Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 5 giugno 2007, n. 13069

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La s.r.l. Grandi Magazzini Pesciarelli ha iniziato un procedimento di esecuzione forzata in danno di Stefano S. con le forme del pignoramento presso terzi, avvalendosi come titolo esecutivo di decreto ingiuntivo, dichiarato provvisoriamente esecutivo subordinatamente al rilascio da parte della creditrice di cauzione bancaria o assicurativa.

2. Stefano S., con ricorso al tribunale di Montepulciano del 17 novembre 2000, ha proposto opposizione all'esecuzione ed ha dedotto che la formula esecutiva sul titolo era stata apposta illegittimamente, perché la cauzione non era stata rilasciata da impresa bancaria o assicurativa.

3. L'opposizione è stata dichiarata inammissibile dal tribunale e la decisione, impugnata dallo S., è stata confermata dalla Corte di appello di Firenze con sentenza del 19 novembre 2002. La Corte di appello, qualificata l'opposizione come all'esecuzione, ha dichiarato che la cauzione era stata prestata da compagnia di cauzioni e fideiussioni, la quale era stata messa in liquidazione e non era, quindi, autorizzata all'esercizio di attività assicurativa.

4. La s.r.l. Grandi Magazzini Pesciarelli ha proposto ricorso per cassazione.

Stefano S. ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi è ammissibile, ma infondato.

2. Il ricorso è ammissibile, perché la procura rilasciata a margine dell'atto si deve considerare conferita per il giudizio di cassazione, giacché forma corpo unico con l'atto cui inerisce, si riferisce a questo atto e, quindi, garantisce il requisito della specialità richiesto dall'art. 365 c.p.c.: da ultimo, Cass. 8 marzo 2006, n. 4980.

Il fatto che la procura faccia riferimento ad un giudizio di merito o ad un possibile procedimento esecutivo non è in grado di scardinare il principio ora esposto, considerato il carattere ultroneo di questo riferimento.

3. Con il primo motivo del ricorso la Società Grandi Magazzini si duole della qualificazione data all'opposizione, come all'esecuzione e non agli atti esecutivi, come sarebbe stato corretto fare. Dalla qualificazione dell'opposizione agli atti esecutivi, secondo la ricorrente, si doveva ricavare che essa era stata proposta tardivamente e che la sentenza di primo grado non era soggetta ad appello: censura di violazione degli artt. 132, n. 4, 339, 615, 617, 618 c.p.c. e difetto di motivazione.

La censura non è fondata.

3.1. La sentenza impugnata non contiene la qualificazione dell'opposizione; ad essa, pertanto, deve procedere direttamente questa Corte.

3.2. Ciò posto, quando in un procedimento esecutivo sia denunciato che la formula esecutiva non è stata apposta regolarmente al titolo in base al quale si proceda, non si può ritenere raggiunta la dimostrazione che l'opposizione sia agli atti esecutivi, perché occorre soffermarsi sul complesso significato del concetto di irregolarità, del quale l'art. 617 c.p.c. non fornisce una sicura interpretazione e la dottrina ha adoperato in maniera affatto concorde.

Se con la denuncia si fa riferimento solo alla corretta spedizione del titolo in forma esecutiva, richiesta dall'art. 475 c.p.c., non v'è dubbio che la contestazione non configura una opposizione all'esecuzione, giacché l'indebita apposizione della formula esecutiva su un titolo esecutivo può comportare una mera irregolarità del procedimento esecutivo o risolversi in una contestazione della regolarità formale del precetto, come si esprime il primo comma dell'art. 617 c.p.c.

La denuncia, nondimeno, può comprendere anche la contestazione che il titolo esecutivo non esista oppure che non sono state soddisfatte le condizioni perché l'atto acquisti l'efficacia di titolo esecutivo: in questi casi, l'opposizione si deve intendere come opposizione alla pretesa fatta valere con il titolo e, quindi, dovrà essere inquadrata come opposizione all'esecuzione ai sensi del primo comma dell'art. 615 c.p.c., la quale è diretta, com'è ben noto, innanzi tutto alla contestazione dell'esistenza ab origine del titolo esecutivo; in questo senso, sostanzialmente, già Cass. 26 ottobre 1992, n. 11618, nella motivazione.

La errata apposizione della formula nel titolo esecutivo, quindi, può configurare opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. o opposizione di cui al precedente art. 615, secondo che i motivi riguardino la correttezza della formula stessa oppure l'esistenza o l'efficacia del titolo: Cass. 7 luglio 1999, n. 7026, nella motivazione.

3.3. Dalla sentenza impugnata si ricava che Stefano S., con l'atto di opposizione, non ha denunciato il mero errore del cancelliere nell'apporre la formula esecutiva al decreto ingiuntivo fatto valere come titolo esecutivo, ma ha negato al creditore procedente il diritto di procedere ad esecuzione forzata, poiché non era stata soddisfatta la condizione dell'efficacia del decreto a valere come titolo esecutivo, condizione costituita da una valida prestazione della cauzione richiamata, evidentemente, nel secondo comma dell'art. 648 c.p.c.

3.4. Queste considerazioni, ai fini della qualificazione dell'opposizione proposta, indicano che quella proposta da Stefano S. è una opposizione all'esecuzione.

Se ne ricava che la proposizione dell'opposizione non era soggetta ad alcuna preclusione temporale e che la sentenza di primo grado doveva essere impugnata mediante appello.

4. Con il secondo motivo del ricorso, sostanzialmente, è fatta valere la nullità della sentenza impugnata, poiché il giudizio non si è svolto anche in confronto del terzo pignorato, al quale il ricorrente attribuisce il ruolo di litisconsorte necessario: censura di violazione dell'art. 132, n. 2, 102, 615, 617, c.p.c.

Il motivo non è fondato.

4.1. L'esecuzione forzata condotta con le forme indicate dagli artt. 543 e seguenti del codice di procedura civile ha per oggetto crediti del debitore verso un terzo o cose di proprietà del debitore detenute dal terzo.

L'individuazione, la valutazione e l'apprensione dei crediti o delle cose non può essere compiuta direttamente dal creditore procedente e richiede la collaborazione del terzo. In questa collaborazione sta la particolarità di questa forma di esecuzione forzata, la quale, per altri versi, è una forma di espropriazione forzata mobiliare, la quale è condotta contro il debitore e non certo contro il terzo.

Quando è contestato che non sono state soddisfatte le condizioni affinché il titolo fatto valere abbia acquistato l'efficacia sua propria, la relativa opposizione è proprio quella disciplinata dall'art. 615, secondo comma, c.p.c.

4.2. Fatta questa premessa, il motivo pone il problema se nell'opposizione all'esecuzione che si svolge con riferimento all'espropriazione forzata presso il terzo, quest'ultimo sia litisconsorte necessario nel giudizio.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte esibisce principi non sempre concordanti.

4.2.1. Da un lato, è stato ritenuto che nell'espropriazione presso terzi, il pignoramento impone al terzo di non compiere atti che determinano l'estinzione del credito o il suo trasferimento ad altri, di guisa che il terzo è interessato alle vicende processuali che riguardano la legittimità o validità del pignoramento, poiché possono comportare o meno la liberazione dal relativo vincolo. Ne consegue che il terzo pignorato è parte necessaria nei processi di opposizione all'esecuzione o di opposizione agli atti esecutivi in cui si contesti la validità del pignoramento e deve essere chiamato in causa dall'opponente ed in mancanza il giudice deve ordinare l'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti: Cass. 1° ottobre 1997, n. 9571, e 15 dicembre 2003, n. 493.

Si tratta degli stessi argomenti adoperati da Cass. 22 dicembre 1987, n. 9527, secondo la quale nell'espropriazione presso terzi, il pignoramento impone al terzo pignorato di non compiere atti che comportino l'estinzione del credito, con il pagamento, o che attengano al trasferimento del credito ad altri, quale l'accettazione della cessione, cosicché il terzo diviene interessato alle vicende processuali che riguardano la legittimità o validità del pignoramento, giacché comportano la sua liberazione o meno da tale vincolo.

A queste decisioni si può aggiungere, ma con riferimento all'opposizione agli atti esecutivi, Cass. 8 novembre 2002, n. 15703, secondo la quale nel procedimento di opposizione agli atti esecutivi, il terzo pignorato è litisconsorte necessario, peraltro, ricorrendo un'ipotesi di causa inscindibile, e Cass. 17 agosto 1990, n. 8370, secondo la quale la legittimazione a proporre opposizione agli atti esecutivi non spetta soltanto al debitore ed al terzo assoggettato all'esecuzione, ma spetta in proprio a tutti coloro che, partecipanti al procedimento esecutivo, siano interessati al suo regolare svolgimento allo scopo di evitare il danno derivante dal compimento di atti non conformi alla legge.

4.2.2. Dall'altro lato è stato ritenuto che le opposizioni all'esecuzione che si possono svolgere nell'espropriazione presso terzi sono caratterizzate dall'oggetto, costituito dalla contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata per mancanza del titolo esecutivo o del credito e per impignorabilità dei beni. Consegue che gli unici soggetti legittimati a proporre l'opposizione sono il debitore esecutato o il creditore e non il terzo che ha reso la dichiarazione di cui all'art. 543 c.p.c. Pertanto, quest'ultimo non è legittimato a proporre opposizione all'esecuzione nel procedimento corrispondente: Cass. 21 gennaio 2000, n. 687, alla quale si possono aggiungere Cass. 25 luglio 2003, n. 11558 (che ha ritenuto che nel giudizio di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi il terzo pignorato non può in linea di principio ritenersi parte necessaria, perché per assumere tale qualità deve avere interesse all'accertamento della estinzione del suo debito).

4.3. Il Collegio aderisce a quest'ultima soluzione, considerando quanto segue.

Il processo esecutivo promosso sulla base di pignoramento presso terzi non si svolge nei confronti del terzo e, quindi, quest'ultimo non è coinvolto dalla situazione determinata dal precedente giudizio di esecuzione che è condotto a carico di soggetti diversi da lui: Cass. 13 gennaio 1983, n. 249. Il terzo, quindi, non è soggetto passivo della sanzione esecutiva data la gamma di obblighi ed oneri cui la procedura esecutiva lo sottopone.

Discende da ciò che gli unici soggetti legittimati a proporre opposizione all'esecuzione in questa forma di esecuzione sono il debitore esecutato o il creditore.

Al riguardo non varrebbe obbiettare che il terzo è soggetto passivo della sanzione esecutiva data la gamma di obblighi ed oneri cui la procedura esecutiva lo sottopone. Questi obblighi e questi oneri, invero, possono derivare dall'esercizio e non dall'azione esecutiva in sé, sulla quale si pronuncia la sentenza che decide l'opposizione all'esecuzione.

Pertanto, il terzo indicato dall'art. 543 citato non è legittimato a proporre opposizione all'esecuzione nel procedimento corrispondente.

4.4. Sulla base di queste considerazioni il terzo pignorato non era litisconsorte necessario nel giudizio di opposizione e la sentenza non doveva essere pronunciata anche in suo confronto.

5. Con il terzo motivo del ricorso, sostanzialmente, è dedotto che quanto ha formato oggetto dell'opposizione all'esecuzione doveva essere fatto valere nel giudizio di opposizione contro decreto ingiuntivo, poiché con l'opposizione all'esecuzione non possono essere fatti valere vizi attinenti la formazione del titolo esecutivo: censura di violazione degli artt. 615, 617, 645 e 649 c.p.c.

Il motivo non è fondato.

5.1. L'art. 475, primo comma, c.p.c. dispone che le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l'esecuzione forzata, debbono essere muniti della formula esecutiva, salvo che la legge disponga altrimenti.

Interpretando la norma, la dottrina quasi unanimemente sostiene che il possesso del titolo è condizione necessaria per il compimento dei singoli atti di esecuzione ed è anche condizione sufficiente perché il creditore ottenga l'esecuzione senza dover provare il diritto alla prestazione risultante dal titolo stesso.

Ciò, tuttavia, non basta, perché la norma, ai fini del procedimento, richiede ancora che, quando l'esecuzione è promossa in conformità a un titolo giudiziale o di un atto ricevuto da pubblico ufficiale, il creditore è tenuto a munirsi di una copia del titolo stesso o, come si esprime la norma, deve chiedere la spedizione del titolo in forma esecutiva.

La spedizione del titolo in forma esecutiva deriva dal sistema francese, nel quale l'esecuzione forzata era attività amministrativa e non giurisdizionale e la pronuncia del giudice, per essere portata ad esecuzione, doveva essere recepita dalla pubblica amministrazione come atto amministrativo. In quel sistema la spedizione in forma esecutiva fungeva, cioè, da ponte tra la pronuncia del giudice e l'attività esecutiva vera e propria (che era esercizio di potere amministrativo).

In definitiva, la ricezione da parte del potere amministrativo avveniva con il comandiamo, di cui vi è ancora traccia nell'art. 475 citato, il quale, all'epoca, era un ordine del funzionario amministrativo impartito ai funzionari amministrativi competenti a dare attuazione al titolo.

Nel codice di procedura italiano del 1865, l'esecuzione forzata diventò, invece, attività giudiziaria vera e propria e si formò l'opinione, poi largamente condivisa, che l'apposizione della formula esecutiva era non altro che un'affermazione esteriore e solenne d'una efficacia che già è inerente per ed al titolo esecutivo. Si trattava di un requisito più formalistico che formale, giustificato dalla ragione pratica di far sì che il titolo sia rilasciato alla parte, a favore della quale il provvedimento fu emanata o fu stipulata l'obbligazione e di contrassegnare la copia spedita in forma esecutiva per distinguerla dalle altre copie autentiche destinate ad ogni altro uso.

Sotto il codice di procedura vigente la dottrina ritiene in prevalenza che la nozione e la funzione della formula esecutiva accolte nel codice del 1865 sia stata mantenuta, perché la formula non ha alcun carattere di essenzialità, tenuto presente il regime delle opposizioni, e perché con la spedizione in forma esecutiva non si accerta l'attuale efficacia del titolo esecutivo e non si verifica neppure l'avveramento della condizione sospensiva, la esecuzione della controprestazione, l'avvenuta scelta nella obbligazione alternativa e, più in generale, l'inesistenza di fatti impeditivi ed estintivi dell'azione esecutiva. Inoltre, alcun controllo è consentito compiere all'ufficiale giudiziario che non sia quello della semplice lettura delle risultanze estrinseche del titolo esecutivo, non essendo egli adatto a compiere indagini più delicate.

È pur vero che questa posizione è stata contrastata da chi ha sostenuto che la spedizione in forma esecutiva adempie alla funzione di delibare l'esistenza, l'appartenenza e la validità formale del titolo esecutivo e che, sul piano strutturale, la spedizione del titolo in forma esecutiva è un elemento alla cui presenza la legge subordina la valenza dell'atto come titolo ed è comunque un requisito essenziale per la produzione dei suoi effetti; per cui, prima che sia apposta la formula esecutiva il diritto a procedere ad esecuzione forzata è soggetto ad una condizione impropria (condicio iuris), il cui avveramento soltanto ne consente l'esercizio.

Nondimeno, la giurisprudenza di questa Corte prevalentemente si è espressa in maniera conforme alla dottrina dominante, quando ha affermato che la spedizione in forma esecutiva non accerta l'efficacia del titolo esecutivo, né l'inesistenza di fatti impeditivi o estintivi dell'azione esecutiva, ma rappresenta un elemento di consapevolezza per il debitore dell'esistenza del titolo esecutivo: Cass. 5 luglio 1990, n. 7074.

Si tenga conto, inoltre, del fatto che la spedizione in forma esecutiva, come si è visto, riguarda soltanto le sentenze, gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria suscettibili di esecuzione forzata in senso proprio e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale. La spedizione in forma esecutiva non è, invece, chiesta per le cambiali e gli altri titoli di credito, per i quali valgono le regole loro proprie di circolazione ed in ragione della loro natura di atti privati che non rende neppure pensabile la spedizione in forma esecutiva e per i titoli di formazione amministrativa o di quelli cosiddetti di formazione privata.

5.2. Se ne ricava che le questioni circa il ruolo svolto dalla formula esecutiva attengono direttamente al titolo esecutivo e, quindi, per stare alla censura che si sta esaminando, la mancata prestazione della cauzione non poteva essere fatta valere in sede di opposizione contro il decreto ingiuntivo.

6. Il quarto motivo del ricorso si riferisce alla circostanza, pacificamente ritenuta dalle parti, che la concessione della esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo è stata subordinata alla prestazione di una cauzione.

6.1. Il ricorrente, traendo spunto da questa circostanza, sostiene che gli eventi successivi alla concessione della esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo, come la messa in liquidazione della compagnia che aveva prestato la cauzione, non incidevano sulla regolare apposizione della formula esecutiva e, in definitiva, non potevano essere sindacati dal giudice dell'opposizione all'esecuzione: censura di violazione degli artt. 132, n. 4, e 642 c.p.c. e dell'art. 130 r.d. n. 63 del 1925.

Il motivo non è fondato.

6.2. La condizione, riguardante la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo, della prestazione di una cauzione ad opera della parte intimante svolge la funzione di garantire la restituzione di quanto la parte ingiunta abbia ingiustamente pagato nel caso di revoca del decreto ingiuntivo.

Questa garanzia, quando è imposta, deve permanere fino alla definizione dell'opposizione contro il decreto ingiuntivo.

La compagnia assicurativa che ha prestato la cauzione, se posta in liquidazione, anche solo dopo la prestata cauzione, non è in grado di adempiere la funzione della cauzione. Di qui l'illegittimità sopravvenuta della cauzione e l'illegittimità della formula esecutiva apposta.

6.3. La sentenza impugnata, sostanzialmente, ha considerato che la cauzione in favore della Società Grandi Magazzini era stata prestata da compagnia posta il liquidazione e, quindi, non in grado di mantenere la garanzia. Da questa circostanza ha ricavato che era venuta meno la garanzia alla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto e che, quindi, la formula apposta al titolo esecutivo era illegittima.

Questa conclusione è corretta ed il motivo deve essere rigettato.

7. L'intero ricorso, pertanto, è rigettato.

Le spese di questo giudizio gravano sul ricorrente, in base alla regola della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 7.100,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre rimborso forfetario, spese generali ed accessori di legge.