Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 20 giugno 2007, n. 14294

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nelle dichiarazioni dei redditi relative all'esercizio 1997 la s.r.l. Nord Lighting e la s.r.l. Avenger Studio Equipment, poi incorporate dalla s.p.a. Lino Manfrotto e C., odierna resistente, esponevano un'imposta sostitutiva della maggiorazione di conguaglio, dovuta ai sensi dell'art. 1 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 467.

Come previsto dal comma 3 del medesimo articolo, corrispondevano l'imposta in tre rate.

Con due istanze chiedevano tuttavia il rimborso di quanto pagato a titolo di prima e seconda rata. A sostegno delle istanze deducevano di avere titolo all'esenzione decennale dall'Irpeg prevista dall'art. 28 l. 31 maggio 1964, n. 357 e poi dall'art. 19 l. 19 dicembre 1973, n. 837 (e proroghe successive) a favore delle imprese che istallassero nuovi stabilimenti nei territori colpiti dal disastro del Vajont.

Formatosi sulle istanze il silenzio rifiuto, le società adivano la Commissione tributaria provinciale di Belluno, che accoglievano i ricorsi con sentenze in data passata in giudicato.

Avvenuta nel frattempo l'incorporazione delle due società nella s.p.a. Lino Manfrotto e C., questa corrispondeva anche la terza rata dell'imposta sostitutiva della maggiorazione di conguaglio, di cui chiedeva ugualmente il rimborso.

Formatosi anche su tale istanza il silenzio-rifiuto, la società odierna resistente adiva la Commissione tributaria provinciale di Belluno, che accoglieva il ricorso.

Il Ministero dell'economia e delle finanze proponeva appello, che veniva rigettato dalla Commissione tributaria regionale con sentenza in data 4 ottobre 2004, in base alla seguente motivazione:

Invero è assorbente, rispetto ad ogni considerazione di merito, l'eccezione di giudicato sollevata dall'appellata società.

È, infatti, insegnamento del Supremo Collegio secondo cui la sentenza passata in giudicato fa stato tra le medesime parti in ordine agli accertamenti compiuti alla situazione giuridica ed alle questioni di fatto e di diritto concernenti il medesimo rapporto giuridico dedotto in giudizio.

Tale principio, come correttamente ricorda l'appellata, è stato affermato anche con riferimento alle situazioni giuridiche di durata essendo unico l'oggetto del giudicato che si riferisce all'intero rapporto tributario e non ai singoli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento (Cass., sez. trib., 25 giugno 2001, n. 8658).

Poiché non è controverso il diritto al rimborso delle prime due rate del tributo oggetto del presente contenzioso (non essendo stato contestato dall'Ufficio il passaggio in giudicato della citata sentenza della Commissione di primo grado di Belluno) non resta che decidere la controversia alla luce del riconosciuto diritto e, per 1'effetto, rigettare l'appello dell'Amministrazione.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell'economia e delle finanze, con due motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la Lino Manfrotto e C. s.p.a., la quale ha eccepito la inammissibilità del ricorso, in quanto la sentenza è stata notificata l'11 febbraio 2005 e il timbro apposto sulla prima pagina del ricorso, non recando la sottoscrizione dell'ufficiale giudiziario, né alcun elemento idoneo ad identificare l'ufficiale giudiziario che avrebbe ricevuto l'atto, non dimostrerebbe la consegna del ricorso all'ufficiale nella data in esso risultante (12 aprile 2005), in teoria ultimo giorno utile.

Sul presupposto della esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di questa Suprema Corte in ordine alla prova della consegna in tempo utile dell'atto da notificare, la causa è stata rimessa alle Sezioni unite.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente esaminata la questione della tempestività del ricorso, in relazione alla quale la causa è stata rimessa alle Sezioni unite di questa Suprema Corte.

Occorre, in proposito, rilevare che questa Suprema Corte non ha mai ritenuto che la prova in questione possa essere fornita solo con la ricevuta di cui all'art. 109 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, affermando costantemente la idoneità anche di una attestazione dell'ufficiale giudiziario in ordine alla data di ricezione dell'atto da notificare (sent. 2 settembre 2004, n. 17714; 29 settembre 2004, n. 19508; 26 luglio 2005, n. 15616; 17 novembre 2005, n. 23294). In tale ordine di idee è stato ritenuto sufficiente il timbro apposto sul ricorso dal quale risulti l'avvenuto pagamento all'ufficiale giudiziario dei suoi diritti di notifica e delle relative tasse erariali in data antecedente alla scadenza del termine per la notifica (sent. 11 gennaio 2007, n. 390).

Non vi è contrasto neppure in ordine alla individuazione dei requisiti di tale attestazione, essendo stata costantemente affermata l'idoneità del timbro apposto sul documento da notificare dal quale risultino il numero del registro cronologico e la data (sent. 11 febbraio 2005, n. 1951; 1° aprile 2005, n. 6836; 28 luglio 2005, n. 15797; implicitamente in senso conforme cfr. sent. 30 dicembre 2004, n. 24239). Non negano, infatti, la idoneità di tale timbro le sentt. 2 settembre 2004, cit., e 11 gennaio 2007, n. 1552, le quali ha fatto riferimento alla "mera apposizione di una data con timbro a datario", senza riferimento al numero cronologico.

In coerenza, infine, con tale impostazione si è escluso che la prova della data certa possa essere fornita: 1) da una mera annotazione del difensore sul frontespizio del ricorso, attestante la consegna all'ufficiale giudiziario in una certa data, con l'invito alla notifica entro la data di scadenza del termine per l'impugnazione (sent. 16 novembre 2005, n. 23089); 2) dal fatto che in un foglio bianco allegato con spillatura al ricorso si trovi un timbro dell'UNEP della Corte di appello attestante il pagamento in una data anteriore alla scadenza del termine per la notifica delle tasse erariali in modo virtuale, qualora tale timbro sia privo di sottoscrizione e di numero cronologico di protocollo (sent. 16 novembre 2005, cit.); 3) dalla apposizione di una data a timbro sulla prima pagina del ricorso, senza alcuna sottoscrizione dell'ufficiale giudiziario o altra indicazione (sent. 15 giugno 2006, n. 13768); 4) dalla apposizione sulla prima pagina del ricorso della stampigliatura "ultimo giorno" non riferibile ad alcuna data precisa (sent. 15 giugno 2006, n. 13768).

In definitiva, si può ritenere che la giurisprudenza di questa Suprema Corte è concorde nell'affermare che, ove non venga esibita la ricevuta di cui all'art. 109 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, la prova della tempestiva consegna all'ufficiale giudiziario dell'atto da notificare può essere ricavata dal timbro apposto su tale atto recante il numero cronologico e la data.

Il collegio ritiene di aderire a tale orientamento.

Occorre, in proposito, partire dalla considerazione che, in mancanza di una disciplina la quale richieda un determinato tipo di prova legale in ordine alla tempestività della consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario, tale tempestività va valutata sulla base di elementi i quali offrano sufficienti garanzie di certezza ed a tal fine va riconosciuta la astratta idoneità del timbro apposto sull'atto da notificare ai fini della liquidazione delle spese di notifica, ove dallo stesso risultino una data e il riferimento al numero del registro cronologico che l'ufficiale giudiziario deve tenere ai sensi dell'art. 116, lett. a), del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 e che fa fede fino a querela di falso.

Naturalmente, non potendo attribuirsi a tale timbro valore di prova legale in ordine alla data di consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario, la idoneità probatoria in questione viene meno in caso di contestazione (per qualsiasi motivo) della conformità al vero di quanto da esso indirettamente risulta. In tal caso l'interessato dovrà farsi carico di esibire idonea certificazione dell'ufficiale giudiziario (il che è quanto è avvenuto nella specie).

Tale certificazione, essendo diretta a provare la ammissibilità del ricorso, potrà essere esibita secondo le previsioni di cui all'art. 372 c.p.c.

Alla luce di tali considerazioni il ricorso, nella specie, si deve ritenere tempestivamente proposto sulla base della certificazione esibita, in tal modo venendo ad essere superata la contestazione, nel controricorso, della idoneità del timbro apposto a margine della prima pagina dello stesso, nel quale risultano una data anteriore alla scadenza del termine per la notifica e il riferimento al numero del registro cronologico.

Passando all'esame del merito, con il primo motivo del ricorso si deduce testualmente:

Si deve obiettare, innanzitutto, che il punto di vista espresso da Cass. 8658/2001, ammesso che sia pertinente al caso in esame, è stato successivamente superato da una serie di pronunce ormai costante. In proposito, la giurisprudenza è ormai pervenuta all'affermazione secondo cui "nel sistema tributario, ogni anno fiscale mantiene la propria sostanziale autonomia rispetto agli altri e comporta la costituzione tra contribuente e fisco, di un rapporto giuridico distinto rispetto a quelli relativi agli anni precedenti e successivi, e che perciò la decisione relativa ad un anno non può costituire giudicato rispetto ad anni diversi". Ciò in quanto "il giudicato che si forma in un giudizio è correlato all'oggetto del giudizio stesso a sua volta determinato, e delimitato, dal petitum e dalla causa petendi, e che il petitum richiesto in un giudizio relativo ad un singolo anno fiscale comporta, per definizione, una richiesta di accertamento limitata a quell'anno fiscale" (così Cass. 30 maggio 2003, n. 8709; nello stesso senso 15 dicembre 2003, n. 19152; 22 febbraio 2005, n. 3552; 11 febbraio 2005, n. 2823).

In secondo luogo, si deve ricordare in termini generali che il giudicato suscettibile di dare luogo ad una preclusione estensibile ad altri giudizi tra le stesse parti, ai sensi dell'art. 2909 c.c. è, testualmente, quello che si forma sull'"accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato" formale ex art. 324 c.p.c. Affinché possa astrattamente porsi una questione di estensione del giudicato ad un altro giudizio tra le stesse parti è quindi necessario che tra queste ultime sussista una controversia implicante innanzitutto questioni di fatto, cioè la necessità di accertare giudizialmente determinati fatti nella loro esistenza e consistenza reale. Una volta intervenuto con sentenza irrevocabile l'accertamento dei fatti, in altri giudizi tra le stesse parti non potrà accertarsi una diversa esistenza o consistenza dei medesimi.

Se questi sono i limiti entro cui opera la disposizione dell'art. 2909 c.c., è evidente che essa non aveva alcuna attinenza con il caso in esame. Qui tra le parti non vi era alcuna controversia di fatto, poiché era pacifico che la società aveva operato nei territori compresi nella legislazione di agevolazione per il Vajont, e che aveva conseguito gli imponibili dichiarati come base imponibile, tra l'altro, dell'imposta sostitutiva della maggiorazione di conguaglio. L'unica questione controversa era puramente giuridica, poiché si trattava di stabilire se l'imposta sostitutiva potesse o meno ritenersi contemplata dalle disposizioni che prevedevano l'esenzione dall'Irpeg.

La conclusione giuridica positiva raggiunta al riguardo in precedenti contenziosi tra le parti, non poteva quindi in alcun modo vincolare la decisione degli ulteriori contenziosi insorti sulla medesima questione. Le precedenti sentenze non contenevano, invero, alcun "accertamento" nel senso voluto dall'art. 2909 c.c.

In terzo luogo, sviluppando quanto appena osservato, si deve considerare che, come ha ribadito anche la stessa giurisprudenza favorevole all'estensione dei giudicati tra diversi anni di imposta, l'estensione presuppone "due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico" (così testualmente la sent. 8658/2001 citata dalla CTR). Neppure questa condizione sussiste però nel caso in questione.

Qui la controversia concerneva il diritto al rimborso di rate di imposta pagate, in tesi, indebitamente. Il fatto costitutivo (la causa petendi) era quindi rappresentata dall'avvenuto pagamento della rata, e l'oggetto della domanda (il petitum) era, appunto, il rimborso di quanto pagato. Ad ogni pagamento corrispondeva dunque l'insorgenza di una distinta e autonoma pretesa di rimborso, della quale doveva valutarsi la fondatezza giuridica.

Che ad ogni singolo pagamento corrisponda un autonomo rapporto giuridico di (preteso) rimborso è dimostrato, nell'ordinamento tributario, dalla circostanza che la pretesa di rimborso del contribuente è assoggettata a termini di decadenza che decorrono specificamente da ciascun pagamento in sé considerato, vale a dire prescindendo dal fatto se si tratta di un pagamento integralmente estintivo del debito di imposta o, invece, del pagamento di un acconto o di una rata. Nel campo delle imposte dirette dispone in tal senso l'art. 38 d.P.R. 602/1973, come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di codesta Suprema Corte.

Con particolare riferimento all'imposta sostitutiva della maggiorazione di conguaglio ex art. 1 d.lgs. 467/1997, deve poi considerarsi che la rateizzazione del pagamento era imposta dalla legge. L'art. 1, comma 3, disponeva infatti che "l'imposta... è liquidata nella dichiarazione dei redditi... ed è versata in tre rate...". Per espressa previsione di legge, quindi, dovevano effettuarsi tre distinti pagamenti, ai quali corrispondevano altrettanti distinti rapporti di (potenziale) rimborso. Il comma 5 dell'art. 1 precisava poi che "per... i rimborsi... e il contenzioso si applicano le disposizioni previste per le imposte sui redditi", cioè l'art. 38 d.P.R. 602/1973 sopra richiamato.

Stante l'autonomia di ciascun pagamento rateale e del connesso rapporto giuridico di rimborso, ogni controversia vertente sul rimborso di singole rate era oggettivamente distinta, per petitum e causa petendi, dalle controversie che potevano avere opposto le medesime parti in relazione a rate diverse. Ne discendeva necessariamente l'inestensibilità dei giudicati fra tali diverse controversie.

Questa Suprema Corte non ha avuto dubbi nel condividere questa impostazione quando ha affrontato il caso della rateizzazione dell'imposta di successione ai sensi degli artt. 43 d.P.R. 637/1972 e 38 d.lgs. 346/1990. Nella sent. 27 marzo 2001, n. 4407 codesta Corte doveva decidere, tra l'altro, se l'irretroattività delle disposizioni del d.lgs. 3466/90, stabilita dal suo art. 63, e la sua applicazione anche al saggio di interesse della rateizzazione dell'imposta, potesse essere sic et simpliciter affermata in relazione a rate successive, dopo che si era formato un giudicato in tali senso relativamente a rate precedenti.

La risposta è stata negativa. Nella motivazione si legge infatti: "la tesi della ricorrente amministrazione, il cui esame non è precluso (come dedotto dai resistenti) dal giudicato formatosi su pronunce inerenti a distinte rate della stessa imposta, stante la diversità delle rispettive pretese impositive, è infondata in base al principio secondo il quale l'art. 38, secondo comma, del d.lgs. del 1990, in tema di interessi per il caso di dilazione del pagamento dell'imposta di successione, non si applica, ai sensi dell'art. 63 della stessa normativa, per le successioni che si siano aperte anteriormente al 1° gennaio 1991, anche se sia posteriore la concessione di quella dilazione".

Ad ogni rata corrisponde dunque una diversa pretesa impositiva e di rimborso e non è consentito estendere a questa il giudicato formatosi su "distinte rate della stessa imposta".

Il motivo è infondato.

Ritiene in proposito il collegio che a tal fine non è neppure necessario invocare la giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale in materia tributaria il giudicato formatosi in relazione ad un periodo di imposta si estende anche ad altri periodi di imposta che abbiano elementi costitutivi comuni (sent. 13 ottobre 2006, n. 22036; 11 giugno 2006, n. 13916), dal momento che nella specie si trattava di rimborsi di pagamenti rateali relativi ad un unico periodo di imposta, per cui, essendo unico il rapporto, il giudicato formatosi sulla non debenza del tributo in relazione alle prime rate non può non estendersi alla controversia che abbia ad oggetto lo stesso rapporto, come affermato da questa Suprema Corte (cfr. sentt. 16 maggio 2006, n. 11365; 3 ottobre 2005, n. 19317).

Il rigetto del primo motivo rende superfluo l'esame del secondo motivo, con il quale si contesta la sussistenza del diritto al rimborso.

In considerazione delle particolarità della controversia, ritiene il collegio di compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.