Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
Sezione I
Sentenza 15 novembre 2004, n. 16778
FATTO
Con il ricorso in esame - notificato il 3 agosto 2004 e depositato in segreteria il successivo giorno 4 - i ricorrenti (sindaco, assessori, consiglieri comunali del comune di Marano), impugnano il d.P.R. del 28 luglio 2004, con gli annessi atti del procedimento, di scioglimento del consiglio comunale di Marano, ai sensi dell'articolo 143 del t.u.e.l., per la rilevata sussistenza di gravi forme di ingerenza della criminalità organizzata.
Hanno dedotto diversi motivi di violazione di legge e di eccesso di potere.
Con ordinanza presidenziale n. 116/2004 del 4 agosto 2004 sono stati disposti incombenti istruttori.
L'amministrazione ha provveduto al deposito degli atti del procedimento in data 27 agosto 2004.
Con atto notificato il 9 e il 10 settembre 2004 e depositato il successivo 15 settembre, i ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti.
Si sono costituiti ed hanno resistito in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno, concludendo per il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 27 ottobre 2004 la causa è stata discussa e introitata in decisione.
DIRITTO
In rito deve giudicarsi inammissibile l'intervento ad opponendum spiegato dai sigg.ri Santoro Antonio e altri. L'intervento è giustificato esclusivamente con riferimento alla condizione dei proponenti di "cittadini di Marano di Napoli". L'articolo 37 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 consente a "chi ha un interesse nella contestazione" di "intervenirvi". L'opinione prevalente ammette la sufficienza, ai fini dell'intervento, anche dell'interesse di mero fatto, non altrimenti qualificato e differenziato. Lo stesso articolo 37 citato, però, precisa che "la domanda deve contenere le ragioni, con la produzione dei documenti giustificativi". Pertanto, l'interesse di fatto dei cittadini di Marano a che vengano garantite sicurezza e legalità nella civica amministrazione locale potrebbe in astratto legittimare l'intervento, ma avrebbe dovuto essere quanto meno esplicitato e rappresentato adeguatamente dagli interventori nel proposto atto di intervento (Cons. St., sez. V, 3 aprile 2000, n. 1909; Tar Molise, 10 dicembre 2003, n. 944). Ciò che non risulta dagli atti, nei quali, come detto, gli interventori si qualificano solo come "cittadini di Marano di Napoli".
Sempre in rito, deve darsi atto dell'intervenuta delimitazione del thema decidendum ai soli motivi "sostanziali", poiché parte ricorrente ha rinunziato a verbale, nel corso dell'udienza pubblica, al motivo "formale" relativo alle dedotte censure di mancata partecipazione procedimentale.
Deve altresì dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse l'impugnativa di cui al punto g) del ricorso introduttivo, relativa al decreto prefettizio di sospensione del consiglio comunale.
Nel merito il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.
Per una migliore comprensione della complessa fattispecie è utile anteporre all'analisi dell'articolata istruttoria e degli specifici fatti richiamati dall'amministrazione a sostegno del provvedimento repressivo adottato, una breve considerazione d'assieme, che ponga subito in evidenza le linee portanti del controllo di ragionevolezza e di complessiva logicità svolto da questo giudice amministrativo sull'esercizio del potere amministrativo oggetto di sindacato.
In sintesi, non è convincente, ad avviso del Tribunale, la tesi di fondo che sorregge il provvedimento di scioglimento, secondo cui l'amministrazione comunale di Marano guidata dal sindaco Bertini, pur essendo stata avversata dalla locale malavita organizzata nel corso della campagna elettorale del 2001, si sarebbe successivamente mostrata permeabile ai condizionamenti malavitosi. La penetrante ed esaustiva indagine amministrativa, condotta dalla commissione di accesso sugli atti dell'amministrazione comunale, se ha fornito un quadro per certi versi allarmante di inefficienza gestionale e ha dimostrato lo scarso livello qualitativo nell'attività amministrativa dell'ente locale, non ha però proposto una ricostruzione plausibile della sussistenza dei presupposti voluti dalla legge per pervenire alla misura estrema dello scioglimento del consiglio comunale, con commissariamento dell'ente.
Per una migliore focalizzazione di questo passaggio, centrale nella riflessione condotta dal Collegio sulla complessiva razionalità della misura di scioglimento oggetto di giudizio, è utile riportare un brano del capitolo primo della relazione istruttoria redatta dalla commissione di accesso, nel quale viene fornita la chiave di lettura dell'intera indagine. Premesso, alle pagg. 5 e 6, un ampio richiamo all'ordinanza di custodia cautelare del g.i.p. presso il Tribunale di Napoli dell'8 ottobre 2003, costituente il più recente e aggiornato documento dell'indagine penale sul sodalizio criminale che inquina la vita civile, economica e sociale della zona di Marano, la commissione d'accesso osserva (pag. 6) che "la prova della organicità del sodalizio con i suindicati ambienti è stata riscontrata innanzitutto proprio con riferimento all'ingerenza dell'organizzazione nel regolare svolgimento delle ultime consultazioni elettorali attraverso l'appoggio assicurato dal clan Nuvoletta al candidato sindaco Giuseppe Spinosa risultato, benché più votato al primo turno, poi non eletto, ma rientrante pur sempre nel locale civico consesso quale Consigliere di minoranza". "Nell'ordinanza vengono riportate una serie di intercettazioni telefoniche eseguite, dalle quali si comprende chiaramente come a base del sostegno elettorale vi fosse un preciso accordo intervenuto con il candidato alla più alta carica politica cittadina: il candidato sostenuto dal clan poteva contare non solo sui voti degli appartenenti all'organizzazione, ma anche sulla rete di conoscenze personali di ciascuno di essi. Orbene, se tale elemento cognitivo di per sé può escludere l'appoggio della criminalità in capo al neo eletto Sindaco Bertini, pur tuttavia tale fatto è estremamente indicativo e significativo per sostenere l'interesse della criminalità locale al "governo" della città. Le successive vicende politiche inerenti la nomina da parte del Bertini di taluni Assessori legati da vincoli di parentela con noti esponenti del clan - così come quelle di taluni componenti la Commissione edilizia - le cui designazioni sono di stretta competenza del Consiglio Comunale - e sui quali sono stati accertati dalle Forze dell'Ordine elementi di controindicazione - ben possono suffragare il fondato sospetto che il preliminare interesse del clan ad appoggiare in campagna elettorale un Sindaco risultato poi non eletto, si sia di fatto indirizzato acché soggetti riconducibili alla criminalità organizzata potessero venire comunque a gestire le sorti dell'Ente con a capo un diverso Sindaco".
L'esame del pur copioso materiale raccolto dalla commissione d'indagine non fornisce però - ed è questo il punto - una ricostruzione chiara di questo ipotizzato "riposizionamento" della giunta guidata dal sindaco Bertini verso atteggiamenti di soggezione o di connivenza con i clan malavitosi locali. Manca soprattutto l'analisi (ma, in realtà, la stessa indicazione) di quelle "successive vicende politiche" che dimostrerebbero l'avvicinamento tra la giunta Bertini e la malavita, dopo la sconfitta del candidato sindaco avversario, sul quale inizialmente il clan avrebbe fatto confluire il suo appoggio. In particolare la nomina di tre assessori legati da parentela con soggetti controindicati (al di là del grado in alcuni casi troppo distante di queste parentele o affinità e al di là di altri aspetti che indeboliscono questo argomento e su cui ci si soffermerà nella parte analitica della motivazione) è un fatto immediatamente successivo alle elezioni (nella relazione istruttoria non sono fornite indicazioni di segno diverso, che possano far datare tali nomine ad una fase "successiva" al primo insediamento della giunta) e perciò non spiega queste pretese "successive vicende politiche" che avrebbero reso Bertini e il suo governo cittadino, improvvisamente, da nemico elettorale dei clan, a loro passivo alleato.
Resta, pertanto, priva di risposta, nella ricostruzione dei fatti elaborata dall'amministrazione, la domanda centrale: perché, quando, attraverso quali fatti, la giunta guidata dal sindaco Bertini, da una posizione di contrapposizione rispetto agli appetiti politico-amministrativi della camorra (contrapposizione emergente dalle stesse intercettazioni telefoniche riportate nell'ordinanza del g.i.p. e data per certa dalla stessa amministrazione degli interni negli atti di causa), sarebbe passata ad un atteggiamento di "convivenza" e di soggezione al condizionamento malavitoso?
Né fornisce una risposta razionale a questo quesito l'indicazione di un certo numero di consiglieri comunali di minoranza (quattro) in qualche modo vicini a soggetti "controindicati" o, comunque, indicati come passibili di condizionamento mafioso (tra questi il candidato sindaco avversario del Bertini nelle elezioni del 2001, Spinosa Giuseppe, interessato, come detto, dall'ordinanza del g.i.p. del tribunale di Napoli dell'8 ottobre 2003). Se è vero, come è vero e incontestato, che nel corso delle elezioni del 2001 altri (rispetto al candidato Bertini) furono i candidati in qualche modo sostenuti dalla locale malavita organizzata, il solo fatto della presenza in consiglio comunale di consiglieri di opposizione "attenzionati" sul piano della prevenzione anticamorra, oltre ad essere una ovvia conseguenza della premessa, è del tutto insufficiente a dimostrare la condizionabilità della maggioranza consiliare e del governo cittadino. Senza una ricostruzione di un ridisegno delle aree politiche consiliari (ad es. con l'avvicinamento alla maggioranza di consiglieri di minoranza "controindicati" a fini di prevenzione antimafia) o senza una indicazione specifica di atti e deliberazioni consiliari dimostrativi di una convergenza di queste componenti all'interno del consiglio e di una "sensibilità" dell'organo assembleare agli interessi della malavita, la sola presenza in consiglio di componenti opposti alla maggioranza che sarebbero stati sorretti dall'appoggio "politico" di ambienti malavitosi appare privo di significato ai fini della dimostrazione della esistenza dei presupposti per lo scioglimento dell'organo consiliare.
Sotto questo profilo, dell'eccessivo peso attribuito alla presenza in consiglio di elementi ritenuti vicini alla malavita locale, benché militanti nella fila dell'opposizione, si evidenzia un ulteriore difetto nel ragionamento dell'amministrazione, consistente nella non adeguata considerazione dell'evoluzione normativa successiva all'inserimento, nella vigente legislazione, della misura dello scioglimento del consiglio comunale (avvenuto con l'articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall'articolo 1 del d.l. 31 maggio 1991, n. 164, convertito con modificazioni in legge dalla l. 22 luglio 1991, n. 221, poi rifluito nell'articolo 143 del t.u. enti locali di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267): dopo il 1990, infatti, con la legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale) è stato introdotto, come è noto, un sistema di tipo maggioritario nelle elezioni degli enti locali, in base al quale la figura centrale nell'amministrazione di questi enti è costituita non più dal consiglio comunale, ma dal sindaco (e dal presidente della provincia) e dalla giunta. Analogo effetto, sul piano della redistribuzione dei poteri effettivi di gestione dell'ente, è derivato dalle riforme ordinamentali susseguitesi negli anni '90 del secolo scorso, che hanno condotto all'attribuzione dei poteri di gestione alla dirigenza e alla riserva al consiglio di competenze di indirizzo, di pianificazione e programmazione. E, riguardo agli atti programmatici e di pianificazione del consiglio comunale, non emergono rilievi nella pur analitica relazione di accesso. Peraltro, già nella formulazione della norma, risalente, come detto, al 1991, ancorché la misura dello scioglimento abbia ad oggetto diretto e immediato il consiglio comunale, nondimeno il presupposto è costituito dal collegamento diretto o indiretto degli amministratori con la criminalità organizzata, ovvero dalla sussistenza di forme di condizionamento degli amministratori, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati. Ciò che soprattutto rileva, dunque, agli effetti della misura repressiva de qua, non è tanto la composizione del consiglio comunale in sé considerata, ma il collegamento o il condizionamento degli amministratori. E questa conclusione, già autorizzata dalla lettera della norma, anteriore al 1993, risulta rafforzata dalla modifiche normative successive, sopra in sintesi richiamate. In questo quadro la presenza in consiglio comunale, non altrimenti qualificata da atti e comportamenti idonei a influire in modo determinante sulle delibere consiliari e sull'indirizzo politico dell'ente, di taluni consiglieri di minoranza sospetti di vicinanza ad organizzazioni camorristiche, si pone come fatto del tutto inidoneo a sorreggere la misura dissolutoria adottata.
Sotto un diverso profilo le gravi disfunzioni, inerzie e illegittimità nella civica amministrazione di Marano rilevati dalla commissione di accesso nel corso dell'ampia istruttoria condotta, dimostrano che nel comune di Marano non c'è una amministrazione efficiente ed efficace (ciò che notoriamente costituisce, purtroppo, una costante negativa di molte realtà comunali della provincia di Napoli e della Campania, in specie per la mancata repressione dell'abusivismo edilizio), ciò che avrebbero sicuro peso nella sede del controllo amministrativo, ma non dimostrano la sussistenza di quegli effetti di pregiudizio per il buon andamento dell'amministrazione comunale e del regolare funzionamento dei servizi, ovvero di grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, indicati dall'articolo 143 del t.u.e.l. come ulteriori presupposti per lo scioglimento dell'amministrazione locale.
In definitiva i pilastri dell'argomentazione posta a base del provvedimento di scioglimento (ordinanza del g.i.p. del Tribunale di Napoli dell'8 ottobre 2003, dimostrativa della pervasiva presenza ed operatività di forti clan camorristici, con "rapporti con gli ambienti politico-amministrativi-imprenditoriali della zona di Marano"; presenza in consiglio di consiglieri di minoranza "controindicati"; presenza di tre assessori con parentele o affinità con soggetti "controindicati"; numerose illegittimità amministrative rilevate dalla commissione di accesso) non risultano adeguatamente legati tra loro, nel senso che la sommatoria di tutti questi elementi non si traduce in una sintesi conclusiva idonea a dimostrare che il governo cittadino che ha sconfitto alle elezioni il gruppo sostenuto dalla camorra sia caduto anch'esso in una condizione di soggezione e di condizionamento malavitoso tale da giustificare la misura estrema dell'azzeramento della scelta politica dei cittadini.
Le conclusioni dell'amministrazione, da questo punto di vista, si presentano per certi versi assiomatiche o assertive, nel senso che la somma dell'accertamento della presenza sul territorio di una forte associazione per delinquere di stampo mafioso, naturalmente e notoriamente incline ad esercitare un condizionamento sull'amministrazione locale, in uno ad altri elementi, alcuni non riferibili all'attuale governo cittadino (consiglieri comunali di minoranza), altri di non univoca significanza, agli effetti del procedimento in discorso (gravi illegittimità e inerzie), sembra aver indotto l'automatica conclusione della necessità della misura dello scioglimento degli organi elettivi, con un esito potenzialmente paradossale di vanificazione di una scelta politica dei cittadini che, come si evince dagli stessi atti dell'istruttoria, avevano premiato il candidato alternativo a quello sostenuto dalla locale malavita organizzata.
Prima di pervenire, infine, alla doverosa disamina analitica degli elementi addotti dall'amministrazione a sostegno del provvedimento impugnato, è utile svolgere alcune considerazioni metodologiche in diritto in ordine alla misura straordinaria di cui si è fatta applicazione nella fattispecie all'esame della Sezione.
Al riguardo questo Tribunale, per competenza territoriale, ha avuto modo (e da tempo) di focalizzare i tratti caratterizzanti l'istituto e le connesse ricadute sul piano dei limiti del sindacato giurisdizionale di legittimità. Sulla falsariga delle fondamentali indicazioni scaturenti dalla pronuncia della Consulta 19 marzo 1993, n. 103, la Sezione ha già chiarito in diverse precedenti pronunce in subiecta materia (16 gennaio 1997, n. 39; 16 giugno 1999, n. 1652; 28 ottobre 1999, n. 2782; 16 aprile 2003, n. 3903):
- che trattasi di potere straordinario che si concreta in un rimedio eccezionale a tutela della funzionalità degli organi elettivi e della rispondenza a fondamentali canoni di legalità dell'apparato dell'ente locale interessato, in un quadro di lotta alla criminalità organizzata e di connesso avanzamento della soglia di prevenzione rispetto a fatti anche sintomatici di interferenze malavitose sulla fisiologica vita democratica dell'ente;
- che trattasi di potere ampiamente discrezionale, a fronte del quale il vaglio giurisdizionale deve attenere alla completezza della motivazione e dell'istruttoria, nonché alla complessiva logicità della ponderazione e valutazione amministrativa;
- che tale potere presuppone la ricorrenza di due situazioni, tra loro alternative, consistenti nella rilevazione di "collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata" ovvero di "forme di condizionamento degli amministratori stessi", in ordine alle quali occorre l'accertamento di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette degli organi elettivi con la criminalità organizzata;
- che occorre altresì, come ulteriore presupposto, che l'emersione di una delle due situazioni suddette, "collegamenti" o "forme di condizionamento", abbia determinato, come conseguenza, una delle due evenienze, sempre previste in via alternativa dalla norma, in quanto "compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle Amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati", ovvero "risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica";
- che i fatti posti a base del provvedimento di scioglimento - benché necessariamente costituiti da "situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette con gli organi elettivi" (Corte cost., 103/1993 cit.) - nondimeno non devono rivestire uno status di prova sul piano delle responsabilità penali, poiché non deve confondersi il piano dei rimedi straordinari posti a tutela della legalità e del buon andamento dell'amministrazione in funzione di prevenzione delle forme di infiltrazione e condizionamento mafioso, con il diverso piano dell'accertamento delle responsabilità penali dei singoli, essendo espressamente previsto dalla disposizione di legge che è sufficiente la acquisizione di "elementi", e quindi di circostanze che hanno un grado di significatività inferiore agli indizi, purché emerga una chiara manifestazione della situazione di compromissione dell'amministrazione;
- che neppure è necessario che i presupposti considerati trovino sostegno in un compiuto accertamento dell'autorità giudiziaria penale, come pure non è richiesto che l'apprezzamento negativo coinvolga tutti, o la gran parte, o la maggioranza dei singoli amministratori, poiché ciò che interessa è l'interferenza dei fattori esterni al quadro degli interessi locali (leciti) sull'efficienza dell'organo come tale, inteso nel suo complesso, nonostante la presenza di soggetti estranei o comunque incolpevoli della situazione determinatasi che è demandato ad altra e diversa giurisdizione;
- che neppure è necessario che i fatti considerati assumano la consistenza di un comportamento illecito, penalmente rilevante, in quanto i "collegamenti" (anche "indiretti") e le "forme di condizionamento" possono verificarsi anche quando il coinvolgimento degli amministratori negli affari della criminalità organizzata non concretizzi gli estremi, oggettivi e/o soggettivi, di una condotta delittuosa;
- che, infine, la disposizione dell'articolo 15-bis della legge 55 del 1990 come aggiunto dal decreto legge 164 del 1991 (oggi articolo 143 del t.u.e.l.), qui applicata, presenta profili sostanzialmente coerenti con l'impostazione complessiva del sistema normativo emanato per combattere l'invasività del fenomeno mafioso, nel contesto normativo delle leggi 575 del 1965, del decreto legge 629 del 1982 e del decreto legislativo n. 490 del 1994, caratterizzato da un forte avanzamento del livello di prevenzione realizzato su tre piani convergenti: attribuzione di rilevanza a fatti e circostanze consistenti in molti casi in una evenienza di mero pericolo; ammissione sul piano probatorio di elementi indiziari di tipo logico e presuntivo; previsione di ampi margini di discrezionalità nell'esercizio dei relativi poteri (il suddetto contesto normativo è stato altresì già diverse volte giudicato conforme a Costituzione dal giudice delle leggi: Corte Cost., decc. 6 maggio 1996, n. 141, 16 maggio 1994, n. 184, 19 maggio 1994, n. 191, 31 marzo 1994, n. 118, 5 maggio 1993, n. 218, 29 ottobre 1992, n. 407).
Questi assunti, da tempo applicati da questa Sezione nei numerosi precedenti analoghi sopra indicati, trovano sostanziale riscontro e conferma nella giurisprudenza del giudice d'appello (ex multis, più di recente, Cons. St., sez. V, 17 luglio 2004, n. 5164, 18 marzo 2004, n. 1425, 23 marzo 2004, n. 1556, 14 maggio 2003, n. 2590, 18 marzo 2003, n. 1425; sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 562).
Le repliche dell'Avvocatura dello Stato alle censure di parte ricorrente, tutte modulate in sostanza lungo la trama argomentativa ora ripercorsa e volte a richiamare soprattutto la latitudine della discrezionalità dell'amministrazione e la non riducibilità di questo giudizio a un accertamento di tipo processualpenale sulla sussistenza di elementi costitutivi di reati già per se stessi di tipo indiziario, siccome esemplati sul modello del "tipo d'autore", quali la fattispecie di cui all'articolo 416-bis del codice penale, non possono, dunque, non trovare, in linea generale, la piena adesione del Tribunale, che ha già tempo fatto costante applicazione d questi principi.
Nondimeno non va sottovalutata la peculiarità della fattispecie concreta in esame, nella quale, come si è subito posto in evidenza già nella parte iniziale di questa motivazione, il punto di attacco della stessa ricostruzione dei fatti proposta dall'amministrazione degli interni è costituito dall'ingerenza dell'organizzazione ("clan Nuvoletta") nel regolare svolgimento delle ultime consultazioni elettorali (pag. 6 già citata della relazione di accesso), ingerenza che si è però concretizzata non già nell'appoggio al sindaco Bertini uscito vincitore dalle urne, ma al suo oppositore, Spinosa Giuseppe. Questa peculiarità della vicenda, già sopra sottolineata, se non può condurre ad un mutamento di orientamento interpretativo, che questa Sezione non ha motivo in questa sede di prendere in considerazione, deve tuttavia realisticamente indurre a una particolare attenzione e severità nel riscontro, voluto dalla Corte costituzionale (dec. 103/1993 cit.), sia in ordine all'accertamento "di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette degli organi elettivi con la criminalità organizzata", sia sul punto della "stringente consequenzialità tra l'emersione, da un lato, di una delle due situazioni suddette, "collegamenti" o "forme di condizionamento", e, dall'altro, di una delle due evenienze, l'una in atto, quale la compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo nonché del regolare funzionamento dei servizi, l'altra conseguente ad una valutazione di pericolosità, espressa dalla disposizione impugnata con la formula "tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica". Nel bilanciamento tra gli interessi pubblici, entrambi di pari rango costituzionale, che si contrappongono nelle fattispecie applicative della misura straordinaria dello scioglimento del consiglio comunale ex articolo 143 t.u.e.l., costituiti da un lato dall'elettorato passivo, ma anche attivo, e dall'altro dalla prevenzione e dal contrasto di gravissime forme di criminalità organizzata a tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, non può non avere un peso importante la circostanza, ora nuovamente sottolineata, per cui la maggioranza che regge l'amministrazione fatta oggetto di scioglimento non è quella appoggiata alle elezioni dalla camorra, ma quella che ne ha subito l'avversione e l'inimicizia. Di fatto il provvedimento impugnato finisce per sancire una sorta di "blocco" della democrazia nel comune di Marano, poiché significa che l'esito delle elezioni, benché contrario al candidato della camorra, è nella sostanza irrilevante. Queste considerazioni non implicano certamente l'inamovibilità del governo locale che sia espressione della parte politica che si è contrapposta in sede elettorale ai candidati sostenuti dalla malavita organizzata. Ben può accadere, infatti, che abbia a verificarsi comunque la collusione degli organi elettivi con la criminalità organizzata ed i conseguenti ulteriori presupposti per l'adozione della misura dissolutoria degli organi elettivi. Ma - ed è questo il punto che si vuole evidenziare - occorrerà, in tal caso, quando le elezioni abbiano sancito la vittoria di chi si è opposto al candidato sostenuto dalla malavita, che l'accertamento delle collusioni anche indirette degli organi elettivi con la criminalità organizzata, nonché la ricordata "stringente consequenzialità" con gli esiti di compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo, nonché del regolare funzionamento dei servizi, ovvero di grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, sia particolarmente attento e convincente. Perché altrimenti il surriferito bilanciamento tra gli opposti interessi rischia di apparire troppo sbilanciato in favore delle esigenze di prevenzione, con eccessiva compressione del rispetto del gioco democratico nelle elezioni locali.
Occorre adesso procedere all'analisi dei singoli elementi addotti dall'amministrazione a sostegno del decreto di scioglimento.
Si è già ampiamente detto dell'irrilevanza, ai fini qui considerati, del fatto in sé della presenza, nel consiglio comunale, di quattro consiglieri ritenuti in qualche modo vicini ad ambienti della malavita organizzata.
L'ulteriore tassello offerto nella ricostruzione della commissione d'accesso è costituito dalla posizione di tre assessori nominati dal sindaco Bertini: Nuvoletti Massimo, Chianese Raffaele e Amitrano Alberto. Il primo è assessore alle politiche culturali, giovanili e dello sport e sarebbe "controindicato", ancorché "immune da pregiudizi penali", in quanto "nipote di Nuvoletta Aniello, Angelo ed Antonio, tutti personaggi di spicco del clan Nuvoletta". Il secondo è assessore alle periferie e al decentramento amministrativo ed è cognato della moglie di Nuvoletta Eduardo, figlio del deceduto "boss" dell'omonimo clan, Nuvoletta Lorenzo. Il terzo è assessore con delega alla polizia municipale e alla viabilità ed ha per genero il nipote per parte di madre dei già citati Nuvoletta Aniello, Angelo ed Antonio, tutti personaggi di spicco del clan Nuvoletta.
Sul punto parte ricorrente insiste sulla labilità delle parentele (o affinità), sulla mancata considerazione sociologica dell'alto grado di agglutinamento sociale che caratterizza i piccoli centri della Campania ("parentele di paese" estese e ramificate a coprire cospicui gruppi di soggetti) che renderebbe del tutto privi di significato i riferiti legami.
In merito il Collegio rileva l'apoditticità dell'indicazione nella stessa relazione della commissione di accesso, che nessun ulteriore elemento significativo offre sul punto, affidando la deduzione (o l'illazione) al puro e semplice dato anagrafico. Dato anagrafico che per gli assessori Chianese e Amitrano è oggettivamente non assumibile ex se ad elemento indiziario utile, trattandosi di mere affinità e neppure di rapporto di parentela. Quanto alla posizione dell'assessore Nuvoletti, che pare oggettivamente capace di maggiore significato, trattandosi di parentela di terzo grado con esponenti di spicco del clan Nuvoletta, deve osservarsi che la controindicazione è attenuata e validamente contrastata dalla circostanza, ricordata dai ricorrenti e non contraddetta dall'amministrazione, per cui il predetto Nuvoletti Massimo è altresì nipote di un vice questore di polizia ed appartiene a un ramo della famiglia Nuvoletta che "da tempo ha preso decisamente le distanze" dal ramo della famiglia implicato in coinvolgimenti camorristici. Non senza considerare, infine, che l'assessore Nuvoletti è delegato alle politiche culturali, giovanili e dello sport, ramo dell'amministrazione che non pare convergente sulla linea degli interessi tipici della malavita organizzata (edilizia, appalti, concessioni etc.).
La commissione di accesso affronta dunque il capitolo dei dipendenti dell'amministrazione comunale, indicando cinque dipendenti (più un soggetto destinatario di incarico professionale) o pregiudicati o sottoposti a procedimenti penali o legati per vincoli di affinità a pregiudicati.
Parte ricorrente replica osservando che si tratta di soli 5 dipendenti, che non rivestono qualifica apicale, su 219 in servizio presso il comune di Marano, donde l'assoluta implausibilità di un condizionamento dell'azione amministrativa dell'ente; che questi dipendenti erano già in servizio quando il comune di Marano era governato dalla commissione prefettizia (insediatasi a seguito del precedente scioglimento per infiltrazioni camorristiche avvenuto nel 1991), che non li aveva ritenuti incompatibili; aggiunge che il sindaco, proprio al fine di segnare una soluzione di continuità con le precedenti gestioni, ha assunto le figure apicali mediante contratti a tempo determinato con soggetti estranei alla realtà locale ed ha provveduto alla selezione di quadri intermedi attingendo a selezioni compiute dal Formez; precisa infine che due dei cinque dipendenti indicati dalla commissione di accesso sono stati in realtà prosciolti dagli addebiti, e di questo la commissione non avrebbe tenuto conto.
Le argomentazioni di parte ricorrente appaiono persuasive e dimostrano ulteriormente sia l'insufficienza qualitativa dell'istruttoria, che si è limitata in sostanza all'elenco meccanico di tutte le situazioni e fatti che potessero in qualche modo prestarsi a una ricostruzione dell'elemento collusivo con la malavita organizzata, senza però curare adeguatamente il momento di sintesi in ordine alla vera significatività degli elementi raccolti.
Si adduce, quindi, nella ricostruzione dell'amministrazione, la circostanza che un componente della commissione edilizia, Carandente Tartaglia Giuseppe, risulta essere nipote di tale Carandente Tartaglia Mario, ritenuto affiliato al clan Nuvoletta. Ma anche in questo caso non si allega nessun fatto che possa indurre a ritenere che questo componente, incensurato e non implicato direttamente, a quel che consta dagli atti, in fatti legati alla vita del clan malavitoso, ammesso e non concesso che il rapporto di parentela indicato possa rivestire in sé un significato utile ai fini di questo accertamento, abbia agito per determinare atti - o sia comunque parte attiva in atti e procedimenti - rivolti a consentire una gestione del rilascio dei titoli edilizi favorevole alla delinquenza organizzata.
Nel capitolo terzo la relazione di accesso si sofferma su alcuni settori dell'attività amministrativa in cui si sarebbero rilevate illegittimità.
La commissione censura in primo luogo due episodi omissivi, relativi alla mancata repressione di occupazioni in parte abusive di suolo pubblico da parte di due esercizi pubblici (bar) gestiti da soggetti legati al sodalizio criminale egemone (per interposte persone e comunque con riferimento a soggetti ritenuti in qualche modo vicini al clan camorristico). Ma la stessa relazione di accesso rileva, tuttavia, a pag. 14, che tali episodi possono al più "indurre ad ipotizzare l'esistenza in capo alla civica amministrazione quanto meno di un condizionamento psicologico negativo". Si tratta peraltro di episodi sostanzialmente di lieve entità (rilascio di titolo all'occupazione di suolo pubblico con piccoli chioschi; mancato rinnovo del titolo) e in parte opinabili (mancanza di concessione edilizia per la realizzazione di queste strutture, asseritamente necessaria sulla base di una puntigliosa disamina della strumentazione urbanistica e del regolamento edilizio) che non appaiono concludenti nella direzione della dimostrazione dei presupposti per far luogo al provvedimento di scioglimento oggetto di giudizio.
Il capitolo quinto della relazione di accesso è dedicato all'abusivismo edilizio. Depurata l'indagine dal riferimento al generale e generico fenomeno dell'abusivismo edilizio e alla mancata sua repressione (nonché alla mancata gestione delle domande di sanatoria edilizia), che è riferimento privo di significato in una realtà territoriale deturpata da decenni di omesso governo del territorio (anche se la difesa di parte ricorrente ha depositato una statistica relativa all'abusivismo edilizio in Marano che proverebbe i risultati positivi nel contrasto al fenomeno conseguiti dalla giunta Bertini), occorre soffermarsi sull'episodio più rilevante, concernente la mancata repressione della lottizzazione abusiva della zona G4 di rispetto cimiteriale di inedificabilità assoluta, realizzata soprattutto da tale Felaco Giuseppe, ritenuto affiliato al clan Nuvoletta e tra i destinatari della già richiamata ordinanza dell'8 ottobre 2003 del g.i.p. presso il Tribunale di Napoli.
Ma anche questo episodio, pur nella sua indubbia gravità, come esempio di amministrazione illegittima e di inefficace cura degli interessi pubblici, risulta privo della concludenza ad esso riconosciuta dall'amministrazione. E ciò sia perché (come chiarito dalla stessa commissione di accesso - pag. 21) "trae origine da un iter burocratico amministrativo risalente a una fase antecedente l'attuale assetto politico dell'Ente rinnovato con le elezioni del 2001, ma pur sempre riconducibile al 1995, epoca di gestione dell'attuale sindaco Bertini"; sia perché non vi è prova in atti che i predetti abusi edilizi non fossero preesistenti (le domande di condono attestano l'ultimazione delle opere in epoca anteriore al 1994), sicché analoghi addebiti di inerzia avrebbero potuto essere rivolti alla commissione prefettizia che ha operato dopo il 1991; sia perché, infine, effettivamente dal 1995 ad oggi sono intervenute nuove misure di condono (nel 1994 e nel 2003) che hanno reso oggettivamente complesse le procedure repressive. Deve inoltre sottolinearsi che gli atti censurati dalla commissione di accesso, indicati come sintomatici della denunciata collusione o sudditanza, si collocano nell'anno 2000 (ingiunzione 23 del 15 giugno 2000) e nell'anno 2001 (ordinanza di sospensione n. 7 del 5 aprile 2001), ma anteriormente alle elezioni (svoltesi nel maggio 2001) da cui è nata la consiliatura oggetto di scioglimento.
Più in generale, per questo, come per altri episodi di asserita illegittimità di atti dell'amministrazione comunale (ivi inclusi quelli in precedenza riferiti), la sommatoria analitica, nella relazione della commissione di accesso, dei singoli fatti non va al di là della dimostrazione di inefficienze amministrative e di dubbi di legittimità degli atti, ma non riesce a costruire un'ipotesi convincente di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o di forme percepibili di condizionamento degli amministratori stessi, che avrebbero dovuto costituire le premesse su cui basare la dimostrazione della sussistenza del presupposto per la misura dissolutoria, né tanto meno riescono a dimostrare l'ulteriore presupposto, sul piano effettuale, del provvedimento di scioglimento, vale a dire l'incidenza di queste illegittimità in termini di compromissione della libera determinazione degli organi elettivi e del buon andamento dell'amministrazione, nonché del regolare funzionamento dei servizi, ovvero di pregiudizio grave e perdurante per la sicurezza pubblica.
Così nel capitolo sulle concessioni edilizie la commissione di accesso si diffonde in una puntigliosa e analitica critica della legittimità di talune concessioni edilizie rilasciate nel 2002 che non solo non appare risolutiva sul piano del collegamento con finalità sviate di favore per la malavita organizzata, ma resta dubbia e opinabile sul piano stesso della certezza delle conclusioni in ordine alla effettiva illegittimità di tali atti amministrativi (che rimane, in definitiva, da provare).
Nel capitolo sesto si affronta il tema degli appalti pubblici, ma, al di là della complessa disamina delle intricate vicende (anche giurisdizionali) dell'appalto dei lavori di ampliamento del cimitero - che evidenziano soluzioni amministrative discutibili, in parte derivanti dal succedersi non sempre coordinato degli atti, ma non pongono in luce chiari elementi di sviamento in favore di interessi criminali - non emergono altro che piccoli episodi di varianti in corso d'opera asseritamente eccessive o indebite. Per la ditta Errichiello costruzioni - gravata da informativa antimafia sfavorevole - la stessa commissione dà atto che per l'importo dei lavori dati in appalto non occorreva la previa liberatoria prefettizia.
Il capitolo settimo, sul commercio all'ingrosso su aree pubbliche nel mercato ortofrutticolo, mette in luce una decennale inerzia che, però, come efficacemente replicato dai ricorrenti, potrebbe essere del pari imputata anche alle precedenti amministrazioni, ivi inclusa la già citata commissione prefettizia.
Come osservato criticamente dai ricorrenti, il capitolo ottavo della relazione della commissione di accesso, intitolato "altre vicende amministrative rappresentative di palesi illegittimità", sembra collocarsi piuttosto sul piano del controllo amministrativo di legittimità degli atti degli enti locali, che non sul piano, in questa sede pertinente, della ricostruzione della sussistenza dei più volte richiamati presupposti utili ai fini dell'adozione delle misure straordinarie di cui all'articolo 143 del t.u.e.l. Nelle diecine di pagine di questo capitolo della relazione nulla è detto circa il profilo più importante, che avrebbe dovuto dare un significato di insieme ai vari ed eterogenei episodi di illegittimità rilevati, vale a dire circa gli elementi di collegamento di tali asserite illegittimità con lo scopo sviato di favorire la malavita organizzata (ad es. al par. 3, relativo agli appalti pubblici di servizi, dopo una doviziosa analisi di taluni rapporti e connesse asserite illegittimità, relativi al servizio di n.u., si rileva, a pag. 69, che nulla sussiste come controindicazione mafiosa a carico delle ditte appaltatrici; lo stesso dicasi per le ditte interessate dal servizio di refezione scolastica: cfr. pag. 73 relazione).
Nelle pagg. da 74 a 90 della relazione viene svolta un'accurata analisi sulle assunzioni di personale. Numerose sono le illegittimità rilevate. Molte di queste richiederebbero, peraltro, appositi accertamenti, che non possono certo svolgersi in questa sede (v'è difatti da ritenere che le parti interessate avrebbero di che replicare alle tesi esposte dalla commissione d'accesso e il giudizio finale sulla legittimità di talune di queste procedure spetterebbe pur sempre al competente giudice del lavoro). Ma questo profilo diviene del tutto ininfluente di fronte al dato centrale, di diretta e sicura rilevanza in questo giudizio, che è costituito dall'assenza da qualsivoglia indicazione circa le controindicazioni in termini di collegamento malavitoso di tale procedure della cui legittimità si dubita.
Il par. 5 (da pag. 90 a pag. 97 della relazione) esamina la gestione dei lavori di somma urgenza con affidamento diretto. Anche in questo caso la commissione, dopo un'accurata esposizione della normativa applicabile (legge "Merloni" e connesso regolamento generale), denuncia molte illegittimità e una gestione raffazzonata e approssimativa degli atti da parte del competente ufficio. Ma anche in questo caso, a pag. 97, la commissione "evidenzia che nulla è emerso agli atti delle Forze dell'Ordine a carico delle ditte suindicate". Anche in questo caso, la conclusione che dall'esame della relazione istruttoria trae il Collegio è che la commissione abbia svolto un ottimo lavoro di controllo amministrativo sugli atti e sulla gestione comunale, portando alla luce gravi fenomeni di illegittimità che avrebbero validamente sorretto misure repressive sugli atti e sulla gestione (se l'ordinamento le prevedesse e se non fossero stati abrogati taluni previgenti strumenti di controllo statale sugli enti locali). Ma non ha offerto alcun elemento utile ai fini della ricostruzione dei presupposti cui la legge riconnette la misura di cui all'articolo 143 del testo unico degli enti locali.
Si profilano dunque illogiche le conclusioni tratte dalla commissione di accesso sulla base delle indagini compiute.
Debole si palesa in particolare, come più volte rilevato, la ricostruzione del nesso tra le illegittimità amministrative riscontrate e i pretesi vantaggi, non puramente episodici e casuali, per la locale criminalità organizzata. La ricostruzione di un significato univoco della congerie di dati e riferimenti acquisiti è stata affidata ad elementi oggettivamente poco convincenti, opinabili, incapaci, pur nel loro assieme, di costituire quegli elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, che costituiscono, nella legge, i presupposti dell'adottato decreto di scioglimento. La labilità del significato e della concludenza degli elementi raccolti ai fini di una coerente prospettazione circa la sussistenza degli elementi di condizionamento e circa gli altri presupposti di legge, è acuita e resa più grave nel caso in esame dalla ricordata peculiarità della fattispecie, che avrebbe richiesto uno sforzo dimostrativo maggiore e più severo, al fine di dimostrare l'assunto di base su cui si regge la ricostruzione proposta dall'amministrazione, vale a dire l'avvenuto ridisegno dei rapporti, dopo le elezioni del 2001, nella direzione di un avvicinamento tra il gruppo di governo espresso dal sindaco eletto e il clan malavitoso locale, che pure aveva "puntato" sul candidato antagonista del Bertini. Al fine, cioè, di dimostrare l'inutilità, ai fini di una sana vita democratica nel comune di Marano, della scelta degli elettori di votare in maggioranza per la coalizione opposta a quella sostenuta dal clan locale.
Per tutti gli esposti motivi il ricorso deve giudicarsi fondato e va accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Sussistono giusti motivi per disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese di causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, così decide:
dichiara inammissibile l'intervento ad opponendum proposto da Santoro Antonio e altri;
dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse l'impugnativa di cui al punto g) del ricorso introduttivo, relativa al decreto prefettizio di sospensione del consiglio comunale;
accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla il decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio 2004 di scioglimento del consiglio comunale di Marano.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.