuta o sono creditori della restituzione se hanno in tutto o in parte adempiuto; ritenere diversamente significa considerare la risoluzione di diritto come un vantaggio unilaterale del creditore, da lui liberamente disponibile; essa, invece, non costituisce un privilegio per il contraente non inadempiente e rappresenta un'alternativa alla risoluzione giudiziale senza privare la parte inadempiente delle garanzie accordate dal processo.

In definitiva la diffida ad adempiere si configura come negozio giuridico unilaterale recettizio con il quale il diffidante manifesta la volontà di risolvere il contratto con l'esercizio irrevocabile della facoltà di scelta tra risoluzione ed adempimento e con la consapevolezza di non potere impedire la risoluzione dal momento in cui la diffida giunge a conoscenza del diffidato.

Si tutelano così l'interesse dell'inadempiente a non rimanere indefinitamente esposto all'arbitrio della parte adempiente e quello generale che siano rimesse nella circolazione economica le risorse coinvolte nella vicenda contrattuale.

6.3. Pur nella consapevolezza del valore dei rilievi critici della dottrina sembra di dovere confermare l'orientamento fin qui seguito considerato che rinunciare all'effetto risolutorio già verificatosi per avvalersi di altri mezzi di tutela rientra nell'ambito delle facoltà connesse all'esercizio dell'autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio predisposto dall'art. 1454 c.c.

6.4. La sentenza impugnata non è in linea con l'orientamento qui condiviso e va, perciò, cassata in parte "qua" con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Firenze perché vi si adegui, provvedendo altresì a regolamentare le spese del giudizio di cassazione.

7. Rimangono assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e l'unico motivo del ricorso incidentale del M.

P.Q.M.

la Corte riunisce i ricorsi; accoglie il secondo motivo del ricorso del B. ed il ricorso del L.; dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso del B. ed il ricorso del M.; cassa in relazione e rinvia anche per le spese ad altra sezione della corte di appello di Firenze.