Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 5 ottobre 2004, n. 19854
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con avviso di liquidazione notificato ad Eliseo D.V. il 10 giugno 1996, l'ufficio del Registro di Formia rettificava, ai fini dell'Invim, il valore finale di un complesso immobiliare conferito in una costituenda società in nome collettivo, a seguito della contestuale trasformazione di una impresa familiare. Esso veniva notificato ad Eliseo D.V.
Gli eredi del D.V. proponevano ricorso alla commissione tributaria provinciale di Latina, deducendo preliminarmente la nullità della notificazione, perché non effettuata agli eredi collettivamente ed impersonalmente. La commissione respingeva il ricorso.
Proponevano appello gli eredi e la commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva il gravame con sentenza 7 luglio 1998, ritenendo la nullità dell'avviso di liquidazione, in quanto notificato nel domicilio del de cuius ad uno solo degli eredi, e non, come stabilito dall'art. 65 del d.P.R. 600/1973, a tutti gli eredi, impersonalmente e collettivamente.
L'amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.
Col primo mezzo sosteneva la nullità della sentenza, in relazione agli artt. 111 Cost., 36, n. 4, d.lgs. 546/1992 e 360, n. 4, c.p.c., in quanto la stessa avrebbe acriticamente accolto la tesi dei contribuenti, omettendo l'esposizione dei motivi in fatto e in diritto sui quali la decisione si è fondata.
Col secondo mezzo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 65 del d.P.R. 600/1973, 156 e 160 c.p.c., nonché omessa insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostiene che il citato art. 65 dispone che gli eredi del contribuente devono comunicare all'ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale e che la notifica degli atti concernenti il dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell'ultimo domicilio del de cuius. In mancanza di tale comunicazione, l'ufficio aveva regolarmente notificato l'avviso di liquidazione mediante consegna ad una figlia. In ogni caso, il tempestivo ricorso di tutti gli eredi alla commissione tributaria provinciale competente dimostrava che l'atto aveva raggiunto il suo scopo, rendendosi applicabile il principio sancito dall'art. 156, richiamato dall'art. 160, c.p.c.
Stante il contrasto formatosi sulla applicabilità della sanatoria di cui agli artt. 156 e 160 c.p.c. alla notificazione dell'accertamento tributario nella giurisprudenza della Sezione tributaria, quest'ultima, con ordinanza del 12 marzo 2003, rimetteva la causa al primo presidente, il quale ne disponeva l'assegnazione alle Sezioni unite.
Il contrasto di giurisprudenza.
Nella sentenza 17762/2002, la Sezione tributaria, uniformandosi alle precedenti pronunce della prima Sezione 3294/1994, e 5100/1997, e a quella della stessa Sezione tributaria 7284/2001, affermava che la notificazione dell'avviso di accertamento affetta da nullità rimane sanata, con effetto ex tunc, dalla tempestiva proposizione del ricorso del contribuente, atteso che, da un lato, l'avviso di accertamento ha natura di provocatio ad opponendum, la cui notificazione è preordinata all'impugnazione, e, dall'altro, l'art. 60, comma 1, del d.P.R. 600/1973 (dettato in materia di accertamento delle imposte sui redditi, ma applicabile anche in tema di imposta di registro ed Invim) richiama espressamente, per gli avvisi ed altri atti che devono essere notificati al contribuente, "le norme stabilite dagli artt. 137 e seguenti del c.p.c.", così rendendo applicabile l'art. 160 del codice medesimo, il quale, attraverso il rinvio al precedente art. 156, prevede che la nullità non possa essere dichiarata quando l'atto ha raggiunto il suo scopo.
Tale sentenza si è posta in consapevole contrasto con le sentenze della Sezione tributaria 5924/2001, e 3513/2002, nelle quali è stato affermato che l'avviso di accertamento non è un atto processuale, né è funzionale al processo - la cui instaurazione si correla non già alla notificazione dell'avviso di accertamento o di qualsiasi atto impositivo impugnabile, che ne costituisce un semplice antecedente, ma alla proposizione del ricorso di cui agli artt. 15 ss. del d.P.R. 636/1972 e, successivamente, 18 e 20 del d.lgs. 546/1992 - ma è atto amministrativo, esplicativo della potestà impositiva dell'amministrazione finanziaria. Da ciò deriva l'inapplicabilità della disciplina della sanatoria delle nullità delle notificazioni degli atti processuali all'avviso di accertamento e, quindi, non può ritenersi, alla stregua di tale disciplina, che la proposizione del ricorso da parte del contribuente avverso l'atto notificato possa produrre l'effetto di impedire, in ogni caso, la verificazione della decadenza di diritto sostanziale, correlata alla mancata tempestiva e valida notifica di detto avviso prevista dall'art. 43, comma 1, del d.P.R. 600/1973.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo deve essere rigettato, in quanto la decisione impugnata, contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell'amministrazione, contiene sufficienti elementi per cogliere la ratio della decisione impugnata ed una valutazione delle critiche ad essa rivolte, che non costituiscono un mero rinvio al contenuto della pronuncia di primo grado.
Merita, invece, accoglimento il secondo motivo, dovendosi seguire la tesi dell'applicabilità della sanatoria di cui agli artt. 156 e 160 c.p.c., anche se per ragioni non del tutto coincidenti con quelle poste a base delle citate decisioni della Corte.
Si deve rilevare, anzitutto, che il problema viene posto soprattutto in relazione ai termini di decadenza previsti dalle singole leggi d'imposta per l'esercizio dei poteri di accertamento, di rettifica e di riscossione, essendo stato sostenuto, quale conseguenza dell'applicabilità del regime di sanatoria previsto per la notifica degli atti processuali, che la sanatoria (costituita, nella specie, dalla tempestiva proposizione del ricorso da parte di tutti i legittimati) comporti un'attribuzione di validità ex tunc alla notificazione di atti di accertamento e, quindi, impedisca il verificarsi della decadenza.
È da escludersi, peraltro, che l'applicazione del regime di sanatoria previsto dalla legge processuale civile sia una mera conseguenza della natura pre-processuale o quasi-processuale dell'accertamento tributario, il quale, in tale ottica, viene definito come una mera provocatio ad opponendum. L'atto in questione costituisce, infatti, come tutti gli atti amministrativi autoritativi, lo strumento attraverso il quale - in ossequio ai principi di tipicità e nominatività - l'amministrazione enuncia nei confronti del destinatario ciò che deve essere per lui di diritto nel caso concreto; per quanto attiene all'imposizione fiscale, le ragioni e il contenuto della pretesa tributaria. Il momento processuale, che è meramente eventuale, laddove necessaria ed indefettibile è l'emanazione dell'atto di accertamento, quando non vi sia stato spontaneo ed esatto adempimento dell'obbligazione tributaria, si ricollega all'atto, sia perché la tutela giurisdizionale si esercita - secondo il sistema processuale vigente - attraverso un meccanismo d'impugnazione dello stesso, sia perché l'enunciazione della pretesa tributaria costituisce, al contempo, l'oggetto del processo. Tali elementi di collegamento non possono, pertanto, qualificare l'accertamento come un atto di natura assimilata a quella processuale, cosa che, d'altra parte, non sarebbe sostenibile per qualsiasi altro atto amministrativo nei cui confronti sia prevista una tutela giurisdizionale di tipo impugnatorio.
La natura sostanziale dell'atto in questione non costituisce, però, un ostacolo insormontabile all'applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando, come nella specie, vi sia un espresso richiamo nella disciplina tributaria. Per quanto concerne le notificazioni, l'impiego del procedimento di notificazione nel processo civile risponde ad evidenti necessità di garanzia del contribuente e non è nuovo nell'ordinamento: un esempio significativo - che, come si dirà in seguito, ha dato luogo a pronunce giurisprudenziali nelle quali si è posto il problema della sanatoria per conseguimento dello scopo - è costituito dal decreto di espropriazione secondo l'art. 51 della legge fondamentale 2359/1865, il quale stabilisce che il decreto di espropriazione «deve, a cura dell'espropriante, essere notificato a forma delle citazioni ai proprietari espropriati».
Ciò posto, pur in difetto di un espresso richiamo, l'applicazione delle forme sulla notificazione comporta, quale necessità logica, quella del regime della nullità (in particolare, quella di origine giurisprudenziale sulla differenza tra nullità e inesistenza) e quella sulle sanatorie, che costituisce una sorta di limite alla dichiarazione di nullità, non essendovi alcun principio o ragione sistematica per ritenere che in maniera di notificazione di atti di accertamento, pur regolata dal codice di procedura civile, viga un regime diverso. La sanatoria del raggiungimento dello scopo per atti non processuali non è, del resto, estranea al sistema: appare significativo che per gli atti impugnabili dinanzi al giudice amministrativo la piena conoscenza dell'atto - secondo gli artt. 36 del r.d. 1054/1924 e 21, comma 1, della l. 1024/1971 - costituisce vicenda equipollente alla sua notificazione ed è perciò idonea a far decorrere il termine di decadenza per proporre il ricorso al giudice amministrativo.
Tanto premesso, si deve affrontare il problema dell'operatività della sanatoria in relazione alla decadenza dall'esercizio del potere di accertamento.
Secondo le Sezioni unite, l'applicazione della sanatoria del raggiungimento dello scopo nel caso di impugnazione dell'atto la cui notificazione sia affetta da nullità significa che, se il contribuente mostra di aver avuto piena conoscenza del contenuto dell'atto e ha potuto adeguatamente esercitare il proprio diritto di difesa, lo stesso contribuente non potrà, in via di principio, dedurre i vizi relativi alla notificazione a sostegno di una domanda di annullamento. A diverse conclusioni deve, peraltro, pervenirsi se la sanatoria, costituita dalla proposizione del ricorso alle commissioni sia intervenuta quando il termine per l'esercizio del potere di accertamento è scaduto. In tale ipotesi, infatti, il meccanismo della sanatoria deve essere combinato con quello, indefettibile, della decadenza dell'esercizio del potere, per cui la sanatoria può verificarsi solo se avvenuta prima del decorso del termine di decadenza. Vi è da rilevare, infatti, che la notificazione costituisce un elemento essenziale della fattispecie necessaria per evitare la decadenza dell'amministrazione. In altri termini, dall'esercizio del diritto di difesa mediante proposizione del ricorso non può mai derivare una convalida ex tunc di un atto imperfetto, di per sé inidoneo ad evitare la decadenza.
Si tratta di una conseguenza dell'applicazione di principi generali, nei casi in cui la legge pone limiti temporali all'esercizio di poteri amministrativi. Si consideri, ad esempio, l'ipotesi del decreto di espropriazione emesso successivamente alla scadenza del termine indicato nella dichiarazione di pubblica utilità: in tale caso, secondo la giurisprudenza della Corte, l'atto si considera emesso in carenza di potere e nessun effetto sanante può derivare da una sua impugnazione dinanzi al giudice amministrativo.
Una consolidata giurisprudenza della Corte ha affermato che l'applicazione del regime processuale della notificazione al decreto di espropriazione - formalità che segna, secondo il secondo comma dell'art. 51 della l. 2359/1865, l'inizio del termine di decadenza per proporre opposizione alla stima - non consente di ritenere che, attraverso la sanatoria per raggiungimento dello scopo, l'espropriato che abbia proposto opposizione deducendo il vizio della notificazione possa considerarsi decaduto, in quanto la decadenza ha natura sostanziale. Nella sentenza 2318/1990 la Corte ha affermato che la nullità della notificazione del decreto di espropriazione ha carattere sostanziale, e non processuale e, nell'ambito del procedimento espropriativo, impedisce il decorso del termine di decadenza per l'opposizione alla stima. Pertanto, anche se gli interessati possono proporre opposizione anche subito dopo l'emanazione del decreto ablativo, non possono ritenersi soggetti al termine di decadenza, che per essi mai aveva iniziato a decorrere. Quindi, non può trovare applicazione il principio della sanatoria della notificazione nulla per il raggiungimento dello scopo, nell'ipotesi in cui l'atto sia comunque venuto a conoscenza dell'interessato.
Identico principio è stato affermato nella sentenza 319/1987, nella quale la Corte ha ritenuto che, in caso di nullità della citazione contenente un atto di riscatto di fondi agrari, la sanatoria (consistente nella costituzione del convenuto) non può evitare la decadenza dall'esercizio del diritto di riscatto.
In altri termini, per ritornare all'accertamento tributario, la nullità della sua notificazione può essere sanata relativamente al conseguimento della finalità dell'atto di portare a conoscenza del destinatario i termini della pretesa tributaria e consentirgli, così, un'adeguata difesa, ma non mai nel senso di attribuire ex tunc validità a un intempestivo atto di esercizio del potere di accertamento, salvo che il conseguimento dello scopo avvenga entro il termine previsto dalle singole leggi d'imposta per l'esercizio di tale potere.
Vi è da considerare, inoltre, che la sanatoria del raggiungimento dello scopo non può eliminare gli effetti della decadenza, neppure quando questa ha natura processuale. Nella sentenza 9342/1997 le Sezioni unite hanno affermato che la tardiva notificazione della citazione in riassunzione è un atto per sua natura ab origine inidoneo ad evitare la decadenza di cui all'art. 392 c.p.c., per cui nessuna sanatoria può conseguire alla costituzione del convenuto, essendo l'atto ab origine inidoneo a produrre effetti.
Identica soluzione è stata adottata in tema di nullità della notificazione dell'appello ad alcune parti, in relazione alla quale la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la sanatoria, costituita dalla costituzione degli appellati, non può impedire la decadenza se la costituzione sia avvenuta successivamente alla scadenza del termine per proporre l'impugnazione.
Poste questi premesse, necessarie per delimitare gli effetti dell'applicazione della sanatoria, che può evitare la decadenza dal potere di accertamento soltanto ove sia intervenuta prima della scadenza del termine (per riferirsi al caso di specie, ove il ricorso alla commissione di primo grado sia proposto entro tale termine), vi è, comunque, da rilevare che la decadenza dell'amministrazione finanziaria dal potere di accertamento - secondo una consolidata giurisprudenza della Corte - non produce l'inesistenza degli atti impositivi successivamente emanati, per cui anche in tal caso il contribuente ha l'onere di dedurre la decadenza come specifico vizio nel ricorso introduttivo dinanzi alle commissioni tributarie, escludendosi un potere di declaratoria ex officio del giudice. È evidente, altresì, che la proposizione di un ricorso introduttivo nel quale si faccia valere, da sola o con altri vizi, la decadenza dell'amministrazione finanziaria dall'esercizio del potere di accertamento non svolgerà in nessun caso un indiscriminato effetto sanante nei confronti di tale vizio.
Applicando tali principi al caso di specie, il vizio dedotto deve essere indubbiamente ricondotto all'ipotesi di nullità, e non a quello dell'inesistenza, essendo stata la notifica effettuata a uno degli eredi, persona non priva di un collegamento col destinatario previsto, e cioè gli eredi collettivamente e impersonalmente. È del pari evidente che l'ufficio finanziario era a conoscenza del decesso di Eliseo D.V., per cui non può essere addebitata agli eredi alcuna conseguenza per la mancata segnalazione all'ufficio del decesso e dei nominati degli eredi. Avendo tutti gli eredi proposto ricorso avverso l'avviso di liquidazione dinanzi alla commissione tributaria provinciale, svolgendo adeguate difese e così dimostrando di avere una piena conoscenza del contenuto dell'atto impugnato, il vizio della notificazione non poteva essere dichiarato dal giudice. Mentre, nella specie, nessuna questione era stata svolta dai ricorrenti sulla decadenza dell'ufficio del potere di accertamento.
L'accoglimento della censura comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Lazio, la quale dovrà, pertanto, esaminare gli altri motivi dedotti dai contribuenti a sostegno dell'appello e decidere anche sulle spese della presente fase.
P.Q.M.
La Corte di cassazione a Sezioni unite accoglie il secondo motivo e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Lazio.