Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 16 novembre 2005, n. 23070
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Aristea M., con ricorso tempestivamente depositato, impugnava la sentenza non definitiva, depositata il 18 febbraio 2002, con la quale il Tribunale di Roma, su domanda del coniuge della stessa ricorrente, Silvano Valentino T., aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto dai due, provvedendo, con separato provvedimento, a disporre la prosecuzione del giudizio in merito alle richieste di carattere economico delle parti. Deduceva l'appellante che, a seguito del proprio temporaneo impedimento, giustificato da gravi motivi di salute, a comparire all'udienza presidenziale, era stato omesso il tentativo di conciliazione fra i coniugi, e che non era stata fissata una udienza per la trattazione della causa, essendosi limitato il Presidente facente funzioni, dopo essersi riservato la decisione in ordine alle domande delle parti, concedendo alle stesse un termine per il deposito di note e documenti ed un ulteriore termine per repliche, ed avere, quindi, rigettato, allo stato, le richieste del ricorrente concernenti l'assegnazione della casa coniugale e la imposizione a carico della M. dell'obbligo di corrispondere un assegno mensile a titolo di contributo per il mantenimento dei figli, a rimettere la causa ad una successiva udienza per la precisazione delle conclusioni sulla domanda di divorzio, avanti a sé quale giudice istruttore, incorrendo, in tal modo, in una serie di vizi del procedimento, con conseguente nullità della decisione poi emessa.
L'appellato contestava la pretesa, osservando che la M., pur non comparsa di persona all'udienza presidenziale, si era regolarmente costituita in giudizio attraverso il suo legale, che aveva presentato memoria difensiva, e la aveva illustrata, consentendo, con ciò stesso, la trattazione della causa, senza opporsi alla domanda di divorzio.
La Corte d'appello di Roma rigettava la impugnazione, rilevando, in generale, che la fissazione di una nuova udienza in caso di mancato esperimento del tentativo di conciliazione per l'impedimento del convenuto a comparire non è obbligatoria, essendo rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice; e sottolineando, con riferimento al caso di specie, che nessuna richiesta di rinvio era stata formulata dal difensore della M., che si era costituito nel giudizio con una memoria nella quale, tra l'altro, non si era opposto alla domanda di divorzio. Pertanto, correttamente, secondo la Corte di merito, era stata esclusa la necessità di fissare una nuova udienza presidenziale, e, nel giorno fissato per la comparizione dei coniugi innanzi al Presidente f.f., era stata trattata la causa con la illustrazione delle difese ed istanze delle parti, sulle quali lo stesso giudice si era riservato. Le parti erano state quindi invitate a precisare le proprie conclusioni sulla domanda di divorzio, e la causa era stata rimessa al Collegio per la decisione sulla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, da scindere da quella relativa alle altre domande, che richiedevano un approfondimento istruttorio.
Rilevava ancora la Corte la non assoggettabilità del procedimento di cui si tratta alla normativa dettata per il processo ordinario di cognizione, data la sua peculiare natura e considerate le finalità di celerità e di snellezza che lo caratterizzano, come risulta dalla possibilità per il tribunale di pronunciare sentenza non definitiva di divorzio anche senza istanza di parte.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Aristea M., sulla base di due motivi, illustrati anche con successiva memoria. Resiste con controricorso l'intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 7, della l. 898/1970, come modificato dall'art. 8 della l. 74/1987, e nullità del procedimento e della sentenza. La ricorrente osserva che il Presidente, a fronte del legittimo e documentato impedimento della stessa a comparire, avrebbe avuto l'obbligo, alla stregua della norma invocata, di riconvocare le parti ai fini del prescritto tentativo di conciliazione, a nulla rilevando, ai fini della pretesa esclusione di siffatto obbligo, l'accordo delle parti in ordine alla cessazione del vincolo matrimoniale, posto in luce dalla Corte territoriale, non risultando affatto, dal tenore testuale del citato art. 4, comma 7, della l. 898/1970, che la disposizione in esso contenuta preveda l'assenza di detto accordo come condizione per l'esperimento del tentativo di cui si tratta.
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
È opportuno, al fine di dare compiutamente conto della infondatezza della censura in esame, richiamare la giurisprudenza di legittimità sul punto che ne occupa. Questa Corte ha già ripetutamente chiarito che il tentativo di conciliazione, pur configurando un atto necessario per l'indagine sull'irreversibilità della frattura spirituale e materiale del rapporto tra i coniugi, non costituisce, tuttavia, un presupposto indefettibile del giudizio di divorzio; sicché la mancata comparizione di una delle parti non comporta la fissazione obbligatoria di una nuova udienza presidenziale, la quale può, invece, essere omessa quando non se ne ravveda la necessità e l'opportunità. Il giudizio può, pertanto, proseguire ove risulti la persistente volontà della parte non comparsa di conseguire la cessazione degli effetti civili del matrimonio (v. Cass., sentt. 3068/1975; 2085 e 4119/1977; 2757/1978; 5874/1981; e, più di recente, 11059/2001). Ne consegue che, nel caso di mancata comparizione di uno dei coniugi all'udienza presidenziale, spetta all'insindacabile discrezionalità del giudice valutare l'opportunità di provvedere alla fissazione di una nuova udienza per il tentativo di conciliazione, tenendo conto delle ragioni della mancata presentazione della parte e della sua volontà di aderire o meno alla ricostituzione del consorzio familiare. L'esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità (v. Cass., sent. 2875/1974).
Alla luce delle considerazioni che precedono, questo Collegio ritiene corretta la decisione del Presidente che, avuto riguardo alle ragioni sopra evidenziate, escluda la necessità della fissazione di una nuova udienza per l'esperimento del tentativo di conciliazione, e ciò pur non ignorando le pronunce di questa Corte (v. sentt. 6832/1982, che, peraltro, pone l'accento sulla necessità, affinché la omissione del tentativo di conciliazione renda illegittima la prosecuzione del giudizio ed incida sulla validità della sentenza di divorzio, che la relativa nullità sia fatta valere nei modi e nei termini di cui all'art. 157, comma 2, c.p.c.; s.u., 5865/1987; 916/2000) che affermano la illegittimità di tale omissione nelle (sole) ipotesi di tempestiva giustificazione dei gravi motivi causativi dell'impedimento a comparire alla udienza presidenziale: sentenze che, peraltro, non si sono poste affatto il problema della rilevanza e degli effetti della valutazione, operata dal giudice, della inutilità del tentativo di conciliazione nel caso sottoposto al suo esame.
Ciò premesso, va sottolineato che la sentenza impugnata ha dato atto della mancata richiesta di differimento di detta udienza presidenziale da parte della ricorrente, ed ha rilevato che questa, non comparsa personalmente, e limitatasi a giustificare la propria assenza, si era comunque costituita nel giudizio attraverso il proprio difensore, con una memoria, nella quale non si faceva alcun riferimento ad una opposizione nei confronti della domanda di divorzio. Su tali elementi la Corte di merito ha fondato il proprio convincimento in ordine all'assenza di una manifestazione di volontà della parte convenuta alla prosecuzione del procedimento: la relativa statuizione, che ha fatto corretta applicazione dell'interpretazione giurisprudenziale innanzi richiamata, si sottrae al sindacato in sede di legittimità, in quanto correttamente e congruamente motivata.
Del resto, che il tentativo di cui si tratta non sia inteso dal legislatore come "vuota forma" da osservare in ogni caso, sì da potere legittimamente essere omesso ove il giudice raggiunga il logico convincimento della sua inutilità, è dimostrato, in modo non equivoco, anche dalla disciplina del procedimento nel caso di domanda congiunta di divorzio presentata dai coniugi, regolata dal comma 13 dell'art. 4 della l. 898/1970, che prevede l'audizione dei coniugi, nonché la verifica della esistenza dei presupposti di legge e la valutazione della rispondenza delle condizioni del divorzio, quali indicate nella stessa domanda, all'interesse della prole, senza fare menzione del tentativo di conciliazione.
Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 9, della l. 898/1970, come modificato dall'art. 8 della l. 74/1987, nonché nullità del procedimento e della sentenza. Erroneamente la Corte di merito avrebbe ritenuto corretto l'operato del giudice che aveva rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni sulla domanda di divorzio, omettendo completamente la fase di trattazione della stessa, in quanto il richiamato art. 4, comma 9, della l. 898/1970 impone la fissazione di una udienza di comparizione dinanzi al giudice istruttore nominato. Il giudizio di divorzio è, infatti, bifasico: la prima fase, sommaria, si svolge innanzi al Presidente del Tribunale, mentre la seconda, davanti al giudice istruttore, segue le regole del rito contenzioso ordinario, con la conseguente rimessione della causa al Collegio solo a conclusione delle attività previste per la trattazione della causa, nella specie mancate.
Anche tale seconda censura è infondata.
Al riguardo, va rilevato che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore della normativa applicabile anche nel presente giudizio, secondo il quale la mancata fissazione, dopo l'udienza di comparizione innanzi al giudice istruttore, che si svolge una volta conclusa la fase presidenziale, di una udienza di trattazione, non è causa di nullità nel processo divorzile, disciplinato dall'art. 4 della l. 898/1970, norma speciale e completa, volta ad accelerare la procedura di accertamento dei presupposti dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, al fine di impedire condotte defatigatorie od ostative del convenuto (v. Cass., sent. 11751/2001).
Nella specie, la udienza di trattazione, come ritenuto dalla Corte d'appello, non appariva necessaria, una volta che, in sede di udienza presidenziale, le rispettive difese delle parti avevano già illustrato le proprie istanze e difese, ed avevano ottenuto termine per il deposito di note e documenti, nonché ulteriore termine per repliche, senza che emergesse alcuna opposizione della convenuta, attuale ricorrente, sul punto della richiesta di divorzio, in ordine alla quale soltanto la causa fu rimessa al Collegio dal giudice istruttore (nella stessa persona del Presidente facente funzioni che aveva tenuto la udienza presidenziale), per la pronuncia di sentenza, non definitiva, di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno, pertanto, poste a carico della ricorrente. Le stesse vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 2600,00, di cui euro 2500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed accessori come per legge.