Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione I
Sentenza 9 maggio 2007, n. 4185

FATTO E DIRITTO

1. Con denuncia pervenuta il 27 ottobre 1997, il Codacons, in qualità di associazione di consumatori, segnalava la presunta pubblicità non trasparente contenuta in uno speciale televisivo di RAI 2 sulla musica napoletana moderna (diffuso in seconda serata in data 24 settembre 1997), in relazione ad alcune inquadrature di una bottiglia di acqua minerale di marca "Lete".

Con comunicazione del 5 novembre 1997, veniva richiesto alla RAI, al fine di integrare la denuncia, di trasmettere la registrazione del programma segnalato.

In data 12 novembre 1997 la RAI inviava la registrazione richiesta.

La denuncia faceva riferimento alla seguente fattispecie.

Nel programma viene inquadrato un cantante napoletano che cammina nel suo quartiere di nascita e presenta i personaggi tipici dei vicoli della zona, che hanno avuto un ruolo nella sua infanzia. Tra questi vi è una anziana donna che nel suo "basso" vende acqua minerale e gassosa.

Il cantante beve un bicchiere di gassosa mentre la telecamera indugia sui due tipi di bottiglie, inquadrando in primo piano l'etichetta dell'acqua minerale "Lete".

In data 15 dicembre 1997 veniva comunicato all'associazione denunciante, alla RAI, quale possibile coautore del presunto messaggio pubblicitario, e alla Sorgente Lete Srl, quale possibile committente del presunto messaggio pubblicitario, l'avvio del procedimento ai sensi del Decreto Legislativo n. 74/92.

Con la suddetta comunicazione si rendeva noto che la fattispecie segnalata sarebbe stata valutata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del citato Decreto Legislativo, in relazione alla presunta forma di pubblicità non palese (c.d. "product placement") posta in atto.

Con comunicazione del 21 gennaio 1998 il procedimento è stato esteso nei confronti di Società Generale delle Acque Minerali Srl, quale possibile committente del presunto messaggio pubblicitario, e di Frame Srl, quale possibile coautore del presunto messaggio pubblicitario.

Contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento, al fine di acquisire specifici elementi di valutazione in merito alla natura pubblicitaria del contenuto del programma oggetto di denuncia, veniva richiesto alle parti di chiarire se sussistesse un eventuale coinvolgimento del marchio Lete quale sponsor del programma "Napoli che passione" e di fornire informazioni circa la campagna pubblicitaria di Lete sulle reti RAI.

Quest'ultima faceva pervenire due memorie difensive, rispettivamente in data 7 gennaio 1998 e 19 febbraio 1998.

L'Autorità provvedeva altresì a richiedere, in data 19 marzo 1998, il parere al Garante per la Radiodiffusione e l'Editoria, ai sensi dell'articolo 7, comma 5 del d.lgs. n. 74/92.

Il Garante non si esprimeva nel termine di trenta giorni dal ricevimento della richiesta e non rappresentava ulteriori esigenze istruttorie.

Al termine dell'istruttoria, l'Autorità deliberava che il "messaggio" oggetto del procedimento, costituiva una fattispecie di pubblicità non trasparente ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del Decreto Legislativo n. 74/92, e ne vietava l'ulteriore diffusione.

La RAI deduce:

1) Violazione di legge con riguardo all'art. 7 d.lgs. n. 74/92 e agli artt. 2, 5 e 6 del d.P.R. n. 627/96.

Contesta, in particolare, che le richieste di dati e informazioni possano essere indirizzate, nel corso del procedimento, allo stesso operatore che vi è sottoposto, perlomeno al di fuori dei casi espressamente previsti (art. 5, comma 1, e art. 11 d.P.R. n. 627 del 1996).

Ritiene, pertanto, che l'Autorità non possa autoaccordarsi una proroga del termine del procedimento, sostanzialmente sollecitando dalla parte un'attività istruttoria indebita e comunque inconferente con i fatti da accertare e valutare.

La denuncia, infatti, doveva ritenersi completa già al momento della sua presentazione, in data 27.10.1997, e pertanto, il termine del procedimento andava a scadere il 10.1.1998.

Ad ogni buon conto, anche a volere identificare il dies a quo nel 12.11.1997 (data di acquisizione della videoregistrazione del messaggio), del tutto illegittima, a dire della ricorrente, è la proroga che l'Autorità ha inteso far decorrere dalla richiesta di informazioni allo stesso proprietario del mezzo, in quanto estranea alle ipotesi specificamente disciplinate dagli art. 5, comma 1, 6, comma 1, e 11 del d.P.R. n. 627 del 1996.

Allo stesso modo, alcun effetto dilatorio potrebbe attribuirsi al termine previsto per l'espressione del parere dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

2) Violazione di legge con riguardo agli artt. 1, 2, e 4, d.lgs. n. 74 del 1992. Eccesso di potere sotto il profilo dell'erroneo apprezzamento delle circostanze e comunque errata valutazione del merito nel caso concreto.

I marchi e i prodotti di massa comunque identificabili dal consumatore fanno parte del "paesaggio" che ci circonda.

L'intento promozionale censurato dall'Autorità si porrebbe in contrasto con una serie di elementi che sono stati del tutto negletti e, in particolare, col fatto che il trattamento riservato al prodotto è ben lontano dal porlo in una luce favorevole, tale da invogliare il consumatore all'acquisto.

Alcunché di accattivante, infatti, potrebbe scorgersi nella scena della venditrice di acqua, e altre bevande, che esercita tale commercio attraverso la finestra del proprio "basso".

In secondo luogo, nessun operatore pubblicitario, animato da intento promozionale, concepirebbe mai un messaggio in cui il prodotto è addirittura disdegnato perché ad esso viene preferito un altro (la gassosa) che il cantante assapora nella scena in questione.

Si costituiva, per resistere, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, depositando documenti e memorie.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 4.4.2007.

2. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

2.1. Quanto alle argomentazioni sviluppate con il primo motivo, il Collegio ricorda come la Sezione abbia avuto già da tempo modo di chiarire che, se è perfino ovvio che, per regola logica generale, i procedimenti di pubblicità ingannevole non possano a tutti gli effetti iniziare finché manchi la disponibilità del messaggio che debba essere sottoposto a valutazione, d'altro canto l'art. 2 del d.P.R. n. 627/96 (all'epoca vigente) circoscrive l'onere del segnalante, su questo terreno, all'invio di copia anche fotostatica del messaggio diffuso a mezzo stampa ovvero della riproduzione fotografica del messaggio espresso mediante affissione; il regolamento non si è spinto invece, per la pubblicità televisiva, ad imporre al consumatore addirittura l'onere della registrazione ed allegazione di un'apposita videocassetta perché ciò avrebbe significato ostacolare oltre misura la possibilità delle segnalazioni, e dunque l'effettività delle norme in materia.

Il principio che si trae dell'art. 2 del d.P.R. cit. è, nondimeno, quello che una segnalazione non corredata di riproduzione del messaggio sia oggettivamente incompleta. Da qui, la necessità per l'Autorità di acquisire il documento mancante (la copia del messaggio televisivo) per poter avviare la sequenza procedimentale.

Inoltre, attesa la necessità pratica di rivolgersi all'operatore televisivo per acquisire la registrazione occorrente al procedimento, deve ritenersi che, ove si ponesse a carico dell'Autorità il lasso di tempo necessario per conseguire il mezzo rappresentativo del messaggio, si perverrebbe all'abnorme risultato di permettere ad un soggetto interessato di influire sulla durata del procedimento che lo riguarda.

Quanto appena esposto convalida il convincimento che i procedimenti in materia di pubblicità ingannevole non possano considerarsi avviati finché non sia stato procurato all'Autorità il documento incorporante il messaggio formante oggetto di segnalazione (così, in termini, TAR Lazio, sez. I, sentenza n. 2427/2004).

Nella fattispecie, pertanto, il dies a quo non può che individuarsi nel 12 novembre 1997, data in cui la RAI inviava la registrazione richiesta.

Neppure possono condividersi i rilievi di parte ricorrente circa l'arbitrarietà della proroga di novanta giorni, derivante dalla richiesta di informazioni rivolta alla stessa ricorrente.

In primo luogo, sul piano letterale, l'art. 6, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 626/97, non contiene alcuna delimitazione in ordine ai soggetti ai quali possono essere richiesti dall'Autorità informazioni e documenti.

Ciò senza dire che la norma configura in capo ai soggetti destinatari delle richiesta, ove coincidenti con le stesse parti del procedimento, più che un obbligo, un onere, funzionale, da un lato, all'attuazione della regola del contraddittorio, e, dall'altro, al fondamentale principio dell'istruttoria amministrativa, consacrato, in via generale, dall'art. 6, comma 1, lett. b), della l. n. 241/90, secondo cui l'amministrazione ha l'obbligo di accertare d'ufficio, per quanto possibile, la realtà dei fatti e degli atti, anche acquisendo, ove necessario, precisazioni relative all'interpretazione di istanze poco chiare o troppo generiche, oppure verificando direttamente, la fondatezza e la veridicità delle dichiarazioni rese in istruttoria dalle stesse parti (cfr. Cons. St., VI, 9 maggio 2002 n. 2531).

Con specifico riguardo ai procedimenti in materia di pubblicità ingannevole, la formulazione della norma regolamentare sopra richiamata rende evidente che la necessità delle proroga è legata alla necessità oggettiva di acquisire ulteriori elementi utili alle valutazioni dell'Autorità, risultando quindi del tutto indipendente dalla natura della fonte alla quale tali informazioni vengano attinte.

In definitiva, nel caso di specie, il termine di conclusione del procedimento risulta dalla somma del termine ordinario di 75 giorni, dell'ulteriore proroga di 90 giorni, scaturente dalla richiesta di informazioni ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. a) del più volte citato d.P.R. n. 627 del 1996, nonché del termine di 30 giorni necessario per la formulazione del parere dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Al riguardo, la Sezione ha da tempo chiarito che il senso dell'innesto, nell'ambito dell'art. 6 del d.P.R. n. 627 del 1996, del suo secondo comma, che è dedicato, appunto, ai tempi occorrenti ai fini del parere dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, già secondo la logica comune, non può che essere quello di aggiungere al termine ordinario di cui al primo comma, le quante volte il predetto parere sia prescritto, il lasso di tempo previsto dall'art. 13 affinché il relativo apporto procedimentale possa essere rilasciato.

La ratio di siffatta proroga è, del resto, del tutto analoga a quella che ispira le due ipotesi di proroga del termine menzionate nel primo comma dell'art. 6, giacché in tutti questi casi ci si trova dinanzi a complicazioni procedurali eccedenti lo "schema minimale" del procedimento.

Per quanto detto, i trenta giorni assegnati per l'espressione del parere di cui all'art. 13 del regolamento non possono essere reputati compresi nel termine generale per la conclusione dei procedimento (così ancora la sentenza n. 2427/2004 cit.).

3. Nel merito, la RAI asserisce che l'esibizione delle bottiglie recanti il marchio "Lete" non avrebbe alcunché di artificioso o voluto, trattandosi di oggetti che fanno parte della vita quotidiana.

Inoltre, il marchio in questione non sarebbe proposto in modo accattivante poiché la bevanda oggetto dell'asserito intento promozionale verrebbe addirittura disdegnata dal cantante che preferisce alla più nota acqua minerale un'anonima gassosa.

L'Autorità, per contro, ha osservato che "nella scena in questione l'etichetta dell'acqua minerale Lete risulta inquadrata in primo piano e per un tempo sufficientemente lungo da consentire al consumatore la chiara individuazione del prodotto".

Ha altresì evidenziato l'artificiosità della inquadratura in questione in quanto "mentre il dialogo è ancora incentrato su ricordi di infanzia del cantante, già il movimento della camera, che inquadra le due bottiglie in primo piano, anticipa ciò che, a momenti, sarebbe stato detto circa l'attività di vendita di acqua e gassosa effettuata dalla donna. La ripresa in primo piano dell'etichetta Lete, che interrompe l'inquadratura dei due personaggi intenti ancora a parlare di altri accadimenti, non è, dunque, dovuta a esigenze narrative, così come sarebbe stato se la telecamera avesse seguito il senso del dialogo, illustrandone il contenuto. Ad ulteriore riprova di ciò è il fatto che mentre la bottiglia di acqua minerale Lete viene inquadrata con l'etichetta dalle telecamere per tutta la scena, la bottiglia di gassosa è, invece, disposta, e successivamente maneggiata, in maniera che non sia in alcun modo leggibile il marchio".

3.1. Occorre premettere che il d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, prevedendo che la pubblicità deve essere palese (art. 1 cpv., oggi trasfuso nell'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 206/2005), impone con ciò il requisito della "trasparenza" della comunicazione pubblicitaria, in forza del quale la stessa deve "essere chiaramente riconoscibile come tale; in particolare, la pubblicità a mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione". (art. 4, oggi trasfuso nell'art. 23, comma 1, d.lgs. n. 206/2005 cit.).

La pubblicità occulta è vietata, in ogni possibile forma, in quanto particolarmente insidiosa. Essa, infatti, "elude le naturali difese rappresentate dalle risorse critiche alle quali il pubblico è solito ricorrere dinanzi ad una pressione pubblicitaria scoperta; è più autorevole ed affidabile, per il fatto che il messaggio ha l'apparenza di un'informazione neutrale e disinteressata; è, infine, particolarmente efficace, in quanto si presta a carpire l'attenzione anche di coloro che usano distoglierla dai messaggi pubblicitari palesi. La pubblicità occulta, dunque, nella multiformità delle sue espressioni, disorienta il pubblico dei consumatori, aggirandone i naturali meccanismi di difesa e reazione, oltre, naturalmente, ad alterare la ideale situazione di parità delle imprese nel confronto concorrenziale" (così TAR Lazio, I, 21 ottobre 2003, n. 8919).

Nell'ambito del divieto di pubblicità occulta ricadono, in particolare, le ipotesi di pubblicità tradizionalmente denominata "redazionale", la quale si rivolge al pubblico con le ingannevoli sembianze di un normale servizio giornalistico, apparentemente riconducibile ad una disinteressata scelta della redazione, nonché il c.d. "product placement", tipico dei film, consistente nell'esibizione o nella citazione della denominazione, del marchio o dei prodotti di un'impresa in un contesto comunicazionale informativo o di intrattenimento, a fini promozionali (così TAR Lazio, I, 11 marzo 2005, n. 1811).

La giurisprudenza di questo Tribunale ha più volte affermato che in materia di pubblicità "occulta" è possibile pervenire alla individuazione dello scopo promozionale sulla base di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, anche in mancanza della prova storica del rapporto di committenza, che solo eccezionalmente può essere acquisita, essendo nella esclusiva disponibilità delle parti. Di conseguenza non può essere inibito all'Autorità - allorquando manchi la prova diretta del rapporto di committenza, come avviene nel caso in esame - di raggiungere tale prova facendo ricorso, in modo rigoroso e prudente, ad elementi presuntivi.

Ovviamente, quello che il giudice adito può svolgere in materia è un sindacato soltanto indiretto, inteso essenzialmente a verificare la coerenza e la ragionevolezza dell'iter logico percorso dall'Autorità, la congruità dell'istruttoria compiuta, la sufficiente univocità degli elementi indiziari disponibili e la sufficienza della motivazione addotta.

Nel caso di specie, l'atto impugnato si fonda su elementi presuntivi che hanno i prescritti caratteri di gravità, precisione e concordanza, cosicché la valutazione compiuta dall'Autorità, appare immune da vizi.

In primo luogo, non è affatto persuasiva l'argomentazione secondo cui l'esibizione del marchio sarebbe priva di qualunque enfasi elogiativa del prodotto, che verrebbe mostrato in modo assolutamente causale ed in un contesto ben poco accattivante.

È noto infatti che il "product placement" prescinde dalla presentazione del prodotto in termini elogiativi, riuscendo a veicolarlo, ugualmente, allo spettatore, "tramite la sua collocazione in precisi contesti sociali e psicologici che contribuiscono al riconoscimento del brand e delle qualità ad esso attribuite. Il ricorso a questa forma di comunicazione commerciale è indipendente dalla chiara ed esplicita presentazione del prodotto e, soprattutto, prescinde dall'adozione dello stile elogiativo ed enfatico tipico della pubblicità, che costituisce invece il principale elemento distintivo tra informazione giornalistica e messaggi promozionali c.d. redazionali (così TAR Lazio, I, n. 1811/2005 cit.).

Il giudice amministrativo ha individuato due classi di criteri rilevanti ai fini dell'apprezzamento della natura promozionale del messaggio, vale a dire "l'esibizione casuale o meno, ripetuta o meno, del marchio del prodotto; la strumentalità o meno dell'esibizione rispetto all'opera artistica - intellettuale" (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza dell'11 aprile 2003, n. 1929).

Il criterio dirimente appare incentrato sulle modalità di raffigurazione del prodotto ed, in particolare, sulla "innaturalità" della sua esibizione da valutarsi in relazione all'insistenza sul marchio del prodotto, alla reiterazione delle citazioni o alla gestualità esasperata, forzata o comunque artificiosa dei personaggi. Con riguardo, invece, alla strumentalità della rappresentazione rispetto al contesto, la giurisprudenza suole valutare la necessità ovvero l'utilità dell'esibizione del prodotto rispetto alle esigenze narrative. L'indagine, da effettuarsi caso per caso, è volta ad accertare se la citazione del marchio risulti del tutto estranea rispetto al contesto narrativo e assolutamente non giustificata da alcuna esigenza di caratterizzazione dei personaggi o della situazione ambientale. In particolare, qualora la citazione o la raffigurazione di un marchio commerciale in un contesto informativo o di intrattenimento non possa essere plausibilmente giustificata da esigenze artistiche o narrative, l'Autorità può legittimamente presumere che il messaggio persegua uno scopo promozionale (TAR Lazio, I, 3 marzo 2004 n. 1997; 14 luglio 2004, n. 6906 e n. 6908).

Nella fattispecie, l'artificiosità dell'esibizione del marchio è stata ben colta dall'Autorità là dove ha sottolineato l'inutilità della specifica inquadratura dedicata al marchio delle bevande quale elemento del contesto di vita quotidiana evocato dal cantante protagonista del programma.

La gratuità di tale inquadratura è inoltre comprovata dall'accuratezza con cui, nel confezionare la scena, si sono viceversa occultate le etichette delle gassose, con il duplice effetto di esaltare l'etichetta dell'acqua e di evitare un involontario effetto promozionale per la bevanda gustata dal cantante.

In definitiva, poiché il camuffamento di un messaggio all'interno di un programma televisivo conferisce alla comunicazione pubblicitaria una forza di penetrazione e suggestione ben maggiore di quella esplicita, l'intervento inibitorio dell'Autorità si appalesa, nella fattispecie, pertinente e del tutto legittimo.

Per tutto quanto argomentato, il ricorso deve essere respinto.

Sussistono però giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo respinge

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.