Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per l'Abruzzo
Sentenza 14 gennaio 2005, n. 67

FATTO

Con atto di citazione del 22 marzo 2001 il Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l'Abruzzo ha convenuto in giudizio il Presidente, Sig. Febbo, e gli altri componenti del Consiglio d'amministrazione (Sigg.ri Boschetti, Pellicciotta, Bitritto, Cristini), del Consorzio comprensoriale del Chietino per la gestione delle opere acquedottistiche, con sede in Lanciano, il Direttore Generale Dott. Donato D'Ippolito ed il Responsabile economico Luca Francesco Paolo Russo nonché il Prof. Luigi Panzone Presidente della "P.& Parteners - Corporate Finance s.r.l."con sede a Pescara e ne ha chiesto la condanna al pagamento, in favore del Consorzio, della somma di Lire 4.511.200.000 (pari ad Euro 2.329.840), oltre accessori, con ripartizione dell'addebito già indicata nell'atto di citazione stesso, nelle quote di metà al dott. Panzone, un quarto al dott. Luca Francesco Paolo Russo e il restante quarto da ripartirsi fra gli altri convenuti.

A sostegno della domanda la Procura Regionale riferisce, anche sulla base della relazione del Commissario Straordinario in data 14.02.2000, quanto segue:

- con deliberazione del 10 marzo 1999 n. 43 il consiglio di amministrazione di detto Ente aveva affidato alla società P. & Partners - Corporate Finance, della quale era Presidente Luigi Panzone, un incarico di consulenza finanziaria, su proposta del dirigente amministrativo-finanziario dell'Ente (dott. Luca Francesco Paolo Russo), sulla base di titoli e credenziali presentati dal Russo in una luce assai più favorevole della realtà.

- il 16 marzo 1999 veniva proposto dalla suddetta società un contratto d'investimento di capitali ritenuto sicuro e ad alto rendimento (individuato in più atti come CONFIN 599) e il 17 marzo il CdA adottava la delibera 54 per autorizzare la sottoscrizione del contratto e la delibera 55 per nominare il dott. Russo procuratore dell'Ente con amplissimi poteri in ordine alle operazioni finanziarie connesse all'investimento.

- era seguita un'altra seduta del 29 marzo 1999 con adozione di altra deliberazione (la n. 60) che oltre a confermare e ad ampliare il ruolo della già nominata società nella realizzazione delle operazioni finanziarie connesse all'investimento, disponeva che si procedesse al trasferimento del controvalore di due milioni cinquecentomila dollari su un conto intestato ad operatori londinesi. Seguiva analoga disposizione del Presidente del Consorzio (Febbo) e ratifica della medesima da parte del CdA (delibera 79 in data 26/4/1999).

L'effettivo trasferimento dei fondi all'estero è avvenuto con ordinativo di pagamento in favore di "Fernando Scornik Gerstein" ad opera della B.Pop. di Lanciano e Sulmona numerato al 213 in data 13 aprile 1999, integrato con altro ordinativo n. 253 del 27 aprile successivo. L'importo richiesto in citazione corrisponde a quello del primo mandato (Lire 4.511.000.000)

La vicenda sotto il profilo strettamente finanziario si conclude, nella ricostruzione della Procura, con la perdita delle tracce delle somme trasferite, a seguito di operazioni al vaglio del Giudice penale.

Il Bilancio 1999 è stato redatto da un Commissario ad acta nominato dal Comitato Regionale di Controllo.

I comportamenti censurati dalla Procura nell'atto di citazione si riferiscono:

- ad un conferimento di incarico di consulenza anomalo per sostanza e per procedura,

- alla distrazione di capitali dai fini istituzionali,

- alla autorizzazione di un investimento per molti versi anomalo,

- al conferimento della amplissima procura al Russo e all'uso che il medesimo, in stretta connessione con l'operato del prof. Luigi Panzone, ne avrebbe fatto sottoscrivendo contratti pregiudizievoli per il Consorzio

Prima della citazione la medesima Procura aveva con atto dell'8 novembre 2000 avanzato istanza di sequestro ante causam a carico dei convenuti contestualmente all'invito a controdedurre; al decreto di sequestro n. 1/2000, è seguita la necessaria udienza innanzi al Giudice designato in data 19 dicembre 2000 e l'ordinanza del medesimo di conferma del sequestro stesso n. 24/2001 in data 19/1/2001. Avverso detto provvedimento vi è stato reclamo da parte del convenuto Boschetti ed altri, sul quale si è pronunziato il Collegio con Ordinanza 86/2001 del 3 maggio 2001, la quale ha ridotto l'importo commisurandolo alla quota di danno imputata in citazione.

Sempre in sede cautelare l'Ing. Carlo Cristini convenuto in qualità di componente del CdA, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro De Juliis, ha prodotto memoria ( in data 20.12.2000), in sede di controdeduzioni ex art 5 l. 19/94 cui ha fatto seguito altra depositata il 6 settembre 2004, deducendo, per quel che riguarda la misura cautelare adottata nei suoi confronti con l'istanza di sequestro ante-causam, la necessità di ridimensionarne l'importo nei limiti di quanto poi, nell'atto di citazione, il procuratore Regionale ha inteso imputare al Cristini stesso (1/6 di 1/4 del danno); nel merito, la propria estraneità alla vicenda per non aver partecipato alla seduta del Consiglio di Amministrazione del 29 marzo 1999.

Sotto il profilo istruttorio, ha chiesto siano acquisiti gli atti del procedimento penale pendente dinanzi al tribunale di Lanciano.

La difesa del D'Ippolito e della moglie Angelozzi Maria Rita e del figlio Pierpaolo, quali terzi opponenti, ha presentato in data 3/03/03 istanza di dissequestro parziale e ricorso ex art 619 c.p.c. (opposizione di terzo) alla quale ha fatto seguito il decreto Presidenziale che ha designato il giudice e ha fissato l'udienza; il g.d. si è pronunziato con ordinanza 035/2003 chiedendo che fossero depositati gli atti che specificassero i beni che si volevano sottratti al sequestro.

La difesa D'Ippolito con nota del 28 maggio 2003 ha fornito precisazioni e chiarimenti; il g.d. a seguito di udienza del 29 luglio 2003 con ordinanza 64/2003 depositata il 13.08.2003 non ha accolto il reclamo dichiarandolo inammissibile.

Con reclamo al Collegio ex art. 669-terdecies e 739, comma 2, c.p.c. depositato il 4 settembre 2003 la difesa D'Ippolito ha avanzato reclamo avverso la suddetta ordinanza deducendo che l'inammissibilità dello stesso non era sostenibile, poiché esso era correttamente rivolto nei confronti della esecuzione materiale del sequestro (bene applicando il 619) e non contro il provvedimento di sequestro (che avrebbe richiesto un reclamo ex 669-terdecies).

Con tale pronuncia, a suo avviso, era stato violato il principio dispositivo del processo e la terzietà del Giudice stante la non opposizione del PM al dissequestro, venendo, tra l'altro, equivocate le trascrizioni di un atto di donazione.

Con ordinanza n. 74/2003 il reclamo è stato poi accolto ed è stato disposto il dissequestro di un bene per il quale non era certa la titolarità.

In data 4 luglio 2001 si è svolta la prima udienza di merito, nella quale questo Giudice disponeva la sospensione del processo avendo il prof. Panzone Luigi proposto regolamento preventivo di giurisdizione, sostenendo lo stesso la competenza sulla materia del giudice ordinario; Elio Bitritto, anch'egli convenuto, controricorreva con contestuale ricorso incidentale, adesivo al ricorso principale.

Con ordinanza n. 19667/03 pervenuta alla Procura Regionale in data 22.12.2003, la Suprema Corte ha affermato la sussistenza della Giurisdizione.

Il giudizio è stato riassunto dalla Procura Regionale, con contestuale istanza di fissazione di udienza, con atto datato 5 febbraio 2004.

Nella odierna pubblica udienza, il convenuto Luigi Panzone, difeso dagli avvocati Vincenzo Camerini, Adriano Rossi, Mario Torino Rodriguez e Federico Squartecchia ha precisato di aver sollevato due distinte eccezioni in ordine alla provvista di giurisdizione di questa Corte, le quali hanno dato luogo al regolamento di giurisdizione, e che la ordinanza n. 19667 della Corte di Cassazione a S.U., pur affermando la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti nei confronti del Consorzio, purtuttavia ha lasciato aperta la questione della sussistenza della giurisdizione nei confronti della società P.& Partners o del suo Presidente; solleva al riguardo la difesa che nella specie deve essere negata la configurabilità del rapporto di servizio, con conseguente pronunzia negativa in ordine alla giurisdizione.

La stessa ha poi dedotto che la trasformazione del Consorzio in SASI s.p.a. ha dato luogo al venir meno del soggetto pubblico avente titolo al risarcimento e che il subentrato soggetto privato non avrebbe legittimazione al risarcimento.

Nel merito, sostiene che "la perdita subita dall'Ente non è in alcun rapporto di causalità con i suggerimenti forniti da P.&P. al consorzio" perché l'evento dannoso si è verificato non a causa della natura dell'operazione proposta bensì a causa per la circostanza che altri soggetti si sono appropriati del denaro senza restituirlo.

In via istruttoria chiede al Collegio l'acquisizione delle risultanze del procedimento penale.

Infine, ritiene infondata, e quindi da disattendere, la proposta di ripartizione avanzata dalla procura Regionale.

Il convenuto Pietro Febbo, si è costituito in giudizio in data 22 settembre 2004 con delega all'avv. Antonucci, e prima di tale data si è fatto carico di inviare al Presidente della Sezione e al Procuratore Regionale missive informali e irrituali contenenti tra l'altro notizie sullo svolgimento del procedimento nella sede penale n. 119/2000, nel quale, secondo l'impostazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, si configurerebbe l'ipotesi di una truffa ideata e architettata dall'origine.

Il geologo Elio Bitritto convenuto in qualità di componente del CdA, rappresentato e difeso dagli avv.ti Patrizia Silvestri e Alfonso Vasile, si è costituito con memoria del 12 giugno 2001, con la quale, oltre al difetto di giurisdizione, eccepiva la insussistenza del danno, sostenendo che la somma in questione risulta essere ancora credito esigibile del Consorzio; chiede, chiede, inoltre, la sospensione del giudizio in attesa dell'esito di quello penale; sottolinea la marginalità del proprio apporto alla vicenda avendo partecipato soltanto alla prima delibera del CdA, la 43, che ha conferito un incarico di consulenza non inclusivo (art. 6) delle operazioni di investimento.

Successivamente, ha poi partecipato solo alla adozione della delibera n. 79 del 26 aprile 1999, successiva alle decisioni e agli atti esecutivi conseguenti (trasferimento di somme in particolare); afferma, comunque, insussistente la colpa grave stante la diversa qualificazione professionale (geologo) che lo poneva nella condizione di affidarsi a quanto prospettato dagli organi del Consorzio, e stante il ruolo dell'Ing. Panzone, che la stessa Procura indicherebbe come dominus della vicenda, e che avrebbe messo in atto azioni ingannevoli; in subordine, richiede la minimizzazione della responsabilità a sé riferita.

Le suddette deduzioni difensive sono confermate con la memoria depositata il 4 agosto 2004, che aggiunge in via istruttoria la richiesta di acquisire prova testimoniale della condizione fisica che gli avrebbe impedito di partecipare alle sedute del CdA; solo per esservi stato "trascinato", avrebbe in seguito partecipato a quella del 26/04/1999.

I Sig.ri Antonio Boschetti e Nando Pellicciotta rappresentati e difesi dall'avv. Vincenzo Colalillo, congiuntamente e disgiuntamente all'avv. Giovanni Cerella deducevano già in risposta all'atto cautelare che il CdA si sarebbe limitato al dato formale provvedimentale senza compiere alcun atto pregiudizievole (nella ricostruzione dei fatti compiuta dai difensori di Boschetti e Pellicciotta, l'affidamento dell'incarico alla P.& Partenrs con delibera 43/99 faceva riferimento ad una attività di consulenza finanziaria ad ampio respiro, con impiego di risorse monetarie, previsto dall'art. 3, comma 2, dello Statuto Consortile, dovendosi attribuire ogni successivo atto, deviante dalla correttezza, soltanto al prof. Panzone; che il CdA ha intrapreso l'operazione finanziaria sulla base di precise garanzie e credenziali ad esso fornite, credenziali che non risultano smentite e che comunque i convenuti non avendo competenza in campo finanziario, non erano in grado di confutare; che l'operazione finanziaria non è affatto conclusa e che, quindi il credito del Consorzio è ancora esigibile, e pertanto quindi il danno non è concreto e attuale.

I difensori chiedono anche la sospensione del giudizio contabile ex art. 295 c.p.c. per attendere le risultanze del procedimento penale; che, la sentenza, se accertasse una responsabilità del prof. Panzone per truffa, farebbe stato nel procedimento contabile ex 654 c.p.p. escludendo la responsabilità degli altri convenuti e ove disponesse il ristoro della parte civile, eliderebbe il danno.

Chiedono infine l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei nuovi amministratori del consorzio perché con la loro condotta omissiva non procedono alle azioni civili che consentirebbero di recuperare la somma in questione.

Del tutto subordinata è poi la richiesta di applicazione del potere riduttivo.

Luca Francesco Paolo Russo rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo Colalillo, costituitosi in giudizio con memoria depositata il 13 giugno 2001, ricostruisce in fatto la vicenda evidenziando di essere stato promotore soltanto della delibera n. 43/1999, dalla quale erano escluse operazioni di investimento e non è quindi scaturito alcun danno.

Quanto alla sussistenza stessa del danno ritiene che l'esperibilità di azioni civili per la retrocessione della somma da parte della FIN-TIME e la costituzione di parte civile del Consorzio nel procedimento penale contro Panzone consentano di ritenere detto danno non certo e non attuale.

Afferma poi che le credenziali della società P.&P. non possono essere sbrigativamente sminuite poiché esse non risultano specificamente smentite documentalmente.

Rileva, che mentre il professionista convenzionato con il Consorzio risulta coinvolto in un processo penale sotto l'imputazione del reato di truffa egli è rimasto estraneo al procedimento penale stesso.

In ordine alle delibere 55/99 e 94/99, con le quali si conferiva al Russo la procura alla sottoscrizione degli atti, afferma che erano atti consequenziali alla decisione del CdA di attivazione e completamento dell'operazione finanziaria che era stata proposta, e che non ne sono derivati al Russo poteri discrezionali o decisionali, dovendosi lo stesso attenere alle istruzioni impartite dalla società di consulenza, alla stregua di un mero esecutore materiale, senza neanche aver conoscenza della lingua inglese.

In conclusione, nega la giurisdizione, l'elemento oggettivo, l'elemento soggettivo e il nesso causale.

Avanza infine istanza di sospensione del processo ritenendo sussistenti i presupposti della sospensione obbligatoria ex art. 295 c.p.c., giacché ritiene che ai sensi dell'art. 654 c.p.p. una condanna per truffa del prof. Panzone farebbe stato anche nel processo contabile escludendo la responsabilità degli altri convenuti.

Donato D'Ippolito, rappresentato e difeso dall'avv. Michele Di Toro, al quale è subentrato l'avv. Ludovico Guarini, che ha rinunciato al mandato (giusta nota 30/06/2004), si è costituito nella fase cautelare con memoria depositata in udienza (19/12/2000) e in giudizio con memoria depositata il 14 giugno 2001, nella quale ricostruisce la vicenda in punto di fatto, precisando che la somma di 2 milioni e mezzo di dollari, prelevata da fondi del consorzio, privi di destinazione pubblica "stricto sensu", era destinata ad "affittare" la più cospicua somma di 50 milioni di dollari da investire nella operazione finanziaria prospettata dal prof. Panzone.

Si tratterebbe di attività privatistica d'impresa sottratta alla giurisdizione della Corte dei conti.

Nel merito, richiama l'articolo dello Statuto secondo il quale il direttore deve stipulare i contratti deliberati dal CdA (art. 35, comma 2, lett. g) e comunque eseguire le deliberazioni. Nega il ruolo di proponente dell'iniziativa, che non risulterebbe in alcun atto.

Nelle ore pomeridiane del 21 settembre 2004 veniva trasmessa dalla procura Regionale a questa Sezione una istanza di rinvio presentata dall'avv. Colalillo motivata con la coincidenza con altre udienze, davanti al TAR Molise, che richiedevano la presenza del medesimo avvocato.

Alla pubblica udienza del 22 settembre 2004 il presidente, preliminarmente, non accoglieva l'istanza di rinvio dell'avv. Colalillo, ribadita in udienza dall'avv. Vasile, per delega limitata a tale adempimento, udito anche il Pubblico Ministero che ha segnalato come l'incardinamento dei giudizi concomitanti presso il TAR Molise risulti posteriore alla fissazione della udienza del presente giudizio.

Veniva, poi, non accolta, con provvedimento dettato a verbale del Presidente, sentito il Collegio e le parti, la richiesta di sospensione del giudizio, motivata dalla pendenza del procedimento penale, avanzata da più parti, stante l'autonomia dei giudizi e stante l'autonoma giuridica rilevanza che i fatti accertati hanno nelle due differenti sedi processuali.

Veniva, invece, accolta la richiesta di un breve rinvio, avanzata da diversi difensori, per dare modo agli stessi di prendere visione della documentazione depositata nel corso dell'apertura della udienza e prima della discussione della causa, in uno alla memoria difensiva, dall'avv. Antonucci, costituendosi in giudizio, e difensore del convenuto Febbo, relativa a atti e documenti relativi al procedimento penale in svolgimento innanzi al Tribunale di Lanciano nei confronti di Luigi Panzone e di altre due persone estranee al presente giudizio contabile.

Alla successiva pubblica udienza del 10 novembre sono intervenuti gli avvocati Vincenzo Colalillo e Patrizia Silvestri per i convenuti Bitritto, Boschetti e Russo; l'avv. Alessandro De Julis per il convenuto Cristini; l'avv. Michele Di Toro per il convenuto D'Ippolito, l'avv. Cerella per il convenuto Pellicciotta; l'avv. Camerini per il convenuto Panzone; l'avv. Antonucci per il convenuto Febbo.

L'avvocato Vincenzo Colalillo, per Bitritto, Boschetti e Russo, ha fatto alcune puntualizzazioni: la prima riguarda la delibera 43/2000, che è stata presa come punto di riferimento nell'impostazione accusatoria della Procura, rilevandosi che essa deve essere inquadrata non solo come la scelta di un consulente, ma piuttosto come una scelta di natura patrimoniale; non ritiene giustificata l'espressione "non a caso" che la Procura usa riferendosi alla successiva delibera 54/2000, poiché la natura capziosa della scelta del professionista non è stata in alcun modo documentata o provata. La scelta operata con la delibera 43 non sarebbe in ogni caso connessa al danno, e deve essere ritenuta scelta discrezionale di organo politico, ragionevole sia sotto il profilo della sussistenza della necessità di mettere mano alla gestione patrimoniale dell'Ente (talché la stessa Procura nell'atto di citazione si riferisce ad una "confusa documentazione") sia sotto il profilo della effettiva natura di esperto che aveva il professionista scelto. Le caratteristiche stesse dell'investimento e il regime fiscale particolare che doveva applicarsi giustificherebbero le competenze rinvenute nel professor Panzone. L'anomalia dell'investimento non può essere presa in considerazione a posteriori e di ciò la procura si è mostrata consapevole avendo accentrato l'attenzione sul momento della scelta del consulente finanziario alla quale sarebbe stata conferita una veste di dominus dell'operazione in questione. Ma essendosi escluso un preventivo accordo (in sede penale sono stati infatti estromessi gli organi del consorzio), ed essendo pacifica la sussistenza di titoli adeguati per il professionista, con la scelta il CdA non ha più un ruolo nella vicenda.

Semmai sarebbe da valutare la responsabilità degli organi di vigilanza e controllo contabile.

Per la posizione del Russo, rileva l'avvocato che già in citazione viene raffigurato come inesperto e privo della conoscenza della lingua inglese, il che porta ad escludere che abbia avuto poteri di intervento, in termini di valutazione o decisione, nel procedimento e quindi che abbia svolto ruoli che diano luogo a responsabilità.

Se lo schema che ha delineato la Procura è sintetizzabile nei termini "vi siete parati dietro un consulente e lo avete mandato a Londra in compagnia di un ingenuo", allora non sarebbe sussistente un adeguato nesso causale fra la delibera n. 43 e la vicenda dell'investimento col presunto danno che ne deriverebbe. Tra l'altro rileva l'avv. Colalillo che la nomina del Russo era l'unica possibile visto l'organico del Consorzio. Per la posizione dei componenti del CdA, si afferma la natura di organo politico, la cui buona fede in scelte tecniche quale la presente sarebbe da presumersi; dovevano essere semmai i revisori dei conti a fermare la scelta dell'esperto e gli altri atti successivi, se ne avessero riscontrato gli estremi. Conclude per la esclusione della responsabilità per i suoi assistiti, in subordine per il Russo chiede l'applicazione del potere riduttivo; in via istruttoria, chiede l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei revisori dei conti.

L'avvocato Alfonso Vasile per il convenuto Elio Bitritto contesta la citazione poiché la ritiene emessa "in assenza di adeguata valutazione e conoscenza". Infatti, ritiene che il CdA potrebbe essere ritenuto responsabile soltanto se avesse attribuito al prof. Panzone un incarico senza limiti, lasciandogli la possibilità di eccedere l'ambito dei poteri che gli potevano essere affidati. Ciò, afferma l'avvocato, non è avvenuto, poiché chiedendo al prof. Panzone una consulenza non veniva implicato alcun potere di operare concretamente bensì solo di fornire pareri, avvisi, di proporre gli investimenti finanziari con le risorse monetarie disponibili e comunque in "condizioni di rischio sostanzialmente annullato". Il CdA, nella prospettazione difensiva, si sarebbe quindi cautelato dando indicazioni precise e limiti come detto. Le circostanze che hanno dato luogo alla raffigurabilità del Panzone come dominus dell'operazione finanziaria non sono connesse alla delibera n. 43 del 1999 (alla quale ha partecipato il Bitritto) ma si sono verificate successivamente. D'altra parte, aggiunge il difensore, in sede penale si è esclusa espressamente la partecipazione del CdA alla operazione truffaldina.

L'avvocato Vincenzo Antonucci per il convenuto Pietro Febbo si sofferma sulla sicura ricorrenza dell'elemento doloso nella vicenda, come evidenziato in sede penale anche grazie alla consulenza tecnica ivi acquisita (redatta dal prof. Maccarone) e che residuerebbe in capo al Febbo e agli altri componenti del CdA, se mai, responsabilità per mera colpa.

A tale proposito ritiene, tuttavia, che, si debba escludere la sussistenza di una culpa in eligendo, sia per la scelta del referenziato e titolato prof. Panzone sia per quella del Russo che gli era stato affiancato. Questi non era infatti l'ingenuo che si vuole raffigurare, giacché avendo competenze legali ed economico-finanziarie, era ragionevolmente eligibile per l'incarico suddetto; sarebbe sufficiente in proposito, a fini assolutori, la "non irragionevolezza" della scelta effettuata giacché essa rientra nelle scelte discrezionali di un organo da ritenersi di natura politica. Quanto alla eventuale culpa in vigilando, ritiene l'avvocato Antonucci che essa andrebbe semmai contestata all'organo di revisione dei conti. Non era tuttavia agevole individuare nella complessità della operazione elementi di rischio: era stata specificamente affermata la diretta vigilanza della Federal Reserve degli Stati Uniti e veniva spiegata la apparentemente incredibile redditività della operazione con il fatto che quattro miliardi non erano l'intera somma investita, bensì solo una prenotazione, una garanzia per l'investimento di una più cospicua somma di 50 milioni di dollari, dalla quale scaturiva l'utile prospettato. In ogni caso ritiene che la dimostrata esistenza di un raggiro sia idonea ad escludere la colpa grave dei raggirati.

Infine, precisato come lo stesso consulente tecnico della sede penale abbia definito "disorientante" l'effetto degli artifizi utilizzati, richiama l'attenzione sulla corrispondenza sempre pressante che il Febbo ha indirizzato al prof. Panzone per avere chiarimenti e notizie sull'operazione finanziaria, ricevendo sempre ampie e insistite rassicurazioni.

L'avvocato Alessandro De Julis per il convenuto Carlo Cristini approfondisce l'esame della delibera alla quale il suo assistito ha preso parte, la n. 43/99.

In essa non si rinviene cenno al conferimento al Panzone della facoltà di scegliere investimenti sui mercati esteri, né vi è mandato a disporre delle risorse del Consorzio, bensì solo una attività di studio e di programmazione per proporre investimenti che fossero "a rischio sostanzialmente annullato".

Sostiene, poi, che la necessità di procurarsi maggiori risorse per gli ammortamenti, che la nuova normativa poteva imporre, ha imposto la scelta di un consulente esperto, esterno all'organico del Consorzio.

Precisa che già nel febbraio 1999 vi erano stati contatti con altro esperto, il prof. Calzoni di Bologna; pur non giungendo alla attribuzione dell'incarico al suddetto Professore (che si offriva per una parcella di 26 milioni di lire), il Consorzio ebbe tuttavia dal medesimo l'indicazione della effettiva sussistenza della necessità di adeguare la contabilità ad un quadro complesso che includeva la questione della levitazione dei costi.

In ogni caso, l'avvocato richiama alla memoria il clima di fiducia, quasi di euforia, che in quel 1999 spingeva tutti, anche il bonus pater familias, ad investire in borsa. Già nel 1998 il Consorzio era ricorso ad operazioni finanziarie, per la precisione ad operazioni di "pronti contro termine". La scelta ricaduta sulla persona del prof. Panzone, valutata necessariamente ex ante e alla luce della sua affidabilità dal punto di vista curricolare, appare del tutto ragionevole anche in vista di attività di intermediazione finanziaria. Anche la percezione del verificarsi dell'evento dannoso, il cui compiersi abbraccia l'arco di oltre un anno e mezzo, non era agevole, trattandosi nel nostro caso di una vicenda complessa che il consulente attivato dal Giudice del procedimento penale (consulenza a firma Maccarone) ha inquadrato nella fattispecie "primary bank fraud": in essa le vittime (in questo caso, i componenti del CDA) sono esposte ad un artificio assai sofisticato, che utilizza la minaccia di essere inclusi nella black list della Federal Reserve statunitense se si fossero sottratti dalla operazione stessa prima della sua conclusione, il che quindi li ha condizionati fortemente, consentendo a coloro che hanno perpetrato la frode di portarla a termine più tranquillamente.

A fronte di precise indicazioni che imponevano la permanenza del capitale sulla BLS di Lanciano e il limite di 60 giorni per lo svolgimento dell'operazione finanziaria (vi fa riferimento la delibera n. 60 del 29 marzo 1999), vi fu poi cedimento alle insistenze del prof. Panzone che chiedeva il trasferimento dei fondi su altra Banca a Londra non essendo la BLS di Lanciano un "primary bank", ma la decisione fu presa, afferma il difensore, con atto precedente alla delibera n. 79 cui partecipò il Cristini, la quale si limitava a ratificare, anzi a regolarizzare sotto il profilo formale, un atto presidenziale che aveva già prodotto i suoi effetti. Anche l'attribuzione del particolare incarico al Russo, sottolinea che esso era a brevissima scadenza.

In ordine agli autori della frode, si limita a richiamare come nella sede penale vi siano già due patteggiamenti della pena ex art. 444 c.p.c. Per completare il quadro della estraneità del Cristini, l'avvocato sottolinea che le sue competenze erano nel campo tecnico, e precisamente delle opere stradali.

L'avvocato Di Toro per il convenuto D'Ippolito ritiene che non vi siano specifiche contestazioni nei confronti del suo assistito, nella sua funzione di Direttore Generale; l'ipotesi che egli, assieme al Russo, abbia "presentato" il prof. Panzone ai vertici del Consorzio non appare corroborata in nessuna maniera, e al di fuori di ciò non vi sarebbe spazio per altri addebiti nei confronti del D'Ippolito; egli infatti non poteva che dare corso agli adempimenti conseguenti alle delibere del Consiglio di Amministrazione. La sua presenza in tale consesso era in funzione consultiva e non partecipava alla decisione, neanche fornendo eventualmente parere favorevole. D'altra parte lo Statuto del Consorzio consentiva espressamente operazioni finanziarie di questo tipo, ed al Direttore Generale era stato formalmente demandato di stipulare i contratti conseguenti alla delibera, né poteva sottrarvisi (si cita giurisprudenza della Corte di Cassazione, decisione 9066 del 27/08/1993), senza venir meno al suo dovere. Alla richiesta di assoluzione si aggiunge in estremo subordine quella di esercizio di potere riduttivo.

L'avvocato Camerini per il convenuto Luigi Panzone afferma che permane irrisolta la questione della giurisdizione: seppure l'ordinanza n. 19667 della Suprema Corte si è pronunciata sulla assoggettabilità dell'Ente - Consorzio, da ritenersi pubblico, ciò può valere soltanto fino al momento in cui, nel 2002, il Consorzio è stato sciolto. Le società che ne sono derivate sono oggi del tutto private e naturalmente la Cassazione non ha pronunciato su questa nuova situazione. Si deve ritenere, afferma il difensore, che la modifica normativa abbia ormai caducato la giurisdizione contabile sulla vicenda, né per tale giurisdizione è concepibile una ultrattività. La specifica posizione del prof. Panzone non sarebbe poi tale da poterlo ritenere assoggettabile a giudizio contabile per l'insussistenza di rapporto di servizio e di inserimento nell'organizzazione del Consorzio. Egli resta consulente esterno, ed anzi il rapporto con il Consorzio è stato instaurato dalla Società P. & P., costituita in forma di società a responsabilità limitata, e non personalmente dal Panzone.

Afferma poi l'avvocato Camerini che non è ammissibile l'acquisizione e la produzione di documenti fuori udienza, in assenza di notifica dei medesimi alle parti. Solo sospendendo il giudizio per acquisire gli esiti del giudizio penale sarebbe consentito introdurre nel giudizio contabile le produzioni di quello penale; in caso contrario il valore di quelle carte, ivi inclusa la perizia del prof. Maccarone, è sostanzialmente nullo.

Il Pubblico Ministero ribatte l'eccezione riguardante l'assenza di rapporto di servizio per il Panzone, poiché ritiene non necessaria la condizione dell'inserimento del soggetto nell'organizzazione dell'Ente pubblico quando, come nel caso presente, vi sia stato maneggio diretto di denaro pubblico. Il rapporto di servizio ha infatti qui una fonte non soltanto nella convenzione, ma anche nell'operato del Panzone che ha avuto occasione per una diretta gestione.

La sussistenza della colpa grave è affermata dal PM in forza del fatto che anche con valutazione "ex ante", e volendo ammettere di aver voluto confidare in un professore referenziato e di trovarsi in una situazione di generale euforia per quella che è stata definita la "bolla speculativa" dell'epoca, in ogni caso è stata inescusabilmente omessa la valutazione circa la qualità del rischio che stava affrontando il Consorzio.

Quanto alla persistenza della giurisdizione e alla natura del beneficiario dell'azione di risarcimento, ritiene il PM che la soc. SASI costituita in forma di società per azioni a prevalente partecipazione pubblica, rientri pienamente in quei casi per i quali la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha sancito che anche in presenza di privatizzazione formale non viene meno la natura pubblica del denaro, pur nella diversità degli strumenti giuridici.

Sulla introduzione nel giudizio presente degli atti di quello penale, afferma che si tratta di allegazioni di parte che il giudice potrà liberamente valutare.

In replica l'avvocato Camerini ribadisce la sottrazione delle SpA alla giurisdizione contabile, ritenendo che ad esse si applichino le norme ordinarie previste dal codice civile: le partecipazioni pubbliche hanno, come altri soci, gli strumenti approntati dall'art. 2409 c.c. innanzi ad altra giurisdizione.

Insiste poi sulla insussistenza del danno, poiché afferma che non è stato tentato il recupero delle somme e che pertanto non si può assumere certo attuale il danno stesso senza adeguato riscontro.

DIRITTO

Prima di esaminare le numerose eccezioni sollevate dai difensori dei convenuti è necessario riassumere i termini delle contestazioni mosse da parte attrice ai convenuti.

Con atto di citazione del 22 marzo 2001 il Procuratore Regionale ha convenuto in giudizio il presidente e gli altri componenti del consiglio d'amministrazione del Consorzio comprensoriale del Chetino per la gestione delle opere acquedottistiche, i dipendenti dello stesso Ente D'Ippolito e Russo e nonché il prof. Luigi Panzone, chiedendone la condanna al pagamento, in favore del Consorzio, della somma di lire 4.511.200.000, oltre accessori.

A sostegno della domanda parte attrice deduce che con diverse deliberazioni (a cominciare dalla n. 43 del 10 marzo 1999) il consiglio di amministrazione di detto Ente aveva affidato alla società P. & Partners - Corporate Finance, della quale il Panzone era presidente, un incarico di consulenza finanziaria, cui seguì la sottoscrizione di un contratto di investimento di capitali, ritenuto dagli stessi di sicuro alto rendimento; secondo parte attrice, invece, si tratta di operazione speculativa mai chiarita né controllata, in vista di promessi ma del tutto improbabili rendimenti (pag. 14 atto di citazione) e "palesemente al di fuori di ogni realtà e credibilità, posto che a fronte di un investimento a breve di 4 milioni di dollari USA si promettevano proventi lordi per 18.500.000 dollari con utili netti di 14.000.000 di dollari".

L'operazione - che aveva comportato il trasferimento all'estero, della somma innanzi indicata di Lire 4.511.000.000 pari ad Euro 2.349.480,00 non più rientrata - ha avuto un seguito anche in sede penale, avendo la Procura della Repubblica di Lanciano contestato al Prof.Panzone (e ad altre persone non convenute in giudizio, in stato di detenzione domiciliare) il reato di truffa aggravata.

Secondo, la Procura agente agli effetti in esame, questi deve considerarsi funzionario di fatto dell'Ente.

1. La prima eccezione che deve essere esaminata concerne la sussistenza della giurisdizione di questa Corte, questione riproposta dalla difesa dei convenuti ancorché sul punto si sia già pronunciata la Corte di Cassazione a S.U. su regolamento di giurisdizione proposto dal Panzone e dal Bitritto, la quale, rigettando i ricorsi, con ordinanza n. 19667/2003 innovativa rispetto all'orientamento fino ad allora seguito, ha stabilito la piena competenza di questo giudice nella fattispecie, come in generale nei confronti degli amministratori e dipendenti dei Consorzi pubblici, che, come è noto, amministrano danaro della comunità.

La difesa fonda la reiterazione della eccezione di giurisdizione sulla argomentazione che al Consorzio è succeduta una diversa organizzazione della funzione pubblica da esso curata, sotto la forma di Società per Azioni a prevalente partecipazione pubblica.

Ed in effetti, come comunicato con nota in data 26 agosto 2004 dall'Ente, il Consorzio ha assunto dal 12.12.2002 la natura di S.p.A., con dotazione di capitale pubblico, assumendo la nuova denominazione di "Società Abruzzese per il Servizio Idrico".

Senonché, devesi al riguardo precisare che, i fatti in esame risalgono al tempo in cui il soggetto danneggiato aveva sicuramente la natura di Consorzio pubblico per cui non vi è dubbio che a quel momento occorre fare riferimento agli effetti del presente giudizio.

Sulla natura dell'Ente e sugli effetti in termini di giurisdizione è dunque intervenuto il giudicato della Suprema Corte di Cassazione, che ha affermato che "sono attribuiti alla Corte dei conti i giudizi di responsabilità amministrativa, per i fatti commessi dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, ultimo comma, legge n. 20 del 1994, anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici".

Ma in disparte, tale assorbente considerazione, il collegio osserva che, anche alla luce della citata ordinanza, confermata da successive pronunce della Corte di Cassazione, devesi ritenere irrilevante la forma di diritto privato o pubblico (cfr. anche Sez. Marche n. 469/2002), secondo cui sono esercitati i pubblici servizi.

Quanto alla fattispecie in esame, ha osservato la Suprema Corte che, alla stregua del quadro normativo vigente all'epoca dei fatti, non era contestabile la natura di ente pubblico economico del Consorzio in questione (cfr. in materia anche sentenze nn. 9879/1997 e 124/2000), dal che avrebbe dovuto conseguire che, per costante giurisprudenza, la giurisdizione della Corte dei conti dovrebbe intendersi limitata alla responsabilità connessa all'esercizio di poteri autoritativi o di funzioni pubbliche, ricadendo invece quella relativa all'attività gestionale nella giurisdizione ordinaria (tra le altre, Cass. sez. un. nn. 1282/82, 6179/83, 644/85, 2489/88, 5792/91, 11560/92, 12654/97, 334/99, 1193/00, 9689/01).

Se fosse stato confermato tale indirizzo, ciò avrebbe comportato l'affermazione, nella fattispecie in esame, della giurisdizione del giudice ordinario giacché i fatti, oggetto del giudizio di responsabilità, attengono allo svolgimento di un'operazione finanziaria, e dunque all'attività imprenditoriale dell'Ente.

Senonché, la rilevanza del caso in esame e la gravità dell'offesa arrecata al pubblico erario, ed in conseguenza ai cittadini contribuenti, hanno indotto, verosimilmente, la Corte di Cassazione al riesame della questione, anche in considerazione degli effetti che il mutato quadro normativo afferente l'organizzazione della P.A. avrebbe comportato sulla competenza della Corte dei conti, garantita costituzionalmente, con conseguente svuotamento della norma di cui all'art. 103, che ha istituito il giudice contabile a presidio della correttezza della gestione del pubblico denaro.

In proposito, deve ricordarsi che le Sezioni Unite della Cassazione sin dalla sentenza n. 363 del 1969 avevano affermato la immediata efficacia precettiva dell'art. 103, secondo comma cost., nella compresenza di due elementi, qualificanti la nozione di contabilità pubblica: uno soggettivo, che attiene alla natura pubblica del soggetto - ente od amministrazione - al quale l'agente sia legato da un rapporto di impiego o di servizio; l'altro oggettivo, che riflette la qualificazione pubblica del denaro o del bene oggetto della gestione nell'ambito della quale si è verificato l'evento, fonte di responsabilità.

Riguardo, invece, agli enti pubblici economici, con la sentenza n. 1282 del 1982 - la prima che ebbe a pronunciarsi nel senso sopra cennato - le Sezioni unite, dopo aver ribadito che la giurisdizione della Corte dei conti sussiste allorquando ricorrano i due predetti elementi, soggettivo ed oggettivo, ritennero tuttavia di escluderla, in relazione a detti enti, riguardo alle attività che si collocano nell'ambito dell'esercizio imprenditoriale, loro proprio.

E, dunque, solo una interpretazione restrittiva della Cassazione aveva limitato la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità degli amministratori e dipendenti degli enti pubblici economici.

Nel richiamare la precedente sentenza n. 363 del 1969, già citata, le Sezioni Unite precisarono che il requisito della natura pubblica dell'ente va riferito agli enti pubblici non economici, poiché gli enti pubblici economici, pur perseguendo finalità di carattere pubblico, normalmente svolgono la loro attività nelle forme del diritto privato (artt. 2093 e 2201 c.c.) e in tale svolgimento sono soggetti alla disciplina dell'imprenditore privato; aggiunsero che alla natura, agli scopi ed al modo di operare degli enti pubblici economici mal si addice il rigore della contabilità pubblica in senso stretto, ed osservarono che detti enti erano sottratti al controllo della Corte dei conti a norma dell'art. 1 legge 20.3.1975 n. 70.

Tali argomentazioni furono riprese ed arricchite nelle pronunce successive, le quali, a conferma della limitazione della giurisdizione della Corte dei conti, riguardo agli enti pubblici economici all'esercizio di poteri autoritativi, affermarono il carattere solo tendenziale e non assoluto della giurisdizione contabile; affermazione, questa, in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha più volte osservato che la concreta attribuzione della giurisdizione, in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa, richiede l'interpositio legislatoris.

In tal senso, tra le altre, Corte cost. n. 24 del 1993 e n. 327 del 1998, che hanno rilevato la necessità della violazione di una specifica regola di condotta imposta da una norma regolatrice del maneggio e della gestione del denaro pubblico, il carattere estrinseco del fine pubblico degli enti in questione.

Senonché, la Corte di Cassazione nella ordinanza pronunciata proprio in questa fattispecie ha preso atto da una parte della generalizzazione avvenuta per via legislativa delle competenze del giudice contabile riguardo agli amministratori anche delle Regioni, degli Enti Locali, delle AA.SS.LL. ed agli stessi Enti Pubblici a seguito dell'art. 1, ultimo comma, della legge n. 20/1994, nonché del radicamento della giurisdizione a livello regionale, ma soprattutto della evoluzione della nozione di pubblica amministrazione, del processo c.d. di privatizzazione che questa ha subito, anche al fine di assicurare alla stessa una maggiore efficienza.

Come esattamente osservato nella citata ordinanza, tale processo si è articolato, in particolare, secondo due importanti profili: a) dal lato della forma giuridica, (cfr. ad es. l'art. 15 d.l. 11.7.1992 n. 333, convertito dalla legge 8.8.1992 n. 359 (che ha disposto la trasformazione in società per azioni di enti pubblici economici quali l'Iri, l'Eni, l'Ina e l'Enel, e l'art. 113 d.lgs. 18.8.2000 n. 267, già art. 22 legge 8 giugno 1990, n. 142 il quale prevede che i servizi pubblici locali possano essere gestiti anche a mezzo di società per azioni od a responsabilità limitata); b) dal punto di vista del modus operandi, in quanto che l'art. 11 legge 7 agosto 1990 n. 241 ha disposto che l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo; a tali accordi si applicano, se non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili (vedasi al riguardo Cass. sez. un. n. 9130/94).

Stante tale innovativo quadro, come esattamente considera la Suprema Corte, non v'è più dubbio che la P.A. svolge ormai attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto od in parte dal diritto privato.

Ancorché in forme privatistiche, gli enti pubblici economici - soggetti pubblici per definizione che perseguono fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura - svolgono dunque anch'essi attività amministrativa, rispetto alla quale tali forme costituiscono nient'altro che lo strumento a tali fini utilizzabile ed utilizzato.

Ma eguali considerazioni valgono, ad avviso di questo giudice, quando i pubblici servizi sono realizzati con ricorso ad altre forme o istituti propri del diritto privato, quali le S.p.A., purché con impiego di denaro proveniente dalla generalità dei contribuenti o dai fruitori dei servizi medesimi.

Di tal che il discrimen tra le due giurisdizioni (civile e contabile) risiede, come espressamente ha affermato la Cassazione, "unicamente nella qualità del soggetto passivo e pertanto nella natura - pubblica o privata - delle risorse finanziarie di cui esso si avvale, avendo il legislatore del 1994 inteso più incisivamente tutelare il patrimonio di amministrazioni ed enti pubblici".

In presenza di tali condizioni sussiste la giurisdizione della Corte dei conti, irrilevante essendo la qualificazione del soggetto agente (S.p.A. od altro) e gli strumenti attraverso cui realizzano i fini pubblici assegnati.

A tale conclusione sono di conforto anche successive pronunce della Cassazione, quali la 3899/2004, con la quale è stata affermata la competenza del giudice contabile nel caso di società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria.

Con tale sentenza, la Cassazione ha precisato che la giurisdizione di questa Corte sussiste sulla base dei criteri tradizionali già da tempo individuati dalla giurisprudenza, costituiti da una parte dalle ragioni di interesse generale che giustificano l'intervento pubblico nel settore dei servizi pubblici e dall'altro dall'esistenza, in questi casi, "del rapporto di servizio tra la società e l'ente territoriale, ravvisabile ogni qual volta si instauri una relazione (non organica ma) funzionale caratterizzata dall'inserimento del soggetto esterno nell'iter del procedimento dell'ente pubblico come compartecipe dell'attività a fini pubblici di quest'ultimo".

È quest'ultimo il presupposto per l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità per danno erariale.

Per tale motivo, risulta del tutto infondato il tentativo della difesa dei convenuti di superare la forza cogente del giudicato intervenuto nella fattispecie in punto di giurisdizione, sulla base della argomentazione che nelle more (e cioè tra la data della pronuncia della Cassazione e la data di discussione del giudizio) l'Ente ha assunto la veste di S.p.A.

La nuova veste giuridica del Consorzio non esplica, in conclusione, alcuna efficacia modificativa nella competenza di questo giudice.

La conclusione cui questo collegio perviene del resto trova conforto anche in quanto affermato dalla Consulta, con sentenza n. 363 del 2003, che ha puntualizzato che è indifferente la forma giuridica degli enti strumentali dei Ministeri (nella specie, la società "Italia lavoro" interamente partecipata dal Ministero del Welfare).

Si richiama, infine, la costante giurisprudenza delle sezioni penali della Corte di Cassazione, le quali hanno più volte affermato che la trasformazione di amministrazioni pubbliche in enti pubblici economici e poi in società per azioni non ne fa venir meno la natura pubblicistica (Cass., Sez. I pen., 22 giugno 2000, n. 10027, Aalam, per l'Ente Ferrovie dello Stato, e Cass. Sez. VI pen., 8 marzo 2001 n. 20118, Di Baratolo, per l'Ente Poste), con il conseguente persistere, per i rispettivi dipendenti, della qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

Quanto alla questione della destinazione delle somme eventualmente risarcite (o ancor più eventualmente recuperate), posta dalla difesa, che ritiene che non esista più un soggetto interessato al recupero delle somme e che comunque l'atto di citazione indica un Ente non più esistente, data la trasformazione in S.p.A., è fin troppo facile obiettare che in merito basta fare riferimento agli ordinari criteri successori, non diversamente da quanto avvenuto per gli altri crediti e attività patrimoniali intestati a suo tempo al Consorzio.

In ogni caso, la individuazione del soggetto subentrato nei rapporti patrimoniali al Consorzio è questione che non riguarda i convenuti, ma, attenendo alla fase della esecuzione della sentenza, la parte attrice.

Non mancano del resto pronunce che negano rilevanza alla individuazione dell'Ente beneficiario del risarcimento (Sez. Sicilia, 23 febbraio 1988, n. 19; Sez. Puglia, 10 maggio 1994, n. 42) ma finanche a quella dell'Ente danneggiato, purché di natura pubblica (si veda ad es. Sez. Toscana, 12 maggio 2000, n. 833).

2. Ancora in via preliminare, occorre soffermarsi sulla sussistenza del rapporto di servizio per tutti i convenuti.

Pacifica essendo la sussistenza del rapporto di servizio riguardo al Presidente ed agli altri amministratori del Consorzio nonché dei suoi dipendenti D'Ippolito e Russo, quanto al prof. Panzone, non vi è alcun dubbio che egli ha assunto la qualifica di funzionario di fatto dell'Ente.

Anzitutto, quanto alla sussistenza del rapporto di servizio, va rilevato che egli si è legato da apposita convenzione.

Si è poi trattato, sicuramente, di un rapporto fiduciario intervenuto tra lo stesso ed il Consorzio, come è confermato dalla esibizione, quale credenziale, del proprio personale curriculum, mercé il quale ottenne l'incarico.

Non vi è alcun dubbio che la convenzione è stata stipulata sulla base dell'intuitu personae con detto professore.

Vero è che agli atti figura corrispondenza inviata dal Panzone al Consorzio su carta intestata alla società P & P., ma, in disparte che è ravvisabile in ciò l'intento di celarsi dietro il velo societario per avallare l'esistenza di una organizzazione finanziaria di consulenza e/o tentare di porsi così al riparo da eventuali responsabilità personali, va rilevato che non mancano comunicazioni effettuate direttamente a nome proprio dal Panzone.

Rivelatrice, in proposito, la circostanza che in esito alla richiesta di parere del 23 giugno 2000, prot. 2141 del Consorzio, egli risponda con due fax, del medesimo tenore, l'uno su carta P. & P., l'altro su carta professionale personale, dal medesimo apparecchio a 3 minuti di distanza.

Ove non bastasse tale evidente, diretta immedesimazione del Panzone con la Panzone & Partners, sarebbe sufficiente rilevare come nelle dichiarazioni rese dallo stesso convenuto il giorno 23 marzo 2000 in Lanciano, verbale di interrogatorio di persona sottoposta alle indagini, avanti al PM Falasca (documento depositato in copia dal difensore del convenuto Febbo), si legge che il denaro transitato dalla BLS allo studio legale Wilson & Smith, (due milioni e mezzo di dollari), tornò dopo qualche giorno disponibile a seguito dell'intervento degli ispettori governativi britannici, e il Panzone ne dispose direttamente, facendoli accreditare prima in favore di Fernando Scornik poi su altro conto accessibile al solicitor Scollato.

Questa ed altre attività di disposizione dei fondi pubblici appaiono al collegio integrare palesemente la fattispecie di maneggio di denaro pubblico e dunque la sua soggezione a responsabilità amministrativo-contabile sulla base della figura del funzionario di fatto in posizione di compartecipazione fattiva dell'attività amministrativa dell'Ente pubblico, come affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (SS.UU. 5 aprile 1993 n. 4060 e 9 giugno 1997 n. 5137).

3. Le richieste di integrazione del contraddittorio, specificamente nei confronti degli organi di controllo e di vigilanza contabile e dei componenti il nuovo Consiglio di Amministrazione, non sono ritenute meritevoli di accoglimento, in quanto l'evento dannoso deve essere messo in relazione causale esclusiva con i convenuti, salvo singole eccezioni di cui si dirà in seguito.

La condotta dei presenti convenuti può essere pienamente valutata prescindendo da eventuali estensioni del contraddittorio, non risultando condizionata da altrui comportamento, stante la mancanza di indicazioni in ordine ad eccezionali circostanze o azioni frappostesi e l'evidentissimo legame che si è manifestato in atti fra l'assunzione di deliberazioni e di atti strettamente legati ad esse e l'evento qui raffigurato come danno.

In ogni caso, come affermato dalla Sezione I Centrale della Corte dei conti (sentenza n. 60 del 24 febbraio 2004), quando all'unicità del danno corrisponde una pluralità di condotte illecite, tali condotte sono autonomamente valutabili ai fini dell'attribuzione del danno ai compartecipi.

Non si ritiene pertanto di dover estendere il presente giudizio ad altri soggetti non chiamati dal Procuratore Regionale.

4. In merito alle acquisizioni documentali sulle quali la difesa del convenuto Panzone solleva eccezione di inammissibilità, si premette che gran parte di essa proviene direttamente dalle parti convenute, le quali hanno fatto ripetutamente riferimento a documenti relativi alla sede penale esibendoli diligentemente e sottoponendoli alla valutazione di questo giudice. Tali allegazioni, così come quelle della Procura Regionale, sono avvenute mediante deposito nei termini previsti (ossia almeno 20 giorni prima dell'udienza) e sono pertanto validamente introdotte nel presente giudizio.

5. Per gli atti depositati dalla difesa del convenuto Febbo, su richiesta degli altri convenuti, sono stati dati i termini a difesa, con provvedimento di rinvio della discussione del giudizio, in un primo tempo fissata per il 22 settembre, all'odierna udienza da parte del Presidente del collegio.

Infondata del pari è l'eccezione di non utilizzabilità degli atti del procedimento penale depositati in atti (e segnatamente la perizia ivi acquisita sottoscritta dal prof. Maccarone) essendo stati gli stessi posti per tempo a disposizione delle parti, che hanno avuto quindi la possibilità di produrre atti, memorie difensive, contestazioni o controperizie, mentre sulla richiesta di sospensione necessaria del giudizio in attesa della definizione di quello penale in cui si trova coinvolto il convenuto Panzone si è già in udienza pronunziato negativamente, con adeguata motivazione.

Premesso che tali atti non hanno, per concorde giurisprudenza, effetto vincolante per il giudice, ben può il collegio valutarli liberamente, ove necessario; come altrettanto liberamente sarebbero state valutate eventuali diverse perizie di parte, qualora presentate, che confutassero o confermassero quelle già acquisite.

Anche le sentenze di applicazione della pena, su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., pur passate in giudicato, non fanno stato per l'accertamento dei fatti, in quanto sono elementi liberamente apprezzabili dal giudice.

6. Venendo al merito, è opportuno ricostruire la vicenda così come viene ritenuta rilevante ai fini del presente giudizio.

Il quesito centrale che si pone in questa controversia più che attenere alla oculatezza della scelta da parte del Consiglio del consulente finanziario, al grado di tecnicità della proposta avanzata dal Panzone che, secondo la difesa di taluni componenti il Consiglio, rendeva non molto intellegibile la stessa e comunque di tale complessità da richiedere requisiti di tecnica bancaria e finanziaria che taluni non avevano, (ad esempio per avere qualifica di geologo) è se si configurasse o meno un'operazione ad alto rischio come parte attrice afferma (cosa che la difesa dei convenuti nega) ed in secondo luogo, nel caso di risposta positiva, se possa essere consentito ad un Ente Pubblico (Consorzi; Enti Locali, o S.p.A alimentate da mezzi finanziari di provenienza pubblica) investire (rectius tentare di investire) il denaro dei fruitori di un pubblico servizio o comunque dei contribuenti in operazioni finanziarie di carattere speculativo.

Ad avviso del collegio, non vi è alcun dubbio che l'operazione proposta dal Panzone e decisa dal Consiglio del Consorzio, non contrastata in alcun modo dai convenuti D'Ippolito e Russo, fosse un'operazione non ad alto rischio, ma ad altissimo rischio, di carattere assolutamente speculativo, ictu oculi rilevabile, operazione che avrebbe suscitato riserve ed incredulità perfino al più sprovveduto uomo della strada per i termini e per il modo con cui è stata presentata, per l'assoluta scarsa credibilità del reddito proposto.

Come si legge nella lettera in data 20 marzo 1999, allegato alla delibera n. 60/1999 (lettera confermata da atto del 31 maggio e del 1° ottobre dello stesso anno), il convenuto Panzone prospettava "l'acquisto di un blocco di fondi da Primario Intermediario Statunitense" al costo del 5% del valore del blocco (pari a 50 milioni di dollari) con un rendimento pari al 30% del valore capitale (50 milioni di dollari), di tal che i "redditi attesi pari a 15 milioni di dollari americani" sarebbero stati" di gran lunga eccedenti il costo dell'operazione, pari a 2,5 milioni di dollari ". E ciò in solo 10 mesi.

Con la delibera stessa si invitava poi il Direttore Generale a procedere per la più rapida ed efficace realizzazione delle procedure, ivi compreso il trasferimento della somma di 2 milioni e cinquecentomila dollari statunitensi.

Nelle successive lettere del 31 marzo e 1 ottobre 1999, dirette al Presidente del Consorzio si ribadiva che a fronte dell'impiego della anzidetta somma "i proventi finanziari netti" per il Consorzio sarebbero ammontati a 14.500.000 dollari, sempre in dieci mesi.

Poteva e doveva porsi sin dal primo momento la questione della pericolosità dell'operazione finanziaria, se non addirittura ipotizzarsi l'eventualità di una truffa, ipotesi che è diventata una verità ormai processualmente accertata, a carico di soggetti terzi presentatisi come intermediari e che comunque risultano essere stati referenti del Panzone, come risulta dalla sentenza di patteggiamento acquisita agli atti n. 84/2004 del Tribunale di Lanciano, emessa a carico di Druetta Giorgio.

Occorre ora esaminare la consequenzialità degli atti deliberativi per stabilire quale sia stato quello che, avallando l'operazione, determina la responsabilità di chi lo ha approvato.

In primo luogo risulta pacifico che il Consiglio di Amministrazione del Consorzio Comprensoriale del Chietino per la gestione delle opere acquedottistiche ha affidato, con deliberazione n. 43 del 10 marzo 1999, al prof. Panzone, docente di tecnica bancaria presso la facoltà di Economia e Commercio dell'Università degli Studi "G.D'Annunzio" di Pescara, nonché rappresentante legale della P. & Partners Corporate Finance s.r.l., un incarico per la "razionalizzazione delle fonti di provvista ed ottimizzazione dell'impiego delle risorse monetarie disponibili con lo scopo di massimizzare i proventi finanziari", per far fronte agli oneri che potevano derivare dall'ammortamento di beni strumentali in procinto di passare, per intervento legislativo, nella proprietà del Consorzio stesso.

Peraltro, il D'Ippolito ha riferito in sede penale (come da documentazione depositata dalla difesa del convenuto Febbo) che un altro consulente finanziario, il sig. Fabio Ferrara, precedentemente interpellato, aveva previsto solo un modesto incremento di tali spese, che aveva proposto di affrontare con un corrispondente modesto aumento delle tariffe, aumento del resto già in parte previsto nel piano triennale dell'Ente. Per gli ammortamenti prima detti, il Ferrara aveva in effetti già indicato gli accantonamenti.

Il Consiglio di Amministrazione si sarebbe invece opposto a tale modus operandi eccessivamente prudente ed anche al modesto aumento delle tariffe, per cercare soluzioni diverse ed aveva cercato più fantasiose soluzioni.

Con deliberazione n. 55 del 17 marzo 1999 il Consiglio di Amministrazione approva la proposta - che faceva parte integrante della delibera stessa - del prof. Panzone, presentata il 16 marzo 1999 e quindi pochi giorni dopo il conferimento dell'incarico (ma effettivamente il giorno stesso della pubblicazione della deliberazione n. 43), consistente in un piano di investimento predisposto da lui e da certo Giorgio Druetta, denominato "contratto di programma ad alto rendimento ed a capitale sicuro", che si affermava essere svolto "in un mercato privilegiato" sotto il controllo della Federal Reserve e del Dipartimento del Tesoro statunitense.

Con lo stesso atto il Consiglio medesimo nominava Luca Francesco Paolo Russo, Dirigente Amministrativo-finanziario, procuratore del Consorzio, col mandato di poter bloccare le disponibilità del Consorzio su apposito Conto Corrente presso la B.L.S (Istituto tesoriere dell'Ente) per un periodo di 60 giorni "al fine di negoziare un'attività di investimento sicura generante un'elevata rendita", di aprire conti bancari, di firmare tutti gli accordi e contratti per conto del Consorzio.

Il 18 marzo 1999 il prof. Panzone invia la documentazione alla "Cleevaun Associates" e il 19 marzo riceve una risposta che solleva il problema della necessità di una "primary bank" (il che esclude la BLS) e di una somma in dollari statunitensi. Il 20 marzo il Consorzio riceve indicazioni dal prof. Panzone che invitano a superare espresse limitazioni poste all'investimento e a consentire lo sblocco dei fondi per destinarli ad operatori sulla piazza di Londra, solo parzialmente individuati, e nella stessa occasione si precisa che a fronte di un costo di duemilioni e mezzo di dollari di prospettano "redditi attesi pari a quindicimilioni di dollari americani".

Nella successiva delibera n. 60 adottata nella seduta del 29 marzo 1999 presieduta dal Febbo con la presenza di Boschetti e Pellicciotta e la partecipazione del D'Ippolito, da considerarsi punto nodale della vicenda, si dà atto che la proposta del 20 marzo, indicata come "parte integrale e sostanziale della delibera stessa" comporta "una diversa soluzione della transazione rappresentando vantaggi ancora più cospicui" e si aderisce ad essa conferendo alla P.&P. l'incarico di assistere il Russo nella sottoscrizione "con apposito intermediario europeo" (non meglio individuato) di un contratto di investimenti di capitali "sicuro e ad alto rendimento", nonché di invitare il Direttore Generale (il D'Ippolito) a "procedere per la più rapida ed efficace realizzazione" delle procedure necessarie "ivi comprendendo il trasferimento della somma in Euro pari al controvalore di due milioni cinquecentomila dollari statunitensi sul conto corrente del nostro legale londinese Wilson Smith' e Co. Solicitors".

Per incidens va notato che l'incarico di legale del Consorzio al suddetto "solicitor" non risulta attribuito da alcun atto, per cui non si comprende il riferimento al medesimo come "nostro". Anche il grado di conoscenza che aveva il prof. Panzone delle persone coinvolte nell'operazione appare assai scarso. Egli stesso, nel verbale di interrogatorio nella sede penale esibito dalla difesa Febbo, afferma di aver conosciuto solo qualche mese prima il Druetta (trattasi dello stesso che è stato rinviato a giudizio per truffa aggravata, insieme al Panzone e che ha patteggiato la pena ex 444 c.p.p.) già sopra nominato, e soltanto in occasione della operazione in questione i signori Liberato Scollato, Enzo Granchi (titolare della FIN-TIME Ltd.) e Salah Aoudia (amministratore di quella "Cleevaun Associates" che come si è detto sollecitava lo spostamento dei fondi dalla BLS alla piazza di Londra), ai quali sostanzialmente si affida per disporre delle somme del Consorzio.

La prospettazione del Panzone, anche nella sede penale, è che tali soggetti gli abbiano per così dire cambiato le carte in tavola più di una volta, mutando la sede dell'operazione (dagli USA alla Gran Bretagna) il tipo di operazione, il riferimento quale solicitor, l'importo e la modalità del "blocco fondi". Tuttavia il Panzone non ha esitato a proseguire in ognuna delle fasi che gli si indicavano come necessarie, a volte previa informativa al Consorzio, altre volte direttamente, altre volte assieme al Russo.

Consta una prima trasferta a Londra del Panzone per prendere contatto con alcuni degli "attori" della vicenda sulla piazza britannica.

Aggrava la posizione del Panzone la circostanza risultante dagli atti che nella successiva trasferta a Londra del medesimo, (che era in compagnia del Russo), intrapresa nell'aprile 1999 per recarsi innanzitutto presso lo studio Wilson e Smith al quale erano andati i soldi spostati dalla BLS, accortosi che lo studio stesso era al centro di controlli ispettivi e non operante, si rivolse ad altro studio, intestato a Fernando Scornik Gerstein, a quanto riferito dallo steso Panzone, dopo aver recuperato la disponibilità della somma in questione (i due milioni e mezzo di dollari) anziché restituirla al Consorzio, e si faceva convincere a depositarla su un conto disponibile intestato a Liberato Scollato, il quale su parte della somma in questione rivendicava il proprio onorario.

I particolari finanziari riferiti non sono privi di rilevanza.

Comprovano, invero, non solo che la parte più cospicua dell'operazione si sia svolta tra il marzo e l'aprile del 1999, ma che sicuramente a fine aprile emergevano sospetti comportamenti ed inadempienze da parte dei referenti del Panzone (Scollato e Salah Aoudia in particolare).

Ma lo stesso Panzone, che ormai aveva in mano il capitale, non desisteva ancora dall'operazione, salvando il denaro del consorzio, ma lo metteva in mano ad altri personaggi (Granchi, Kennedy, Moti Sudeen).

Nel frattempo poiché i 60 giorni del mandato conferito dal CdA al Russo si avvicinavano alla scadenza, il Panzone, tornato in Italia, chiedeva ed ottenevano dal CdA un ulteriore mandato, concesso con delibera n. 94 del 1 giugno 1999.

La nota del 31 maggio 1999 con la quale la P.&P. ribadisce la prospettazione di "proventi finanziari netti per il Vostro Ente" di quattordicimilioni e cinquecentomila dollari, è presa in considerazione dal CdA con la delibera n. 97 del 1 giugno 1999 (adottata nella medesima composizione della delibera n. 60, ossia Febbo, Boschetti e Pellicciotta); con tale delibera, di cui la nota fa parte integrale e sostanziale, si accoglie quanto in essa proposto, ossia la prosecuzione dell'operazione finanziaria.

L'adozione di questi atti deliberativi radica la responsabilità dei convenuti Febbo, Boschetti e Pellicciotta.

Il trascorrere del tempo senza riscontri positivi ha condotto alla produzione di copiosa corrispondenza, nell'ambito della quale spicca la lettera del 25 ottobre 1999, in pari data ricevuta dal Consorzio e all'attenzione del D'Ippolito e del ragionier Di Nardo, con la quale Luigi Panzone riassume in breve le vicende della transazione finanziaria, cita con vaghezza "primario soggetto finanziario statunitense", "primaria istituzione finanziaria statunitense", "Banca depositaria", senza citare mai la Lloyd Bank di Londra che pure era quella sulla quale era stato spostato il denaro, afferma che "il capitale messo a disposizione per il blocco fondi" è un costo che ha dovuto pagare il Consorzio ma che sarà effettivamente "pagato" ad operazione ultimata e "non è, quindi, di proprietà del Consorzio": conclude in modo rassicurante che "la responsabilità della custodia dei fondi per 50 milioni di dollari USA è della stessa Banca prestatrice, quindi nessun rischio di responsabilità per il Consorzio per ciò che concerne il capitale impiegato nel blocco fondi".

Si deve necessariamente rilevare la enorme carenza percettiva di chi non si sia sentito preso in giro da queste affermazioni che nel voler apparire tranquillizzanti sono invece allarmanti al massimo grado.

Né il Consiglio di Amministrazione, né il D'Ippolito, che pure rivestiva la carica di Direttore Generale dell'Ente, né il Russo che, nella qualità di Dirigente Amministrativo finanziario del Consorzio, aveva avuto un mandato espresso esecutivo ed attuativo dell'operazione, si sono posti l'interrogativo sulla rischiosità sempre più evidente dell'operazione, della non attendibilità dei personaggi coinvolti dal Panzone, della stranezza di questi spostamenti da un Istituto all'altro, dei costi di custodia e di passaggio della somma sborsata.

Nessun allarme invece è scattato, e fino al giugno 2000 si è consentito da parte dei sopra citati soggetti al professor Panzone di temporeggiare, fino a che non sono seguite le denunzie, le indagini, l'apertura di un procedimento penale da parte della Procura di Lanciano, nonché il giudizio in sede amministrativo-contabile.

7. Entrando ora nel merito della valutazione dei fatti ricostruiti, si può affermare in primo luogo che la ricostruzione degli stessi sgombra il campo dalla raffigurazione di "attività necessitata" che le difese hanno voluto dare alla attività di reperimento di risorse finanziarie; la paventata crisi finanziaria, che avrebbe indotto ad atti azzardati per scongiurare la bancarotta del Consorzio, si rivela, nell'approfondimento della reale situazione, quanto meno una esagerazione. Non risulta affatto confermato, anzi è smentito, che l'operazione fosse intrapresa per il "salvataggio" del consorzio, essendo state prospettate al CdA soluzioni più prudenti ed ipotesi in linea con la funzione attribuita al Consorzio.

Anche la circostanza della sussistenza di fondi giacenti e immobilizzati (a parte la irrilevanza della questione) appare contraddetta dalla documentazione acquisita: nella delibera n. 56 del 1999 il Consiglio di Amministrazione dispone affinché la somma richiesta per l'operazione sia ottenuta tramite anticipazione fatta dalla Banca Tesoriere, smentendo così la raffigurazione di una liquidità che giaceva inutilizzata, pronta e disponibile per investimenti.

8. In ordine alla sussistenza del danno e alla sua misura, occorre dire che in sede penale si è riscontrata la sussistenza di una maggiore perdita da parte del Consorzio, rispetto a quella azionata dalla Procura Regionale, per una differenza di 85 milioni di lire. La somma azionata rappresenta tuttavia per questo organo giudicante un limite di petitum invalicabile, e a tale limite si atterrà.

La certezza del danno, oltreché dalla evidente "scomparsa" dei fondi (non "investiti", come precisa il prof. Panzone, ma "depositati per cauzione"), che ormai a cinque anni dai fatti appare realisticamente definitiva, è corroborata da quanto persuasivamente indicato dalla sentenza 84/2004 del Tribunale di Lanciano, in cui la "transazione" che avrebbe dovuto portare lucro al Consorzio, è qualificata come "priva di ogni riscontro nella realtà", così come è ritenuta oggetto di "sottrazione" la somma depositata sul conto Lloyd Bank. La perizia Maccarone appare assai persuasiva sulla natura "fantomatica" della operazione di "blocco fondi" sulla quale l'investimento si sarebbe dovuto basare.

D'altra parte, avendo avuto il Panzone la diretta disponibilità dell'intera somma, come sopra evidenziato, spetta in capo ad esso l'onere della restituzione e, pertanto, delle eventuali somme recuperate ne potrà tenere conto il giudice dell'esecuzione.

Ma non v'è dubbio che trattasi di danno attuale, certo e diretto, non essendo più la somma allocata nel bilancio dell'Ente.

9. L'antigiuridicità del comportamento del Presidente e dei componenti il Consiglio che parteciparono alle delibere nn. 54,60,97, che approvarono l'operazione finanziaria in questione è manifesta ed assume i connotati di evidente e colpa grave al massimo livello, rappresentata dalla inescusabile leggerezza di avere dirottato il denaro del Consorzio in un operazione, che è già un eufemismo definirla di carattere speculativo, comunque non ad alto rischio, ma ad altissimo rischio.

In ordine al "raggiro" che sarebbe stato perpetrato ai danni del Consiglio di Amministrazione si osserva che in nessuna maniera il dolo altrui può attenuare la responsabilità contestata o ridurre l'elemento soggettivo ad una questione di mera culpa in eligendo o in vigilando, poiché la decisione e l'attuazione dell'utilizzo dei fondi secondo un progetto consapevolmente azzardato (poiché prospettato ad altissimo rendimento) manifesta la sua antidoverosità per inescusabile imprudenza anche a prescindere da altrui artifizi o macchinazioni.

Quello che diventa assolutamente assorbente, ai fini della affermazione piena della responsabilità amministrativa, è il rischio inescusabile e grave che il Consiglio ha inteso assumere, a nulla rilevando le clausole di puro stile inserite nelle lettere e negli atti (che ripetutamente definivano l'operazione a rischio "sostanzialmente annullato"), reso chiaramente visibile dalla prospettazione di un rendimento fiabesco, degno della semina degli zecchini d'oro di collodiana memoria, quale prospettato nelle lettere del Panzone in data 16 marzo, 20 marzo e 31 maggio 1999, che facevano parte integrante delle relative delibere approvative sopra indicate.

Le indicazioni fornite al Consiglio di Amministrazione erano, rileva il Collegio, ingannevolmente confuse e imprecise sia per quanto riguarda le modalità, sia per la verosimiglianza della quantificazione dei ritorni finanziari, sia infine in ordine alla identità dei soggetti che agivano sulle varie piazze, come intermediari, brokers, solicitors e altri partecipanti alla operazione di "affitto" del più ingente importo al quale si è fatto riferimento.

Tutte indeterminatezze che dovevano indurre non solo i componenti del Consiglio ma anche la struttura del vertice burocratico (il D'Ippolito) ed il responsabile economico finanziario del Consorzio (il Russo), incaricato di sovrintendere alle modalità applicative dell'operazione, ad intervenire, contrastando od opponendosi all'azzardato investimento.

È ben vero che lo Statuto del Consorzio abilitava alle operazioni finanziarie, ma tale indicazione non può riferirsi all'affidamento di somme a privati consulenti finanziari, ma ad Istituti bancari di primario rilievo e per impieghi di tutta tranquillità; del resto, per ammissione degli stessi convenuti, risulta che il Consorzio, in precedenza, aveva fatto ricorso a semplici operazioni di pronti contro termine per mettere a frutto la liquidità.

Non poteva essere ignorato dagli amministratori e dai funzionari predetti, giacché è nozione comune, a conoscenza del più sprovveduto tra gli investitori, che il rischio nelle operazioni finanziarie cresce in maniera esponenziale al livello di redditività proposto o fatto balenare.

Appare al riguardo del tutto condivisibile l'orientamento assunto in materia dalla Sezione giurisdizionale per il Veneto, con la recente sentenza n. 879/04 in tema di investimento di capitali di Ente pubblico, laddove si ritiene che la natura palesemente rischiosa dell'investimento operato con il danaro pubblico "non può certo essere bilanciata e neutralizzata dalla maggiore redditività presunta del fondo rispetto ai titoli di stato" richiedendo "i doveri di prudenza connaturati all'esercizio dell'ufficio", al contrario, il ricorso a "prodotti finanziari di sicuro affidamento"; ivi si afferma la sussistenza della colpa grave in capo al convenuto in quanto essa "può ritenersi insita nella stessa natura incauta dell'investimento, che è tale da sfiorare i limiti dell'avventatezza, prima ancora che nella palese violazione dei parametri legali".

Deve anche essere affermata la responsabilità del Panzone, il cui rapporto di servizio è stato determinato dal conferimento dell'incarico e dalla gestione dell'operazione.

In questa sede non interessa conoscere l'esito del procedimento penale cui è sottoposto il Panzone, e se in particolare il suo comportamento possa anche integrare più elevati caratteri di responsabilità; essendo sufficiente in questa sede la mera configurabilità della colpa grave, che nella fattispecie è ravvisabile nella proposizione di un investimento dai contorni incerti e nebulosi e, comunque ad alto rischio.

L'operatore minimamente corretto non propone operazioni azzardate ad un soggetto che, per le proprie condizioni o per la natura dei capitali da investire, non può esporsi a rischi elevati (e naturalmente alle connesse possibilità, in caso di successo, di alti ricavi).

Non senza aggiungere, peraltro, che avendo lo stesso avuto diretto maneggio delle somme, come si è detto, il grado di diligenza che lo stesso doveva avere era di massimo livello, dovendo egli dare dimostrazione e contezza dell'esito delle stesse, con obbligo di restituzione, in difetto.

Quanto sopra riportato dimostra in maniera plateale che l'operazione è stata condotta, quanto meno, con grande superficialità, persistendo in essa anche quando era evidente il sempre maggior grado di pericolosità della stessa; le risultanze processuali dimostrano che, per di più, egli si è affidato a soggetti, da lui scelti, di scarso affidamento, tant'è che alcuni hanno preferito in sede penale il patteggiamento della pena, e del cui operato deve quindi rispondere personalmente.

10. Quanto all'eccezione mossa dagli amministratori convenuti di insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, la stessa è del tutto priva di fondamento.

Occorre al riguardo ricordare che, come la Corte di Cassazione a S.U. ha di recente osservato (cfr. Sent. n. 14488 del 29.9.2003), l'insindacabilità "nel merito" sancita dall'art. 1, primo comma, della citata legge 20/94, non priva la Corte dei Conti della possibilità di controllare, la conformità alla legge dell'attività posta in essere dagli amministratori; tale conformità deve essere verificata anche sotto l'aspetto funzionale, vale a dire in relazione alla congruenza dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal legislatore.

Ora, ad avviso di questo Collegio, l'investimento delle risorse finanziarie degli Enti Pubblici in operazioni speculative o ad alto rischio esula dai fini istituzionali degli stessi e quindi tali scelte, quando superano il limite della ragionevolezza, sono sindacabili da questo giudice e possono dare luogo a responsabilità amministrativa.

Come ha ulteriormente precisato la Suprema Corte, detta disposizione deve essere messa in correlazione con l'art. 1, primo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241, il che vuol dire, ritiene questo collegio, in via generale, che l'esercizio dell'attività amministrativa e che comunque coinvolge impiego di risorse pubbliche deve ispirarsi a criteri di "economicità" e di "efficacia", dai quali esula qualsiasi operazione di assunzione di gravi rischi finanziari.

Il giudice contabile quindi, rispetto agli atti discrezionali, può e deve verificare la compatibilità delle scelte operate dagli amministratori con i fini pubblici dell'Ente.

Si intende che, una volta accertata tale compatibilità, l'articolazione concreta e minuta, dell'iniziativa intrapresa rientra nell'ambito delle scelte delle quali il legislatore ha stabilito l'insindacabilità, ma alla condizione che esse non manifestino "un'assoluta e incontrovertibile estraneità" rispetto ai fini dell'ente e /o siano, cioè, palesemente irrazionali (Cass., sez. un., 29 gennaio 2001, n. 33/SU; 6 maggio 2003, n. 6851).

La scelta contestata da parte attrice ai componenti il Consiglio di Amministrazione è, invece, connotata da assoluta irragionevolezza e si pone in contrasto con i fini istituzionali.

Né vale l'affermazione per la quale si sarebbe in presenza di organo politico, per il quale l'affidarsi in buona fede agli organi tecnici non è fonte di responsabilità.

In disparte la considerazione che la definizione di organo politico è stata infatti pacificamente ristretta ai vertici degli enti pubblici esponenziali con base elettiva e negata per tutti gli altri enti pubblici, non può minimamente mettersi in dubbio che il Consiglio di amministrazione di un Ente per definizione "amministra" ed suoi componenti devono in prima persona attivarsi perché le scelte rispondano ai fini istituzionali, ai criteri di economicità ed efficienza richiesti dal legislatore, non siano in definitiva irragionevoli.

11. La posizione del Russo appare tale da indurre il Collegio ad accogliere la domanda attorea nei di lui confronti, avendo egli partecipato alle poco limpide operazioni sulla piazza di Londra.

Egli ha seguito direttamente le operazioni finanziarie in quella città per un consistente periodo (fanno fede tra l'altro le delibere nn. 77, 78, 90, 95, 96 e 103 del 1999, che lo spesano abbondantemente e ripetutamente), ma nulla fece per fermare l'operazione, per informare il CdA ed il Direttore Generale.

Essendo responsabile economico finanziario dell'Ente, posto in tali funzioni dopo attenta valutazione dei titoli professionali, che pure aveva (e per tale motivo aveva avuto specifico mandato dal Consorzio di seguire l'operazione, di cui doveva assicurare la corretta esecuzione), non poteva non rendersi conto della illiceità della operazione, stante la sua rischiosità, e non avvertire gli sviluppi sempre più nebulosi ed allarmanti di essa.

La sua responsabilità appare peraltro aggravata dalla candida affermazione di avere sottoscritto impegni contrattuali scritti in inglese, senza averne avuta cognizione, ignorando tale lingua.

12. Per il D'Ippolito si ritengono non persuasive le affermazioni afferenti al ruolo meramente attuativo che egli rivestirebbe nel Consorzio.

Basti tener presente l'art. 35, comma primo, dello Statuto del Consorzio, che attribuisce al Direttore la responsabilità gestionale del consorzio, e al secondo comma, oltre alla esecuzione delle deliberazioni del Consiglio d'Amministrazione, anche il compito di sovraintendere all'attività tecnica amministrativa e finanziaria dell'ente. Compiti che, qualora fossero stati svolti come dovuto, avrebbero consentito al D'Ippolito di avere un ruolo positivo nella vicenda.

Si consideri ad esempio che all'attenzione del medesimo sono giunte gran parte delle note del prof. Panzone dalle quali egli avrebbe dovuto ricavare, anche usando il minimo di diligenza richiesto, quegli elementi che imponevano l'allarme, la denunzia, il fermo dell'iniziativa.

13. Scendendo ad individuare le responsabilità dei componenti il Consiglio, va rilevato che la sola approvazione della delibera n. 43, non può essere considerata sufficiente ad integrare gli estremi della colpa grave, non avendo delineato nei termini precisi l'operazione.

È pur vero che la proposta immediatamente successiva dello sciagurato piano di investimento da parte del Panzone induce a supporre che detto piano fosse già bell'e pronto, e con forte probabilità già profilato ai vertici del Consorzio in fase di attribuzione dell'incarico, ma si tratta effettivamente di supposizioni per le quali non si è acquisita adeguata conferma.

Pertanto, non è accolta la domanda attrice nei riguardi dei convenuti Bitritto e Cristini, perché parteciparono solo alla deliberazione n. 43, senza essere presenti in quelle, ben più rilevanti sotto il profilo dell'antigiuridicità, che seguirono.

Può darsi luogo ad assoluzione per difetto di colpa grave, pur ravvisando il Collegio profili di colpa, per avere gli stessi tollerato che andasse comunque avanti la spregiudicata operazione senza sfruttare le occasioni consiliari per deviare il corso degli eventi; gli stessi, infatti, parteciparono all'adozione della delibera n. 79 del 26.4.1999 di ratifica della operazione in questione.

14. La ripartizione degli addebiti proposta dalla Procura Regionale appare fondata su valutazioni sostanzialmente condivisibili: parte principale della responsabilità appare infatti da imputare al prof. Luigi Panzone.

Questi, indipendentemente da quelle che saranno le risultanze del giudizio penale, ha condotto con inescusabile imprudenza e leggerezza il Consorzio ad imbarcarsi in una operazione finanziaria, frutto esplicitamente della sua elaborazione assieme ad altri personaggi, dei quali non aveva adeguata conoscenza.

In più, persistette nella sua condotta, anche quando si presentarono serie occasioni per recedere dall'operazione recuperando il denaro, visto il comportamento dei soggetti coinvolti (dalla Wilson & Smith all'Aouida e allo Scollato), che non poteva non apparire poco chiaro.

Questo Collegio si discosta tuttavia dalla proposta di ripartizione della Procura Regionale per quel che riguarda il grado di colpa e l'apporto causale della condotta del presidente Pietro Febbo, che appare di grado più elevato rispetto a quella tenuta dagli altri componenti del CdA (come palesemente gli atti mostrano, ad iniziare dall'atto presidenziale portato a ratifica innanzi al CdA il 26 aprile 1999) e perché, quale Presidente del Consorzio, aveva l'onere di vigilare sull'esecuzione dell'operazione, recedendo dalla stessa man mano che la situazione evolveva nel senso sempre più negativo.

In ordine alle posizioni degli altri convenuti valgano in sede di ripartizione dell'addebito le considerazioni sopra svolte in sede di valutazione dell'elemento soggettivo, sicché una parte più consistente del rimanente si deve addebitare al Russo e parti più ridotte a Pellicciotta, Boschetti e D'Ippolito.

La Corte non ritiene di accogliere la richiesta di riduzione degli addebiti stante la gravità degli addebiti e l'elevato livello di colpa grave riscontrato, dandosi luogo soltanto ad arrotondamenti per difetto.

15. Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

I convenuti assolti, in quanto il Collegio ha ravvisato nel loro condotta colpa ma non colpa grave, non beneficiano della norma di cui all'art. 3, comma 2-bis, della legge n. 639/1996, stante la valutazione in termini di antidoverosità della loro condotta che non dà luogo a un proscioglimento pieno.

P.Q.M.

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale dell'Abruzzo, assolve i convenuti Elio Bitritto e Carlo Cristini per assenza di colpa grave; condanna i restanti convenuti al pagamento in favore del Consorzio e/o della Società a prevalente capitale pubblico subentrata nelle posizioni creditorie del detto Consorzio Comprensoriale del Chietino per la gestione delle opere acquedottistiche, come segue:

- Luigi Panzone al pagamento di Euro 1.175.000,00 (unmilionecentosettantacinquemila/00);

- Pietro Febbo al pagamento di Euro 350.000,00 (trecentocinquantamila/00);

- Luca Francesco Paolo Russo al pagamento di Euro 240.000,00 (duecentoquarantamila/00);

- Donato D'Ippolito, Nando Pellicciotta e Antonio Marcello Boschetti, ciascuno, al pagamento di Euro 185.000,00 (centottantacinquemila/00);

su dette somme sono dovuti gli interessi legali dalla data della pubblicazione della presente decisione fino al soddisfo.

Si dispone ai sensi dell'art. 686 c.p.c. la conversione dei sequestri effettuati nei confronti dei condannati in pignoramenti nei limiti dell'importo delle rispettive condanne ed il dissequestro dei beni dei convenuti assolti.

Liquida altresì, a favore dello Stato, le spese di giudizio, nella misura, alla data di pubblicazione della sentenza, di Euro 7.755,08.