Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 15 febbraio 2005, n. 3038

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Parma, in persona del Sindaco pro-tempore, proponeva ricorso innanzi al Giudice di pace di Parma avverso l'ordinanza in data 27 giugno 2001, con la quale il prefetto di Parma, su ricorso della ditta "Pubblicità Rossi" di Narciso Rossi, aveva disposto l'archiviazione dei verbali di accertamento e contestazione della violazione dell'art. 23 d.lgs. 285/1992 (infra, per ragioni di brevità, c.s.), che vieta l'installazione di cartelli pubblicitari idonei ad ingenerare confusione con la segnaletica stradale, elevati a carico del Rossi dalla polizia municipale di Parma.

Il Giudice di pace di Parma, con ordinanza del 27 giugno 2001, dichiarava irricevibile il ricorso.

Per la cassazione di questo provvedimento proponeva ricorso il Comune di Parma, affidato ad un motivo, chiedendone l'annullamento e, conseguentemente, che fosse «dichiarata la giurisdizione» del giudice adito sulla controversia in questione.

Resisteva al ricorso il Prefetto di Parma, deducendo l'inesistenza dell'interesse ad agire ex art. 205 c.s., contestando che nella specie fosse configurabile la lesione di un diritto soggettivo.

Il ricorso era assegnato alle Sezioni unite che, con ordinanza 19 aprile 2004, n. 7462, premettevano che il ricorso, «sebbene formalmente articolato in termini di giurisdizione, non pone in realtà una questione di giurisdizione, devoluta alla cognizione di queste Sezioni unite, ma è diretto a denunciare l'erroneità in diritto della pronuncia del Giudice di pace che ha dichiarato irricevibile il ricorso». Le Sezioni unite ritenevano, quindi, che, «nel dichiarare irricevibile il ricorso il Giudice di pace non ha inteso declinare la propria giurisdizione, ma piuttosto affermare la non impugnabilità del provvedimento prefettizio di archiviazione», sicché «ogni questione sulla ricorribilità per cassazione di detto provvedimento, sulla legittimazione a ricorrere del Comune e sulla correttezza nel merito del provvedimento stesso dovrà essere decisa da una sezione semplice di questa Suprema Corte».

Gli atti erano, quindi, rimessi al Primo Presidente, che assegnava il ricorso a questa prima Sezione.

Il Presidente della prima Sezione disponeva la trasmissione degli atti, ex artt. 375 c.p.c., 138 disp. att. c.p.c., al P.M., che, con requisitoria scritta del 30 giugno 2004, chiedeva che il ricorso fosse trattato in pubblica udienza.

Il ricorrente, in prossimità dell'udienza, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, con un unico motivo, premette che il ricorso deve ritenersi ammissibile, in quanto l'ordinanza impugnata - che ha dichiarato irricevibile il ricorso - ha «carattere decisorio processuale» ed è idonea a «passare in giudicato rendendo definitiva la situazione sostanziale che avrebbe dovuto formare esame del giudizio», essendo altresì prevista l'impugnabilità dell'ordinanza che dichiara il ricorso irricevibile perché tardivo (art. 23 l. 689/1981) e dovendo, comunque, il ricorso reputarsi «ammissibile come regolamento di giurisdizione».

Nel merito, il Comune di Parma denuncia l'ordinanza in riferimento all'art. 132 c.p.c., in quanto carente della esposizione dei motivi in fatto e diritto. La carenza di motivazione, a suo avviso, potrebbe fare ipotizzare che il Giudice di pace abbia ritenuto inapplicabile l'art. 205 c.s, in quanto questa norma non prevede espressamente l'ammissibilità del ricorso da parte del Comune avverso l'ordinanza di archiviazione del verbale di accertamento dell'infrazione adottata dal Prefetto. Tuttavia, secondo il ricorrente, la mancanza di una espressa disciplina di questa fattispecie non giustificherebbe la pronuncia di irricevibilità del ricorso, da ritenersi ammissibile, per l'impossibilità dell'amministrazione interessata di avvalersi di un diverso rimedio, anche di natura amministrativa - quale, ad esempio, il ricorso gerarchico - che è stato escluso dal Consiglio di Stato (Sezione prima, parere 9 giugno 1999, n. 232/99).

Ad avviso del Comune di Parma, l'ordinanza di archiviazione non potrebbe essere sottratta al controllo in sede giurisdizionale e, in ogni caso, l'interpretazione restrittiva «si porrebbe contro il principio dell'art. 23 [recte, art. 24] della Costituzione, in quanto questa norma «estende a tutti, e quindi non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche pubbliche, [il diritto] di agire giudizialmente a tutela dei propri diritti», recando altresì vulnus all'art. 128 Cost., poiché l'attribuzione al «giudizio ultimo del prefetto [di] una materia che rientra nella sfera delle competenze proprie dell'ente locale» violerebbe il principio dell'autonomia dell'ente.

2. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2.1. In linea preliminare, è opportuno precisare che - come è stato già ricordato nella narrativa - il ricorso era stato assegnato alle Sezioni unite civili che, con ordinanza 19 aprile 2004, n. 7462, hanno ritenuto che questo atto, «sebbene formalmente articolato in termini di giurisdizione, non pone in realtà una questione di giurisdizione, devoluta alla cognizione di queste Sezioni unite, ma è diretto a denunciare l'erroneità in diritto della pronuncia del Giudice di pace che ha dichiarato irricevibile il ricorso», in quanto, «nel dichiarare irricevibile il ricorso, il Giudice di pace non ha inteso declinare la propria giurisdizione, ma piuttosto affermare la non impugnabilità del provvedimento prefettizio di archiviazione». Le Sezioni unite hanno, quindi, affermato che «ogni questione sulla ricorribilità per cassazione di detto provvedimento, sulla legittimazione a ricorrere del Comune e sulla correttezza nel merito del provvedimento stesso dovrà essere decisa da una sezione semplice di questa Suprema Corte».

Pertanto, è nell'osservanza di questa ordinanza delle Sezioni unite che il Collegio deve decidere il ricorso.

2.2. Il ricorso ha ad oggetto l'ordinanza con la quale il Giudice di pace di Parma ha dichiarato «l'irricevibilità» del ricorso in opposizione proposto dal Comune di Parma, richiamando gli artt. 18 e 22 l. 689/1981, senza offrire ulteriori indicazioni.

Il Collegio ritiene che, nonostante l'estrema sinteticità del provvedimento, il richiamo delle succitate norme della l. 689/1981 rende chiaro che il giudice del merito ha reputato applicabile anche l'art. 23, primo comma, di detta legge. Questa norma stabilisce che il Giudice di pace dichiara con ordinanza ricorribile per cassazione l'inammissibilità del ricorso in opposizione, ove risulti tardivo, recando una previsione che questa Corte, enunciando un principio che va qui condiviso e ribadito, ha tuttavia ritenuto applicabile anche ad ulteriori ipotesi. La sentenza 3137/1992 ha, infatti, osservato che l'art. 23, primo comma, cit., «mira ad assicurare un pregiudiziale controllo, prima dell'apertura del dibattito, sull'osservanza del menzionato termine, ma non certo può essere inteso come disposizione esaustiva delle ragioni d'inammissibilità dell'atto medesimo», sicché lo schema procedimentale da esso previsto può essere applicato, tra l'altro, anche quando il ricorso «riguardi un provvedimento diverso da quelli "opponibili"», che è proprio il caso qui in esame.

Ritenuta l'applicabilità dell'art. 23, primo comma, cit., anche all'ipotesi in esame, consegue l'ammissibilità del ricorso del Comune di Parma che va peraltro affermata anche sotto un ulteriore, differente e concorrente profilo, tenuto conto della natura sostanziale di sentenza del provvedimento impugnato.

Ancora in punto di ammissibilità, va peraltro precisato che il Comune di Parma, secondo quanto è stato affermato dalle Sezioni unite con la succitata ordinanza 7462/2004, nonostante il contenuto della richiesta formulata nella parte conclusiva del ricorso, ha in realtà sollevato la questione dell'impugnabilità dell'ordinanza di archiviazione del Prefetto, sostenendo di essere legittimato a ricorrere, univocamente denunciando la violazione dell'art. 132 c.p.c., l'erronea interpretazione dell'art. 205 c.s., ed insistendo inoltre nell'affermare che la controversia avrebbe ad oggetto «diritti soggettivi e comunque pretese pubblicistiche che hanno certamente la natura di diritti».

Il Comune ha dunque contestato la correttezza del provvedimento, indicando le ragioni in diritto che, a suo avviso, conforterebbero la tesi prospettata, e cioè ha fatto valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia, così che deve ritenersi soddisfatta la disciplina stabilita in tema di requisiti del ricorso per cassazione, che è pertanto ammissibile.

2.3. La questione posta dal ricorso richiede di accertare se il Comune sia legittimato ad impugnare con ricorso in opposizione ex art. 22 l. 689/1981, l'ordinanza di archiviazione degli atti pronunciata dal Prefetto, ai sensi dell'art. 204, comma 1, c.s., sul ricorso proposto, ex art. 203 c.s., dal presunto trasgressore, ovvero dagli altri soggetti indicati dall'art. 196 c.s., avverso il verbale di accertamento della violazione di norme del codice della strada elevato dalla Polizia municipale.

La questione, in questi precisi termini, non risulta sia stata mai espressamente affrontata da questa Corte e, in particolare, non lo è stata, neppure con le sentenze delle Sezioni unite 10889/2001 e 6139/1993, in quanto da esse non è possibile ricavare principi a conforto della impugnabilità dell'ordinanza di archiviazione, ai sensi degli artt. 205 c.s., 22 e 23 l. 689/1981.

La sentenza 6139/1993 ha affermato che l'ordinanza di archiviazione adottata dal Prefetto ex art. 204, comma 1, c.s., non ha alcuna influenza sul giudizio civile di responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli nel quale sia controversa la conformità alle norme del codice della strada della condotta di guida tenuta da uno dei conducenti, in quanto, «non essendo un provvedimento giurisdizionale», «mai può precludere il giudizio di accertamento della responsabilità medesima». L'ordinanza di archiviazione, ha precisato la pronuncia, configura un riesame gerarchico del provvedimento di accertamento dell'infrazione in riferimento «sostanzialmente alle regole di buona amministrazione nell'esercizio dei poteri» in materia di disciplina della circolazione stradale che, «pur toccando la sfera particolare dell'interessato, nulla ha[nno] a che vedere col suo diritto soggettivo d'essere risarcito» per i danni subiti a seguito dell'incidente. Pertanto, questi essendo i principi affermati, è chiaro che dalla sentenza non sono ricavabili elementi a conforto della tesi svolta dal ricorrente.

La successiva sentenza 10889/2001 neppure si è pronunciata sulla disciplina del provvedimento dell'art. 204 c.s., bensì, in sede di regolamento di giurisdizione, ha deciso il caso dell'impugnazione da parte di un terzo, dichiaratosi titolare di un interesse all'irrogazione della sanzione (nella specie, il W.W.F., in riferimento alle sanzioni applicabili per la violazione delle norme in materia di esercizio della caccia), del provvedimento di archiviazione adottato, ai sensi dell'art. 18 l. 689/1981, dall'amministrazione competente. Le Sezioni unite hanno osservato che la domanda era intesa ad ottenere dal giudice «una pronuncia recante un accertamento avente lo stesso oggetto di quello che il giudice ordinario avrebbe dovuto, e dovrebbe, rendere ai sensi degli artt. 22 e ss. l. 689/1981, sulla situazione dedotta, qualora per la, presunta, infrazione considerata fosse stata emessa ordinanza-ingiunzione avverso la quale il relativo destinatario avesse proposto la opposizione». La sentenza ha quindi derivato da questa premessa l'attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario, ma ha anche precisato che questa conclusione andava posta «a prescindere da ogni considerazione, nella presente sede (...) sulla ravvisabilità di una legittimazione dell'attuale ricorrente in relazione alla pretesa azionata e sulla configurabilità di posizioni di diritto soggettivo al medesimo riferibili in relazione alla fattispecie in discussione».

Dunque, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla equiparabilità di questa fattispecie a quella qui in esame, le Sezioni unite non hanno affatto risolto la questione della ammissibilità dell'opposizione ex art. 22 l. 689/1981 proposta dal Comune avverso l'ordinanza di archiviazione adottata dal Prefetto in materia di sanzioni amministrative previste per le violazioni di norme del codice della strada.

2.3.1. A conforto dell'inammissibilità dell'opposizione in esame può essere richiamata la giurisprudenza di questa Corte che, nell'affrontare la questione dell'ambito di applicabilità dell'opposizione ex artt. 22 e 23 l. 689/1981, ha, in linea generale, costantemente affermato che il giudizio di opposizione disciplinato dagli artt. 22 e 23, citt., deve essere instaurato contro il provvedimento che applica la sanzione amministrativa. Da questo principio è stata derivata l'inammissibilità del ricorso giurisdizionale proposto contro un provvedimento di diversa natura e contenuto, quale, ad esempio, il processo verbale di accertamento e contestazione dell'infrazione prima che sia emanata l'ordinanza-ingiunzione (Cass. 6485/2000; 5820/1989).

Di recente, proprio in relazione al procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative per la violazione di norme del codice della strada, questo principio è stato, inoltre, ribadito ed applicato anche in riferimento all'art. 205 c.s., affermando che l'opposizione avverso il decreto del Prefetto che dichiara improcedibile il ricorso ex art. 203 c.s., è inammissibile appunto perché la legge non prevede espressamente che possa essere impugnato con questo rimedio (Cass. 5466/2004).

Inoltre, costituisce applicazione di questo principio anche quello secondo il quale l'opposizione ex art. 22, cit., è invece proponibile anche avverso il processo verbale di accertamento e contestazione dell'infrazione in riferimento alle violazioni previste dal codice della strada. Infatti questa conclusione, benché non confortata dalla lettera della norma, è stata resa possibile esclusivamente in virtù dell'interpretazione adeguatrice alla Costituzione conseguita dalle pronunce del giudice delle leggi (sentt. nn. 366, 255 e 211 del 1994), che hanno imposto di ampliare, in via esegetica, l'oggetto dell'opposizione, sino ad essere stata, infine, recepita dal legislatore nell'art. 204-bis c.s. (introdotto dall'art. 7 d.l. 151/2003, convertito nella l. 214/2003), che ha eliminato l'originaria lacuna normativa.

In applicazione di questo principio, la constatazione che l'art. 205 c.s., e la disciplina stabilita dal complesso delle norme sopra richiamate, prevedono esclusivamente la proponibilità dell'opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione, oppure nei confronti del processo verbale di accertamento e contestazione dell'infrazione, conduce quindi ad affermare che questo rimedio non è invece proponibile contro atti non previsti espressamente e, in particolare, non è proponibile da parte del Comune contro l'ordinanza di archiviazione adottata dal Prefetto ex art. 204 c.s., sul ricorso avverso il processo verbale di accertamento e contestazione dell'infrazione elevato dalla Polizia municipale.

2.3.2. La mancata previsione espressa della proponibilità da parte del Comune dell'opposizione avverso l'ordinanza di archiviazione dell'art. 203 c.s., nel caso di accertamento dell'infrazione da parte della Polizia municipale, è peraltro coerente con la complessiva disciplina della materia, con la natura degli interessi in gioco e con i compiti e la posizione dell'ente locale.

Il d.lgs. 285/1992, nella norma di esordio, stabilisce espressamente che «la sicurezza delle persone, nella circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato» (art. 1, comma 1) ed è regolamentata dal codice della strada, precisando, nelle successive disposizioni, che i poteri riservati alle amministrazioni comunali devono svolgersi nel quadro della disciplina dallo stesso stabilita (cfr. art. 7). Ai servizi di polizia stradale provvedono, quindi, diversi corpi (art. 12 c.s.), ciascuno dei quali, gerarchicamente, fa capo all'autorità di vertice dell'amministrazione nella quale è incardinato. Al Ministero dell'interno spetta tuttavia il potere non solo di "provvedere" ai servizi di polizia stradale, salve le attribuzioni dei comuni per quanto concerne i centri abitati, ma soprattutto compete anche l'esercizio delle funzioni di «Coordinamento dei servizi di polizia stradale da chiunque espletati» (art. 11, comma 3).

La legge statale ha cura, inoltre, di identificare direttamente gli interessi pubblici che giustificano l'adozione delle misure di disciplina della circolazione, stabilendo il potere di direttiva del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e, in determinati casi, del Prefetto (artt. 5, 6 e 7).

La disciplina della "circolazione stradale" ha dunque carattere strumentale rispetto alla tutela di un interesse, quale è quello alla sicurezza delle persone, che trascende l'ambito strettamente locale ed esige una regolamentazione unitaria, in virtù di una concezione ribadita in occasione del decentramento amministrativo realizzato alla fine degli anni novanta con il d.lgs. 112/1998, il quale ha infatti mantenuto allo Stato molteplici funzioni in tema di disciplina della circolazione dei veicoli, rilevanti in riferimento alla tutela della salute ed alla sicurezza delle persone, concernenti le caratteristiche dei veicoli, delle strade, della segnaletica, anche pubblicitaria (art. 98, comma 1), nonché quelle riguardanti i compiti di polizia stradale di cui agli artt. 11 e 12 c.s. (art. 104, comma 1, lett. q).

Questa configurazione, da ultimo, deve ritenersi sia stata confermata dalla riforma del titolo V della Costituzione, in quanto la constatazione che la "circolazione stradale" non compare nel catalogo delle materie dell'art. 117 Cost. non permette di ritenerla riconducibile, ex art. 117, comma 4, Cost., alla cd. competenza residuale delle Regioni. In contrario, come è stato osservato da una parte della dottrina, depone, infatti, la considerazione che dagli artt. 16 e 120 Cost., si ricava che la disciplina della circolazione dei veicoli può essere limitata, e regolamentata, per motivi concernenti la sicurezza delle persone (e la sanità), e può esserlo da una fonte legislativa nazionale, spettando in tal modo allo Stato stabilire la disciplina riconducibile al codice della strada e concernente le regole in tema di sicurezza, salvo che riguardi esclusivamente i compiti di polizia amministrativa locale.

A conforto di questa interpretazione va ricordato quale elemento non risolutivo, eppure di sicura rilevanza, che, in occasione della parziale novellazione del codice della strada realizzata dopo la riforma del titolo V della Costituzione, nel corso dei lavori preparatori della legge di conversione del d.l. 151/2003, è stato osservato che le norme oggetto della riforma «incidono in parte sulla materia "ordine pubblico e sicurezza" intesa come comprensiva degli aspetti afferenti alla incolumità dei cittadini», quindi spettante alla legislazione esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lett. h), Cost. (parere reso dalla prima Commissione permanente della Camera sul disegno di legge di conversione del d.l. 151/2003), nonché sulle materie "giurisdizione e norme processuali" ed "ordinamento civile" menzionate dalla lett. l) di quest'ultima norma (Relazione alla prima Commissione Permanente della Camera svolta nella seduta del Comitato ristretto in data 10 luglio 2003 dal Relatore del disegno di legge). In questa sede non interessa valutare se l'osservazione sia condivisibile in riferimento alla riconduzione della circolazione stradale a tutte le materie indicate, ed è invece sufficiente convenire con la sua correttezza, nella parte in cui fa emergere la esigenza di una disciplina unitaria in relazione ai profili della disciplina che attengono alla sicurezza delle persone.

La nozione restrittiva della materia "sicurezza pubblica" allocata nell'art. 117, comma 2, lett. h), Cost., posta da una sentenza della Corte costituzionale (sentenza 407/2002) non permette una differente conclusione. Un'attenta lettura della pronuncia dimostra, infatti, che con essa il giudice delle leggi ha, in realtà, soprattutto inteso affermare che l'esistenza di ragioni di sicurezza pubblica - secondo un'accezione più ampia di quella ricavabile dalla sua utilizzazione in endiadi con la locuzione "ordine pubblico" - non giustifica una indiscriminata affermazione della competenza legislativa dello Stato, perché ciò condurrebbe ad una sostanziale espropriazione delle competenze regionali. Tuttavia, ciò non esclude che la locuzione debba essere interpretata anche alla luce della norme costituzionali che talora la utilizzano scissa da quella "ordine pubblico" - come appunto accade negli artt. 16 e 120 Cost. - per ricavare, come pure la stessa Corte costituzionale ha affermato, che la fissazione degli standard di sicurezza minimi per la circolazione dei veicoli e la predisposizione di misure atte a prevenire i sinistri stradali richiede una disciplina unitaria sull'intero territorio nazionale (sentenza 31/2001). D'altronde, essendo la disciplina della circolazione stradale strumentale rispetto alla tutela dell'incolumità delle persone, essa mira anche a prevenire i reati, in linea generale colposi, che la ledono, con conseguente ricorrenza anche di quelle esigenze che giustificano l'accentramento della competenza anche in riferimento alla più restrittiva nozione di "sicurezza pubblica" e, in tal senso, merita di essere ricordato che la Corte costituzionale ha anche dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 204 c.s nella parte in cui attribuisce al Prefetto il potere di emanare l'ordinanza-ingiunzione, sollevata in riferimento all'art. 5 Cost. (Corte cost., 294/2004), escludendo che la ripartizione delle funzioni nella materia in esame incida sull'autonomia, costituzionalmente garantita, della Regione e degli enti locali. Si tratta di una conclusione che, peraltro, neppure realizza una illegittima compressione delle competenze regionali - quindi, anche delle autonomie locali - poiché, come ha ancora sottolineato la Corte costituzionale, gli ambiti materiali specificati nel secondo comma non si configurano come materie in senso stretto, trattandosi più spesso di competenze idonee ad investire una pluralità di materie rispetto alle quali possono manifestarsi potestà diverse, rispetto alle quali occorre stabilire il punto di equilibrio sino al quale la legge statale può spingersi (Corte cost., sentt. 407/2002; 14/2004; 272/2004).

2.3.3. Nel quadro di questa ricostruzione, la competenza nella materia della circolazione stradale deve ritenersi attribuita allo Stato, al quale spetta, conseguentemente, anche la disciplina delle sanzioni, mentre la natura degli interessi oggetto di tutela giustifica che, in sede locale, sia stato attribuito al Prefetto un ruolo di coordinamento ed anche di controllo sull'esercizio della funzione strumentale a garantire la sicurezza della circolazione stradale da parte degli apparati anche se attivato, in via eventuale, su ricorso della parte. Queste ragioni integrano, infatti, esigenze unitarie in grado di giustificare l'attrazione delle funzioni amministrative da parte dello Stato, anche in riferimento al vigente testo dell'art. 118 Cost. (Corte cost., 303/2003).

Nell'esercizio di questa attività di controllo non è dunque identificabile una situazione giuridica soggettiva avente consistenza di diritto soggettivo in capo all'amministrazione comunale sino a quando non si sia esaurito il potere di intervento del Prefetto, sicché, in considerazione dell'assetto della materia, risulta applicabile il principio affermato da questa Corte, secondo il quale non è ammissibile che un organo di amministrazione attiva insorga avverso le statuizioni degli organi preposti al controllo o alla revisione del suo operato, evocandoli in giudizio e ponendosi in opposizione ad esso (Cass. 152/1998; 1545/1997).

Una situazione di diritto soggettivo neppure è configurabile in riferimento al credito dell'amministrazione comunale, in quanto destinataria dei proventi - nei casi e nei limiti stabiliti dall'art. 208 c.s., in virtù del criterio stabilito dal comma 1 e con la significativa limitazione stabilita dal comma 3 in ordine alle modalità di utilizzazione degli stessi - appunto perché esso sorge esclusivamente una volta che si sia esaurito il procedimento stabilito dalla legge, che prevede l'intervento del Prefetto. In contrario, non giova richiamare la ritenuta ammissibilità dell'intervento adesivo litisconsortile dell'amministrazione destinataria dei proventi (Cass., 9152/1995), sia in quanto non riguarda la disciplina in materia di violazioni dei codice della strada, caratterizzata dalla peculiare disciplina sintetizzata, sia in quanto essa attiene ad una fase successiva, mentre, nel caso in esame, ancora non può ritenersi configurabile la situazione giuridica invocata dall'ente locale, in mancanza dell'esaurimento del procedimento sopra esaminato.

2.3.4. L'eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 204 e 205 c.s., nella parte in cui non prevedono la proponibilità dell'opposizione avverso l'ordinanza di archiviazione del Prefetto, sollevata in riferimento all'art. 24 Cost., è quindi manifestamente infondata. Il parametro invocato è, infatti, inconferente, in quanto, secondo un principio costantemente affermato dalla Corte costituzionale, il diritto costituzionale di difesa, come lo stesso diritto alla tutela giudiziaria di cui al primo comma di detta norma, attiene alla possibilità effettiva di far valere in giudizio le proprie posizioni giuridicamente protette, e non riguarda l'esistenza e il contenuto di queste ultime, sicché non può essere invocato quando manchi la situazione giuridica di diritto sostanziale di cui possa essere chiesta la tutela giudiziaria (per tutte, Corte cost., 29/2002; 206/1999; 420/1998).

La stessa eccezione, riferita all'art. 128 Cost., abrogato dall'art. 9, comma 2, l. cost. 3/2001, per le considerazioni sopra svolte è manifestamente infondata, sia se si valuti l'attuale collocazione costituzionale dei comuni in relazione ai vigenti artt. 118 e 119 Cost., e cioè tenendo conto della sopravvenuta modificazione del quadro normativo costituzionale di riferimento (per la necessità di questa valutazione, ex multis, Corte cost., 235, 166 e 165 del 2002), sia se si abbia riguardo al parametro costituzionale vigente sino alla data della sua abrogazione, tenuto conto della data di pronunzia dell'ordinanza di archiviazione e di deposito del ricorso di merito (Corte costituzionale 197/2003; 422/2002, concernenti giudizi di legittimità costituzionale in via principale, con principio tuttavia applicabile anche nella fattispecie).

2.3.5. In conclusione, nonostante la pronuncia impugnata sia del tutto carente nella motivazione in diritto, il dispositivo è corretto, in quanto, per le argomentazioni sopra svolte, va esclusa la proponibilità da parte del Comune dell'opposizione ex art. 22 l. 689/1981, avverso l'ordinanza di archiviazione pronunciata dal Prefetto. Pertanto, poiché secondo un principio assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, il vizio della motivazione, anche nella sua configurazione più radicale della mancanza assoluta, se riguarda la motivazione in diritto, non può avere rilievo di per sé e può dar luogo solo a correzione, sostituzione o integrazione della motivazione (tra le più recenti, Cass., 11883/2003; 5595/2003; 5582/2002), la pronuncia, emendata ed integrata nella motivazione, va confermata ed il ricorso deve essere rigettato.

Ricorrono giusti motivi, anche in considerazione della novità della questione, per dichiarare compensate tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio.