Corte di cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 21 settembre 2004, n. 18930

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 19 giugno-20 agosto 2001 la Corte d'appello di Roma confermava la decisione del locale Tribunale che aveva dichiarato la nullità del ricorso introduttivo di Adao Almeida Vittorina D.G., tendente ad ottenere la condanna dell'Inps al pagamento di interessi e rivalutazione sui ratei di una prestazione previdenziale (pensione dovuta in regime di convenzione internazionale Sos n. 70235205), corrisposti in ritardo.

I giudici di appello osservavano che nell'atto introduttivo non vi era alcun riferimento alla misura del credito né ai ratei di pensione per i quali si chiedeva il pagamento di interessi e rivalutazione.

Il ricorso era da ritenersi, pertanto, privo di quei requisiti minimi previsti dall'art. 414 c.p.c. per la esatta identificazione della domanda.

La nullità della domanda era rilevabile d'ufficio, indipendentemente dalla proposizione di apposita censura dell'Istituto previdenziale. La stessa non era, del resto, sanabile per effetto della costituzione della parte convenuta.

Avverso tale decisione la Adao De Almeida Vittorina D.G. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un unico motivo.

L'Inps ha depositato solo procura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 414 c.p.c., degli artt. 163, 164 e 437 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.

La sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto la nullità del ricorso, in quanto privo dei requisiti minimi richiesti dall'art. 414 c.p.c.

In realtà nel caso di specie erano chiaramente indicati sia il petitum che la causa petendi.

Infatti, la unica richiesta era quella di condanna dell'Istituto previdenziale al pagamento degli interessi e della rivalutazione sui ratei di pensione corrisposti in ritardo, cioè oltre il termine di 121 giorni dalla presentazione della domanda amministrativa di pensione.

Il ricorso è fondato.

La giurisprudenza prevalente di questa Corte è nel senso che non si abbia nullità dell'atto introduttivo per mancata determinazione dell'oggetto della domanda (petitum) o per omessa esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto (causa petendi) sui quali la domanda si fonda, tutte le volte in cui sia comunque possibile la individuazione di tali elementi attraverso l'esame complessivo dell'atto ed i riferimenti anche documentali dell'istanza, attesa la sua natura di componente della domanda dell'unitario processo di cognizione (Cassazione 3269/1995; 817/1999; 10154/2001; 12059/2003).

Come è stato ritenuto nelle decisioni sopra indicate, rappresenterebbe un formalismo eccessivo, in possibile contrasto con evidenti ragioni di economia e chiarezza espositiva e, talvolta, persino con le concrete e ragionevoli possibilità espositive degli atti giudiziari, richiedere che, inderogabilmente, nel ricorso siano precisati tutti i dettagli del petitum e della causa petendi.

Non è possibile, ovviamente, indicare in astratto quale possa essere la linea di demarcazione tra quanto deve inderogabilmente desumersi dal ricorso e quanto possa, invece, trovare integrazione nella documentazione ad essa allegata.

Si tratta di valutazioni da compiersi, in maniera ragionevole, con concreto riferimento alle varie situazioni, assicurando in ogni caso che siano adeguatamente tutelati il diritto di difesa del convenuto e la funzionalità del giudizio.

Tanto premesso in linea generale, occorre riconoscere che nel caso di specie i giudici di merito non si sono attenuti ai principi sopra indicati, poiché hanno considerato unicamente il testo del ricorso, senza verificare se in effetti lo stesso non consentisse la identificazione, pure approssimativa, dei periodi cui si riferivano le domande di pagamento di interessi e rivalutazione, con adeguata individuazione dell'oggetto del giudizio.

Inoltre, i giudici di appello non hanno preso in considerazione gli elementi desumibili dalla documentazione allegata e, prima di tutto, dalle domande amministrative prodotte dalla ricorrente, le quali avrebbero dovuto essere già in possesso dell'Istituto previdenziale (ed, anzi, condizionando la stessa proponibilità in giudizio delle pretese dell'assicurato, devono in ogni caso essere verificate dall'Istituto previdenziale in relazione alle domande contro di esso proposte).

Del resto, la ricorrente aveva indicato nell'atto introduttivo il tipo di prestazione ed il numero della stessa (Sos 70235205), nonché la decorrenza del diritto (dicembre 1983).

Aveva inoltre versato il modello 10-bis rilasciato dall'Istituto previdenziale, richiedendo gli accessori di legge, interessi e rivalutazione, sui ratei corrisposti in ritardo, cioè dopo i 120 giorni dalla presentazione della domanda amministrativa di pensione.

Aveva anche indicato l'importo complessivo richiesto, sottolineando che il calcolo degli interessi e rivalutazione era stato predisposto con decorrenza dal 2 novembre 1990 (essendo stata la domanda presentata in data 2 luglio 1990) e fino al 31 dicembre 1991.

La stessa ricorrente ha spiegato che la domanda era limitata ai soli interessi legali dall'1 gennaio 1992 all'1 dicembre 1992 (data di materiale pagamento dei ratei arretrati).

Significativamente, nessuna eccezione di nullità del ricorso introduttivo era stata proposta dall'Istituto convenuto, che si era difeso invece nel merito della domanda.

I giudici di appello non hanno preso in esame il modello 10-bis, in quanto prodotto dalla ricorrente in sede di gravame, spiegando che le eventuali carenze dei requisiti previsti dai nn. 3 e 4 dell'art. 414 c.p.c. non possono essere superate mediante precisazioni, aggiunte o modifiche successive, non essendo consentito al giudice l'esame di elementi di prova tardivamente acquisiti ritenendo del resto «inammissibile la rimessione al giudice di una indagine ad explorandum sulla posizione dedotta in giudizio, al fine di estrapolare i dati necessari alla individuazione dei termini effettivi di questa».

Tale affermazione si pone, tuttavia, in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che ha ritenuto l'ammissibilità dell'acquisizione di documenti nuovi in secondo grado. Né tiene conto del disposto dell'art. 164, commi 4 e 5, e dell'art. 156, comma 2, c.p.c.

«Il divieto di nuovi mezzi di prova in grado di appello, sancito dall'art. 437, comma 2, c.p.c., si riferisce solo alle prove costituende, richiedenti un'ulteriore attività processuale, e non anche a nuovi documenti la cui produzione è ammissibile a prescindere dal carattere effettivamente "nuovo" della documentazione offerta in sede di impugnazione, se cioè questa sia, o meno, preesistente rispetto al precedente grado di giudizio» (Cassazione, 309/1998).

I giudici di appello non si sono attenuti a tali princìpi, così incorrendo nel vizio di violazione di legge denunciato.

Conclusivamente il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio ad altro giudice che procederà a nuovo esame tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione anche per le spese di questo giudizio.