Corte di cassazione
Sezione tributaria
Sentenza 6 maggio 2005, n. 9407

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La s.p.a. Antonio Carcano presentò, nel dicembre 1994, all'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Lecco istanza di esenzione decennale dall'ILOR e di riduzione alla metà dell'IRPEG, ai sensi dell'art. 11 della l. 2 maggio 1990, n. 102 (recante agevolazioni fiscali per le imprese operanti in Valtellina), con contestuale richiesta di rimborso delle maggiori somme versate per dette imposte per l'anno 1993.

Successivamente, nel luglio 1996, la stessa società presentò ulteriore istanza, indirizzata questa volta anche alla Direzione regionale delle entrate, integrativa e rettificativa della precedente, con la quale chiese nuovamente il rimborso delle somme versate per il 1993, nonché il rimborso di quelle pagate per il 1994.

Avverso il silenzio-rifiuto formatosi su dette istanze, la società contribuente propose ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Como, che lo accolse.

L'appello proposto - limitatamente al rimborso delle somme relative al 1993 - dalla Direzione regionale delle entrate fu respinto dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza depositata il 15 aprile 2002. La Commissione, da un lato, ritenne non sussistente l'eccepita tardività dell'istanza di rimborso, ex art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, rispetto alla data del versamento (maggio 1994), dovendosi far riferimento alla data della presentazione dell'istanza originaria (dicembre 1994), anziché, come sostenuto dall'appellante, a quella di inoltro dell'istanza integrativa (luglio 1996); dall'altro, escluse la dedotta improcedibilità del ricorso introduttivo per presentazione dell'istanza ad organo incompetente (e, quindi, secondo l'appellante, ostativa alla formazione del silenzio-rifiuto), considerando tale circostanza ininfluente in ragione dell'obbligo dell'Ufficio incompetente, ma pur sempre appartenente alla stessa amministrazione, di trasmettere l'istanza all'organo competente ai sensi dell'art. 5 della l. n. 249 del 1968.

2. Avverso tale sentenza il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione, basato su un unico motivo.

Resiste con controricorso la s.p.a. Antonio Carcano, che ha anche depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo formulato, i ricorrenti - denunciando violazione dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 - censurano la sentenza impugnata per avere il giudice d'appello ritenuto che l'istanza di rimborso presentata dalla società contribuente ad organo incompetente (Ufficio delle imposte dirette, anziché Direzione generale delle entrate, ex Intendenza di finanza) fosse da considerare validamente proposta sia ai fini della formazione di un provvedimento negativo (sotto forma di silenzio-rifiuto) impugnabile, sia ai fini dell'osservanza dei termine di decadenza (all'epoca, di diciotto mesi) stabilito dalla norma indicata.

Osservano, in contrario, che quest'ultima fissa in favore dell'Intendenza di finanza una competenza funzionale ed inderogabile, con la conseguenza che la presentazione dell'istanza all'Ufficio delle imposte (la quale non può essere in alcun modo supplita mediante la semplice trasmissione interna della richiesta) è da ritenere irricevibile e, come tale, da un lato osta alla configurabilità del silenzio-rifiuto e determina l'improponibilità della domanda giudiziale per carenza di provvedimento impugnabile, e, dall'altro, non è idonea ad impedire la consumazione dei termine di decadenza stabilito dal citato art. 38 (già scaduto, nella fattispecie, alla data di presentazione dell'istanza integrativa all'organo competente).

2. La società contribuente, nel controricorso e nella memoria illustrativa, chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile, o comunque infondato, anche, fra l'altro, in ragione della inapplicabilità, nella specie, dell'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 in base all'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo il quale, in tema di agevolazioni fiscali per il Mezzogiorno (alla cui disciplina sarebbe in tutto assimilabile quella concernente i benefici previsti nella l. n. 102 del 1990, applicabile nella fattispecie), la domanda di agevolazione, ritualmente e tempestivamente presentata da parte del contribuente, assume anche il valore di richiesta di rimborso, con esclusione dell'onere di formulazione di una distinta istanza ai sensi del citato art. 38.

L'eccezione deve essere disattesa, considerata la novità della questione con essa posta, che non ha mai formato oggetto di dibattito nelle fasi di merito, nelle quali - come risulta dalla sentenza impugnata - il thema decidendum è stato esclusivamente quello della determinazione degli effetti della presentazione di un'istanza di rimborso ad organo incompetente, in base alla disciplina dettata dall'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cui applicazione nel caso di specie non è mai stata oggetto di contestazione.

3. Il ricorso è infondato.

Va, innanzitutto, ribadito il costante orientamento di questa Corte - dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi - secondo il quale, con riguardo a somme direttamente versate dal contribuente per imposte sui redditi, l'istanza di rimborso devo essere presentata, ai sensi dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che fissa al riguardo una competenza funzionale ed inderogabile, all'intendente di finanza (al quale è poi subentrata la Direzione regionale delle entrate) nella cui circoscrizione ha sede il concessionario presso il quale è stato eseguito il pagamento, con la conseguenza che la presentazione di detta istanza all'ufficio delle imposte, o comunque ad altro organo incompetente (anche solo territorialmente), osta alla formazione del provvedimento negativo, anche nella forma dei silenzio-rifiuto, e determina l'inammissibilità dei ricorso al giudice tributario - che va comunque individuato nella commissione nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio, ancorché incompetente, destinatario dell'istanza - per difetto di provvedimento impugnabile (Cass., sez. un., n. 11217 del 1997, seguita da Cass. nn. 3954 e 9096 del 2002; nn. 6258, 13194, 13221 e 14212 del 2004).

Ciò posto, va osservato che tale questione, nella fattispecie, si rivela, in realtà, irrilevante, atteso che, come risulta dalla sentenza impugnata - né la circostanza è contestata dai ricorrenti -, la società contribuente ha impugnato il rifiuto tacito formatosi sull'istanza di rimborso del luglio 1996 (o, comunque, anche tale provvedimento, unitamente a quello formatosi sulla domanda originaria), istanza correttamente indirizzata all'organo competente e comprensiva anche - nuovamente - delle somme versate per l'anno 1993.

Ne consegue che la questione posta in questa sede è, in definitiva, esclusivamente quella consistente nello stabilire, fermo rimanendo che la seconda istanza è stata presentata oltre il termine decadenziale all'epoca prescritto, se e quali effetti possano riconnettersi alla prima istanza, prodotta nel termine ma ad organo incompetente.

Ad avviso del Collegio, detta istanza deve ritenersi idonea a produrre l'effetto di impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso.

Inducono a tale conclusione alcune disposizioni contenute nello Statuto dei diritti dei contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212), le quali, ai sensi dell'art. 1, sono state emanate "in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione" e "costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario", con la conseguenza che, in sede di interpretazione ed applicazione delle norme tributarie (anche anteriormente vigenti), il giudice deve ad esse fare riferimento e risolvere eventuali dubbi ermeneutici nel senso più conforme ai principi dalle stesse espressi (cfr. Cass. n. 7080 del 2004). Vengono qui in considerazione, in particolare, quelle norme dello Statuto (artt. 5 e segg.) che, indirizzate essenzialmente all'amministrazione finanziaria, dettano alcuni principi di "buona amministrazione" a tutela dei diritti del contribuente: si vedano, ad esempio, l'art. 5 (diritto del contribuente ad essere informato ai fini della migliore conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative in materia tributaria), l'art. 6 (diritto alla effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati, con obbligo, fra l'altro, dell'amministrazione di informare il contribuente "di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito"), l'art. 10 (secondo il quale "i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede"), l'art. 12 (che, nel quadro delle garanzie del contribuente in sede di verifiche fiscali ma con portata che può ritenersi generale, contempla il "principio di cooperazione" tra amministrazione e cittadino).

Ne deriva, nel complesso, un nuovo assetto dei rapporti tra amministrazione e contribuente, ispirato essenzialmente a principi di collaborazione, di cooperazione e di buona fede, che permeano tutto il tessuto normativo dello Statuto e che, se pur non sono in grado, in linea di principio, di produrre veri e propri obblighi a carico dell'amministrazione anteriormente all'entrata in vigore della legge, costituiscono, tuttavia, come si è detto, criteri guida per orientare l'interprete nell'esegesi delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti.

Per quanto riguarda, in particolare, la questione in esame, dagli anzidetti principi generali - a loro volta attuativi dei richiamati principi costituzionali - non può non farsi derivare la conseguenza che, così come, dopo l'entrata in vigore dello Statuto, non sembra dubbio che l'istanza prodotta ad ufficio incompetente debba ritenersi idonea ad impedire la decadenza (essendo, peraltro, pienamente configurabile l'obbligo dell'Ufficio destinatario di un'istanza di rimborso, che si ritenga incompetente, di trasmettere l'atto all'organo competente - informandone il contribuente -, o, quanto meno, di comunicare all'istante quale sia l'ufficio a cui indirizzare la domanda), ad analoga conclusione occorra pervenire per il passato, privilegiando in ogni caso - anche in considerazione della complessità e non facile conoscibilità della normativa fiscale - l'intenzione manifestata dal contribuente (in tal senso, v. già Cass. n. 14212 del 2004, la quale si fonda anche sul principio dettato dall'art. 5 della l. 18 marzo 1968, n. 249, che, tuttavia, appare di dubbia applicabilità, per più versi, alla materia tributaria ed in particolare alle istanze di rimborso: cfr., in senso negativo, Cass. n. 6258 del 2004). Una volta verificatosi l'effetto impeditivo della decadenza, il diritto del contribuente al rimborso resterà soggetto, secondo i principi generali, alle norme in tema di prescrizione (art. 2967 c.c.), con conseguente possibilità, per il contribuente stesso, di rinnovare l'istanza, entro l'ordinario termine prescrizionale, all'organo competente (a meno che non abbia avuto prova della trasmissione a quest'ultimo della domanda originaria).

In conclusione, deve affermarsi il principio secondo il quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, disciplinato dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la presentazione della relativa istanza ad organo incompetente - funzionalmente o territorialmente - a provvedere, pur ostando alla formazione di un provvedimento di diniego, anche nella forma dei silenzio-rifiuto, con conseguente inammissibilità dei ricorso al giudice tributario per difetto di provvedimento impugnabile, tuttavia, alla luce dei principi di cooperazione, collaborazione e buona fede che, ai sensi della l. 27 luglio 2000, n. 212, devono improntare i rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente, costituisce (purché l'istanza sia rivolta, ovviamente, ad un ufficio dell'amministrazione finanziaria) atto idoneo ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso prevista dal citato art. 38, anche anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge.

4. In applicazione di tale principio, l'istanza presentata dalla società ricorrente nel dicembre 1994 ad ufficio incompetente fu nondimeno idonea ad impedire la consumazione del termine di decadenza di diciotto mesi (allora vigente) e rese valida, pertanto, la successiva domanda, presentata, nel luglio 1996, entro il termine prescrizionale, all'ufficio competente ed avverso la quale fu proposto il ricorso giurisdizionale.

In tali termini corretta, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, c.p.c., la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme a diritto, il ricorso deve essere rigettato.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.